sabato 2 ottobre 2010

il popolo della libertà (di bestemmia!)

Roma, 2. Nuove tensioni e polemiche animano il dibattito in Italia. Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, in un video diffuso in rete e risalente al 29 settembre, ha parlato di «un'associazione a delinquere nella magistratura». Il video ha subito suscitato aspre reazioni, in un clima già turbato dall'inquietante e oscuro episodio dell'attentato al direttore del quotidiano «Libero». Sul tema della giustizia ieri è intervenuto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ricordando che per affrontare i problemi in questo ambito «occorrono interventi non disorganici né settoriali ma di ampio respiro» e auspicando un clima «scevro da sterili contrapposizioni». Lo stesso clima che i vescovi italiani hanno invocato nei giorni scorsi, esprimendo «angustia» per la difficile situazione del Paese. In questo contesto appaiono tanto più deplorevoli alcune battute del capo del Governo - più o meno recenti e di cui peraltro Berlusconi si è subito scusato - che offendono indistintamente il sentimento dei credenti e la memoria sacra dei sei milioni di vittime della Shoah. Rendendo tristemente attuale quanto il cardinale presidente della Conferenza episcopale italiana aveva detto lunedì scorso: «Il linguaggio in uso nella scena pubblica deve essere confacente a civiltà ed educazione. Fa malinconia l'illusione di risultare spiritosi o più “incisivi”, quando a patire le conseguenze è tutto un costume generale».

(da L'Osservatore Romano - 3 ottobre 2010)

solo un'osservazione: sembra che per l'Osservatore Romano sia sacra la memoria della Shoah ma un po' meno il Santo Nome di Dio bestemmiato dal presidente del consiglio. Ci sbaglieremo, ma messo così il concetto... Quanto al nostro premier proviamo grande pena e vergogna per lui. Pregheremo per lui perché comprenda quanto è grave quello che ha fatto: corruptio optimi pessima!.

la diocesi di marx


Che dire? speriamo che non sia tutto vero. ma se lo è...........

Testimonianza di un Sacerdote straniero nella Diocesi di Monaco


Sono nella diocesi di Monaco, come Sacerdote, da alcuni mesi - E' quasi impossibile prestare un servizio pastorale nelle parrocchie dove gli "assistenti pastorali" (per la maggioranza donne) prestano un servizio pastorale stipendiato dalla Diocesi. - Per le poche celebrazioni della Santa Messa domenicale che ho potuto svolgere qui nella diocesi di Monaco, no ho mai potuto ne leggere il Vangelo ne tenere la predica domenicale. La pratica è che chi predica legge il Vangelo ,dunque come gli assistenti pastorali laici (quasi tutte donne) predicano a turni durante le celebrazioni della Santa Messa domenicale, mai il sacerdote che celebra puo avvicinarsi all'ambone per leggere il vangelo o tenere la predica. E' pure esonerato dall'introduzione alla Santa Messa prima dell'atto penitenziale e anche della formulazione della preghiera universale perchè riservate a chi è di turno per la predica e lo sono quasi sempre gli assistenti pastorali laici. Durante la Consacrazione, gli assistenti pastorali laici occupano lo stesso posto, all'altare, dei concelebranti e spesso leggono parte del canone della Messa. Qui sono cose che qui' succedono quasi ogni domenica. La Diocesi ufficialmente avrebbe vietato tutto questo, ma di fatto fa' finta di non vedere e non sapere finche' nessuno protesta, ma qui cè una tale confusione nella gente che non sa' piu cosa è permesso e cosa è vietato. Nessun sacerdote straniero che studia alla facolta di teologia puo permettersi di denunciare i fatti che accadono perchè gli vien toltia ogni possibilita di sostegno economico, borsa di studio o di celebrare messa in chiesa. Qui conosco molti sacerdoti stranieri come me che avendo offerto di prestare un servizio di sostegno patorale nelle parocchie della diocesi di Monaco in fine settimana, e durante il loro tempo di studio che dura alcuni anni, i quali non ricevono nessuna risposta. Alcuni per poter sostenere i loro studi, non potendo aver il sostegno economico in scambio di un servizio pastorale, sono ridotti a lavorare di sera faccendo le pulizie degli uffici nelle banche, nell'amministrazione regionale o in diverse agenzie o fabriche. Altri sono ridotti a lavorare da operai nei cantieri, o ad andare alla stazione delle poste per smantellare buste e pacchi. Chi non ce la fa fisicamente a prendere un lavoro pesante durante lo studio va a fare lo chauffeur nelle diverse agenzie di taxi della citta di Monaco. Vi sembra che sia un film da fantascienza ? Non lo è a fatto perchè tutto questo qui esiste. Nella diocesi di Monaco nelle zone di campagna parrocchie mancano di preti, ma preferiscono dare ogni servizio pastorale agli assistenti pastorali laici, perchè costa di meno una liturgia della parola che la celebrazione di una Santa Messa. Mi sono ritrovato un giorno della festa di san Giuseppe in una chiesa di quella diocesi con altri due Sacerdoti, uno dei quali doveva celebrare la Santa Messa in quel luogo e in quel giorno li. Dall'ordinariato era venuto un avviso che non si doveva piu celebrare Messa e che ci doveva essere solo una liturgia della parola, svolta dall'assistente pastorale del luogo. Ci siamo ritrovati tre Sacerdoti seduti sui banchi di quella Chiesa, ad assistere la liturgia della Parola officiata da quella signora nominata dalla diocesi. - In questa diocesi di Monaco succedono delle cose che a voi non è minimamente possibile immaginare ma non possiamo dire niente.

Se osiamo denunciare ufficialmente, quello che succede e che perdiamo il minimo che abbiamo per vivere, cioè i 300 Euro che ci danno per un mese (10 euro a messa ogni giorno) e senza nessuna protezione sociale (assicurazione malatia o incidenti). Ho sempre l'impressione che sono caduto nel film sbagliato tanto la realta' va oltre la fantascienza: vedere pastori luterani ricevere la comunione all'altare della parrocchia quando è il vescovo stesso che celebra, vi fa capire che se dite qualche cosa contro questo abuso liturgico, finirete pure ad aver il vescovo contro di voi e dunque non c'é nessuna via di uscita che di trovarsi un lavoro par-time in città per sfuggire a tale situazione disastrosa e rimanere in comunione con la Chiesa di Roma, cosa che alcuni sacerdoti stranieri studenti preferiscono fare, ma a quale costo per il loro sacerdozio. Il caso il piu terribile che vivo qui è quello di un giovane prete arrivato nella facolta di teologia per completare i suoi studi. Un sacerdote che dall'inizio del suo ministero non si era mai vestito altro che da prete. Arrivando per studiare non ha mai ricevuto nessuna attivita' pastorale di fine settimana, per migliorare un po' il suo quotidiano e dovendo campare con pochi soldi dopo aver pagato affitto della stanza, cibo e trasporto, è stato costretto a fare il lavapiatti in un ristorante turco della città. Per non aver problemi si è dovuto togliere l'abito da prete e mettersi in jeans per andare a lavorare ogni sera in quel grande ristorante in modo incognito. Veramente mi sembra di vivere nel film sbagliato. Noi Sacerdoti stranieri, quando parlate di Benedetto XVI e dite quello che dite, noi che siamo nella diocesi dove operava da Vescovo, ci stiamo chiedendo se stiamo parliamo dalla stessa persona, visto che pure ai suoi tempi qui non andava diversamente. Dunque dire che questo Pontefice sta per cambiare la chiesa a noi fa sorridere, visto che non a' potuto dare un altra impronta alla diocesi di Monaco quando stava qui, come puo' a Roma, come Pontefice, dare un altra impronta alla Chiesa universale ? Veramente, per come viviamo qui' da sacerdoti, non ci facciamo illusioni. Pregate per me, pregate per noi. -

In Christo per Maria. Don X, Sacerdote nella diocesi di Monaco

venerdì 1 ottobre 2010

Un problema semantico: tolleranza e relativismo

Un problema semantico: tolleranza e relativismo

L’ecumenismo e il dialogo interreligioso postconciliari hanno prodotto, come tutti sappiamo, dei frutti molto amari. Oggi prevale, in quasi tutti gli ambienti, l’idea che tutte le religioni siano più o meno buone e vere. L’unica cosa che conta è la sincerità con cui l’uomo le pratica.

