sabato 17 agosto 2013

«Ormai, ci può salvare solo il trionfo del Cuore Immacolato di Maria. Siamo nel tempo che padre Pio diceva delle “quattro T”: tutte tenebre» (P. Stefano M. Manelli)

 
FRANCESCANI DELL’IMMACOLATA: anch’io li conosco
di Alessandro Gnocchi
 
Bisogna riconoscerlo, a volte sono utili anche gli articoli di Massimo Introvigne. Per quello che vale, questa testimonianza sui Francescani dell’Immacolata non sarebbe stata scritta senza l’implicito invito contenuto in una delle encicliche che l’avvocato sociologo pubblica quasi quotidianamente sulla “Nuova Bussola”. Pochi giorni fa, a proposito del commissariamento dell’istituto fondato da padre Stefano Manelli, Introvigne si è lasciato sfuggire la maldestra insinuazione che le vere cause di quanto avvenuto le conoscerebbero solo lui e qualche altro iniziato alle segrete carte.
Tutti, o quasi, gli altri commentatori della vicenda avrebbero scritto a capocchia, senza sapere di che cosa si sta parlando, senza essere illuminati come lui. «Conosco anche i loro problemi» ha scritto dei Francescani dopo la solita lisciata di pelo che precede la coltellata «non sono certo che si possa dire lo stesso per tutti coloro che hanno commentato l’ultima vicenda». Per corroborare tanto zelo per la verità e la correttezza dell’informazione, per dare una mano nel mettere al loro posto tutti quei signori che osano scrivere a capocchia senza sapere ciò che Introvigne invece sa, vorrei rendere una testimonianza e raccontare qualche cosa su questi frati e dunque anche sulle suore che fanno parte della famiglia.

Niente di eclatante, si tratta di semplici fatti ai quali, però, si possono solo opporre altri fatti e non un sibillino “lasciate parlare me che conosco le segrete carte”. Scrivo una volta tanto in prima persona, senza l’ausilio di Mario Palmaro, che comunque, come usa dire oggi, ci legge in copia, perché le testimonianze vanno rese e verbalizzate singolarmente. Questa breve racconto inizia dal passato recentissimo. Domenica 4 agosto, mia figlia, che ha diciotto anni e si chiama Chiara, è tornata da un mese trascorso come missionaria in Nigeria con le suore francescane dell’Immacolata.

La missione nigeriana, come dovrebbero sapere tutti coloro che parlano di questo istituto e come Introvigne certamente sa, è a rischio di martirio quotidiano. Lì, ci sono figli e figlie di padre Manelli che ogni giorno rischiano la vita in nome di Gesù Cristo e, proprio per questo, prospera una delle imprese spirituali più fiorenti dell’istituto: quaranta aspiranti maschi e trenta aspiranti femmine in un Paese a maggioranza musulmana, dove le sette protestanti fanno di tutto per distruggere quanto costruiscono i cattolici, dove imperversano le chiese più impensate, dove i pagani che consumano i loro sacrifici umani poco lontano dai conventi lasciano i resti delle vittime per le strade in onore dei loro demoni, dove nelle giornate dei riti cannibali le donne non possono uscire di casa pena la morte. Nel mondo di “Apocalypto” prima dell’arrivo degli spagnoli.

Le suore non possono mai uscire da sole e, in certe occasioni, rischiano la vita solo a mostrarsi. Eppure, come i frati, continuano a portare Cristo là dove non c’è e a chi non lo conosce. Assieme ai frati, procurano battesimi, l’amministrazione dei sacramenti, la celebrazione di Messe, strappano letteralmente anime e corpi al demonio. Dopo ogni conversione tornano quotidianamente dai nuovi cristiani per evitare che la loro fede si intorpidisca e cada di nuovo preda delle false religioni e, quindi, della disperazione. Appena scesa dall’aereo, alla sua prima ora di missione, Chiara è stata portata al lebbrosario per pregare in ginocchio il Rosario davanti al letto di una malata che stava morendo, perché le anime vanno custodite fino in fondo e non basta riempire le pance.

