sabato 30 novembre 2013

"Non si può parlare del Natale senza la Croce." - Editoriale di "Radicati nella fede" del mese di Dicembre 2013.


Prendiamo dal blog 
"Radicati nella fede"
e pubblichiamo
l'Editoriale
del numero di Dicembre 
del loro bollettino.







IL NATALE E LA CROCE
Editoriale di "Radicati nella fede" del mese di Dicembre 2013

  Un tempo nella Chiesa non si dimenticava mai la Croce, nemmeno a Natale.

 È noto a tutti il testo di uno dei canti natalizi più popolari d'Italia e più caro agli italiani: “Tu scendi dalle stelle”. È noto a tutti, così noto che rischiamo di non riflettere più sulle parole che cantiamo e su quanti riferimenti alla sofferenza di Dio e alla Croce in esso siano contenuti.

 Qualcuno dirà già: ma questi parlano di sofferenza anche a Natale e non parlano mai della dolcezza di Dio!

 Ma la dolcezza di Dio erompe dalla Croce come da una sorgente e la Croce è già contenuta nel presepio.

 Sappiamo che l'autore di “Tu scendi dalle stelle” è niente di meno che Sant'Alfonso Maria de' Liguori. Il grande santo napoletano del '700, grande teologo e patrono dei teologi morali. Il santo che più di tutti ha combattuto il Rigorismo morale di stampo giansenistico; il santo che ha insistito tanto nel ricordare a tutti la misericordia di Dio e nel raccomandare la fiducia nel perdono di Dio. Il santo della dolcezza e della tenerezza di Dio. Ebbene, il santo della Misericordia del Signore non dimenticava mai la Croce, nemmeno a Natale, perché era cattolico!

 Ma rileggiamo attentamente il testo del canto...

Tu scendi dalle stelle, o Re del cielo,
e vieni in una grotta al freddo e al gelo.
O Bambino mio divino,
io ti vedo qui a tremar;
o Dio beato!
Ah, quanto ti costò l'avermi amato!

A te, che sei del mondo il Creatore,
mancano panni e fuoco, o mio Signore.
Caro eletto pargoletto,
quanto questa povertà
più m'innamora,
giacché ti fece amor povero ancora.

Tu lasci il bel gioir del divin seno,
per giunger a penar su questo fieno.
Dolce amore del mio core,
dove amore ti trasportò?
O Gesù mio, per ché tanto patir?
per amor mio!

Ma se fu tuo voler il tuo patire,
perché vuoi pianger poi, perché vagire?
mio Gesù, t'intendo sì!
Ah, mio Signore!
Tu piangi non per duol, ma per amore.

Tu piangi per vederti da me ingrato
dopo sì grande amor, sì poco amato!
O diletto - del mio petto,
Se già un tempo fu così, or te sol bramo
Caro non pianger più, ch'io t'amo e t'amo.

Tu dormi, Ninno mio, ma intanto il core
non dorme, no ma veglia a tutte l'ore
Deh, mio bello e puro Agnello
a che pensi? dimmi tu. O amore immenso,
un dì morir per te, rispondi, io penso.

Dunque a morire per me, tu pensi, o Dio
ed altro, fuor di te, amar poss'io?
O Maria, speranza mia,
se poc'amo il tuo Gesù, non ti sdegnare
amalo tu per me, s'io non so amare!

 Vedete quanti riferimenti alla Croce? Ne è intessuto tutto il testo: freddo e gelo... tremar... povertà... penar... perché tanto patir... piangi... poco amato... un dì morir per te...

 Tutto questo dovrebbe farci riflettere: non si può parlare del Natale senza la Croce. Nostro Signore Gesù Cristo è venuto nel mondo, Dio si è fatto uomo, per poter poi salire al Calvario e dare la sua vita per noi, per la nostra salvezza.