Di fronte a questo cedimento, nessuna autorità ecclesiastica con maggiore senso di responsabilità reagisce e chiede un rimedio. Il cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo emerito di Bologna, confessò preoccupato di aver sentito dire ad una suora, molto soddisfatta, “Signor Cardinale, la grande eredità di Papa Giovanni Paolo II è stata quella di dimostrare che tutte le religioni sono buone!”

Come si sa, il Papa Benedetto XVI, fin da quando era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha criticato in varie occasioni il relativismo, ed è ormai celebre la sua espressione “dittatura del relativismo”, che usò nel corso del conclave che lo elesse.
Tuttavia, mi sembra che il Santo Padre abbia in mente soprattutto il relativismo etico. Egli non ammette lo scetticismo o il cinismo che negano i valori morali perenni.

Ma sul piano teologico noto che vi è un problema, forse derivato dalla mentalità umanistica e ottimistica prevalsa durante e dopo il Concilio Vaticano II: una Chiesa aperta e dialogante col mondo, con le “altre religioni”, aiuterebbe l’umanità a progredire moralmente, per evitare una terza guerra mondiale e raggiungere la pace!

Ora, una tale attitudine umanistica e filantropica porta sicuramente a vedere “aspetti positivi” dovunque, o quantomeno in tutte le religioni. In questa prospettiva, la Chiesa di Cristo finisce col sussistere in qualsiasi gruppo di uomini di buona volontà.
Io penso che nessuno può negare che sia questa la mentalità religiosa oggi prevalente e che questa sia la “politica” adottata dalle Autorità.

Ebbene, quando si vedono aspetti positivi ovunque, quando si dice, come è stato detto in un documento, che l’umanità ha bisogno delle “religioni” per il suo sviluppo, quando si afferma che la forza di persuasione dei sostenitori delle “altre religioni” (come è stato affermato ufficialmente pochi anni fa) è opera dello Spirito Santo che agisce al di fuori dei confini visibili della Chiesa, quando si dice che col dialogo ecumenico e interreligioso si ottiene un arricchimento reciproco delle “comunità ecclesiali” e delle religioni, quando si dice che il ministero petrino deve essere oggetto di una revisione per trovare una nuova modalità per il suo esercizio, quando il Papa finisce con l’esser visto come il grande promotore del movimento ecumenico e del dialogo interreligioso e non propriamente come il successore di Pietro, capo della Chiesa cattolica, quando si ammette tutto questo, mi chiedo: siamo di fronte ad un atteggiamento di tolleranza religiosa o di relativismo teologico?

Non giudico le intenzioni di nessuno. Ma penso che vi sia un serio problema. E vedo molta codardia negli uomini che hanno l’obbligo di agire e reagire in modo adeguato di fronte a tale calamità. Una volta un prelato mi disse di essere rimasto indignato a sentire Boff affermare che la Umbanda, la Candomblé, la Macumba e non so che altro, corrispondessero ad una azione dello Spirito Santo. Perché indignarsi semplicemente quando invece si trattava di un peccato ben più grave?

Quando il teologo gesuita belga Dupuis, corifeo della teologia delle religioni, venne citato davanti al tribunale dell’ex Sant’Uffizio, rifiutò di ritrattare, dicendo che era giunto alle sue conclusioni sulla base della realtà ecclesiale. Tanto bastava per ritenerlo un infelice eretico! Perché condannarlo? È stato come punire un moscerino che s’è ingoiato un cammello!

L’indimenticabile giornalista Lenildo Tabosa Pessoa ha detto che molte persone sono di sinistra e socialiste senza saperlo. Anche oggi vi sono tanti relativisti inconsapevoli. Si pensa di essere tolleranti, mentre si è relativisti. La tolleranza è l’atteggiamento che si assume di fronte ad un male che non può essere impedito, e si subisce il male per carità o per prudenza al fine di evitare un male maggiore. Oggi noi non consideriamo le “altre religioni” un male, al contrario formuliamo giudizi positivi su di esse.

Pertanto, siamo di fronte ad un problema di semantica. Il termine tolleranza non significa più la stessa cosa. Esso esprime o nasconde un atteggiamento realmente relativistico, se non teorico almeno pratico. E siccome non esiste una pratica senza la teoria, si dovrebbe riconoscere che dietro tale pratica c’è una nuova teologia eterodossa o una gravissima mancanza di prudenza nei rapporti fra la Chiesa e il mondo.

Tolleranti per carità e prudenza furono i papi di prima del Concilio Vaticano II. Pur chiamando le cose col loro vero nome (le false religioni sono false religioni), sopportarono con pazienza ed eroismo le conseguenze degli errori moderni, che non potevano impedire, ma che non cessavano di condannare apertamente.

Oggi i veri tolleranti sono chiamati intolleranti, settari, integralisti, fondamentalisti, mentre i relativisti e i liberali sono chiamati tolleranti.

Padre João Batista de Almeida Prado Ferraz Costa

Anápolis (Brasile), 23 settembre 2010
Festa di San Lino, Papa e Martire

giovedì 30 settembre 2010

Maledetta eresia modernista!

La discesa dei modernisti
Nella Chiesa Cattolica è legittimo avere delle sensibilità diverse, purché non siano in contrasto con la Dottrina di sempre. Pensiamo ad esempio ai riti liturgici delle Chiese orientali, i quali sono perfettamente legittimi e ortodossi, anche se molto diversi dai riti latini.

Il modernismo invece è una vera e propria religione a sé stante, con i propri dogmi e la propria teologia morale. Chi non è d'accordo con questa mia affermazione significa che ritiene legittimo che all'interno della Chiesa ci possa essere qualcuno che sostenga anche una sola eresia. Del resto, anche il Codice di Diritto Canonico commina la pena della scomunica “automatica” (nel gergo canonico si dice “latae sentenziae”) a quei cattolici che abbracciano in maniera pervicace una dottrina eterodossa.