La preghiera è stato il filo d’oro che ha segnato il cammino di mia figlia per tutto il mese: lo stesso che segna da anni la vita della missione perché è quello che segna la vita delle suore e dei frati francescani dell’Immacolata. Dopo, solo dopo, viene l’assistenza materiale, lì, nel mondo di “Apocalypto” dove, nonostante tutto, le suore e i frati vestiti di azzurro sono altrettante note di letizia. «Di notte» mi ha raccontato Chiara «mi veniva da piangere per ciò che vedevo di giorno. Avevo visto l’inferno mentre io mi sentivo in paradiso. Non è la povertà e non è la miseria a far piangere, ma la disperazione di un mondo senza Cristo. Di giorno sentivo le voci dei muezzin, di notte i tam tam dei riti pagani e ho toccato con mano che il demonio esiste davvero, ho provato sulla mia pelle che la religione vera è una sola ed è la nostra. Lo scudo più potente contro la presenza del demonio era il canto gregoriano dei frati e delle suore, il Rosario recitato continuamente, le veglie e le Messe celebrate come piace al Signore».

«Chiara, se vogliamo che la nostra missione diventi ancora più fiorente» ha detto una suora a mia figlia poco prima che partisse «bisogna che qualcuna di noi muoia e offra la sua vita perché non c’è niente di più fecondo del sangue offerto per Gesù. I frati sono già morti, ora tocca a noi». Sono poveri, piccoli fatti, piccoli frutti sperduti nell’Africa profonda che però mostrano di che pasta siano le radici dell’albero piantato nel saldo terreno della fede cattolica da padre Manelli nel 1970.

L’impronta in quelle suore e in quei frati che accettano il martirio per far fiorire la vita cristiana è la sua. Da anni, quest’uomo vive nella sofferenza come il suo padre spirituale San Pio da Pietrelcina. Qualche tempo fa, quando i medici non sapevano che cosa fare per guarirlo dal male che lo tormentava, un sacerdote che lo conosce bene mi disse «I dottori stanno tentando di tutto, ma non riescono a far niente perché non capiscono che quest’uomo sta offrendo le sue sofferenze per il bene della Chiesa. Ha scelto di portare sul suo corpo le piaghe del Corpo Mistico». Non serve teologizzare troppo. Basta stare cinque minuti davanti a padre Stefano per capire quanto la sofferenza gli sia intima, quanto la desideri pur temendola, e quanto ne offra i benefici e le benedizioni che ne discendono.

Due anni fa l’ho incontrato al santuario dello Zuccarello di Nembro, vicino a Bergamo, per la Messa in ricordo di sua mamma. Era seduto in sacrestia, piegato sulla sedia, in difficoltà anche solo a dar retta a chi lo salutava. «Come sta padre Stefano?». Ha allargato le braccio per quanto poteva e ha sussurrato «Si sta così, sulla croce». Con Mario Palmaro avevo appena scritto un libro su padre Pio, ma solo davanti a quel suo figlio spirituale ho finalmente provato un briciolo di vera compassione per la sofferenza che avevo descritto indegnamente con le parole.

Tre mesi fa l’ho rivisto, poco prima che scoppiasse la bomba del commissariamento. Era inquieto, ma più per le sorti della Chiesa che per quelle della sua fondazione. «Ormai, ci può salvare solo il trionfo del Cuore Immacolato di Maria. Siamo nel tempo che padre Pio diceva delle “quattro T”: tutte tenebre». «E che cosa possiamo fare, padre?». «Bisogna prepararsi, pregare e continuare la battaglia. E poi» ha aggiunto con il suo sorriso un po’ da vecchio e un po’ da bambino «ci sono le “quattro T” della luce: tutti Francescani dell’Immacolata».

