mercoledì 30 aprile 2025

CONTRIBUTO PER IL CONCLAVE 2025

 

CONTRIBUTO PER IL CONCLAVE 2025

 

 Se non con l’ardore, certamente con l’ardire di Santa Caterina da Siena nel giorno della sua festa offriamo ai Sigg. Cardinali alcuni spunti di riflessione in vista dell’imminente Conclave.

 La Chiesa di oggi vive uno dei momenti più difficili della sua storia: occorre prender atto del fallimento dell’attuale metodo pastorale. Quale contributo può dare il Papa a superare questo contesto di crisi? In primo luogo quello di sempre: quello di fondamento (fede), di conferma (tradizione) e di guida (unità). Dobbiamo riconoscere che dal punto di vista canonico il potere giurisdizionale del Romano Pontefice è andato al di là di ogni limite ragionevolmente e tradizionalmente corretto al punto che qualcuno ha parlato di un monstrum che a partire dall’infallibilità dogmatica (che non appartiene al Pontefice ma alle sue definizioni ex Cathedra) è passato ad attribuirsi un esercizio del potere giurisdizionale illimitato, capace di sottrarre con un atto amministrativo una Diocesi al suo legittimo titolare senza che ci sia alcun giudizio intermendio se non il suo insindacabile. Questo non è conforme alla tradizione della Chiesa che vede il Papa come destinatario di appelli e non come giudice unico e inappellabile, capace di tutto e potenzialmente senza alcun limite se non quello della morte. Come insegnò papa Benedetto XVI durante la Messa in occasione del suo insediamento sulla Cattedra di Vescovo di Roma, il 7 maggio 2005, nella Basilica Lateranense: "Il Papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge". Un esercizio del potere primaziale che contradica questo principio diventa oggettivamente controproducente sotto il profilo ecumenico e questo va detto con forza. 

 Detto questo, prendiamo in esame l’ufficio del Papa di Roma in base ai suoi titoli teologici, canonici e storici per offrire al Conclave imminente alcuni spunti di riflessione.

 Il Papa come Vicario di Cristo, Successore di San Pietro, Sommo Pontefice, Pastore e Primate Universale: questi titoli andrebbero declinati in una nuova prospettiva indicata anche da papa Francesco: l’inserimento del servizio supremo del successore di Pietro nel contesto di un decentramento in ordine alla disciplina e al governo delle singole chiese nazionali (paradigma comune al mondo ortodosso e riformato) pur continuando il suo servizio per l’unità e l’integrità dottrinale, avendo ben presente che il decentramento dottrinale è in antitesi con il servizio all’unità proprio del Papa. Tale prospettiva  assimilabile, come già detto, all’impostazione delle Chiese orientali e riformate potrebbe essere riconosciuta da tutti come la nativa fisionomia della Chiesa intera destinata a spargersi su tutta la terra per mandato divino pur conservando un centro unificatore nella Prima Sedes: si tratta di un recupero del ruolo primaziale in un senso nuovo ma molto simile all’antico ruolo del Vescovo di Roma.

 Il Papa come Vescovo di Roma: Funzione essenziale del primato assegnato da Nostro Signore Gesù Cristo all'Apostolo Pietro, rispetto al quale il Vescovo di Roma è Successore e Vicario, è essere fondamento e principio visibile dell'unità dei Vescovi e dei Fedeli. Natura, obiettivo e metodo della missione specifica di Pietro sono indicati chiaramente da Cristo nel Vangelo: il suo compito nasce dalla misericordia ottenuta dalle lacrime di pentimento e rimane come "Ministero di misericordia". "È come se il Maestro stesso avesse voluto dirgli: 'Ricordati che sei debole, che anche tu hai bisogno di un' incessante conversione. puoi confermare gli altri in quanto hai coscienza della tua debolezza. Ti do il compito della Verità, ma questa verità non può essere predicata e realizzata in alcun altro modo che amando'. Il compito di Pietro non è creare ostacoli, ma cercare vie; cercare costantemente le vie che servono al mantenimento dell' unità" (Giovanni Paolo II, Orientale Lumen, Lett. Apost. (1995), n. 20). Il suo essere 'principio e fondamento visibile dell' unità della Chiesa' non può e non deve risolversi nella  tendenza ad imporre la 'sua' unità, standosene chiuso e immobile nelle sue posizioni con la pretesa che tutti gli altri si allineino e si conformino. Egli al contrario deve uscire verso gli altri e cercarli per costruire o recuperare la concordia e l' unità con loro, insieme a loro. Fin dagli inizi la Chiesa ha affrontato i problemi emergenti incontrandosi, confrontandosi e collaborando in consultazioni, convegni, sinodi e concili. Non si contemplava l'esistenza di un organo visibile e permanente in grado di definire per decreto l'unità  della fede come  "rappresentante unico autorizzato" e "decisore  unico, sovrano e supremo". Le controversie dogmatiche dei primi secoli e il susseguirsi inesausto di Sinodi e Concili non avrebbero avuto in tal caso alcun senso.

 Il Papa come Metropolita della Provincia romana del Lazio: all’interno della Riforma della Curia ai Cardinali Vescovi, primi collaboratori del Papa, sia attribuito un maggiore ruolo pastorale all’interno della Provincia stessa. Il Sinodo della Provincia Romana abbia anche un ruolo di consultazione rapida per il servizio universale del Santo Padre e il potere di giudicare l’inabilità mentale del Pontefice e di deferirlo al giudizio del Concilio universale in casi limite da individuarsi per bene riprendendo e studiando le tesi del Concilio di Costanza: un limite oggettivo al potere giurisdizionale del Papa va posto senza ulteriori indugi. Inoltre per evitare che il Pontefice modelli su di sé il collegio episcopale, i vescovi nel Patriarcato d’Occidente siano scelti all'interno di ogni singola Metropolia e confermati da Roma. I metropoliti siano indicati dai suffraganei in sinergia con il Primate e la Sede romana. Non ci siano metropoliti più metropoliti di altri in quanto cardinali. I primati in questa prospettiva dovrebbero essere indicati dalla Sede apostolica come segno di comunione. I Vescovi non sono i delegati ad nutum di  un sovrano assolutissimo che poggia la loro testa sul ripiano della ghigliottina al momento della loro nomina (m. p. Come madre amorevole). Quale madre farebbe questo con un suo figlio? alla nascita poi!

 Il Papa come Primate d’Italia: è necessario un recupero di un rapporto stretto con l’Italia a cui va riconosciuto un ruolo primaziale riflesso all’interno delle Conferenze episcopali nazionali con il riconoscimento di un particolare rilievo delle sedi italiane tradizionalmente cardinalizie come espressione del servizio del Papa alla realtà delle Diocesi d’Italia.  Fatta eccezione per l’Italia, in forza di questo suo rapporto speciale i cardinali siano prevalentemente di Curia oltre che titolari delle sedi italiane e principalmente i primati delle varie Nazioni con alcune eccezioni per casi particolari di vescovi e chiese particolarmente meritevoli.

 Il Papa come Patriarca d’Occidente: si precisi chiaramente che il potere giurisdizionale esercitato da Papa all’interno del suo Patriarcato è esercitato in quanto Patriarca. Nei riguardi degli altri Patriarcati il Vescovo di Roma si limiterà a dare e ricevere lettere di comunione e a ricevere appelli dai Patriarchi come nel primo millennio. Si potrebbero prevedere altri Patriarcati oltre ai cinque storici Occidente, Costantinopoli,  Antiochia, Alessandria, Gerusalemme come per esempio, una volta ritrovata l’unità, per la Comunione Anglicana, per le Chiese riformate, per Cina, Armenia, India, Russia, Georgia etc. In quanto Primate universale e Patriarca d'Occidente, alla morte dello stesso agli altri patriarchi, in quanto titolari di una basilica romana, sia attribuito il diritto di entrare conclave. All’interno del suo Patriarcato il Papa poi dovrebbe finalmente operare una seria e profonda azione volta all’instaurazione di una pace liturgica definitiva con l’attuazione di una riforma della riforma che, tenuta in giusto conto l’ispirazione conciliare, sappia superare finalmente il decadentismo liturgico preconciliare e postconciliare in una sintesi fedele alla tradizione più vera. Una Chiesa impegnata in una lotta intestina non evangelizza. Il Concilio è vivo e vitale se chiaramente unito alla Tradizione della Chiesa e non se, anche solo apparentemente, ne rappresenta e costituisce una rottura.

 Il Papa come Servo dei Servi di Dio: il servizio del Papa è primariamente quello dell’unità e della fede nel solco immutabile della Tradizione che non è nella sua disposizione ma nella sua custodia; pertanto non è più procastinabile una definizione dei Concili dal Lateranense I in poi come Concilii generali dell’Occidente e va valutata l’opportunità storica di una convocazione di un vero Concilio ecumenico di unificazione e simbolicamente avrebbe molta forza la scelta di Firenze come sede: un Concilio che tratti della data della Pasqua e del servizio universale del Vescovo di Roma con una possibile apertura in senso ecumenico al clero sposato con l’ordine come impedimento dirimente il matrimonio e con Vescovi scelti tra i celibi come in Oriente  chiedendo alla Comunione anglicana di attenersi a tale disciplina universale e costante della Chiesa. A proposito di Oriente e di fedeltà alla Tradizione vera ricordiamoci che nel primo millennio in oriente si scatenò la terrificante tempesta iconoclasta e che fu la chiesa latina a soccorrere i bizantini accogliendo e salvando schiere innumerevoli, soprattutto di monaci, che fuggivano portandosi dietro tante icone, molte delle quali sono rimaste da noi. Alla fine l'Ortodossia cattolica trionfò. Oggi che la tempesta modernista si è abbattuta sull'occidente latino, dobbiamo umilmente riconoscere che i bizantini possono  aiutarci a sopravvivere e  conservare  la fede cattolica, facendo ancora una volta trionfare l'ortodossia. Allora (sec. VIII-IX) gli uni e gli altri, latini e greci, si riconoscevano e si aiutavano come membri della stessa Chiesa cattolica ortodossa. Oggi, loro sono rimasti come erano allora (tranne qualche comprensibile irrigidimento e riserva riguardo all’esercizio del primato romano). Noi, invece, abbiamo condotto l'esperimento di adattamento alle circostanze, a cominciare dal secolo XI con il celibato e l'autocrazia romanocentrica, e poi soprattutto negli ultimi due secoli di  aggiornamento e di modernizzazione che, alla fine, si è rivelato una mutazione genetica modernistica (prima ostracizzata dai Papi e poi assecondata). È necessario andare verso un nuovo 843 d.C., verso un nuovo trionfo dell’Ortodossia. Un trionfo moderato come saggiamente fu quello.