Ecco una serie di dottrine eretiche professate dai modernisti:

- i dogmi possono cambiare in base alle mutate condizioni culturali

- tutte le religioni sono uguali

- Gesù non è l'unico Salvatore del mondo

- Gesù non è risorto corporalmente, ma solo spiritualmente

- Gesù è presente solo simbolicamente nel Santissimo Sacramento

- Gesù non sapeva di essere Dio

- Gesù non sapeva che sarebbe morto in croce

- la Messa non è la rinnovazione incruenta del Santo Sacrificio di Cristo

- il Papa non è mai infallibile

- la Madonna non fu sempre vergine, ma ebbe altri figli

- Adamo ed Eva non furono i soli “primi” esseri umani

- i testi originali della Sacra Scrittura possono contenere delle bugie

- l'inferno non è eterno

- il diavolo non esiste

- il purgatorio è un'invenzione medievale

- le donne possono ricevere validamente l'ordine sacro

- nessuno può dannarsi, perché Dio è infinitamente misericordioso

- coloro che hanno l'opzione preferenziale per il bene, non peccano mai mortalmente

- i divorziati che si risposano con un altro coniuge non commettono adulterio

- le convivenze prematrimoniali hanno un valore presacramentale

- gli anticoncezionali sono moralmente leciti

- anche le coppie omosessuali sono bene accette da Dio

- è inutile confessare i peccati al sacerdote, poiché tanto Dio li conosce già

Questi sono solo alcuni dei gravi errori riguardanti la fede e la morale che dilagano tra i fedeli. Viene voglia di piangere se si pensa al grave danno spirituale che subiscono le anime. Maledetta eresia modernista! Aveva ragione San Pio X a definirla “la sintesi di tutte le eresie”. Non dobbiamo arrenderci, poiché Gesù ha promesso che le porte dell'inferno non prevarranno sulla Chiesa. Non ci rimane che pregare e rifugiarci sotto il presidio della Beata Vergine Maria, nostra Sovrana e Condottiera di tutte le vittorie. La Regina dell'Universo ci ha promesso che alla fine il suo Cuore Immacolato trionferà!

tratto da http://cordialiter.blogspot.com/2010/09/colei-che-sconfiggera-i-dogmi.html

veglia in preparazione alla visita del Papa a Palermo

mercoledì 29 settembre 2010

Mons. Brunero Gherardini, Quod et tradidi vobis. La Tradizione, vita e giovinezza della Chiesa

Quod et tradidi vobis
La Tradizione  vita e giovinezza della Chiesa


Quest'ultimo libro di Mons. Gherardini, esamina il concetto di Tradizione allo scopo di contribuire alla fissazione di un criterio cattolico generale di questo termine che, a partire dal Vaticano II, ha subito ogni sorta di forzature per far coincidere la Tradizione cattolica con le più disparate opinioni di teologi e ricercatori.

In particolare l'Autore mette bene a fuoco il vero significato dell'espressione “tradizione vivente”, di cui troppo s'è abusato a partire dal Concilio per far passare l'idea che la Tradizione cattolica abbia una valenza “evolutiva” del tutto paragonabile alla concezione evoluzionista moderna.

La fissazione di questo criterio, e la sua accettazione universale, è condizione indispensabile per il lavoro di revisione dei documenti conciliari “alla luce della Tradizione”, appunto. A sua volta chiave di volta per comprendere il senso vero, e realmente praticabile, di quella che oggi viene chiamata da molti “ermeneutica della continuità”.

Non un semplice lavoro di corrispondenza dei testi si richiede, e quindi un ulteriore lavoro di interpretazione degli stessi, bensì un attento esame di questi testi in relazione ai principi che la Tradizione contiene e che ha trasmesso ininterrottamente per quasi duemila anni.

Il libro ha una decisa caratura teologica e l'Autore lo ha scritto proprio avendo in vista i lettori in possesso di competenze teologiche. Ne sono prova le tante citazioni di testi di teologia. E ciò nonostante è un libro di agevole lettura e di facile comprensione, tale da costituire un buon testo di riferimento per chi volesse mettere a fuoco il senso della Tradizione della Chiesa cattolica, ed orientarsi nel dedalo dell'attuale pubblicistica cattolica.

Mons. Brunero Gherardini, Quod et tradidi vobis. La Tradizione, vita e giovinezza della Chiesa, Casa Mariana Editrice, Frigento (AV), 2010, formato 15 x 23, pp. 460, € 25,00

Il libro, reperibile nelle librerie cattoliche, può essere richiesto direttamente alla casa editrice:

Casa Mariana Editrice
Strettoia Santa Teresa degli Scalzi, 4
80135 Napoli
tel. e fax 081-5447003 / 081-0331423
posta elettronica






martedì 28 settembre 2010

Il futuro della Fraternità San Pio X è nelle mani di Dio

Pubblichiamo volentieri l'intervento di Mons. Gherardini con una precisaazione che ci sembra doverosa. L'autore fa riferimento ad una risposta data  in occasione del dibattito successivo alla presentazione della biografia di Mons. Lefebvre  tenuta dall'autrice Cristina Siccardi a San Sicario (TO) il 15 agosto scorso. Ebbene in quell'occasione si fece riferimento a qualche rischio sul piano pratico che la Fraternità potrebbe correre per la“salus animarum”, ma l'autorevole rappresentante della Fraternità rifiutò decisamente di usare il termine “compromesso” in materia di Fede. Le idee nella Fraternità sono chiare e le fila sembrano davvero compatte "per la propria e l’altrui eterna salvezza".

SUL DOMANI DELLA FRATERNITA' SAN PIO X
di Mons. Brunero Gherardini

Durante un amichevole incontro, alcuni amici m’han chiesto quale potrebb’esser il domani della Fraternità S. Pio X, a conclusione dei colloqui in atto fra la medesima e la Santa Sede. Ne abbiam parlato a lungo ed i pareri eran discordi. Per questo esprimo il mio anche per iscritto, nella speranza – se non è presunzione e Dio me ne guardi! - che possa giovare non solo agli amici, ma anche alle parti dialoganti.

Rilevo anzitutto che nessuno è profeta né figlio di profeti. Il futuro è nelle mani di Dio. Qualche volta è possibile preordinarlo, almeno in parte; in altre, ci sfugge del tutto. Bisogna inoltre dare atto alle due parti, finalmente all’opera per una soluzione dell’ormai annoso problema dei “lefebvriani”, che fin ad oggi han lodevolmente ed esemplarmente mantenuto il dovuto silenzio sui loro colloqui. Tale silenzio, però, non aiuta a preveder i possibili sviluppi.

Di “voci”, peraltro, se ne sentono; e non poche. Quale sia il loro fondamento è un indovinello. Prenderò dunque in esame qualcuno dei pareri espressi nell’occasione predetta e dirò poi articolatamente il mio.

1 – Ci fu chi giudicava positivo un recente invito ad “uscire dal bunker nel quale s’è asserragliata durante il postconcilio per difendere la Fede dagli attacchi del neomodernismo”. Fu facile rilevare la difficoltà d’un giudizio a tale riguardo. Che la Fraternità sia stata per alcuni decenni nel bunker è evidente; purtroppo c’è ancora. Non è invece evidente se vi sia entrata da sé, o se vi sia stata da qualcuno, o dagli avvenimenti sospinta. A me pare che, se proprio vogliamo parlare di bunker, sia stato Mons. Lefebvre ad imprigionarvi la sua Fraternità quel 30 giugno 1998, quando, dopo due richiami ufficiali ed una formale ammonizione perché recedesse dal progettato atto “scismatico”, ordinò vescovi quattro dei suoi sacerdoti. Fu, quello, il bunker non dello scisma formalmente inteso, perché pur essendo “rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice” (CJC 751/2), mancò il dolo e l’intenzione di crear un’anti-chiesa, fu anzi determinato dall’amore alla Chiesa e da una sorta di “necessità” incombente per la continuità della genuina Tradizione cattolica, seriamente compromessa dal neomodernismo postconciliare. Ma bunker fu: quello d’una disobbedienza ai limiti della sfida, del vicolo chiuso e senza prospettive d’un possibile sbocco. Non quello della salvaguardia di valori compromessi.