Eravamo a Sassoferrato, nel seminario dell’ordine. Una costruzione enorme svuotata di vocazioni dai frati minori conventuali e riempita dai francescani dell’Immacolata. Un edificio in questi frati che salutano chiunque con lo splendido «Ave Maria» vivono fianco a fianco con madonna povertá. Nelle loro case, la povertà è quella vera, non è quella esibita all’obiettivo del fotografo e neanche quella predicata agli altri. È praticata in proprio e, letteralmente, la si respira appena si varca la soglia di un qualsiasi loro convento. Non nelle chiese, perché lì deve essere tutto il più splendido possibile per il Signore, come voleva il padre Francesco. Ma nelle loro case può abitarci solo chi decide e accetta di essere veramente povero.

La rinuncia a tutto, ma proprio tutto, quanto il mondo può offrire di appena confortevole, attanaglia alla gola: ti soffoca o ti santifica. «Se avessi voluto curarmi le unghie e avere l’acqua calda tutti i giorni» ha spiegato una suora di ventidue anni a mia moglie «sarei stata a casa mia». Mia figlia Chiara, in un mese di missione non si è mai guardata allo specchio, ne aveva solo uno piccolissimo per controllare se si era presa le pulci. L’unico specchio consentito alle suore francescane dell’Immacolata è il quadro della Madonna. Chi cerca l’oleografia e il pittoresco e pensa ai conventi del turismo spirituale che va di moda oggi, eviti con cura le case e i conventi dei francescani dell’Immacolata. Scambierebbe per incuria e abbandono la santa indifferenza che questi frati e queste suore nutrono per le cose del mondo.

Non capirebbe come uomini e donne del ventunesimo secolo possano vivere in mezzo a quello che un qualsiasi cristiano perbene chiamerebbe squallore. Perché è questa la cifra degli ambienti in cui i francescani dell’Immacolata vivono, pregano e si santificano. Dopo aver guardato la luce che brilla negli occhi di uno di questi frati o di una di queste suore, guardate i piedi e osservate come sono ridotti. Se gli occhi sono quelli chi scorge il Paradiso, i piedi sono quelli di chi sta piantato nella miseria del mondo e l’abbraccia. A me è capitato qualche tempo fa con padre Alessandro Apollonio, il braccio destro di padre Stefano. Dopo un’ora trascorsa a passeggiare sull’asfalto discutendo di massimi sistemi, mi è caduto l’occhio sulle unghie dei suoi piedi, completamente coperte dagli ematomi dovuti al gelo sopportato d’inverno. Allora ho guardato le mie scarpe e mi sono un pò vergognato. Ma, soprattutto, ho avuto compassione del mio sguardo, che non ha certo la letizia di quello di padre Alessandro.

Sono solo dei piccoli fatti, cose da niente che però, a chi abbia buoni occhi e occhi buoni, dicono ben più di tanti trattati di sociologia. E pure più di tante visite apostoliche condotte per posta elettronica inviando questionari da riempire e ricevere stando nel proprio ufficio invece che andare sul posto di persona. Se il visitatore che ha dato il via libera al commissariamento, come dice il nome del suo ufficio, avesse visitato le case dei francescani invece che affidarsi alle formidabili meraviglie informatiche, forse si sarebbe reso conto che il rancore di certi frati contro il loro fondatore non regge l’amore filiale che circonda la figura di padre Stefano. «Tieni, finisci tu il caffè» ha detto il padre al giovane frate che ci aveva portato qualcosa da bere quando l’ho incontrato due mesi fa. E, come faceva mio padre con me quando ero bambino, come facevo io con i miei figli quando erano piccoli e come mi piacerebbe fare ancora adesso che la più piccina va in missione in Nigeria, gli ha passato la tazzina dalla quale aveva bevuto lui.

