sabato 22 febbraio 2014

"Il Papa, in qualità di Vicario di Cristo, risponde direttamente al Capo della Chiesa, che appartiene esclusivamente al Figlio di Dio" (C. Siccardi)

La festa della Cattedra di san Pietro

di Cristina Siccardi
tratto da: http://www.corrispondenzaromana.it/la-festa-della-cattedra-di-san-pietro/
 
 

 
 
Per ricordare lo stabilirsi del Cristianesimo in Oriente e in Occidente il Martirologio Romano celebra il 22 febbraio la festa liturgica della Cattedra di san Pietro ad Antiochia e il 18 gennaio quella della Cattedra di San Pietro a Roma. La riforma del calendario ha unificato le due commemorazioni al 22 febbraio, quando si fa memoria della peculiare missione affidata da Gesù Cristo a Pietro.
La festa, spiega il Messale Romano, «con il simbolo della Cattedra pone in rilievo la missione di maestro e di pastore conferita da Cristo a Pietro, da lui costituito, nella sua persona e in quella dei successori, principio e fondamento visibile dell’unità della Chiesa». Il Papa, in qualità di Vicario di Cristo, risponde direttamente al Capo della Chiesa, che appartiene esclusivamente al Figlio di Dio: «Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam» (Mt. 16, 18), e dalla Cattedra di san Pietro si fa portavoce degli insegnamenti del Re che rappresenta. Tali insegnamenti sono stati consegnati dal Salvatore direttamente a san Pietro e si trasmettono grazie alla Tradizione, che tutti i Papi, di fronte alla Trinità, sono tenuti a ritrasmettere a loro volta.
La Cathedra Petri non è soltanto un concetto, ma un cimelio-reliquia, un vero e proprio trono ligneo risalente al IX secolo, donato nell’875 dal Re dei Franchi Carlo il Calvo (823-877) a Papa Giovanni VIII (820 ca.-882) in occasione della sua discesa a Roma per la propria incoronazione a Imperatore. Il seggio veniva utilizzato dal Papa per uso liturgico ed era simbolo esplicito dell’autorità del Papa e della sua legittimità di Pontefice. Esso viene conservato all’interno dello splendido monumento realizzato da Lorenzo Bernini (1598-1680) per desiderio di Papa Alessandro VII (1599-1667) e poi collocato nell’abside della Basilica vaticana il 17 gennaio del 1666. La Cattedra fu oggetto, per secoli, di venerazione da parte di fedeli e pellegrini, ma in seguito, sottratta agli occhi dei devoti, ha perso la sua popolarità e il suo culto.
Alquanto significativo è il fatto che la festa della Cattedra di san Pietro era già in uso a Roma nel 336, anche se la sua origine e celebrazione non hanno alcun riferimento alla Cattedra materiale, perché esprimeva ed esprime tuttora la potestà di Pietro, radicata in Roma e lasciata ai suoi successori: la sede petrina è riferimento di unità per tutta la Chiesa, secondo l’iscrizione che Papa san Damaso (305 ca.-384) dettò per il fonte battesimale del Vaticano: «Una Petri sedes unum verumque lavacrum vincula nulla tenet quem liquor iste lavat» («V’è un’unica Cattedra di Pietro ed un unico vero lavacro, non più alcun vincolo tiene chi da quest’onda è lavato»).
Quando nel 1543 Calvino negò il valore intrinseco della Cattedra, dichiarando che l’unico potere nella Chiesa è quello del ministero della Parola senza alcuna potestà ecclesiastica costituita, la Cattedra lignea acquisì un deciso incremento devozionale, proprio perché la Cathedra Petri rappresentava i poteri pontifici, riconosciuti dai suoi massimi Dottori della Chiesa, dell’Oriente e dell’Occidente. Ma quando la Cattedra lignea scomparve dalla vista, improvviso ed imprevisto fu il crollo del suo culto.
L’ultima esposizione della Cattedra vaticana ai fedeli è avvenuta nel 1867 (dal 28 giugno al 9 luglio), in occasione delle feste centenarie di San Pietro, volute dal beato Pio IX (1792-1878): fu traslata dal monumento berniniano sull’altare della Madonna gregoriana. Mentre nel 1968 Paolo VI (1897-1978) diede il permesso ad alcuni studiosi di procedere ad esami approfonditi sul sacro oggetto. Estratta nuovamente dal monumento il 26 novembre, fu portata nel locale attiguo alla sacrestia dei canonici e il 30 dicembre si procedette ad un esame strutturale delle parti lignee, distinguendo la sedia interna, di acacia nerastra, da quella esterna di sostegno e protezione, di quercia giallastra. Si constatarono i danni arrecati dall’usura del tempo, le varie riparazioni apportate lungo i secoli e vennero precisati datazione e dimensioni. Chissà se un giorno questo cimelio sacro tornerà ad essere mostrato e venerato?
Il seggio papale indica inequivocabilmente la posizione superiore del Papa nel collegio apostolico, dimostrata dalla esplicita volontà di Gesù nei suoi confronti, che assegna proprio e soltanto a Simon Pietro il compito di «pascere» le Sue «pecorelle» (Gv. 21, 15-23). Per ben tre volte gli domandò: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?». Con i tre terribili interrogativi, che Cristo rivolse ad un Pietro sconcertato e dolente, termina il racconto divino del Vangelo di san Giovanni. Tre domande che la Cattedra di San Pietro continua a rievocare a chi la eredita. (Cristina Siccardi)

domenica 16 febbraio 2014

Socci e i due papi

I DUE PAPI E NOI. COSA STA VERAMENTE ACCADENDO NELLA CHIESA

 
         
E’ stato ricordato, l’11 febbraio scorso, l’anniversario della “rinuncia” al papato di Benedetto XVI. Il 28 febbraio sarà un anno dalla fine del suo pontificato. Ma è sempre più misterioso ciò che accadde in Vaticano un anno fa, proprio in questi giorni. E qual è la vera natura del “ritiro” di Benedetto XVI.
 
SEMPRE PAPA
 
Nei casi precedenti infatti i papi dimissionari sono sempre tornati al loro status di cardinale o religioso: il famoso Celestino V, eletto nel 1294, dopo cinque mesi abdicò e tornò ad essere l’eremita Pietro da Morrone.
E il papa legittimo Gregorio XII che, per ricomporre il grande scisma d’Occidente, si ritirò dall’ufficio papale il 4 luglio 1415, fu reintegrato nel Sacro Collegio col titolo di cardinale Angelo Correr, andando a fare il legato pontificio nelle Marche.
Visti i precedenti lo stesso portavoce di Benedetto, padre Federico Lombardi, durante un briefing con i giornalisti, il 20 febbraio dell’anno scorso, alla domanda “e se decidesse di chiamarsi Pontefice Emerito?”, rispose testualmente: “Lo escluderei. ‘Emerito’ è il vescovo che pure dopo le dimissioni mantiene comunque un legame… nel caso del ministero petrino è meglio tenere le cose separate”.
Le ultime parole famose. Appena una settimana dopo, il 26 febbraio, lo stesso padre Lombardi dovette comunicare che Benedetto XVI sarebbe rimasto proprio “Papa emerito” o “Romano Pontefice Emerito”, conservando il titolo di “Sua Santità”. Egli non avrebbe più indossato l’anello del pescatore e avrebbe vestito la talare bianca semplice.
In questi giorni inoltre Benedetto XVI ha rifiutato il cambiamento del suo stemma pontificio, bocciando sia il ritorno a un’araldica cardinalizia, sia lo stemma da papa emerito. Intende conservare lo stemma da papa, con le chiavi di Pietro.
Che significa tutto questo? Ovviamente è esclusa ogni vanità personale per un uomo che ha dato prova del più totale distacco dalle cariche terrene (del resto qui si tratta di cose teologiche, non certo di beni mondani).
Dunque può esserci solo una ponderata ragione storico-ecclesiale, probabilmente legata ai motivi del suo ritiro (per il quale tanti hanno premuto indebitamente). Ma qual è questa ragione?
 
PAPA PER SEMPRE
 
L’unica spiegazione ufficiale si trova nel suo discorso del 27 febbraio 2013, quello in cui chiarì i limiti della sua decisione:
“Qui permettetemi di tornare ancora una volta al 19 aprile 2005. La gravità della decisione è stata proprio anche nel fatto che da quel momento in poi ero impegnato sempre e per sempre dal Signore”.
Attenzione, sottolineo quell’espressione “sempre e per sempre”, perché il Papa poi la spiegò così:
“Sempre – chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa (…) non appartiene più a se stesso”.
Poi aggiunse testualmente:
Il ‘sempre’ è anche un ‘per sempre’ - non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo”.
E’ incredibile che una frase simile sia passata inosservata. Se le parole hanno un senso, infatti, qua Benedetto XVI afferma che rinuncia “all’esercizio attivo del ministero”, ma tale ministero petrino, per quanto lo riguarda, è “per sempre” e non è revocato. Nel senso che la sua rinuncia riguarda solo “l’esercizio attivo” e non il ministero petrino.
Quale diverso significato possono avere quelle parole? Io non lo vedo. Per questo ci si deve chiedere che tipo di “ritiro” sia stato quello di Benedetto XVI.
Sempre in quel discorso del 27 febbraio sembrò confermare la distinzione fra “esercizio attivo” ed “esercizio passivo” del ministero petrino.
Disse infatti: “Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro. San Benedetto, il cui nome porto da Papa, mi sarà di grande esempio in questo. Egli ci ha mostrato la via per una vita, che, attiva o passiva, appartiene totalmente all’opera di Dio”.
Di fatto a queste parole, alle espressioni “per sempre” e “ministero non revocato”, si sono aggiunti poi gli atti di cui abbiamo parlato, ovvero la permanenza del nome Benedetto XVI, della veste, del titolo “Sua Santità” e dello stemma pontificio.
 
IN COMUNIONE CON FRANCESCO
 
Peraltro perfettamente riconosciuti da papa Francesco che l’11 febbraio scorso diffondeva questo tweet: “Oggi vi invito a pregare per Sua Santità Benedetto XVI, un uomo di grande coraggio e umiltà”.
Si tratta di una situazione totalmente nuova nella storia della Chiesa. Nei secoli passati infatti ci sono stati, e più volte, contrapposizioni di papi e antipapi, perfino tre per volta.
Non c’erano mai stati invece due papi in comunione, che si riconoscevano a vicenda. Ho detto “due papi” considerando che uno dei due è il papa precedente, diventato  “papa emerito”, e che si tratta di una figura del tutto inedita.
Qual è infatti il suo status teologico? E cosa significa il ritiro dal solo “esercizio attivo” del ministero petrino?
Benedetto XVI, parlando ai cardinali prima del Conclave, ha anticipato la sua reverenza e obbedienza al successore. Tale è in effetti l’atteggiamento di Benedetto verso Francesco. E si è resa visibile la comunione tra i due quando hanno scritto a quattro mani l’enciclica “Lumen fidei”.
Però colpisce il fatto che nel filmato del loro incontro a Castelgandolfo, come pure nella cerimonia tenutasi nei giardini vaticani per benedire la statua di S. Michele, si vedono i due uomini di Dio che si abbracciano come fratelli e non c’è da parte di nessuno dei due il gesto del bacio dell’anello del pescatore. Viene da chiedersi: ma chi è il Papa?
 
UN SEGRETO FRA LORO
 
C’è forse un segreto, fra loro, che il mondo ignora? O vanno considerati sullo stesso piano? Sappiamo che così non può essere perché per divina costituzione la Chiesa può avere solo un papa. Ma allora?
Si aprono problemi nuovi e sorprendenti alla luce dei quali alcuni potrebbero anche attribuire significati inattesi a certi gesti di Francesco, come l’essersi presentato sulla loggia di San Pietro solo come “vescovo di Roma”, senza paramenti pontifici o la mancanza del pallio nel suo stemma papale (il pallio è oggi il simbolo dell’incoronazione pontificia avendo sostituito il triregno).
Di certo chi oggi tenta di usare uno contro l’altro fa un atto arbitrario. Del resto certi lefebvriani e i sedevacantisti che contestano l’autorità di Francesco sono egualmente ostili a Benedetto.
La preghiera costante di Benedetto per Francesco e per la Chiesa è forse il grande segno profetico di questo momento storico.
Tuttavia non si può fingere che tutto sia normale, perché la situazione è quasi apocalittica. E non si possono evitare le domande: sulle ragioni delle dimissioni di Benedetto, su quanti le hanno volute, sulle pressioni indebite che le hanno provocate. E sul suo status attuale.
 
UN’EPOCA MAI VISTA
 
Nei giorni successivi all’annuncio del ritiro, prima che egli precisasse la sua nuova situazione, anche “Civiltà Cattolica”, come padre Lombardi, aveva fatto una gaffe.
Pubblicò infatti un saggio del canonista Gianfranco Ghirlanda dove si affermava: “È evidente che il papa che si è dimesso non è più papa, quindi non ha più alcuna potestà nella Chiesa e non può intromettersi in alcun affare di governo. Ci si può chiedere che titolo conserverà Benedetto XVI. Pensiamo che gli dovrebbe essere attribuito il titolo di vescovo emerito di Roma, come ogni altro vescovo diocesano che cessa”.
In ogni caso non “papa emerito”. E invece Benedetto ha scelto di essere proprio “papa emerito”. Deve esserci una ragione assai seria per decidere di “permanere” così. E le conseguenze sono evidenti. I suoi sono segnali molto importanti mandati a chi deve intenderli e a tutta la Chiesa.
Segnala che egli continua a difendere il tesoro della Chiesa, sia pure in un modo nuovo. E sembra ripetere quanto disse nella sua messa d’insediamento: “Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi”.
 
Antonio Socci
 
Da “Libero”, 16 febbraio 2014