E’ difficile capire in che senso, “per difendere la Fede dagli attacchi del neomodernismo”, fosse proprio necessario “asserragliarsi in un bunker”. Vale a dire: lasciar libero il passo all’irrompere dell’eresia modernista. E di fatto il passo fu ininterrottamente contrastato. Se pur in una posizione di condanna canonica, e quindi fuori dai ranghi dell’ufficialità ma con la consapevolezza di lavorare per Cristo e per la sua Chiesa, una santa cattolica apostolica e romana, la Fraternità attese anzitutto alla formazione del clero, questo essendo il suo compito specifico, fondò e diresse seminari, promosse e sostenne dibattiti teologici talvolta d’alto profilo, pubblicò libri di rilevante valore ecclesiologico, dette conto di sé mediante fogli d’informazione interna ed esterna: il tutto allo scoperto, dimostrando di quale forza – lasciata purtroppo ai margini - la Chiesa potrebbe avvalersi per la sua finalità d’universale evangelizzazione. Che gli effetti dell’attiva presenza lefebvriana possan esser giudicati modesti o che di fatto non sian molto appariscenti, può dipender da due ragioni:

- dalla condizione canonicamente abnorme in cui opera,

- e dalle sue dimensioni; si sa che la mosca tira il calcio che può.

Ma io son profondamente convinto che proprio per questo si dovrebbe ringraziare la Fraternità la quale, in un contesto di secolarizzazione ormai ai margini d’un’era post-cristiana, ed anche di non dissimulata antipatia verso di essa, ha tenuto e tiene ben alta la fiaccola della Fede e della Tradizione.

2 – Nell’occasione richiamata all’inizio, qualcuno riferì d’una conferenza durante la quale la Fraternità fu invitata ad aver maggior fiducia nel mondo ecclesiale contemporaneo, ricorrendo se necessario a qualche compromesso, perché la “salus animarum” esige – l’avrebbe detto un lefefbvriano – che si corra anche questo rischio. Sì, ma non certamente il rischio di “compromettere” la propria e l’altrui eterna salvezza.

E’ probabile che le parole tradiscan le intenzioni. O che non si conosca il valore delle parole. Se c’è una cosa che, in materia di Fede, è doveroso evitare, è il compromesso. E il richiamarsi della Fraternità – così come d’ogni autentico seguace di Cristo - al “Sì sì, no no” di Mt 5,37 (Giac 5,12) è l’unica risposta alla prospettiva del compromesso. Il testo citato continua dicendo: “tutto il resto vien dal maligno”: dunque anche e segnatamente il compromesso. Almeno nella sua accezione di rinunzia ai propri principi morali ed alle proprie ragioni di vita.

A dir il vero, anche a me, da quando i colloqui tra Santa Sede e Fraternità ebbero inizio, era arrivata la voce d’un possibile compromesso. Cioè d’un comportamento indegno, dal quale la stessa Santa Sede immagino che rifugga per prima. Un compromesso su quanto non impegna la confessione dell’autentica Fede, è possibile e talvolta plausibile; non lo è mai ai danni dei valori non negoziabili. Sarebbe oltretutto una contraddizione in termini, perché anche il compromesso è un “negotium”. Ed un negozio a rischio: il naufragio della Fede. Mi ripugna, pertanto, il solo pensare che la Santa Sede lo proponga o l’accetti: otterrebbe molto meno d’un piatto di lenticchie e s’addosserebbe la responsabilità d’un illecito gravissimo. Mi ripugna del pari il pensiero d’una Fraternità che, dop’aver fatto della Fede senza sconti la bandiera della sua stessa esistenza, scivoli sulla buccia di banana del rifiuto della sua stessa ragion d’essere.

Aggiungo che, a giudicare da qualche indizio forse non del tutto infondato, la metodologia messa bilateralmente in atto non sembra aprire grandi prospettive. E’ la metodologia del punto contro punto: Vaticano II sì, Vaticano II no, o sì se. Cioè a condizione che dall’una o dall’altra parte, o da ambedue, s’abbassi la guardia. Una resa a discrezione? Per la Fraternità il mettersi nelle mani della Chiesa sarebbe l’unico comportamento veramente cristiano, se non ci fosse la ragione per cui nacque e per cui dette vita al suo Aventino. Cioè quel Vaticano II che, specie con alcuni dei suoi documenti sta letteralmente all’opposto di ciò in cui essa crede e per cui opera. Con tale metodologia, non s’intravede una via di mezzo: o la capitolazione, o il compromesso.

Un esito così esiziale potrebb’esser evitato seguendo una metodologia diversa. Il “punctum dolens” di tutt’il contenzioso si chiama Tradizione. Ad essa è costante il richiamo dell’una e dell’altra parte, che peraltro hanno, della Tradizione, un concetto nettamente alternativo. Papa Wojtyla dichiarò ufficialmente “incompleta e contraddittoria” la Tradizione difesa dalla Fraternità. Si dovrebbe pertanto dimostrar il perché dell’incompletezza e della contraddittorietà, ma ancor più impellente è la necessità che le parti addivengano ad un concetto comune, ossia bilateralmente condiviso. Un tale concetto diventa allora il famoso pettine al quale arrivan tutt’i problemi. Non c’è problema teologico e di vita ecclesiale che non abbia nel detto concetto la sua soluzione. Se, dunque, si continua a dialogare mantenendo, l’una e l’altra parte, il proprio punto di partenza, o si darà vita ad un dialogo fra sordi, o, per dimostrare che non si è dialogato invano, si darà libero accesso al compromesso. Soprattutto se accettasse la tesi dei “contrasti apparenti” perché determinati non da dissensi di carattere dogmatico, ma dalle sempre nuove interpretazioni dei fatti storici, la Fraternità dichiarerebbe la sua fine, miseramente sostituendo la sua Tradizione, ch’è quella apostolica, con la vaporosa ed inconsistente e disomogenea Tradizione vivente dei neomodernisti.

3 – Un’ultima questione trattammo nel nostro amichevole incontro, esprimendo più speranze che previsioni concretamente fondate: il futuro della Fraternità. In argomento è sceso pure, recentemente, il sito “cordialiter blogstop.com”con un’idilliaca anticipazione del roseo domani che già arriderebbe alla Fraternità: un nuovo – nuovo? per ora, non ne ha mai avuto uno – “status” canonico, inizio della fine del modernismo, priorati presi d’assalto dai fedeli, Fraternità trasformata in “superdiocesi autonoma”. Anch’io mi riprometto molto dalla sperata composizione per la quale si sta lavorando, ma con i piedi un po’ più per terra.

Tento d’acuire lo sguardo e di vedere che cosa potrebbe domani accadere. Lo specifico della Fraternità, l’ho già ricordato, è la preparazione al sacerdozio e la cura delle vocazioni sacerdotali. Non dovrebbe aprirsi per essa un campo diverso da quello dei Seminari, questo essendo il suo vero campo di battaglia: propri e non propri, nei Seminari assai più che altrove o più che altrimenti potrebbero esprimersi la natura e le finalità della Fraternità.