Cosa dire d’altro? Che poi, quel giorno, padre Stefano si è alzato e se ne è andato verso la sua cella tenendo in mano tutti i libri che gli avevo portato in regalo. Non lo avevo mai visto così grande, così imponente. Forse sapeva già che sarebbe venuto il momento della prova.


tratto da: http://www.corrispondenzaromana.it/francescani-dellimmacolata-anchio-li-conosco/

venerdì 16 agosto 2013

una domanda: dove erano gli svizzeri?!!

«Quando un popolo, divorato dalla sete della libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati tiranni. E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani pretendano gli stessi diritti, le stesse considerazioni dei vecchi, e questi, per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani. In questo clima di libertà, nel nome della medesima, non vi è più riguardo per nessuno. In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia» già scriveva Platone.......

mercoledì 14 agosto 2013

"quando i genitori danno il cattivo esempio, non ci si può aspettare nessun frutto né dagli avvertimenti, né dalle preghiere, né dai castighi" (Sant'Alfonso Maria de' Liguori)


Sant'Alfonso Maria de’ Liguori
I genitori peccano se non insegnano ai figli le cose della fede e della salvezza



(…) Non si devono imitare certi padri e certe madri che non compiono questo dovere per l’affanno di mantenere occupati i propri figli con altre cose. La conseguenza è che quegli infelici non sanno confessarsi, non conoscono le principali verità della Fede, ignorano la Santissima Trinità, l’Incarnazione di Gesù Cristo, il peccato mortale, il Giudizio, l’Inferno, il Paradiso e l’eternità. Molte volte questa ignoranza è causa di condanna e i genitori ne dovranno rendere conto a Dio.

Inoltre è dovere dei genitori vigilare sulla condotta dei figli, conoscere i luoghi e le persone che frequentano.

I genitori inoltre peccano se non si curano che i loro figli ricevano i Sacramenti, santifichino le Feste e gli altri precetti della Chiesa.

Peccano doppiamente, se causano scandalo nel pronunciare davanti ai figli blasfemie, oscenità, o altre parole offensive, o facendo dinanzi a loro una cattiva azione. I genitori hanno l’obbligo di dare il buon esempio ai figli.

Come possono i giovani avere una buona condotta, quando vedono con frequenza che i loro genitori bestemmiano, maledicono, ingiuriano il prossimo, proferiscono offese, parlano di vendette, di oscenità, e ripetono certe massime pestifere come: “Non è necessario preoccuparsi tanto; Dio è misericordioso, Egli tollera certi peccati”? San Tommaso dice che, in un certo modo, genitori così obbligano i propri figli a peccare.

Vi sono genitori che si lamentano di avere cattivi figli; Gesù Cristo dice: Qualche volta è cresciuta uva dalle spine? Come possono i figli essere buoni se hanno dei cattivi genitori? Sarebbe necessario un miracolo.

Inoltre è vero che a volte i genitori che danno un cattivo esempio non correggono i propri figli pur sapendo di peccare nel non correggerli. San Tommaso dice che, in questo caso, un genitore deve, per lo meno, chiedere a suo figlio di non seguirlo nel cattivo esempio che gli da. A mio avviso, quando i genitori danno il cattivo esempio, non ci si può aspettare nessun frutto né dagli avvertimenti, né dalle preghiere, né dai castighi.

(San Alfonso María de Ligorio, Oeuvres Complètes - Oeuvres Ascétiques, Casterman Tournai, 1877, 2a. ed., t. XVI, pp. 474-480)

martedì 13 agosto 2013

verso la Consacrazione della Russia e il Trionfo del Cuore Immacolato?