 Che tenerezza avrebbe il Natale se non ricordasse questo? Quale dolcezza avrebbe per le nostre anime se non portasse dentro il ricordo che l'amore di Dio per ciascuno di noi è diventato totale dono di sé sulla Croce? “Dilexit me”... “Mi ha amato e ha dato se stesso per me”. L'amore, la tenerezza di Dio per me, povero peccatore, ha un volto, il Santo Volto di Cristo Crocifisso. E quando guardo il Santo Bambino del presepio, lo riconosco già l'uomo della Passione, l'uomo del Calvario.

 Ma oggi nella Chiesa si dimentica troppo spesso la Croce, e si pensa di parlare della tenerezza di Dio quasi fosse un sentimento.

 La tenerezza di Dio per me è un'azione, è un'opera: l'opera della mia salvezza operata da Cristo al Calvario. E il suo sacrificio redentore inizia, è già presente nella grotta di Betlemme.

 “Deh, mio bello e puro Agnello a che pensi? dimmi tu. O amore immenso, un dì morir per te, rispondi, io penso”, ci fa cantare Sant'Alfonso.

 Tutti i mistici, tutti i santi, tutte le anime cristiane hanno sempre vissuto così il Natale.

 Un grande sacerdote rosminiano, vero mistico, don Clemente Rebora, così scriveva sul Natale:

Oh Comunion vera e sol beata,
se con te, Cristo, son crocifisso
quando nell'Ostia Santa m'inabisso!
Intollerabil vivere del mondo
a bene stare senza l'Ognibene!
Penitenza scansar, che penitenza!
Se ancor quaggiù mi vuoi, un giorno e un giorno,
con la tua Passion che vince il male,
Gesù Signore, dammi il tuo Natale
di fuoco interno nell'umano gelo,
tutta una pena in celestiale pace
che salva la gente e innamorata
del Cielo se nel cuore pur le parla.
O Croce o Croce o Croce tutta intera
nel tuo abbraccio a trionfar di Circe,
sola sei buona e bella, e come vera!
Abbraccio della Madre, ove già vince
nel suo Figlio lo strazio che l'avvince.

 Ed ecco ancora il Natale e la Croce.

 Oggi nella Chiesa non si nega la Croce, questo no, ma la si dimentica. La si considera un punto, un momento, mentre è tutto! È tutto! “Stat Crux dum volvitur orbis”, la Croce resta ferma mentre il mondo vi gira attorno, è il motto di San Bruno e dei Certosini da lui fondati, ma è in verità il motto del Cristiano.

 Dimenticare la centralità della Croce è grave, anzi gravissimo.

 Quanti natali senza Croce, in una Chiesa senza Croce, con una Messa Nuova senza Croce, in un cristianesimo senza Croce: ma questa è una nuova religione.

 Guardando i nostri presepi, nelle nostre case e nelle nostre chiese, raccogliamoci in silenzio e pensiamo alla Croce. Che il Bambino Gesù doni a noi quella pace che nasce di fronte alla grotta, ai piedi del Calvario. Quella pace di chi si sente immensamente amato da Dio, che nasce nel tempo e muore per lui. La doni a noi e a tutta la sua Chiesa. Buon Natale.

mercoledì 27 novembre 2013

milioni di rosari per l'Italia

UNA FIDES aderisce all'iniziativa di Maurizio Blondet lanciata tramite il sito Effedieffe per una crociata di Rosari per l'Italia e rilancia la proposta: abbiamo bisogno di Rosari per l'Italia, per la Chiesa e (perché no?) per il Trionfo del Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria
 
Il Rosario per l’Italia: è urgente

Giorni fa nella mia parrocchia (periferia di Milano, un tempo operaia) una bambina di 12 anni ha tentato il suicidio. L’ha detto il giovane parroco in una Messa feriale, a quattro vecchi gatti. Come mai ha voluto ammazzarsi?, gli ho chiesto poi. E lui: «La prendevano in giro».

Casi del genere avvengono con più frequenza di quanto si creda. Solo una parte infinitesima giungono alle pagine di cronaca, quando la vittima muore e quando i genitori sono in grado di denunciare effettivamente qualcuno, cosa rara.