Sotto quale profilo canonico? Non è facile prevederlo. Mi pare, comunque, che l’esser una Fraternità sacerdotale dovrebbe suggerirne l’assetto canonico in una forma di “Società Sacerdotale”, sotto il supremo governo della Congregazione “per gl’Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica”. Inoltre, l’aver essa già quattro Vescovi potrebbe suggerire, come soluzione, una “Praelatura” di cui la Santa Sede, al momento opportuno, potrà precisare l’esatta configurazione giuridica. Non mi sembra questo, tuttavia, il problema principale. Più importante è, senza dubbio, sia la composizione all’interno della Chiesa d’un contenzioso poco comprensibile nel tempo del dialogo con tutti, sia la liberalizzazione d’una forza compatta attorno all’idea e all’ideale della Tradizione, perché possa operare non dal bunker ma alla luce del sole e com’espressione viva ed autentica della Chiesa.

lunedì 27 settembre 2010

i modernisti come sempre procedono attraverso un'opera continua di denigrazione e per slogans poiché sono privi di fede e di argomenti. E' l'ora di smascherarli e qualcuno comincia a farlo. Grazie!

Liturgia, analisi critiche e confutazioni sulla ritualità e sulla partecipazione. Una risposta a p. Augé

Mi sono soffermata su un articolo di Matias Augé che propone una riflessione: “Quale partecipazione alla Liturgia?”, partendo dalla definizione della Sacrosanctum concilium, 26 e formulando una serie di considerazioni sugli ostacoli alla cosiddetta “actuosa participatio” http://liturgia-opus-trinitatis.over-blog.it/article-34730188.html

“Ciò che oggi ostacola la realizzazione di una siffatta partecipazione alla liturgia è, tra l’altro, il riemergere insistente dell’individualismo, da una parte, e/o di un nuovo clericalismo dall’altra parte. Dal versante della comunità cristiana l’individualismo assume i lineamenti di un’assemblea ridotta a massa amorfa, che riduce a stereotipi i comportamenti simbolici e linguistici, incapace di comprendere la dinamica della pluralità dei ministeri e dei compiti nel contesto celebrativo. L’individualismo può portare a considerare la liturgia della Chiesa come la cornice sacrale all’interno della quale esprimere le proprie devozioni. L’individualismo, poi, non è altro che il rovescio della medaglia rappresentato dal clericalismo. Si potrebbe ben dire che una lettura condotta in modo esclusivo nella direzione della sacralità legata alle persone, ai luoghi e agli oggetti, fino a ritenere essi stessi più in funzione del sacro e meno in funzione della santificazione del popolo di Dio, rende, da un lato, i ministri della Chiesa simili allo “stregone del villaggio” e, dall’altro, riduce l’assemblea dei fedeli a spettatrice anonima e passiva.”

Questa analisi mostra dati che potrebbero essere presi in considerazione, ma solo come fenomeni degenerativi e non possono essere genericamente considerati e quindi attribuiti a tutta la realtà considerata:

1. si abbina la perdita di qualità della “partecipazione” a due estremi: “individualismo” e “assemblea ridotta a massa amorfa”.

Innanzitutto cominciamo a considerare la prevalenza del collettivismo e dell’identità di gruppo. Lo dimostra l'enfasi sempre centrata sull'Assemblea, che certamente non è un 'collettivo' usuale, ma che non va dimenticato esser composta da persone, molto accentuata soprattutto nei movimenti (uno in particolare), mentre la persona risulta ridotta ad un ingranaggio di qualcosa di più grande dal quale deriverebbe la sua identità, ma che non completa in realtà un sano “processo di individuazione”, che implica anche maturazione psicologica e spirituale.

Se partiamo dall’Evangelico “ Egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori ad una ad una… e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce” (Gv 10, 3-4), riconosciamo che un vero cristiano realizza in Cristo e nella vita sacramentale e di Fede – e quindi vive nella quotidianità – la sua creaturalità Redenta, perché preziosa e irripetibile agli occhi del Signore.

Proprio nella sua creaturalità Redenta e orientata al Signore la persona è destinataria della dignità che fonda qualunque riconoscimento dei diritti umani - che riguardano l’individuo-persona e non l’individuo-parte-della-comunità qualunque essa sia - e realizza una ‘individualità’ sana, portatrice di umanità in pienezza e non di ‘individualismo’, che è la degenerazione operata dal centrarsi egoistico dell’individuo su se stesso, frutto del materialismo, dell’edonismo e di tutti gli –ismi di questo nostro tempo confuso e disorientato, compreso il relativismo che è entrato purtroppo a pieno titolo nel linguaggio e quindi anche nella realtà ecclesiale.

Tuttavia, poiché l’uomo è un essere-in-relazione, è ovvio che esiste anche la dimensione comunitaria della sua spiritualità e della sua vita di fede, che si dispiega nell’Ecclesìa: Corpo Mistico di Cristo (altro che Assemblea anonima!) e porta i suoi frutti in tutti gli altri ambiti relazionali a livello familiare, sociale, ecc.

2. si riconduce l’attenzione e lo ‘sguardo alla ‘sacralità’ di persone, luoghi, oggetti ad un ‘assoluto’ che distoglierebbe l’attenzione dalla “santificazione del popolo di Dio”.

E’ un argomento pretestuoso che non ha alcun fondamento; tant’è che si tratta di una semplice affermazione apodittica che non porta alcun argomento dimostrativo; ergo, non è altro che uno slogan ideologico. così com'è di conio tipicamente conciliare la definizione di sapore veterotestamentario del ‘Popolo di Dio’, più generica e meno centrata rispetto al ‘Corpo Mistico di Cristo'- Sposo, che E’ anche la Sua Chiesa-Sposa.

La desacralizzazione, la banalizzazione, l'orizzontalità di gesti parole e atteggiamenti riscontrabile nelle celebrazioni odierne non è meno nemica della santificazione di quanto non lo si attribuisca, assolutizzando, al rispetto e alla cura di 'luoghi', oggetti cultuali o alla venerazione di figure di santi, ad esempio, dato che si parla anche della sacralità di persone...


3. si riafferma lo ‘stereotipo’ dell’antica liturgia ridotta a “cornice sacrale per esprimere le proprie devozioni”.

E’ il cavallo di battaglia dei novatori quando tirano in ballo le “vecchiette che durante la celebrazione recitavano il rosario”. A prescindere dal fatto che, anche se fosse vero al cento per cento questo dato (cosa del tutto impropria ed anche improbabile) , non è realistico pensare che l’Assemblea fosse composta unicamente da quelle vecchiette - che comunque si facevano presenti al rito sapendo che vi incontravano il Signore e cosa vi accade - o soltanto da persone analfabete in sacris, se generazioni di Santi si sono formate vivendo la Liturgia di Sempre. Il problema è di tutti i credenti e di tutte le generazioni: è missione altissima del Sacerdote guidare e formare i fedeli alla piena consapevolezza ed attiva partecipazione interiore ed esteriore come fedele dispensatore dei misteri divini.

4. si riduce la partecipazione ad un ‘fare’.

L’actuosa participatio promossa e raccomandata anche dal concilio, e prima ancora, non è determinata dal protagonismo dell’Assemblea, ma dal vivere e seguire lo svolgersi del Rito con consapevolezza e con le giuste disposizioni d’animo (apertura di cuore, atteggiamento di accoglienza e gratitudine, stato di grazia conservato o riacquistato…). Il valore pedagogico e catechetico dell’Eucaristia non è solo in quello che si ascolta e a cui si partecipa, ma anche e soprattutto in quello che accade ad Opera del Signore e che si accoglie nella Fede… Stare, esserci, accogliere: la povertà che si lascia raggiungere ed esprime la sua gratitudine. Necessità dell'essere visitata. Anche lasciarsi attraversare dall'irruzione del Soprannaturale è partecipazione consapevole, attiva, fruttuosa (actuosa participatio!!).