 
 
Nel mese di ottobre, in Vaticano,
Papa Francesco consacrerà il mondo
al Cuore Immacolato di Maria
 
 
This relevant news item was posted by the official website of the Shrine of Our Lady of Fatima, in Fatima, Portugal: Questa importante notizia è stata pubblicata dal sito ufficiale del Santuario di Nostra Signora di Fatima, a Fatima, Portogallo:
 

In response to the desire of Holy Father Francis, the Statue of Our Lady of the Rosary of Fatima, venerated in the Little Chapel of Apparitions, will be brought to Rome on October 12/13 to be present at the Marian Day promoted by the Pontifical Council for the Promotion of the New Evangelization. In risposta al desiderio del Santo Padre Francesco, la statua della Madonna del Rosario di Fatima, venerata nella Cappellina delle Apparizioni, sarà portati a Roma nei giorni 12 e 23 ottobre per essere presente alla Giornata Mariana promosso dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. On October 13, next to the Statue of Our Lady, Pope Francis will make the consecration of the world to the Immaculate Heart of Mary. Il 13 ottobre davanti alla statua della Madonna Papa Francesco farà la consacrazione del mondo al Cuore Immacolato di Maria.
 
[The] Marian Day is one of the great pontifical events marked down on the calendar of celebrations of the Year of Faith which will bring to Rome hundreds of movements and institutions connoted with Marian devotion. La Giornata Mariana è uno dei grandi eventi pontifici programmati nel calendario delle celebrazioni dell'Anno della Fede, che porterà a Roma centinaia di movimenti e istituzioni connotate dalla devozione mariana.

 In a letter addressed to Bishop Antonio Marto, of Leiria-Fatima, the President of the Pontifical Council for the Promotion of the New Evangelization, [Abp.] Rino Fisichella, informs that “all ecclesial entities of Marian spirituality” are invited to take part in this Marian day, a gathering which includes, on the 12th, a pilgrimage to the tomb of Apostle St. Peter and other moments of prayer and meditation and, on the 13th, a Mass presided over by Pope Francis, in St. Peter's Square. In una lettera indirizzata a Mons. Antonio Marto, di Leiria-Fatima, il Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, Mons. Rino Fisichella informa che "tutti i soggetti ecclesiali di spiritualità mariana" sono invitati a partecipare a questa giornata mariana che comprende, il giorno 12, un pellegrinaggio alla tomba dell'Apostolo San Pietro e altri momenti di preghiera e di meditazione e, il giorno 13, una Messa presieduta dal Papa Francesco in Piazza San Pietro .

 In that letter, [Abp.] Fisichella wrote: “The Holy Father strongly desires that the Marian Day may have present, as a special sign, one of the most significant Marian icons for Christians throughout the world and, for that reason, we thought of the beloved original Statue of Our Lady of Fatima”. In tale lettera Mons.Fisichella ha scritto: "Il Santo Padre desidera fortemente che la Giornata Mariana abbia come un segno particolare, una delle più significative icone mariane per i cristiani di tutto il mondo e, per questo motivo, abbiamo pensato alla venerata statua originale della Madonna di Fatima ".

Therefore, the Statue of Our Lady will depart from the Shrine of Fatima on the morning of October 12 and return on the afternoon of October 13. Pertanto, la Statua della Madonna partirà dal Santuario di Fatima, la mattina del 12 ottobre e rientrerà nel pomeriggio del 13 ottobre.
 
P. S. E' impressionante, detto per inciso, che il Papa di Roma si chiami Francesco e il Vescovo di Fatima Marto . Solo coincidenze? Scheduled to take its place in the Little Chapel of Apparitions is the first Pilgrim Statue of Our Lady of Fatima, which is enthroned in the Basilica of Our Lady of the Rosary since December 8, 2003.
Fonte: http://rorate-caeli.blogspot.com/2013/08/in-october-at-vatican-pope-francis-will.html

lunedì 12 agosto 2013

La Messa non invecchia

La liturgia: una ripetizione solenne

Tempo fa il cardinale Ratzinger sosteneva che la liturgia non è data all'arbitrio del celebrante che ne fa quel che vuole. È, piuttosto, la ripetizione solenne di atti e parole (1).

È abbastanza difficile rendersi conto di tutto questo entrando in una qualsiasi chiesa cattolica-latina. L'ultima volta che l'ho fatto il prete ha deciso di sua volontà di saltare a pié pari il "Gloria", nonostante fosse domenica e questo non si potesse fare.