Il parroco mi dice anche che adesso la piccola ha tutto il sostegno psicologico, immagino dell’ASL. Risibile pretesa, che le tecniche di psicologi comunali possano colmare il pozzo nero morale a cui sono ridotte tante scuole, e in cui le ragazzine cadono senza più sapere rialzarsi. Un pozzo nero di cattiveria nativa esercitata da scolari su scolari, che – non più tenuti a freno da alcun controllo – riproducono la crudeltà primigenia dei branchi animali, la gerarchia spietata dove il primo è il più bruto, l’ordine di beccata dei gallinacei, l’abuso senza limite dei deboli e indifesi. Qui manca però l’innocenza della lotta di natura, delle gerarchie fra sciacalli o tacchini in branco: qui agisce la malizia della sensualità malata, appresa dai pornovideo.

So di bambine che «devono» fare fellationes al compagno, o ai compagni di classe, perché si fa così si fa nel gruppo (che impone le sue norme d’acciaio), e perché è la condizione che il dodicenne bruto pone per «fidanzarti». Poi spesso le loro immagini, diciamo, compromettenti, passano da cellulare a cellulare dei ragazzini, e cominciano le derisioni, l’orrore di veder propalato il proprio debole «io» dall’intimità proibita alla piazza dei pari, la coscienza improvvisa della proprio dignità perduta – o più precisamente, del fatto per il branco (che è il «tuo» mondo) non sei più degna, sei solo un oggetto da schernire dovunque. Tutto congiura a questo inferno: smartphone e Facebook, twitters e pedagogia permissiva, pubblicità e incuria degli insegnanti in piena bancarotta etica per primi, retorica pubblica della felicità sessuale e dell’io da «esprimere» narcisisticamente...

E non c’è niente da fare. Provatevi a proporre, che so, il divieto dei telefonini in classe, la punizione scolastica per il possesso di immagini porno, la severità, magari la raccomandazione di fuggire il peccato carnale, se non perché dà la dannazione, perché rovina il carattere per sempre a quell’età... Avrete tutti contro: scuola, pubblicitari, pedagoghi, giornalisti, persino le mamme delle bambine che soffrono e che, a volte, s’impiccano. La libertà sessuale, la felicità dal sesso, resta un viscido caposaldo della mentalità corrente; cieca alla vista di come quella promessa di felicità, portata dal progresso a bambini dalle anime informi, si tramuta in schiavitù sessuale, dolore inconfessabile e vergogna di cui non si può, a quell’età, parlare nemmeno con se stessi, non essendoci le parole per dirlo.

E il mondo degli italiani adulti non è diverso. Ogni giorno dobbiamo registrare enormi corruzioni pubbliche e privati, scandali, parassitismi senza vergogna, lotte per Mammona: dai grand commis avariati fino al superiore generale dei Camilliani che fa sequestrare due religiosi che non volevano riconfermarlo nella carica, ed anche qui affiorano «violente lotte di potere, milioni di euro sottratti alle casse, proprietà intestate ad amanti, affarismo e clientelismo», leggo dai giornali.

E questo tra i successori di san Camillo de Lellis, figuratevi cos’è il resto dell’Italia – quella «laica» che si sente finalmente liberata dell’antiquato, cattolico timor di Dio. Senza più Dio, senza più giudice finale, non c’è più limite al malfare, all’arraffare, al godere: olgettine e travestiti, coca e cibo ingozzato, tutto un porcaio dove sgavazza chi se lo può permettere, a danno di chi è povero e senza potere.