Actuosa Participatio

L’ actuosa participatio è molto più di una mera "disposizione interiore dell’assemblea" o della persona singola. La disposizione interiore (porta di accesso) è unita alla consapevolezza, cui si affiancano fondamenti e novità: mozioni e intuizioni, preghiere e sentimenti suscitati dallo Spirito che denotano la partecipazione con tutto il proprio essere a quello che ‘accade’… occorre avere ben presente questo importate dato della ‘consapevolezza’ di ciò che si sta ‘vivendo’ e che ‘accade’.

Parlare di consapevolezza, vuol dire presenza sia della dimensione intellettiva che di quella spirituale, entrambe caratterizzanti l'essere umano discretamente evoluto. Ma davvero ‘fare’ è soltanto quello che si compie materialmente? In realtà è più presente la dimensione del Mistero, quella del silenzio, dell’Adorazione… Non si vorrà sostenere che nel vivere consapevolmente e profondamente queste dimensioni, rapportate al momento e all’atto liturgico che si compie, c’è solo ‘passività’! Forse nel mio intimo accadono molte più cose - e non sto parlando in termini spiritualisti o intimistici, ma dico quello che davvero succede - che poi si traducono in vita… perché ci sono momenti così intensamente vissuti alla Presenza del Signore che quello che sei: difficoltà, problemi, resistenze, doni e altro… di una persona-in-relazione, ti si svelano e non possono rimanere gli stessi se ti esponi all’azione dello Spirito, che coinvolge te e nello stesso tempo l’Assemblea di cui fai parte, che oltretutto non ha confini, perché si estende alla Chiesa di ieri di oggi e di domani, terrestre e celeste, contemporaneamente… Se solo si rendessero i fedeli consapevoli di questa realtà, non esisterebbero più Assemblee anonime o tentazioni devozionistiche.

Mi stupisce che discorsi come questo, che forse non si fanno abbastanza, tanto siamo proiettati unicamente nel ‘fare’ materiale - che non sottovaluto, ma che non assolutizzo - possano sembrare complicati anche per dei sacerdoti; cosa che si deve constatare con doloroso rammarico...

Consideriamo poi anche queste affermazioni successive:

“D’altra parte, il sospetto freudiano, secondo cui le religioni non sarebbero altro che nevrosi collettive coercitive, dovrebbe essere preso in considerazione. La religiosità decaduta ha il carattere di un’azione forzata che si estrinseca nel compimento “religioso” come un “rito”. Questo, però, nell’economia psichica di un essere umano, ha un senso ambiguo, simile a quello della routine nel fenomeno del quotidiano. La ritualizzazione, se si pone in modo assoluto, è un segno di religiosità decaduta.”

Può parlare così solo qualcuno che della nostra Santa e Divina Liturgia di sempre 'vede' solo il "guscio esteriore" e forse neppure quello.

Non dimentichiamoci che Freud e la psicoanalisi sono dei validi sussidi come scienze umane; ma proprio nell'essere scienze umane hanno il loro limite intrinseco, mentre la Fede, pur incarnata nell'umano, ha le Sorgenti nel Soprannaturale. Non si tratta di contrapporre Fede a Ragione: in questo caso a scienze come psicologia e psicoanalisi; ma si afferma la necessità di un giusto equilibrio per non cadere né nel fideismo disincarnato né nello scientismo sterile, ricordando tuttavia come per S. Tommaso, purtroppo defenestrato dai seminari cattolici, la filosofia, salvo quando è ancilla theologiae, “ancella della teologia”, rimane la regina delle scienze. Tutte le altre scienze sono subordinate.

E la nostra Fede – che è in Una Persona, la Persona del Risorto – ci dona una "loghikè latrèia", un culto logico, perfettamente comprensibile e spiegabile anche con la Ragione... anche se la Fede ci porta oltre... ma Fede e Ragione non vanno mai separate, altro che "nevrosi collettive coercitive"!

Resta inspiegabile come qualcosa che provocherebbe "nevrosi collettive coercitive", abbia invece l'effetto di trasformare, eliminandole, vere e proprie 'coazioni a ripetere' come i peccati più radicati. Se ad orecchie moderniste può dar fastidio la parola 'peccato', chiamiamoli vistose 'distorsioni della personalità', che inducono a commettere errori che dispiegano conseguenze sia sulla persona che sulla realtà che la circonda e che un credente sa quanto lo allontanino dal Signore da se stesso e dagli altri, se non adeguatamente 'vinte' con il Suo aiuto.

Ebbene, se può accadere concretamente tutto questo e si tratta di una realtà intrinseca al rito, com’è possibile cavarsela col ridurre tutto a “nevrosi” di qualunque genere? Ricordiamo che in più occasioni Benedetto XVI – forse la più illustre vittima di tale tipo di nevrosi – ha chiamato e chiama "trasformazione" ciò che accade nel Rito – consolidato dalla preghiera e dalla vita di fede personale e comunitaria – che ribadisco con vigore, riprendendo il concetto paolino di 'Configurazione' a Cristo, che è ciò che caratterizza ontologicamente l'essere e l'"esserci" su questo mondo di ogni cristiano e che il cattolicesimo custodisce come proprio fondamento identitario.

Come potrebbe questa realtà – che rientra nelle serie dei 'fenomeni' misurabili, perché può essere nel tempo verificata in ragione del mutato comportamento delle persone che ne portano l'effetto – venire attribuita a «ministri della Chiesa simili allo “stregone del villaggio”, che riduce l’assemblea dei fedeli a spettatrice anonima e passiva», dal momento che non è al Sacerdote che si fa riferimento, ma al Signore e l’Assemblea non è solo una realtà collettiva ma è composta da individui: 'pietre vive', li chiama Pietro? E non dimentichiamoci che essi, sia personalmente che comunitariamente unum con il sacerdote, partecipano e VIVONO un culto autentico che implica un rapporto intimo e profondo col vero Celebrante, Cristo Gesù Signore, che ERA E' e VIENE sempre ad ogni celebrazione, è alla Sua Persona - che appartiene all'Ordine Soprannaturale perché è il Verbo Incarnato-Dio, prorpio in virtù dell'Incarnazione strettamente e indissolubilmente intrecciato alla nostra Umanità - che aderiscono. Ed è l'effetto del Suo Sacrificio, purtroppo da molti ridotto ad un 'mito', al pari della Sua Risurrezione, a riversare su sacerdote e fedeli presenti (nonché sulla Chiesa intera: militante, trionfante e purgante, di ogni luogo e di ogni tempo, presente e non) i beni escatologici che Egli ci ha promesso nel 'rimanere con noi' fino alla fine dei tempi. Questa è la nostra fede, che diventa vita quotidiana e rende veramente umane e vitali le esperienze le relazioni e le situazioni che la Provvidenza mette sulla nostra strada.

Viceversa è ormai normale rimanere luteranamente inesorabilmente peccatori, tanto il Signore salva tutti a prescindere dalla risposta alla Sua Grazia Santificante, che non si sa neppure più cos’è….