Ovviamente di lì a poco ho preferito girare i tacchi e uscire, per non vedere altro. Chi ben inizia è a metà dell'opera, dice un proverbio. Ma se un celebrante inizia con delle omissioni, logicamente ci si aspetta ben altro in seguito ...

Nel mondo ortodosso, in qualsiasi chiesa si entri, con un prete fior di santo o un poveraccio, la liturgia non cambia. È quella. In quest'ultimo caso le parole di Joseph Ratzinger, quand'era cardinale, si adattano a pennello: la liturgia è ripetizione solenne di atti e parole.

Non so se il cardinale spiegò il perché di questa ripetizione o se si limitò a dire che la liturgia dev'essere così, per essere tale, e basta.
Quel che so è che oggi, venendo a contatto con una liturgia che "non cambia" ne ho immediatamente capito la ragione profonda.



Gli atti, che qualsiasi uomo compie normalmente, anche se sono simili tra loro (alzarsi, andare a lavorare, mangiare...) non sono mai "atti rituali" perché, oltre a non avere un riferimento teologico, hanno ogni giorno qualcosa di diverso. Ogni giorno ci si può alzare in modo diverso, ad un orario leggermente differente, con un umore e uno stile diverso, ecc. Ogni giorno ci si può vestire differentemente. Questo perché gli atti ordinari sono sottomessi ad un genere di tempo che scorre, il tempo lineare: ieri non è identico a oggi e oggi non sarà identico a domani. Pur nella similarietà delle azioni esiste una variabilità data dal fatto di viverle in una modalità mondana sottomessa, dunque, a mille condizioni e influenzata pure dalla dispersione.
Queste azioni sono immerse in un tempo lineare, con un passato, un presente e un futuro. Ne è segno chiarissimo la moda che non è mai identica a se stessa.
Le azioni rituali, invece, per essere tali, dunque sacre, non possono essere sottomesse alle condizioni di un tempo lineare. È vero che anche loro possono essere materialmente fatte oggi, in un momento preciso, ma è pur sempre vero che, simbolicamente, si collegano ad un tempo ciclico, non lineare. Il rito è immerso nel tempo ciclico e ne è espressione.


Il tempo della liturgia è ciclico perché prevede una continua identica ripetizione: l'anno liturgico si ripete identicamente ogni anno cronologico. Anche  una singola celebrazione è identica ogni domenica, pur avendo qualche piccolo elemento variabile dato dalle esigenze della festa celebrata.

Perché una volta nella liturgia romana latina il canone di consacrazione era uno solo e non c'erano alternative? Proprio per sottolineare quest'aspetto!

Sono convinto che anticamente fecero questa scelta non perché privi di fantasia ma perché dovevano sottolineare la sacralità dell'azione liturgica.

Il tempo ciclico è un tempo liturgico, un tempo che simbolicamente interrompe la frantumazione inserita nel mondo dal tempo lineare in cui una persona nasce, cresce, invecchia e muore. Viceversa il tempo ciclico ripresenta, in ogni epoca, sempre la stessa messa, nel 1500, nel 1700, nel 1900.... La messa non invecchia - sarebbe una bestemmia definire "vecchia" una liturgia come fecero gli innovatori cattolici che, con questa definizione, dimostrarono di non capire l'identità profonda della liturgia (2) -, gli uomini sì.

In una chiesa ortodossa abbiamo la stessa liturgia pressapoco dall'XI secolo ad oggi e anche prima le liturgie non erano variabili a piacere. Le generazioni, soggette al tempo lineare, passano ma la liturgia, soggetta al tempo ciclico, rimane.

Questa liturgia, sostanzialmente immutabile perché legata al tempo ciclico, è sacra, dunque slegata alla frantumazione delle realtà soggette al tempo ordinario e, proprio perché tale, fa da ponte simbolico tra la terra e il cielo. Se così non fosse decadrebbe inevitabilmente a prodotto secolare, come ogni cosa del mondo normale (e decaduto) che passa e và.