Perché questo è il punto, fateci caso: tutte le promesse della società «liberata» si stanno rovesciando nel loro contrario. La strombazzata liberazione sessuale in miseria sessuale masturbatoria, solitudine, odio fra i sessi, fino alla schiavitù sessuale e violenza sulle donne. La democrazia l’hanno tramutata in oligarchia plutocratica inamovibile, in mostro freddo burocratico. La «società del benessere» sta cambiando velocemente in miseria provocata di massa; la proclamata «eguaglianza» dei cittadini in disparità scandalose fra milioni di poverissimi, e pochi ricchissimi; la «legalità» si traduce in abusi impuniti e continui dei principi del diritto, da parte del Fisco, lei «legislatori» che legiferano a solo loro vantaggio e dei loro compari, del magistrato ideologico e intoccabile: sicché ormai è l’imputato che deve provare la propria innocenza, non l’accusatore. La «cultura alla portata di tutti» è risultata in crassa ignoranza presuntuosa di una massa che crede di aver diritto alle sue opinioni (e non ha che quelle orecchiate dalle centrali di dominio), in analfabetismo di ritorno persino dei laureati. L’euro doveva metterci le ali ai piedi, e è la macina da mulino al collo. L’Europa doveva essere la fine dei nazionalismi bellicisti , è l’arena dei più furbeschi egoismi e, soprattutto, dove regna incontrastabile la volontà del più forte.
Le promesse di felicità che si rovesciano nel loro contrario sono – per chi non ha la conformistica paura di nominarlo – il più antico trucco di Satana. «Sarete come dèi», promise, e quelli che ci credettero dovettero strappare alla terra, con fatica inumana, il magro cibo, partorire con dolore che gli animali conoscono, e spesso morire di parto o di fratricidio.

Ma questa volta, il ritiro delle promesse false a cui l’intera umanità crede, ha qualcosa di terminale. Vuol dire che il demonio non ha più bisogno di sedurci, ed ora può mostrarci la sua vera faccia, le zanne maciullatrici. Forse, le seduzioni del benessere e dell’abbondanza, in cui ci siamo compiaciuti come fossero merito nostro, ci sono state date solo il tempo necessario per toglierci le risorse spirituali che ci necessiteranno nel presente-futuro di privazioni, dove pietà è morta, uccisa dal «mercato». È forse il tempo in cui si scatenano i lividi cavalieri da cui una preghiera invocava la salvezza: «A peste, fame et bello libera nos, Domine», da pestilenze, da fame e da guerra liberaci, Signore.

Vedo, e la vedete anche voi, un’Italia che ha perso la strada, che non sa più trovare, smarrita, che sente di essere a un capolinea fatale. Ed anche qui, non c’è niente da fare: provatevi a proporre le necessarie «riforme» (che tutti vogliono, a parole), ed avrete contro tutto il progressismo, le potenti cosche dei mantenuti dal denaro pubblico, i partiti e i grandi giornali: fascismo!, ci gridano. Volete la disciplina, l’educazione al sacrificio fin dalle scuole, la preparazione gioiosa e nobile alla solidarietà e condivisione nella privazione; volete una rivalutazione dei valori della Cavalleria in una società che ha come sport il calcio, ossia il tepppismo in campo; volete il fascismo, peggio – il clerico-fascismo, imporre con la forza i dieci comandamenti, decenza sessuale compresa perché nell’uomo tout se tient, e l’esibizione del vizio in un aspetto, rende possibile l’esibizione della malversazione, della irresponsabilità , dell’abuso dei potere, e della parassiticità pubblica dall’altro, l’arbitrio dei giudici dall’altro ancora, l’esazione strangolatrice che porta alla disperazione e al suicidio anime (deboli) di imprenditori.

Insomma, provatevi a delineare le «riforme» di cui questa massa di amebe ha bisogno, e le avrete tutte contro – anche le vittime. Sono le amebe che da un secolo credono di sapere qual è «la direzione della storia», e che questa direzione non passa più per Dio, il destino eterno dell’uomo, e quindi non occorrono più fede né rispetto di sé in vista dell’Eterno destino.

L’Italia è smarrita, sa di essere perduta, ma è irriformabile. Non ha le risorse mentali nè morali per cambiare; il peggio, temo, è che non ha più le schiere di santi viventi che intercedano per lei, come in qualche modo è sempre stato.