Nel contempo mi chiedo come possa ritenersi ‘passiva’ un’Assemblea che sia individualmente che comunitariamente si fa presente a ciò che accade nel rito con cuore ed intelletto aperti e desti e consapevoli e in Cristo, cioè nel Figlio Diletto, accoglie, esprime gratitudine commozione gioia, ADORA, loda e benedice, supplica, intercede, offre la sua vita con tutta la ricchezza dei suoi orizzonti interiori ed esteriori, con le sue valli (imperfezioni) da colmare e colline (presunzione, superbia) da abbattere, con i suoi limiti accettati e eventualmente superati se e quando è volontà di Dio, con i suoi talenti al servizio di tutti, con le sue gioie dolori attese speranze che non riguardano solo la singola persona, ma il ricco fecondo intreccio di relazioni a tutti i livelli, che vedo a cerchi concentrici allargarsi oltre i confini dell'evento puntuale, fino all’infinito e sconosciuto orizzonte dello spazio e del tempo e oltre, nella ‘vita eterna’ che già e non ancora comincia QUI!

Chi non sa di cosa sta parlando sarebbe più conveniente che tacesse, non tanto per il vuoto insito nella evidente superficiale arrogante e mistificatoria ignoranza dei fondamenti della Fede cattolica, quanto perché sta calpestando in maniera brutale e grossolana "cose Sacre".

Anche perché nella Tradizione, che noi amiamo e custodiamo, non si dà affatto il caso, posto come più che un’ipotesi, secondo l’affermazione che “la ritualizzazione, se si pone in modo assoluto, è un segno di religiosità decaduta”, perché niente, neppure il Rito, è un ‘assoluto’: esso è un dono prezioso – il cui nucleo risiede nell’Ultima Cena e la cui attuale ‘forma’ che racchiude una ‘sostanza’ impareggiabile, è frutto della Rivelazione Apostolica trasmessa nei secoli e arricchita dalle esperienze di fede di generazioni di credenti – e, proprio in quanto tale va vissuto, custodito, difeso e trasmesso; semmai vedrei “religiosità decaduta” nell’ostinata pertinace orizzontalità che pone l’uomo e l’Assemblea al centro di tutto e diviene pensiero ritualità e azione antropocentrica anziché Cristocentrica. Ed è per questo che possiamo constatare che essa è ben lontana dal santificare qualcuno.

Infine, altro segno di ideologia malsana è vedere l'individualismo come rovescio della medaglia del ‘clericalismo’. Circa l'individualismo ho espresso ampie considerazioni nel precedente punto 1). Quanto all'asserito clericalismo, si sta assistendo purtroppo alla svalutazione del sacerdozio ordinato - le cui coordinate anche misteriche sono così ben indicate e ripetute da Benedetto XVI in seguito alla non casuale indizione dell’Anno Sacerdotale - che nulla toglie al sacerdozio battesimale dei fedeli, che differisce da quello ordinato non solo di grado ma anche di essenza e deve essere vissuto per quello che è, dal Popolo di Dio che è innanzitutto Corpo di Cristo, cerchiamo di non dimenticarlo, altrimenti ricadiamo nelle categorie e suggestioni veterotestamentarie che il Signore - e noi con lui - ha portato e porta a compimento. Del resto, basta richiamarsi al Concilio Vaticano II. “I sacramenti sono ordinati alla santificazione degli uomini, alla edificazione del Corpo di Cristo e, infine, a rendere culto a Dio; in quanto segni hanno poi anche un fine pedagogico... Conferiscono certamente la grazia, ma la loro stessa celebrazione dispone molto bene i fedeli a riceverla con frutto, ad onorare Dio in modo debito e ad esercitare la carità” (Sacrosanctum Concilium, 59). Giova ripetere che è missione altissima del Sacerdote guidare e formare i fedeli alla piena consapevolezza ed attiva partecipazione interiore ed esteriore come fedele dispensatore dei misteri divini, esercitando in pienezza il ‘Triplice Munus’ Docendi, Regendi e Sanctificandi

Sarà bene ricordare cosa pensava Giovanni Paolo II del Sacerdozio. La citazione è tratta dal Discorso ai sacerdoti delle Comunità neocatecumenali, Lunedì 9 dicembre 1985:

«La prima esigenza che vi s’impone è di sapere mantener fede, all’interno delle Comunità, alla vostra identità sacerdotale. In virtù della sacra Ordinazione voi siete stati segnati con uno speciale carattere che vi configura a Cristo Sacerdote, in modo da poter agire in suo nome (cf. Presbyterorum ordinis, 2). Il ministro sacro quindi dovrà essere accolto non solo come fratello che condivide il cammino della Comunità stessa, ma soprattutto come colui che, agendo “in persona Christi”, porta in sé la responsabilità insostituibile di Maestro, Santificatore e Guida delle anime, responsabilità a cui non può in nessun modo rinunciare. I laici devono poter cogliere queste realtà dal comportamento responsabile che voi mantenete. Sarebbe un’illusione credere di servire il Vangelo, diluendo il vostro carisma in un falso senso di umiltà o in una malintesa manifestazione di fraternità. Ripeterò quanto già ebbi occasione di dire agli assistenti ecclesiastici delle associazioni internazionali cattoliche: “Non lasciatevi ingannare! La Chiesa vi vuole sacerdoti, e i laici che incontrate vi vogliono sacerdoti e niente altro che sacerdoti. La confusione dei carismi impoverisce la Chiesa, non la arricchisce” (Giovanni Paolo II, Allocutio, 4, 13 dicembre 1979: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II/2 [1979] 1391).»

Papa Benedetto e i martiri di Tyburn


martirio del certosini inglesi

"Non lontano da qui, a Tyburn, un gran numero di nostri fratelli e sorelle morirono per la fede; la testimonianza della loro fedeltà sino alla fine fu ben più potente delle parole ispirate che molti di loro dissero prima di abbandonare ogni cosa al Signore. Nella nostra epoca, il prezzo da pagare per la fedeltà al Vangelo non è tanto quello di essere impiccati, affogati e squartati, ma spesso implica l’essere additati come irrilevanti, ridicolizzati o fatti segno di parodia. E tuttavia la Chiesa non si può esimere dal dovere di proclamare Cristo e il suo Vangelo quale verità salvifica" (Discorso del Santo Padre Benedetto XVI durante la Veglia di preghiera per la Beatificazione del Cardinale J. H. Newman,  Hyde Park, Londra , Sabato, 18 settembre 2010).

domenica 26 settembre 2010

"Benedict’s Creative Minority " di Samuel Gregg (traduzione italiana)

Proponiamo un'eccezionale analisi della Visita Papale nel Regno Unito pubblicata in lingua inglese sul sito http://www-maranatha-it.blogspot.com/2010/09/benedicts-creative-minority-by-samuel.html

La minoranza creativa di Benedetto
di Samuel Gregg

In seguito al recente viaggio di Benedetto XVI in Gran Bretagna, abbiamo assistito, ancora una volta, all’incapacità della maggior parte dei giornalisti di leggere in modo accurato questo pontificato. Che si trattasse della cortese discorso di accoglienza della Regina Elisabetta, delle sentite riflessioni del primo ministro David Cameron , o delle decine di migliaia di persone felici di ogni età e razza che sono venute a vedere Benedetto XVI in Scozia e Inghilterra (tutto questo fa impallidire la strana accozzaglia di arrabbiati contestatori kafkiani), tutti questi fatti hanno rapidamente smentito le previsioni dei soliti sospetti 'circa la bassa affluenza e le massicce manifestazioni anti-papa”.

In effetti, le voci fuori del coro delle cosiddette élites culturali dalla Gran Bretagna, come il celebre ateo Richard Dawkins e altri che lo storico inglese Michael Burleigh ha recentemente descritto come "cacciatori di riflettori" e prodotti di un "provincialismo soddisfatto di sé" sono stati relegate ai margini. Come ha detto David Cameron, Benedetto "ha sfidato tutto il paese a sedersi e pensare."

Naturalmente il successo della visita di Benedetto non significa che la Gran Bretagna si appresta a tornare alle sue radici cristiane. In realtà, la tentazione è quella di dire che oggi la Gran Bretagna rappresenta un possibile - e piuttosto deprimente- futuro europeo.

In un articolo di benvenuto alla visita di Benedetto in Gran Bretagna, il rabbino capo del Regno Unito Jonathan Sachs ha osservato: "che si accetti o meno la definizione di “società in frantumi”, non va tutto bene nella Gran Bretagna contemporanea". I fatti che sono stati citati da Sach fanno riflettere. Nel 2008, il 45 per cento dei bambini inglesi sono nati fuori dal matrimonio; 3.900.000 sono bambini che vivono in povertà, il 20 per cento dei decessi tra i giovani dai 15 ai 24 sono suicidi, nel 2009, 29,4 milioni gli antidepressivi sono stati dispensati, su 334 per cento in più dal 1985 .

Tale è il frutto di una cultura profondamente secolarizzata, über-utilitaristica che tollera i cristiani fino a quando iniziano a mettere in pericolo la coerenza della società che non può parlare di verità e di errore, di bene e di male, salva nel gergo debole tutto ciò che passa per correttezza politica in un dato momento.

Ma quello che pochi commentatori hanno colto è che Benedetto ha da tempo previsto che, per almeno un'altra generazione, questa potrebbe essere la realtà con cui si confronteranno i cattolici europei e gli altri cristiani che non piegano il ginocchio davanti alla correttezza politica o al laicismo militante. Di conseguenza, Egli sta preparando il cattolicesimo per il suo futuro in Europa, destinato ad essere quello Benedetto XVI chiama una "minoranza creativa".

La frase, che Benedetto ha usato per diversi anni, viene da un altro storico inglese Arnold Toynbee (1889-1975). la tesi di Toynbee era che le civiltà crollano principalmente a causa di un declino interno piuttosto che di un assalto esterno. “Le civiltà", ha scritto Toynbee, "muoiono per suicidio, non per omicidio."

Le "minoranze creative", Toynbee ha dichiarato, sono ciò che in modo attivo risponde a una crisi di civiltà, e la cui risposta permette a quella civiltà di crescere. Un esempio è la reazione della Chiesa cattolica al collasso dell’Impero romano in Occidente nel 5 ° secolo d.C., la Chiesa ha risposto conservando la saggezza e la legge di Atene, Roma e Gerusalemme, integrando nel contempo le tribù germaniche di invasori in una comunità religiosa universale. La civiltà occidentale è stato così salvata e arricchita.

Questa è la visione di Benedetto del ruolo della Chiesa cattolica nell'Europa contemporanea. In realtà, è probabilmente l'unica strategia possibile. Una alternativa potrebbe essere per la Chiesa di ghettizzare stessa. Ma mentre la vita monastica è sempre stato una vocazione per alcuni cristiani, ritirarsi dal mondo non è mai stato chiamata della maggior parte dei cristiani, anche perché essi sono chiamati a vivere nel mondo e evangelizzare il mondo.

Ancora un'altra opzione, naturalmente, è "cattolicesimo liberale". Il problema è che il cattolicesimo liberale (che è teologicamente indistinguibile da protestantesimo liberale) ha più o meno collassato (come il protestantesimo liberale) in tutto il mondo. Per la prova, basta visitare i Paesi Bassi, il Belgio, o qualcuna di quelle sempre più rare diocesi cattoliche il cui vescovo guarda agli anni ‘60 e ‘70 come il culmine della civiltà occidentale.

Anche l'Economist (che stranamente ondeggia tra profonda intuizione e ignoranza imbarazzante quando si tratta di commenti di carattere religioso) ha recentemente osservato che i "cattolici liberali" stanno scomparendo. Molto tempo fa, l'ormai beatificato John Henry Newman ha sottolineato l’essenziale incoerenza del cristianesimo liberale. Il futuro del cattolicesimo liberale è quello di tutte le forme di cristianesimo liberale: un declino inesorabile, l'incapacità di “replicare se stessi”, e la loro progressiva riduzione ad essere pittoreschi accessori di cause sinistrorse alla moda o passivi dispensatori di programmi di welfare finanziati dallo stato.

Per contro, la strategia della “minoranza creativa” di Benedetto riconosce, anzitutto, che per essere un cattolico attivo in Europa è ora, come il Cardinale André Vingt-Trois di Parigi, scrive nella sua Une missione de liberté (2010), una scelta piuttosto che una questione di conformità sociale . Questo significa che i cattolici praticanti europei in futuro saranno credenti attivi perché hanno scelto e vogliono vivere l'insegnamento della Chiesa. Queste persone non possono fare marcia indietro quando si tratta di discutere questioni controverse di interesse pubblico.

In secondo luogo, l'approccio minoranza creativa non è solo per i cattolici. Essa attira i non cattolici parimenti convinti che l'Europa ha dei problemi moderni che, come il rabbino commenta Sachs, "non possono essere risolti con la spesa pubblica".

Un esempio lampante è il metropolita Hilarion Alfeyev, presidente del Patriarcato ortodosso di Mosca del Dipartimento per le relazioni esterne della Chiesa. Un uomo profondamente colto, che è completamente non-intimidito né dai cristiani liberali né dai laicisti militanti, Hilarion ha chiaramente osservato la Chiesa cattolica in Europa, perché egli crede che, soprattutto con Benedetto, esa si è impegnata a "difendere i valori tradizionali del cristianesimo", ripristinando "un'anima cristiana per l'Europa", ed è "impegnata nella difesa comune dei valori cristiani contro il secolarismo e del relativismo". Allo stesso modo, europei non-credenti di spicco, come i filosofi Jürgen Habermas e Marcello Pera hanno affermato che l’origine essenzialmente cristiana dell’Europa e pubblicamente concordato con Benedetto che l'abbandono di queste radici è la via europea al suicidio culturale.

Infine, le minoranze creative hanno il potere di risuonare nel tempo. Non è un caso che durante il suo viaggio inglese Benedetto ha pronunciato un importante discorso a Westminster Hall, il sito del processo spettacolo di Sir Thomas More nel 1535.

Quando Tommaso Moro s’ergeva quasi da solo contro la brutale demolizione di Enrico VIII della libertà della chiesa in Inghilterra, molti respinsero la sua resistenza come un gesto disperato. Moro, tuttavia, si rivelò essere minoranza creativa formata da un solo uomo. Cinquecento anni dopo, Moro è considerato da molti cattolici e non cattolici come modello per i politici. Al contrario, nessuno si ricorda di quei vescovi inglesi che, con l'eccezione eroica del vescovo John Fisher, si prostrarono davanti al re-tiranno.

E forse questo è il significato ultimo della minoranza creativa di Papa Benedetto. A differenza dell’élites autoreferenziali e blateranti dell'Europa occidentale, Benedetto non pensa in termini di notizie che durano un cliclo 24 ore. Non poteva interessargli di meno fare pubblicità a se stesso o i titoli di giornali. La sua opzione per minoranza creativa è lungimirante.

La lungimiranza vince sempre. Questo è qualcosa che le celebrità non capiranno mai.

Il Dr. Samuel Gregg è direttore di ricerca presso l'Istituto Acton. È 'autore di diversi libri tra cui On Ordered Liberty, il premiato The Commercial Society, The Modern Papacy, e Wilhelm Röpke’s Political Economy.