giovedì 17 ottobre 2013

"Sta esplodendo tutto" (Mons. Fellay)

Lefebvriani in fuga dalla rivoluzione
di Francesco, il “vicario dell’anticristo”

di Matteo Matzuzzi

                        
“Cari fratelli, quello che abbiamo davanti a noi, il Papa Francesco, è un vero modernista”. Bernard Fellay, superiore della Fraternità San Pio X e successore di Marcel Lefebvre – il vescovo che disse no a Paolo VI che lo pregava di rientrare in comunione con la chiesa di Roma – chiude ogni porta al dialogo con il Vaticano, e questa volta pare in maniera definitiva. Lo fa parlando negli Stati Uniti, nell’ambito di una conferenza che si è tenuta a Kansas City. Con questo Pontefice non si può discutere, non si può trovare un compromesso. Lui, il Papa gesuita, “sta rendendo diecimila volte peggiore la situazione della chiesa, che è già un vero disastro”. Ringrazia il Cielo per non aver firmato, l’anno scorso, l’accordo con la Santa Sede teso a rimarginare la ferita figlia del Concilio. “Francesco – dice Fellay – fa di tutto per scappare da ciò che è troppo chiaro e troppo certo, ha la passione per il ‘più o meno’, per il ‘circa’. Ma la Fede è così perché Dio è così”. La critica è totale, la chiusura netta: “Se l’attuale Pontefice continuerà nel modo in cui ha iniziato, dividerà la chiesa. Sta esplodendo tutto, la gente dirà che è impossibile che lui sia il Papa, e lo rifiuterà”. Per Bernard Fellay, è come se sul Soglio di Pietro sedesse Carlo Maria Martini: l’ex arcivescovo di Milano, gesuita come Bergoglio, voleva la rivoluzione nella chiesa, “ed è questo che anche Francesco vuole. Lo ha detto agli otto cardinali che ha scelto per aiutarlo a riformare la chiesa”. La china è ormai irreversibile, Bergoglio “ha tagliato le corde del paracadute con cui Benedetto XVI aveva cercato di frenare la crisi della chiesa, la sua caduta. Ha messo un razzo che porterà la chiesa sempre più in basso”.
Il superiore della Fraternità precisa comunque che la decisione di chiudere il dialogo con il Vaticano non deriva dallo stile disinvolto del Papa argentino, dalle sue frasi sul Vetus Ordo e il motu proprio Summorum Pontificum (“è stata una scelta prudenziale di Ratzinger legata all’aiuto ad alcune persone che hanno questa sensibilità”, diceva Bergoglio nell’intervista ai confratelli gesuiti della Civiltà Cattolica), dal suo insistere sull’ecumenismo “che tanti disastri ha arrecato alla chiesa e alle nazioni cattoliche”. No, la decisione di interrompere i negoziati risale al giugno del 2012, quando il documento inviato da Roma arrivò sul tavolo di Fellay per la firma dell’accordo a lungo cercato: “Quel giorno dissi che non potevo accettare quel testo, che era impossibile sottoscrivere l’ermeneutica della continuità. E’ una cosa contro la realtà, che non possiamo accettare. Il Concilio non è in continuità con la Tradizione. Benedetto XVI aveva posto come condizione che noi accettassimo il Concilio Vaticano II come parte integrante della Tradizione, ma a quel punto noi abbiamo detto con dispiacere che ciò non corrispondeva alla realtà. Ecco perché non abbiamo firmato quel testo”. Una decisione sulla quale non c’è alcun rimpianto, alla luce del cambio di guida a San Pietro. I discorsi di Francesco sulla coscienza “non hanno niente a che fare con la dottrina cattolica. E’ relativismo assoluto”, spiega Fellay. “La coscienza deve essere formata secondo la legge di Dio, il resto è solo spazzatura”.
Nulla sembra indicare, dunque, che la frattura sia ricomponibile, neppure il ritorno dell’arcivescovo Guido Pozzo alla commissione Ecclesia Dei, l’organismo preposto a trattare con i lefebvriani. Nonostante l’orientamento conservatore di Pozzo (che dopo aver ricoperto per qualche mese la carica di Elemosiniere è stato rimandato all’ufficio dal quale era stato promosso a novembre dell’anno scorso), il riavvicinamento appare improbabile. Se per Papa Benedetto il dialogo con la Fraternità era un tema rilevante nella sua agenda, non così pare essere per il suo successore. E Fellay lo riconosce: “San Pio X diceva che l’essenza per ogni cattolico era di ancorarsi al passato. Il Papa attuale dice esattamente l’opposto. Dimenticare il passato e gettarsi nell’incertezza del futuro”.
 

"la faranno, ma sarà tardi"

Suor Lucia disse che Nostro Signore un giorno si lamentò con Lei perché la consacrazione della Russia non era stata fatta: Ecco le parole ascoltate da suor Lucia “Non hanno voluto ascoltare la mia richiesta!… Come il re di Francia, se ne pentiranno, e la faranno, ma sarà tardi"


FATIMA e PAPA FRANCESCO

 

di Roberto de Mattei

 

C’è stata molta attesa, ma anche grande delusione per la cerimonia svoltasi in San Pietro domenica 13 ottobre. L’attesa nasceva dalla notizia che circolava: Papa Francesco avrebbe consacrato il mondo al Cuore Immacolato di Maria, davanti alla statua della Madonna di Fatima giunta dal Portogallo. Le speranze sembravano avere conferma dal fatto che il Papa aveva chiesto al cardinale José Policarpo, patriarca di Lisbona, di consacrare il suo ministero petrino alla Madonna di Fatima.

L’afflusso dei fedeli è iniziato il sabato, quando la statua della Madonna, giunta in elicottero, è stata venerata dalla folla e poi è stata trasferita al santuario mariano del Divino Amore. La domenica sono stati oltre centomila i fedeli che hanno gremito la piazza antistante la Basilica, per assistere alla cerimonia. Molti speravano che la consacrazione di Papa Francesco comprendesse una menzione specifica della Russia. A Fatima infatti la Madonna ha chiesto un atto solenne e pubblico di riparazione e consacrazione della Russia al Cuore Immacolato di Maria, compiuto dal Papa in unione con i vescovi del mondo. Pio XII nel Radiomessaggio al Portogallo del 31 ottobre 1942, consacrò al Cuore Immacolato di Maria la Chiesa e il genere umano.

Lo stesso Papa Pacelli, il 7 luglio 1952, con la lettera apostolica Sacro Vergente Anno, consacrò tutti i popoli della Russia alla Madre di Dio. La Russia venne esplicitamente nominata, ma mancò l’unione solenne con i vescovi cattolici di tutto il mondo.

Il Concilio Ecumenico Vaticano II sarebbe stata un’occasione straordinaria per adempiere alla richiesta della Madonna. Nel 1965, ben 510 arcivescovi e vescovi di 78 paesi sottoscrissero una petizione in cui si chiedeva che il Papa, in unione con i Padri conciliari, consacrasse al Cuore Immacolato di Maria il mondo intero, ed in modo speciale la Russia e le altre nazioni dominate dal comunismo.

Paolo VI non accolse però la richiesta. Giovanni Paolo II, dopo essere stato drammaticamente ferito nell’attentato del 13 maggio 1981, attribuì alla Madonna di Fatima una miracolosa protezione e il 13 maggio 1982 si recò pellegrino al suo santuario, dove affidò e consacrò alla Madonna «quegli uomini e quelle nazioni che di questo affidamento e di questa consacrazione hanno particolarmente bisogno». Un’analoga consacrazione fu da lui ripetuta il 25 marzo 1984, in piazza San Pietro, alla presenza della statua della Vergine giunta appositamente dal Portogallo. Il Papa aveva scritto ai vescovi di tutto il mondo chiedendo di unirsi a lui, ma non tutti ricevettero l’invito e pochi lo fecero proprio. Neanche in questa occasione fu espressamente nominata la Russia, ma ci fu solo un riferimento «ai popoli di cui tu ti aspetti la nostra consacrazione e il nostro affidamento».

Un terzo atto di affidamento della Chiesa e dell’umanità alla Vergine Maria, fu pronunciato l’8 ottobre 2000, davanti alla statua della Madonna di Fatima, da Giovanni Paolo, insieme ad oltre 1500 vescovi rappresentanti dell’episcopato mondiale. Benedetto XVI fece divulgare il Terzo segreto di Fatima (il cui testo viene però da molti giudicato incompleto) e il 12 maggio 2010, inginocchiandosi davanti all’immagine della Madonna nella cappella delle Apparizioni di Fatima, elevò a Lei una preghiera di affidamento, chiedendo la liberazione «da ogni pericolo che incombe su di noi».

I devoti di Fatima attendevano da Papa Francesco un passo avanti, rispetto ai suoi predecessori, ma sono stati profondamente delusi. Il Papa ha pronunciato in tono stanco una formula più debole di quelle precedenti, senza usare la parola consacrazione, e senza citare né Fatima, né il Cuore Immacolato, né il mondo, né la Chiesa, e tantomeno la Russia. Il Papa, in una parola, contrariamente a quanto era stato annunciato (cfr. ad esempio http://www.zenit.org/it/articles/l-importanza-di-consacrare-il-mondo-al-cuore-immacolato-di-maria), non ha consacrato il mondo al Cuore Immacolato di Maria. C’è stato un generico accenno a «Dio, che mai si stanca di chinarsi con misericordia sull’umanità, afflitta dal male e ferita dal peccato, per guarirla e per salvarla», ma senza richiamare i pericoli che oggi incombono sull’umanità impenitente.

La Beata Vergine Maria non fu una donna verbosa e sentimentale, e i suoi messaggi, quando sono autentici, vanno dritto all’essenziale. Le sue parole sono un dono del Cielo per confermare gli uomini nella fede o per dar loro orientamento e conforto nelle difficoltà. A Lourdes, nel 1858, Maria suggellò il dogma dell’Immacolata Concezione, promulgato quattro anni prima da Pio IX. A Fatima, nel 1917, annunziò un grande castigo per il mondo, se non si fosse pentito per i propri peccati. In questa profezia che Benedetto XVI ha definito «incompiuta», la Madonna ha voluto farci comprendere come il mondo vive un’ora tragica della sua storia, richiamando ognuno alle proprie responsabilità.

Un insegnamento forte, sulla stessa linea di quello di Fatima, ci viene da un altro messaggio mariano, poco conosciuto, di cui proprio il 13 ottobre 2013 è caduto il quarantesimo anniversario: quello di Akita. Akita è il nome del luogo, in Giappone, in cui avvennero le apparizioni della Madonna alla suora Agnese Katsuko Sasagawa, dell’ordine delle Serve dell’Eucarestia.

Il 13 ottobre 1973, la religiosa ricevette l’ultimo e più importante messaggio nel quale la Madonna descrive il castigo che attende l’umanità con queste parole: «Se gli uomini non si pentiranno e non miglioreranno se stessi, il Padre infliggerà un terribile castigo su tutta l’umanità. Sarà un castigo più grande del Diluvio, tale fino al suo trionfo finale.

 

martedì 15 ottobre 2013

"Ci atteniamo ai fatti": intervista ad Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro (su Libero del 12 ottobre u.s.)

Pubblichiamo l'intervista rilasciata dai due giornalisti licenziati da "Radio Maria": corrediamo l'articolo con le immagini dell'Abbazia di San Pietro in Wisques, Pas-de-Calais, Francia dove nei giorni 10 e 11 Ottobre scorsi si è celebrato il passaggio alla vita tradizionale. La vita della Tradizione continua.

 

Intervista a Gnocchi e Palmaro







(di Luciano Capone su Libero del 12-10-2013) Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, due giornalisti cattolici, hanno rotto l’unanimismo mediatico favorevole a Papa Francesco con un articolo su Il Foglio  dal titolo «Questo Papa non ci piace». I due  hanno mosso dure, ma precise critiche ad alcune prese di posizione e agli strappi del Pontefice, pagando le opinioni espresse con un’epurazione da Radio Maria, emittente dove da 10 anni conducevano trasmissioni sulla bioetica e sul Vangelo.
Partiamo dall’articolo, cos’ha fatto e detto il Papa che non  piace a due giornalisti cattolici?
«Ci sono due aspetti problematici: la forma e i contenuti. Francesco ha assunto comportamenti e uno stile che portano alla dissoluzione del pontificato nella sua struttura formale, e che tendono a ridurre il papa a uno dei vescovi, e non al “dolce Cristo in terra” di cui parlava Santa Caterina. Sul piano dei contenuti, nelle interviste a Civiltà cattolica e a Repubblica ci sono non solo ambiguità ma oggettivi errori filosofici e dottrinali. Parliamoci da giornalisti, stiamo dibattendo sul classico caso di una non notizia. Qui ci sono due cattolici battezzati che ascoltano per mesi quanto dice il papa e, per mesi, si trovano a disagio perché quanto sentono stride evidentemente con quanto sostiene la dottrina. Alla fine, visto che fanno il mestiere di scrivere e commentare, scrivono e commentano. Non lo prevede solo una delle regole base dell’informazione, ma lo prevede anche il diritto canonico. La lettera e l’intervista a Scalfari, l’intervista a Civiltà Cattolica sono solo gli ultimi esempi più eclatanti. Hanno fatto il giro del mondo, hanno fatto gridare alla rivoluzione, hanno lasciato di sasso migliaia e migliaia di fedeli, quindi di anime, e nessuno trova niente da dire? La notizia invece è il coro unanime di osanna che va da certi cattolici conservatori fino a Pannella passando per Enzo Bianchi e Hans Kung».
Avete criticato l’intervista rilasciata ad Eugenio Scalfari. Non andava bene l’intervista o l’intervistatore?
«La scelta di Eugenio Scalfari è singolare e lascia interdetti molti cattolici. Egli infatti non è solo un laico o un non credente, ma uno storico antagonista del cattolicesimo. La Repubblica è il quotidiano simbolo di quella cultura radical chic che ha fatto di divorzio e aborto le colonne di una nuova società nichilista, nella quale non c’è più posto per Cristo e i sacramenti. Diverso sarebbe stato incontrare in modo riservato Scalfari, e parlare con lui in vista del suo bene. E nella speranza della sua conversione».
Quanto all’intervista del Papa a Civiltà cattolica, dite che le frasi sull’aborto contrappongono dottrina e misericordia. Cosa vuol dire?
«La prima forma di carità è la verità. Il buon medico non nasconde al malato la gravità della sua patologia, affinché si curi. Dio desidera senza sosta di perdonarci, ma pretende il nostro pentimento, il riconoscere che abbiamo peccato. Una Chiesa che tacesse sulla morale per non scontrarsi con il mondo mancherebbe di carità verso i peccatori. È facile dire che trecento morti a Lampedusa sono “una vergogna”. Più difficile dire che trecento bambini abortiti legalmente in Italia ogni giorno sono una vergogna ancor più grande».
Per questo ed altro ve la siete presa con i “normalisti”, i cattolici che, a differenza della stampa laica, non avrebbero visto la rivoluzione rispetto al magistero della Chiesa. Ma cos’è cambiato in realtà?
«Ce la siamo presa con quelli che abbiamo definito normalisti per un motivo molto semplice. Questi signori, da sei mesi, non fanno che mettere pezze agli svarioni di papa Francesco. Sulla coscienza, su etica e bioetica, sulla vita religiosa. Fatta salva la buona fede e le buone intenzioni, producono un danno tremendo perché, dicendo che tutto è normale e che non c’è nulla di nuovo, iniettando dosi di cattolicità là dove non ci sono, finiscono per far passare per cattoliche le affermazioni nude e crude del papa. Si illudono, poveretti, di essere mediaticamente più forti di Bergoglio e pensano che le loro correzioni arrivino al destinatario. Ma non hanno capito proprio niente di che cosa è la macchina massmediatica. contemporanea. Non sono loro a correggere il papa, è il papa a fagocitare loro».
Ma se il papa farebbe addirittura affermazioni non cattoliche, perché i normalisti fanno finta di non vedere tutto ciò?
«Perché al centro del problema c’è niente meno che il Papa. Giustamente i cattolici lo considerano la guida della Chiesa nella storia, e non vorrebbero mai doverlo criticare. Per intenderci: se l’intervista a Civiltà Cattolica fosse stata rilasciata da un teologo o perfino da un vescovo, sarebbe stata contestata nelle molte parti che non quadrano».
Ma, interviste a parte, avete criticato anche l’interpretazione che il Papa dà del Concilio Vaticano II. Non è una critica troppo forte?
«Ci atteniamo ai fatti: con il Vaticano II la Chiesa dichiara apertamente di volersi aprire al mondo e di rispondere alle sue aspettative. Un capovolgimento che in questi decenni ha prodotto i suoi risultati: i seminari si sono svuotati, in molti di essi si insegnano dottrine non cattoliche, e in cattedra si mettono, come volle Carlo Maria Martini, i non credenti».
Imputate a Bergoglio anche l’eccessivo feeling con i mass media. Non pensate invece che stia rafforzando l’immagine della Chiesa?
«Qui la risposta è sempre quella di McLuhan: i media creano una finzione che diventa un facsimile del Corpo Mistico, e lui la chiama “un’assordante manifestazione dell’anticristo”».
Ma ieri il Papa nella sua predica ha insistito sul fatto che il Diavolo è una realtà e non una metafora, dicendo che “Chi non è con Gesù, è contro Gesù, non ci sono atteggiamenti a metà”. Non è in contraddizione con la vostra immagine di “Papa progressista”?
«In questi mesi Papa Francesco ha detto molte cose cattoliche. Ma questo è normale: è il Papa. Ma nel nostro articolo abbiamo messo a confronto quanto dice sulla coscienza papa Francesco e quanto nel 1993 ha scritto papa Giovanni Paolo II nell’enciclica “Veritatis splendor”. Ebbene, uno dice esattamente il contrario dell’altro e pensiamo che nessun contorcimento della mente più contorta possa dire che, in fondo, sono la stessa cosa. Fino a oggi, nessuno è entrato nel merito di quanto abbiamo scritto. Nessuno ha trovato da ridire su una sola riga. Un gentile signore ci ha anche invitato pubblicamente ad andare a confessarci. Ma lo sa, questo signore, che ci è capitato di dire queste cose in confessione e di sentirci dire dal confessore che la pensa allo stesso modo, ma non lo può dire a nessuno? E dovrebbe sapere, questo signore, quante lettere e telefonate abbiamo ricevuto da cattolici che non ne potevano più e ci ringraziano per quanto abbiamo scritto».
Queste considerazioni vi sono costate l’epurazione da Radio Maria. Era una decisione che potevano evitare o l’avevate messa in conto prima di esporvi?
«Ci avevamo pensato, ma non era possibile tacere oltre. Eravamo amici di padre Livio Fanzaga prima di questa vicenda e lo siamo anche adesso. Lui è il direttore della radio e lui stabilisce la linea editoriale. Se questa linea prevede che il papa non si possa criticare neanche se parla di calcio, evidentemente due come noi sono fuori posto. Ma ci permettiamo anche di dire che questa linea proprio non la condividiamo. Non si può soffocare l’intelligenza e non si possono censurare a priori domande più che legittime. Questo non fa bene al mondo cattolico e non fa bene alla Chiesa. Se c’è qualche cosa che lascia l’amaro in bocca è che, dopo dieci anni di collaborazione, la telefonata sia arrivata due ore dopo l’uscita dell’articolo, senza neanche un momento per pensarci. Dieci anni in cui abbiamo avuto la libertà di dire tutto quello che ritenevamo opportuno anche su temi scottanti. Ecco, questa immediatezza fa male».
Pensate che la vostra espulsione sia stata decisa altrove?
«Bisognerebbe chiederlo a padre Livio, che è un bravo sacerdote e una persona per bene».
Ma si può stare in una radio cattolica e criticare il Papa?
«Certo che sì, a patto che le critiche non siano contrarie alla dottrina della Chiesa. Se Paolo di Tarso non avesse criticato il primo papa, oggi noi cattolici saremmo tutti circoncisi, perché San Pietro voleva stabilire questa norma. Se Santa Caterina non avesse rimbrottato i papi, oggi Avignone sarebbe ancora la sede del papato».
Il Papa ha dialogato con tantissime persone, anche con diversi atei militanti, vi aspettate una sua telefonata? Che voglia ascoltare le ragioni di due cattolici intransigenti e che magari intervenire per ridarvi la trasmissione in radio?
«Pensiamo che sia molto meglio che il Papa si dedichi al suo ministero: confermare il suo gregge nella vera fede, far tornare i cattolici a conoscere i catechismo e la dottrina, e operare affinché i lontani si convertano».