C’è una sola cosa che resta da fare, ed è la grande campagna del Rosario. Il Rosario per l’Italia. Il Rosario per ottenere la liberazione dai nostri oppressori interni e internazionali, interiori ed esteriori. Ne ho già parlato, ma stavolta richiamo all’urgenza; il pericolo è già su di noi e ci travolge. Cominciamo dunque col ripetere a noi stessi la promessa che la Vergine fece a suo Lucia di Fatima: «Per il potere che il Padre ha dato al Rosario in questi ultimi tempi, non c’è problema né personale né familiare, né nazionale né internazionale, che non si possa risolvere con il Rosario».
Inutile perdere tempo a dubitare, sotilizzare; abbiamo forse un’alternativa? Si rafforzi invece la fede. Il nostro modello ideale dovrebbe essere la Crociata Riparatrice del Rosario nell’Austria occupata dai sovietici. Nel 1946 nel Santuario di Maiazell, il cappuccino Petrus Pavlicek , ex prigioniero di guerra, ebbe una voce interiore; da allora girò per la patria per convincere quanti più austriaci possibile a recitare il Rosario per la liberazione dall’Armata Rossa. La sua idea era un Rosario perpetuo: 24 ore su 24 dovevano esserci austriaci che pregavano la Vergine. Portava con sé una statua della Vergine di Fatima donatagli dal vescovo di Leira. Nel ’55, c’erano mezzo milione di austriaci – che erano allora 5 milioni in tutto – che partecipava alla preghiera, nessuna ora del giorno e della notte era senza invocazione a Maria. E nel 1955, fra maggio e ottobre, l’Armata Rossa si ritirò. Spontaneamente e senza un chiaro motivo. La Mosca sovietica non lasciò mai la presa su nessun altro Paese occupato. Non se n’è andata dalla Polonia, né dalla Romania né dall’Ungheria , né tantomeno dal lacerto di Germania che aveva strappato per sé; ma dall’Austria sì.

Come si fa? Non lo so. Non sono un organizzatore né un cappuccino santo. Ci vuole un’autorità religiosa che la decreti o consigli; idealmente, il Papa – che abbiamo visto capace di dare ordini. Intanto, vi chiederei di parlarne al vostro parroco. Io manderò questo ai siti dei vaticanisti che conosco, alcuni possono parlare direttamente al Papa. Si può cominciare anche con poche persone, per qualche ora al giorno.
VIVA MARIA!
 
VIVA IL PAPA!
 
VIVA L'ITALIA!


 

lunedì 25 novembre 2013

"Quarta Giornata della Tradizione" a Verbania - Domenica 14 Gennaio 2014



Pubblichiamo la locandina della 
"Quarta Giornata della Tradizione" 

si svolgerà 
a Verbania, Domenica 19 Gennaio 2014

Organizzata dalla chiesa di Vocogno e dalla Cappella dell'Ospedale di Domodossola (Verbania)

L'INVERNO DELLA CHIESA
dopo il Concilio Vaticano II
Una crisi nella Chiesa che non sembra finire;
prospettive per una resistenza.


domenica 24 novembre 2013

l'esperienza, l'esperienza....

La fede e l'esperienza



Editoriale del n° 86 (autunno 2013) della rivista Le Sel de la Terre 

 

 Lumen fidei: la dottrina dell’esperienza

Nell’Enciclica Lumen Fidei (29 giugno 2013), papa Francesco e Benedetto XVI ci descrivono la fede come il frutto di un’esperienza, quella dell’incontro con Dio e il suo amore. Ecco alcune frasi dell’enciclica che ne parlano (1):

 - La fede nasce nell’incontro con il Dio vivente, che ci chiama e ci svela il suo amore, un amore che ci precede e su cui possiamo poggiare per essere saldi e costruire la vita. Trasformati da questo amore riceviamo occhi nuovi, sperimentiamo che in esso c’è una grande promessa di pienezza e si apre a noi lo sguardo del futuro. (Lumen Fidei, § 4).

- Per quei [primi] cristiani la fede, manifestato in Cristo, era una “madre”, perché li faceva venire alla luce, generava in essi la vita divina, in quanto incontro con il Dio vivente una nuova esperienza, una visione luminosa dell’esistenza per cui si era pronti a dare testimonianza pubblica fino alla fine. (Lumen Fidei, § 5).

- [La fede] è separazione dagli idoli per tornare al Dio vivente, mediante un incontro personale. Credere significa affidarsi a un amore misericordioso… (Lumen Fidei, § 13).

- La vita di Cristo, il suo modo di conoscere il Padre, di vivere totalmente nella relazione con Lui, apre uno spazio nuovo all’esperienza umana e noi vi possiamo entrare. (Lumen Fidei, § 18).

- «Abbà, Padre» è la parola più caratteristica dell’esperienza di Gesù, che diventa centro dell’esperienza cristiana. (Lumen Fidei, § 19) (2).

- È noto il modo in cui il filosofo Ludwig Wittgenstein ha spiegato la connessione tra la fede e la certezza. Credere sarebbe simile, secondo lui, all’esperienza dell’innamoramento, concepita come qualcosa di soggettivo, improponibile come verità valida per tutti. All’uomo moderno sembra, infatti, che la questione dell’amore non abbia a che fare con il vero. L’amore risulta oggi un’esperienza legata al mondo dei sentimenti incostanti e non più alla verità. […] [Ma in realtà] Chi ama capisce che l’amore è esperienza di verità, che esso stesso apre i nostri occhi per vedere tutta la realtà in modo nuovo, in unione con la persona amata. (Lumen Fidei, § 27).

- La verità che la fede ci dischiude è una verità centrata sull’incontro con Cristo, sulla contemplazione della sua vita, sulla percezione della sua presenza. (Lumen Fidei, § 30).

- La fede cristiana, in quanto annuncia la verità dell’amore totale di Dio e apre alla potenza di questo amore, arriva al centro più profondodell’esperienza di ogni uomo. (Lumen Fidei, § 32).

- In essa [il Padre nostro] il cristiano impara a condividere la stessa esperienza spirituale di Cristo e incomincia a vedere con gli occhi di Cristo. (Lumen Fidei, § 46) (3).

- La fede nasce dall’incontro con l’amore originario di Dio in cui appare il senso e la bontà della nostra vita. (Lumen Fidei, § 51).

La dottrina dell’esperienza: una caratteristica del modernismo

Questa insistenza sull’esperienza è caratteristica del modernismo. Nell’enciclica Pascendi, il Papa San Pio X dice infatti:

Che se poi cerchiamo, qual fondamento abbia cotale asserzione del credente [della fede in Dio], i modernisti rispondono: l’esperienza individuale. […] Asseriscono pertanto una vera esperienza, e tale da vincere qualsivoglia esperienza razionale (4).

E il santo Papa spiega che “questo è contrario alla fede cattolica”, citando questa condanna della Chiesa:

Se alcuno dirà che la rivelazione divina non possa essere fatta credibile da esterni segni e che perciò gli uomini non debbano esser mossi alla fede se non da interna esperienza o privata ispirazione, sia anatema (5).

Indubbiamente è vero che esistono delle esperienze nella vita cristiana. Queste possono precedere la fede, come certe esperienze sensibili che aiutano a giungere ad essa. Esse possono anche seguire la fede, come le esperienze mistiche che procedono dai doni dello Spirito Santo. Ma la fede in sé non ha alcunché di sensibile. Essa è una virtù intellettuale che s’appoggia all’autorità di Dio: si credono tutte le verità che Dio, che non può ingannarSi né ingannare, ci ha rivelate. Si può avere la fede senza aver avuta alcuna previa esperienza sensibile. Quanto alle esperienze mistiche, anche dei grandi santi (per esempio Santa Teresa del Bambino Gesù) ce ne sono state poche.

La dottrina dell’esperienza consacra come vera qualsiasi religione

San Pio X spiega ancora che:

posta questa dottrina dell’esperienza unitamente all’altra del simbolismo, ogni religione, sia pure quella degl’idolatri, deve ritenersi siccome vera. Perché infatti non sarà possibile che tali esperienze s’incontrino in ogni religione? E che si siano di fatto incontrate non pochi lo pretendono. E con qual diritto i modernisti negheranno la verità ad una esperienza affermata da un islamita? Con qual diritto rivendicheranno esperienze vere pei soli cattolici? Ed infatti i modernisti non negano, concedono anzi, altri velatamente altri apertissimamente, che tutte le religioni son vere. (6).

Non si ritrovano in questo, l’ecumenismo e il dialogo interreligioso tipiche della Chiesa conciliare? E non si obietti che nell’enciclica Lumen fidei, i due papi che l’hanno scritta parlerebbero solo dell’incontro con l’amore di Dio in Gesù. Questo è comprensibile, poiché essi scrivono per dei cristiani. Ma in nessun posto dicono che non si può fare questa esperienza dell’amore di Dio in altre chiese che non sia la Chiesa cattolica, cioè in altre religioni.

Vi è certo un paragrafo dedicato alla “salvezza per la fede”, ma solo per spiegare che bisogna aprirsi a qualcos’altro per evitare che la nostra esistenza fallisca:

L’inizio della salvezza è l’apertura a qualcosa che precede, a un dono originario che afferma la vita e custodisce nell’esistenza. Solo nell’aprirci a quest’origine e nel riconoscerla è possibile essere trasformati, lasciando che la salvezza operi in noi e renda la vita feconda, piena di frutti buoni. La salvezza attraverso la fede consiste nel riconoscere il primato del dono di Dio, come riassume san Paolo: «Per grazia infatti siete stati salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio » (Ef 2,8). (Lumen Fidei, § 19).

Salvato, non è colui che ha la fede cattolica e osserva i comandamenti (7), ma colui che “riconosce che l’origine della bontà è Dio” (Lumen Fidei, § 19). La fede in Cristo ci aiuta: “La fede in Cristo ci salva perché è in Lui che la vita si apre radicalmente a un Amore che ci precede” (Lumen Fidei, § 20). Ma non si dice che “l’apertura a qualcosa che ci precede” può attuarsi solo per la fede in Cristo, né che la fede in Cristo consista nel credere ciò che ci ha insegnato e nel professare col cuore e con le labbra i dodici articoli del Credo.

La dottrina dell’esperienza rovina la nozione di Tradizione

San Pio X spiega anche che la dottrina modernista dell’esperienza rovina totalmente la nozione di Tradizione come l’intende la Chiesa, perché per i modernisti essa diventa “una comunicazione dell’esperienza originale fatta agli altri” (Pascendi, § 17). E questa deformazione della nozione di Tradizione la si ritrova nell’enciclica Lumen fidei:

Per trasmettere un contenuto meramente dottrinale, un’idea, forse basterebbe un libro, o la ripetizione di un messaggio orale. Ma ciò che si comunica nella Chiesa, ciò che si trasmette nella sua Tradizione vivente, è la luce nuova che nasce dall’incontro con il Dio vivo, una luce che tocca la persona nel suo centro, nel cuore, coinvolgendo la sua mente, il suo volere e la sua affettività, aprendola a relazioni vive nella comunione con Dio e con gli altri. (Lumen Fidei, § 40).

Così la fede non sarebbe trasmessa con un libro (la Sacra Scrittura), né con un messaggio orale (la Tradizione divina), ma con una “tradizione vivente”: la comunicazione di una luce che tocca il cuore e che proviene dall’esperienza religiosa di Gesù (si veda Lumen Fidei, §§ 18, 19 e 46) (8).

Perché i modernisti insistono tanto sull’esperienza

Se i modernisti insistono tanto sull’esperienza è perché essa è alla base del sentimento religioso, il quale rimpiazza l’intelligenza per farci raggiungere Dio:

Con essa, dalla parte dell’intelletto, è chiusa all’uomo ogni via per arrivare a Dio, mentre si pretende di aprirla più acconcia per parte di un certo sentimento e dell’azione. Ma chi non iscorge quanto vanamente ciò si affermi? (Pascendi, 51)

Ricorrono, a vero dire, i modernisti per aiuto all’esperienza. Ma che può aggiungere questa al sentimento? Nulla: solo potrà renderlo più intenso: dalla quale intensità sia proporzionatamente resa più ferma la persuasione della verità dell’oggetto. Ma queste due cose non faranno sì che il sentimento lasci di essere sentimento, né ne cangiano la natura sempre soggetta ad inganno, se l’intelletto non lo scorga; anzi la confermano e la rinforzano, giacché il sentimento quanto è più intenso tanto a miglior diritto è sentimento.” (Pascendi, 53).

E il santo Papa ricorda la prudenza che occorre avere, in materia religiosa, con i sentimenti e le esperienze.

Trattandosi poi qui di sentimento religioso e di esperienza in esso contenuta, sapete bene, o Venerabili Fratelli, di quanta prudenza sia mestieri in siffatta materia e di quanta scienza che regoli la stessa prudenza. Lo sapete dalla pratica delle anime, di talune, in ispecialità, in cui domina il sentimento: lo sapete dalla consuetudine dei trattati di ascetica; i quali, quantunque disprezzati da costoro, contengono più solidità di dottrina e più sagacia di osservazione che non ne vantino i modernisti. A Noi per fermo sembra cosa da stolto o almeno da persona al sommo imprudente, ritener per vere, senza esame di sorta, queste intime esperienze quali dai modernisti si spacciano.” (Pascendi, 54).

San Giovanni della Croce, il grande maestro della vita mistica, espose in lungo e in largo che nella vita spirituale ci si deve guardare dai sentimenti, dalle visioni, dalle emozioni sensibili e ci si deve appoggiare solo alla pura fede. La fede, che è una virtù intellettuale, non ha alcunché di sensibile. Senza dubbio, come abbiamo segnalato prima, anche San Giovani della Croce ha avuto delle esperienze mistiche, ma queste erano una conseguenza della fede sotto l’influenza della carità e dei doni dello Spirito Santo. E in questo dominio delle esperienze mistiche è opportuno esercitare il discernimento spirituale per guardarsi dalle illusioni della natura e del demonio.

La sola esperienza vietata dai modernisti

Il Papa San Pio X termina questa esposizione sull’esperienza con una domanda:

Perché allora, lo diciamo qui di passata, perché, se queste esperienze hanno si grande forza e certezza, non l’avrà uguale quella esperienza che molte migliaia di cattolici affermano di avere, che i modernisti cioè battono un cammino sbagliato? Sola questa esperienza sarebbe falsa e ingannevole? La massima parte degli uomini ritiene fermamente e sempre riterrà che col solo sentimento e colla sola esperienza senza guida e lume dell’intelletto, mai non si potrà giungere alla conoscenza di Dio. (Pascendi, 55). 

Senza dubbio oggi le “molte migliaia di cattolici” che non condividono le opinioni dei modernisti non sono così numerosi come al tempo di San Pio X, ma essi trasmettono l’esperienza della Chiesa, nella fedeltà a 2000 anni di Tradizione, quell’esperienza che dimostra agli auto-distruttori della Chiesa che “battono un cammino sbagliato”.

NOTE

1 - In tutte le citazioni che seguono, il corsivo è della redazione.

2 - Questa frase, come la precedente, evoca la dottrina del modernismo esposta da San Pio X: «Le coscienze tutte cristiane, essi dicono, furono virtualmente inchiuse nella coscienza di Gesù Cristo, come la pianta nel seme. Or poiché i germi vivono la vita del seme, così deve affermarsi che tutti i cristiani vivono la vita di Cristo. Ma la vita di Cristo, secondo la fede, è divina; dunque anche quella dei cristiani.» San Pio X, Pascendi, 8 settembre 1907, § 23.

3 – Vedi la nota precedente.

4 - San Pio X, Pascendi, 8 settembre 1907, § 15.

5 - Concilio Vaticano I, DS 3033. Si veda Pascendi, 8 settembre 1907, § 6.

6 - San Pio X, Pascendi, 8 settembre 1907, § 16.

7 – Si vedano le domande poste al candidato al momento del battesimo: «Che chiedi alla Chiesa di Dio? — Il padrino: La fede. — Che cosa ti procura la fede? — Il padrino: La vita eterna. — Se, dunque, vuoi avere la vita eterna, osserva i comandamenti: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso.»

8 – Sono parimenti sfigurati la vera natura dei libri sacri (Pascendi, § 26), la spiegazione della nascita della Chiesa (Pascendi, § 27) e la vera nozione di apologetica (Pascendi, § 48).

Fonte: www.unavox.it