Il vero rito è dunque quello immutabile per queste precise ragioni. Ne consegue che quanto vediamo oggi, nella maggioranza delle chiese cattoliche di rito latino, non è un vero rito ma tende in non pochi casi ad essere una parodia dello stesso. Ovviamente lo si fa senza rendersene conto perché già a partire dai seminari queste spiegazioni elementari non si dicono affatto! Ne consegue che i sacerdoti di nuova formazione più modellano secolarmente la liturgia più credono di fare "bene", senza capire che, invece, rovesciano l'ordine anticamente stabilito.

Anche osservando i riti occidentali, dal punto di vista appena esposto, si giunge, dunque, alla medesima conclusione spesso tratteggiata in questo blog: siamo spesso davanti ad una profonda alterazione in cui si equivoca per rito quanto oramai ha cessato di esserlo. In molti casi il culto non essendo rito, nel senso esposto, ha come perso i pioli di una scala che, altrimenti, porterebbe in Paradiso. Infatti non si può scherzare con i simboli impunemente facendo decadere una liturgia dalla sua ciclicità e immutabilità ad una sorta di linearità soggetta alle mode del secolo. Anche chi non ci capisce nulla di rito e di simbolo lo vive inevitabilmente e vi si conforma: il suo spirito o si eleverà o si adagierà!

__________


1) "La liturgia non è uno show, uno spettacolo che abbisogni di registi geniali e di attori di talento. La liturgia non vive di sorprese “simpatiche”, di trovate “accattivanti”, ma di ripetizioni solenni. Non deve esprimere l’attualità e il suo effimero ma il mistero del Sacro. Molti hanno pensato e detto che la liturgia debba essere “fatta” da tutta la comunità, per essere davvero sua. È una visione che ha condotto a misurarne il “successo” in termini di efficacia spettacolare, di intrattenimento. In questo modo è andato però disperso il proprium liturgico che non deriva da ciò che noi facciamo, ma dal fatto che qui accade Qualcosa che noi tutti insieme non possiamo proprio fare. Nella liturgia opera una forza, un potere che nemmeno la Chiesa tutta intera può conferirsi: ciò che vi si manifesta è l’assolutamente Altro che, attraverso la comunità (che non ne è dunque padrona ma serva, mero strumento) giunge sino a noi". La citazione è ripresa da un libro dello stesso cardinale: Rapporto sulla fede.
Cfr. http://digilander.libero.it/gregduomocremona/ratzinger_rapporto_sulla_fede.htm (consultazione l'11 agosto 2013).

2) Nonostante il rischio di apparire polemici si deve, tuttavia, ricordare che gli artefici della liturgia rinnovata (attualmente in voga nella maggioranza delle chiese cattoliche) erano uomini, più o meno, soggetti a quest'ideologia. Non a caso, all'atto pratico, molto clero si mise contro le "cose vecchie" della liturgia tradizionale. Erano passate delle disposizioni nuove ma pure uno spirito nuovo con il quale, d'ora in poi, si doveva giudicare il mondo passato. Inutile dire che questi uomini, nonostante dichiarino un certo apparente interesse soprattutto per motivi "ecumenici" verso i riti orientali, in realtà li vedono come anticaglie medioevali.
Sò bene che qualcuno potrà contestare questa mia tesi dicendo che, in fondo, pure il nuovo messale della Chiesa cattolica latina ha elementi fissi. In realtà la possibilità di fare innovazioni, di avere diversi testi opzionali a scelta e di cambiare nel tempo lo stesso messale (ne sono state fatte già alcune edizioni con ampliamenti nel giro di pochi anni), è un dato di fatto inconstestabile.
Così mentre la liturgia antica (anche romano cattolica) rispettava il tempo ciclico, quella rinnovata è sempre più sottomessa al tempo lineare.
 
tratto da: