lunedì 31 dicembre 2018

O la Tradizione o il nulla - Editoriale di "Radicati nella fede" - Gennaio 2019


Pubblichiamo l'editoriale di Gennaio 2019

O LA TRADIZIONE
O IL NULLA


O LA TRADIZIONE O IL NULLA
Editoriale di "Radicati nella fede" - Anno XII n° 1 - Gennaio 2019

 Non c'è alternativa alla Tradizione.

  Sì, è proprio così, nella Chiesa Cattolica non si dà altra possibilità che quella di vivere il Cristianesimo nella sua forma tradizionale. L'alternativa? è l'autodistruzione della Chiesa stessa.

  Guardate cosa è accaduto in questi decenni: l'autorità della Chiesa si è messa alla ricerca di una nuova interpretazione del Cattolicesimo che si adattasse al mutamento dei tempi; e lo ha fatto eliminando gli elementi transitori, secondari a detta di molti, gli elementi derivati da una certa situazione storica, dicendo di voler conservare solo i pilastri fondamentali... e facendo così il Cattolicesimo romano è di fatto svanito.

  A furia di dire “questo è essenziale, questo no”, la Chiesa cattolica ha cambiato volto, per poi confondersi con qualsiasi congregazione protestante e scomparire nell'indifferenza generale.

  Proprio perché la fede creduta e vissuta ti è consegnata da altri, dalla Chiesa che c'è prima di te; proprio perché la fede è un dono di Dio ma dentro questa consegna di altri che la fede l'hanno vissuta, l'hanno praticata prima di te; proprio per questo l'operazione essenziale/secondario è pericolosissima e in ultimo ingannevole e falsa.

  La fede non è una tua elucubrazione personale, il Cattolicesimo è un fatto comunicato da una presenza cattolica prima di te, che ti abbraccia e alla quale tu decidi di appartenere e che a tua volta, se sarai stato fedele, consegnerai ad altri. Per questo un fatto dato, una vita data, una storia che ti raggiunge, la si segue ripetendola con fedeltà anche nei suoi gesti più piccoli ed esteriori, pena il perdere la comunicazione del fatto stesso.
  Ad esempio come distinguere nettamente la fede nella presenza reale di Gesù Cristo nell'Eucarestia dalle genuflessioni? Certo che le genuflessioni sono un fatto esterno, un'espressione di usi storici contingenti derivati da una certa cultura, un'espressione secondaria, ma toglietele o diminuitele e vedrete che la fede nella presenza eucaristica muterà in sostanza, come è mutata di fatto nel cattolicesimo di oggi. Allora, si può davvero distinguere essenziale da secondario? E se fosse il secondario a portare l'essenziale? E nei secoli è proprio salvando il secondario che il Cattolicesimo romano ha salvato il deposito della fede!

  Potremmo al riguardo estendere il ragionamento a mille aspetti della vita della Chiesa, Papa-Vescovi-Sacramenti-Disciplina-Vita dei fedeli, e la conclusione non cambierebbe. Lo sa bene ogni buon padre e madre, che se vuole salvare la santità della sua famiglia e della vita dei figli, deve custodire con rigorosa precisione la compostezza dignitosa della conduzione della sua casa: ogni cedimento sulle piccole regole ha conseguenze devastanti.

  All'inizio di un anno nuovo dobbiamo dunque implorare la grazia di essere fedeli al secondario, che secondario poi non è, per salvare la fede, la fede cattolica.

  Fedeli al “secondario essenziale”, cioè ai gesti che la Chiesa compie con semplice fedeltà, là dove emerge per noi la presenza della Chiesa che non ha buttato il secondario sfigurando il suo volto.
  Fedeli al centro di messa tradizionale che ci è dato, fedeli alla vita concreta che sgorga come dono in questo luogo, secondo i gesti puliti della Tradizione: Messa quotidiana, Messa cantata la domenica, la Dottrina per i grandi prima e per i piccoli poi, l'amore al canto liturgico, la preghiera personale e la regolarità nei sacramenti, la lettura e lo studio del tesoro cristiano, la carità vicendevole capace di tenerezza e di responsabile severità.
  Tutto qui, fedeli a quello che la Chiesa ha sempre fatto, senza stancarsi, e nella forma con cui l'ha fatto, quella forma che cresciuta e purificata nei secoli è la sola ad essere capace di trasmettere in modo vivo la fede e la grazia di sempre.

  Se non saremo fedeli nel concreto, una consegna si spezzerà e allora non potremo parlare di Tradizione, perché la Tradizione non è un'idea ma una consegna!

  È sempre stato così, in tutti i tempi della Chiesa.

  Parlando della difficile epoca delle invasioni barbariche, Christopher Dawson dice dei monaci:

  “E benché il monachesimo a prima vista sembri poco adatto a resistere alla spietata mania di distruzione in un'epoca di violenza e di guerra, dimostrò di possedere una straordinaria forza di recupero. Su cento monasteri, novantanove potevano essere distrutti e i monaci uccisi o scacciati, e pur tuttavia l'intera tradizione poteva ancora essere ricostruita dall'unico sopravvissuto, e i luoghi devastati potevano essere ripopolati da nuovi contingenti di monaci, i quali avrebbero di nuovo riallacciato le interrotte tradizioni, seguendo la stessa regola, celebrando la stessa liturgia, leggendo gli stessi libri e avendo gli stessi pensieri dei loro predecessori” (Christopher Dawson, Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale, BUR Rizzoli, 1997, pag.86).

  Non è forse questa anche la nostra storia? Dentro la barbarie del mondo cristiano che ha abbandonato Cristo, tra i ruderi lasciati dal cattolicesimo liberale sempre più agnostico, ricominciare costantemente a vivere i gesti della fede consegnata, e viverli dentro un luogo dato.

  Non ci interessa se non questo, non chiedeteci altro perché questo è l'essenziale, che purtroppo a troppi sembra ancora secondario.

martedì 25 dicembre 2018

Buon Natale!


IL NATALE
di Alessandro Manzoni


Qual masso che dal vertice
di lunga erta montana,
abbandonato all'impeto
di rumorosa frana,
per lo scheggiato calle
precipitando a valle,
barre sul fondo e sta;

là dove cadde, immobile
giace in sua lenta mole;
né, per mutar di secoli,
fia che riveda il sole
della sua cima antica,
se una virtude amica
in alto nol trarrà:

tal si giaceva il misero
figliol del fallo primo,
dal dì che un'ineffabile
ira promessa all'imo
d'ogni malor gravollo,
donde il superbo collo
più non potea levar.

Qual mai tra i nati all'odio,
quale era mai persona
che al Santo inaccessibile
potesse dir: perdona?
far novo patto eterno?
al vincitore inferno
la preda sua strappar?

Ecco ci è nato un Pargolo,
ci fu largito un Figlio:
le avverse forze tremano
al mover del suo ciglio:
all' uom la mano Ei porge,
che sì ravviva, e sorge
oltre l'antico onor.

Dalle magioni eteree
sgorga una fonte, e scende,
e nel borron de' triboli
vivida si distende:
stillano mele i tronchi
dove copriano i bronchi,
ivi germoglia il fior.

O Figlio, o Tu cui genera
l'Eterno, eterno seco;
qual ti può dir de' secoli:
Tu cominciasti meco?
Tu sei: del vasto empiro
non ti comprende il giro:
la tua parola il fe'.

E Tu degnasti assumere
questa creata argilla?
qual merto suo, qual grazia
a tanto onor sortilla
se in suo consiglio ascoso
vince il perdon, pietoso
immensamente Egli è.

Oggi Egli è nato: ad Efrata,
vaticinato ostello,
ascese un'alma Vergine,
la gloria d'lsraello,
grave di tal portato
da cui promise è nato,
donde era atteso usci.

La mira Madre in poveri
panni il Figliol compose,
e nell'umil presepio
soavemente il pose;
e l'adorò: beata!
innazi al Dio prostrata,
che il puro sen le aprì.

L’Angel del cielo, agli uomini
nunzio di tanta sorte,
non de' potenti volgesi
alle vegliate porte;
ma tra i pastor devoti,
al duro mondo ignoti,
subito in luce appar.

E intorno a lui per l'ampia
notte calati a stuolo,
mille celesti strinsero
il fiammeggiante volo;
e accesi in dolce zelo,
come si canta in cielo
A Dio gloria cantar.

L’allegro inno seguirono,
tornando al firmamento:
tra le varcare nuvole
allontanossi, e lento
il suon sacrato ascese,
fin che più nulla intese
la compagnia fedel.

Senza indugiar, cercarono
l'albergo poveretto
que' fortunati, e videro,
siccome a lor fu detto
videro in panni avvolto,
in un presepe accolto,
vagire il Re del Ciel.

Dormi, o Fanciul; non piangere;
dormi, o Fanciul celeste:
sovra il tuo capo stridere
non osin le tempeste,
use sull'empia terra,
come cavalli in guerra,
correr davanti a Te.

Dormi, o Celeste: i popoli
chi nato sia non sanno;
ma il dì verrà che nobile
retaggio tuo saranno;
che in quell'umil riposo,
che nella polve ascoso,
conosceranno il Re.

venerdì 30 novembre 2018

Se una legge è fatta per il male non è più una legge - Editoriale di "Radicati nella fede" - Dicembre 2018


Pubblichiamo l'editoriale di Dicembre 2018

SE UNA LEGGE E' FATTA PER IL MALE
NON E' PIU' UNA LEGGE


SE UNA LEGGE E' FATTA PER IL MALE
NON E' PIU' UNA LEGGE
Editoriale di "Radicati nella fede" - Anno XI n° 12 - Dicembre 2018

  Sempre più convinti che la scelta giusta fu passare totalmente alla Messa antica senza ammettere nessuna eccezione. Lo abbiamo fatto con l'unica legge possibile, che non è quella del Motu Proprio Summorum Pontificum. Lo abbiamo fatto con la legge sacrosanta della Chiesa che, nel caso di una riforma dubbia, prevede che sacerdoti e fedeli possano avvalersi della facoltà di stare alla legge precedente, che dubbia non è.

  Per giudicare se la riforma liturgica sia stata un bene o no, è sufficiente constatarne gli effetti. Supponiamo pure che cambiare la messa, ammodernarla, fosse una legge obbligatoria come si è fatto credere nei passati decenni (se non lo si fosse fatto credere, quanti preti e fedeli non l'avrebbero cambiata!), gli effetti così disastrosi che questo obbligo ha prodotto dovrebbero aprire gli occhi e far dire “Non è possibile celebrare questa messa, non è possibile!”.
  Una legge è fatta per il bene della Chiesa e non per il suo male!

  Una legge, dice Leone XIII, è un ordine per un bene comune, non per un male comune. Questo è così evidente che se una legge è fatta per il male, non è più una legge, e come scrive esplicitamente Leone XIII nella sua enciclica Libertas, non si deve obbedirle.
  Nella Chiesa allora, in casi simili, ci si attiene alla legge immediatamente precedente che non mette in pericolo la vita di fede: ecco perché ci atteniamo all’ultima riforma che non tocca la nostra fede, che non diminuisce la nostra fede, quella del Papa Giovanni XXIII, riconoscendo la sua autorità di Sommo Pontefice nell'editare il Messale del 1962 e il nuovo Breviario: tutto qui.

  Invece, solo un cieco, ideologicamente fermo a delle idee astratte che non si lasciano sottoporre a verifica dai fatti, non vede gli effetti deplorabili della riforma liturgica: una libertà che sconfina nella licenza, nella liturgia e nell'applicazione dei sacramenti, che ha portato in questi decenni fino al disgusto molti fedeli, tanto da far abbandonare loro i sacramenti e la messa. E se questo disgusto oggi non è più espresso, è perché i fedeli non ci sono più da tempo nelle chiese vuote. Perché assistere a delle cerimonie che sanno di teatro se non di sacrilegio? E come volete che la gente creda ancora quando va a teatro? e quando questo teatro, sottoposto a continui cambiamenti ha perso tutto il soprannaturale, tutto il senso di Dio, banalizzandosi sino ad offendere il buon gusto e l'intelligenza umana, quando accade tutto questo come volete che la gente creda ancora?

  Questa riforma inarrestabile, che non accetta nessuna verifica sugli effetti, che, ingorda, non si è accontentata nemmeno dei primi cambiamenti già pericolosi ed equivoci; questa riforma che ha prodotto la più grande crisi sacerdotale che si possa immaginare, che ha fatto della preghiera cristiana non qualcosa che si è ricevuto da Cristo attraverso gli Apostoli, ma qualcosa che l'uomo reinventa pescando nel suo profondo e adattandosi alla mentalità dominante, giunge ai nostri giorni addirittura a toccare il Pater noster e il Gloria in excelsis Deo.

  Questa riforma inarrestabile e ingorda continua imperiosa e cade su un resto di popolo cristiano sfinito che non ha nemmeno più la forza di reagire, tanto ne ha viste in questi anni da parte dei suoi pastori. Attendeva questo resto di fedeli una parola sicura, che rinfrancasse la sua fedeltà messa alla prova in questa crisi spaventosa della Chiesa, ma accendendo la televisione o la radio ha sentito la grande notizia: per 20 secoli abbiamo sbagliato a pregare il Padre nostro così!... forse da questo ultimo attentato qualcuno in più potrà rendersi conto di cosa si sia fatto nei decenni della rivoluzione liturgica: si è tradotto per cambiare.

  E noi non vogliamo cambiare... ci si lasci in pace con la Messa in latino, volendo stare con 20 secoli di cristianesimo passati... ci sentiamo così più sicuri di non sbagliare. Tanto più che anche questi ultimi cambiamenti cambieranno presto, è la legge della chiesa ammodernata: soffocare la coscienza del disastroso vuoto nello stordimento di continue riforme.

  Ci si lasci in pace, volendo vivere un cattolicesimo semplice e profondo, soprannaturale, che non cerca la novità se non nella grazia dell'incontro con Cristo.

  Ci si lasci vivere e morire così, con la speranza di avere ancora un prete che ci canti la Messa e ci accompagni al campo santo nel giorno che Dio vorrà, perché nella chiesa ammodernata questo non avverrà più.

giovedì 22 novembre 2018

et ne non inducas in tradutionem

Perché non si può far passare un'interpretazione per traduzione (come nel caso di "non abbandonarci alla tentazione")?
Alle parole della Sacra Scrittura quanto al senso non è lecito aggiungere niente, ma quanto alla spiegazione gli esegeti aggiungono molte parole. Tuttavia queste aggiunte espositive non possono farsi passare come parti integranti della Scrittura,
perché ciò sarebbe falso
” San Tommaso, Summa Theol., IIIª q. 60 a. 8 ad 1

mercoledì 31 ottobre 2018

"Dov'è il Popolo di Dio?" - Editoriale di "Radicati nella fede" - Novembre 2018


Pubblichiamo l'editoriale di Novembre 2018

"DOV'E' IL POPOLO DI DIO?"


"DOV'E' IL POPOLO DI DIO?"
 Editoriale di "Radicati nella fede" - Anno XI n° 11 - Novembre 2018

  L'effetto più devastante del falso rinnovamento avvenuto in casa cattolica in questi decenni è la scomparsa della Chiesa.

  Li sentiamo già i perennemente moderati dirci “... ma la Chiesa non scompare! È del Signore! Le porte degli inferi non prevarranno!...”. Certo, la Chiesa in sé non verrà meno fino alla consumazione dei secoli, ma può scomparire di fatto nel nostro tessuto sociale, nel nostro mondo, nei nostri paesi che avevano nelle parrocchie l'identità più forte.

  Certo, ogni giorno si parla della Chiesa, molto del Vaticano, sui giornali e su tutti i mezzi di comunicazione... si moltiplicano le dichiarazioni che dicono tutto e il contrario di tutto, ma tutto questo è inversamente proporzionale alla presenza della Chiesa là dove vivi. Così ti trovi ad essere informato sugli ultimi scoop vaticani, e nel medesimo tempo non sapresti a quale campanello suonare per trovare un prete.

  Il poderoso sconquassamento della struttura cattolica tradizionale è stato possibile perché a fine anni '60 la Chiesa c'era ancora con tutta la sua visibilità e reperibilità; ma questo stolto sconquassamento sta producendo il vanificarsi della presenza della Chiesa stessa, che da quegli anni si lanciò in una rivoluzione inimmaginabile fino ad allora.

  Se ne accorse lo stesso Paolo VI e ne fece un grido:
  “Dov’è il “Popolo di Dio”, del quale tanto si è parlato, e tuttora si parla, dov’è?

  Dovremmo tenere bene nella mente e nel cuore queste parole, questo appello drammatico, dov’è il “Popolo di Dio”, del quale tanto si è parlato, dov'è? Proprio noi della Tradizione siamo chiamati a lasciarci educare da questo grido, così che il nostro amore alla Chiesa si dilati e si purifichi.

  Non c'è Tradizione senza la Chiesa, non c'è tradizione che non riaffermi la fede nel Corpo Mistico di Cristo. Se non fosse così saremmo come quelli che in nome del rinnovamento hanno affossato la presenza della Chiesa nel mondo.

  Loro, gli ammodernatori, lo hanno fatto diluendo la presenza dei cristiani nel mondo con l'illusione di avere un'influenza più capillare nella società. È lo schema del cattolicesimo liberale: la Chiesa societas deve scomparire per far spazio ad una chiesa più spirituale capace di essere lievito nella massa della società... risultato: la Chiesa di fatto non c'è più, è inincidente, e la società non è mai stata così lontana da Gesù Cristo e dal suo Vangelo, tanto che la Chiesa oggi per dialogare deve tacere il Vangelo stesso facendo psicologia e sociologia spicciola e a basso mercato.

  Noi, desiderosi del ritorno del cattolicesimo alla propria tradizione, rischiamo di pensare che basti ristabilire delle regole e delle idee chiare perché le anime tornino alla fede, dimenticando che questo ritorno è questione di Grazia e che la grazia opera secondo il metodo di Dio che si chiama Chiesa: Cristo ha lasciato il suo prolungamento nel mondo e si chiama Chiesa, fatta dagli uomini afferrati e trasformati dalla sua grazia potente. Non c'è ritorno alla Tradizione senza Chiesa, non c'è Vangelo senza Chiesa, non ci sono Sacramenti e Grazia senza Chiesa, così Dio ha fatto le cose.

  Certo, la crisi è spaventosa e sfigurante... ma non se ne esce con un tradizionalismo individualista (potremmo forse definirlo un tradizionalismo liberale?), ma tenendo dentro il grido di Paolo VI dov’è il “Popolo di Dio”, del quale tanto si è parlato, e tuttora si parla, dov’è? e pregando e operando di conseguenza.

 «Dov’è il “Popolo di Dio”, del quale tanto si è parlato, e tuttora si parla, dov’è? Questa entità etnica sui generis… Come è compaginato? Com’è caratterizzato? Com’è organizzato? Come esercita la sua missione ideale e tonificante nella società, nella quale è immerso? Bene sappiamo che il Popolo di Dio ha ora, storicamente, un nome a tutti più familiare; è la Chiesa» 23 luglio 1975.

 Allora l'opera a cui Dio chiama tutti è fare la Chiesa, perché sussista nel nostro mondo la possibilità di incontrare Gesù Cristo, di toccare Gesù Cristo. Fosse anche un “piccolo resto” questa Chiesa deve esserci.

  «C’è un grande turbamento in questo momento nel mondo e nella Chiesa, e ciò che è in questione è la fede… Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominante un pensiero di tipo non-cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia» (J. Guitton, Paolo VI segreto, 1977).

  Vogliamo la Tradizione nella Messa e in tutto il resto non per un gusto personale, bensì perché questo piccolo resto sussista. E mentre molti ci accusano di non fare la Chiesa con gli altri, ribadiamo che è proprio per fare la Chiesa che non facciamo come tutti gli altri, perché la Chiesa nelle nostre terre sta venendo meno.

domenica 30 settembre 2018

L'ermeneutica impedisce il giudizio - Editoriale di "Radicati nella fede" - Ottobre 2018


Pubblichiamo l'editoriale di Ottobre 2018

L'ERMENEUTICA 
IMPEDISCE IL GIUDIZIO


L'ERMENEUTICA IMPEDISCE IL GIUDIZIO
Editoriale di "Radicati nella fede" - Anno XI n° 10 - Ottobre 2018

  Viviamo ormai da tanti, troppi decenni, in un tempo di riforma perenne della Chiesa.
  Non sapremmo nemmeno più definirla, la Chiesa, se non dentro un continuo ed estenuante cambiamento: “chi si ferma è perduto” sembra ironicamente diventato il nuovo e onnicomprensivo comandamento.

  Una riforma a tutti i suoi livelli e sotto tutti gli aspetti fu invocata e attuata perché, dicevano, la Chiesa potesse venire in contatto con la società degli uomini in perenne mutamento; perché potesse venire in contatto con essa in modo più libero e puro.

  La riforma fu chiesta e poi propagandata per motivi “pastorali”, perché la Chiesa non continuasse ad emarginarsi in un rifiuto della modernità.

  È dentro questa urgenza pratico-pastorale che i più si convinsero che bisognasse accettare tutta una serie di riforme-rivoluzioni che, a partire dalla Messa, dovevano mutare completamente il volto della Chiesa di due millenni.

  Non è vero che le riforme, queste riforme, fossero attese. Il mondo cattolico ha avuto sempre una “santa pigrizia” nel non cambiare troppo e per secoli l'immutabilità fu insegnata come una delle più importanti caratteristiche della vera Chiesa.

  Ma occorreva non perdere il mondo che stava diventando liberale, agnostico e poi socialista; bisognava inoltre non perdere i “fratelli separati” che, nel mentre, distaccati da secoli da una Roma troppo conservatrice, avevano prodotto in tutta libertà tutta una serie di riforme che forse potevano, almeno in parte, essere recepite e valorizzate.

  Occorreva cambiare, cambiare... era il mantra ossessivamente ripetuto da più parti cosicché anche i “devoti” non trovarono più le ragioni e la forza per dire di no a quello che apparve subito come uno sconquassamento generale della vita cattolica.

  Il mondo laico ne fu stupito e meravigliato, acclamò alla nuova chiesa che finalmente entrava a far parte del mondo delle rivoluzioni.

  Così i preti, piangendo alcuni, faticando e pasticciando molti, lieti pochi, mutarono la Messa della loro ordinazione, la Messa dei preti di tutta la cristianità, e diedero inizio alla nuova e mai vista avventura della fondazione di un nuovo tipo di cristianesimo.
  Tutto fu chiesto in nome del dialogo col mondo, che doveva finalmente incontrare una chiesa dal volto umano. Forse perché la Chiesa di un tempo non lo aveva avuto questo volto umano? I santi di secoli non avevano avuto un volto umano? Le nostre semplici comunità parrocchiali, quelle delle grandi città e quelle dei borghi agricoli o montani, non erano forse state famiglie umane? Certo che erano umane, anzi umanissime... ed ora in molti iniziano a rimpiangere quella umanità! Ma tutto questo non bastava ai soliti irrequieti dell'evoluzione sociale.

  Bisognava accettare di cambiare per aiutare il mondo ad incontrare Cristo, cosi dicevano i devoti guadagnati alla riforma... così fu detto, solo che in nome dell'incontro con il mondo la Chiesa finì per vergognarsi di Cristo.

L’umanesimo laico profano alla fine è apparso nella terribile statura ed ha, in un certo senso, sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è fatto uomo si è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? Uno scontro, una lotta, un anatema? poteva essere, ma non è avvenuto. L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani (e tanto maggiori sono, quanto più grande si fa il figlio della terra) ha assorbito l’attenzione del nostro Sinodo. Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo” (Paolo VI, 7.12.1965)...

  questo fu il programma, più intellettuale che reale... ma ora, a cinquant'anni di distanza, abbiamo il dovere di valutarne gli esiti disastrosi!

  Possiamo chiedere ai pastori della Chiesa che considerino il clima di morte regnante nel mondo cattolico? Eresia, banalità ereticali, immoralità sistematica, spegnimento di ogni entusiasmo, clero cattolico in via di estinzione, laicizzazione agnostica del laicato cattolico, aborto normalizzato, eutanasia praticata di fatto, unioni contro natura di fatto benedette da una chiesa che tace, scomparsa del matrimonio cristiano, denatalità spaventosa, ogni genere di vizio ammesso e compreso in nome di un umanesimo ritrovato: erano questi gli esiti attesi dai “cultori dell'uomo”?

  Possiamo chiedere ai legittimi pastori di guardare la realtà e di dire una parola che non sia la cura di una chiesa intesa come una azienda da gestire?

  Sembra di sentire le risposte di alcuni di loro, i più “impegnati”: “è troppo presto per giudicare un fenomeno così complesso e recente”.

  Sì, è la nuova trovata per sottrarsi ad una verifica, che nel caso della nuova chiesa finirebbe per essere senza dubbio impietosa.

  Fanno così i pastori ammodernati, simili a degli agenti di cambio nei loro uffici, più politici che credenti, dicono che non si può ancora dare un giudizio, perché devono passare secoli per una verifica seria! Intanto i cristiani muoiono.
  I cristiani muoiono, mentre i pastori sono preoccupati dell'unità delle diocesi, cioè che tutti dicano di sì... ma sì a che cosa, se non al nulla, visto che Cristo in quello che chiedono o non si trova, o è perso in mille mediazioni?

  Si sono ostinati i novatori, che non amavano più la Chiesa com'era perché non capivano più Cristo e la sua Grazia – non capivano e si tediavano della vita cattolica – si sono ostinati a pretendere il cambiamento e hanno convinto i timidi “devoti”.
  Ora gli stessi hanno inventato l'ermeneutica ecclesiasticamente intesa, per sottrarsi al giudizio, a quel giudizio che è la caratteristica del cristiano: “L'uomo spirituale giudica ogni cosa e non è giudicato da nessuno” (I Cor 2,15).

  Hanno cavalcato l'ermeneutica e l'hanno ecclesiasticizzata: “è la distanza che crea significato...” ...per interpretare la riforma della Chiesa bisognerà attendere secoli, solo ora iniziamo a capire Lutero, dicono con sfacciataggine!

  Invece noi chiediamo un giudizio subito, che parta dalla realtà, che parta da Cristo. Dobbiamo pretenderla la verifica, senza attendere secoli perché, se siamo cultori dell'uomo, sappiamo che l'uomo vive solo di Cristo.

  Dobbiamo pretenderlo tutto questo perché le anime vivano della Grazia e la Chiesa torni al suo volto divino, cioè umano.


sabato 1 settembre 2018

un'agonia di olocausto accompagnata da canti nuziali - Editoriale di "Radicati nella fede" - Settembre 2018


Pubblichiamo l'Editoriale di Settembre 2018

UN'AGONIA DI OLOCAUSTO
ACCOMPAGNATA DA CANTI NUZIALI


UN'AGONIA DI OLOCAUSTO ACCOMPAGNATA DA CANTI NUZIALI
Editoriale di "Radicati nella fede" - Anno XI n° 9 - Settembre 2018

  Di fatto la riforma liturgica; di fatto la riforma della messa cattolica, cuore della riforma liturgica e chiave interpretativa di tutto il Concilio, ha costituito il più pericoloso imborghesimento della preghiera cristiana.

  Sappiamo, usando il termine “imborghesimento”, di destare le reazioni di “destra” e di “sinistra”, ma non riusciamo a trovare un termine che riassuma più compiutamente e sinteticamente il ribaltamento della preghiera cristiana, trasformata da coscienza di un avvenimento che accade in espressione personale della lode a Dio.

venerdì 31 agosto 2018

Mons. Athanasius Schneider interviene in nome e per conto dei "semplici fedeli, i 'piccoli', profondamente scioccati e scandalizzati per casi gravi recentemente divulgati"


Una riflessione sulla testimonianza dell'arcivescovo Carlo Maria Viganò
Scritto da Mons. Athanasius Schneider
È un fatto raro ed estremamente grave nella storia della Chiesa che un vescovo accusi pubblicamente e specificamente un Papa regnante. In un documento recentemente pubblicato (22 agosto 2018) l'arcivescovo Carlo Maria Viganò testimonia che da cinque anni papa Francesco era venuto a conoscenza di due fatti: che il cardinale Theodor McCarrick aveva commesso reati sessuali contro i seminaristi e contro suoi subordinati, e che esistono sanzioni impostegli da Papa Benedetto XVI. Inoltre, l'arcivescovo Viganò ha confermato la sua affermazione con un sacro giuramento che invoca il nome di Dio. Pertanto non c'è alcun motivo ragionevole né plausibile di dubitare sulla veridicità del contenuto del documento dell'Arcivescovo Carlo Maria Viganò.


martedì 14 agosto 2018

corpore et anima ad caele­stem gloriam assumpta


L'ASSUNZIONE DELLA B.V. MARIA NELLA TESTIMONIANZA DEGLI ANTICHI PADRI E SCRITTORI CRISTIANI

 

Premessa

L'Assunzione di Maria è un dogma definito solennemente da Pio XII il 1° novembre 1950 con la Costituzione Apostolica Munificentissimus Deus. La solenne definizione del dogma dell'Assunzione della Beata Vergine Maria non fu un atto improvviso del Magistero, ma la conveniente conclusione di un lungo periodo di riflessione della Chiesa sulle sorti ultime della Theotokos. La definizione dogmatica coronava e proclamava una fede costante e universal­mente professata nella Chiesa da tutto il popolo di Dio.

Altresì la definizione dogmatica dell'Assunzione di Maria Vergine era nei voti di gran parte dei cattolici. Già in seno al Concilio Vaticano I era sorto un movimento in favore della definizione dogmatica dell'Assunzione; tale movimento dal 1869 al 1941 indirizzò alla Santa sede 3019 petizioni in tal senso. Tali petizioni raccolsero l'adesione di 113 cardinali, 18 patriarchi, 2505 Vescovi, 32.000 sacerdoti e religiosi, 50.000 religiose e oltre 8 milioni di fedeli. A questo im­ponente plebiscito "assunzionistico" accennò pure Pio XII nella lettera Deiparae Virginis, in­viata a tutto l'Episcopato cattolico, con la quale chiedeva ai vescovi se 1'Assunzione di Maria potesse essere definita dogmaticamente e se desiderassero, insieme ai loro fedeli, un intervento solenne del supremo Magistero ecclesiastico. Ad ambedue le domande la stragrande maggio­ranza dei vescovi rispose affermativamente e Pio XII procedette alla solenne definizione dog­matica il 1° novembre 1950 con le seguenti parole:

martedì 31 luglio 2018

Gli eterni aspettanti - Editoriale di "Radicati nella fede" - Agosto 2018


Pubblichiamo l'editoriale di Agosto 2018

GLI ETERNI ASPETTANTI


GLI ETERNI ASPETTANTI
Editoriale di "Radicati nella fede" - Anno XI n° 8 - Agosto 2018

  Per quale ragione siamo in fondo convinti che non si possa rifare almeno un pezzo di Cristianità? Qual è il motivo di fondo che ci impedisce anche solo il desiderare sul serio che la società torni ad essere cristiana, nelle sue espressioni e nelle sue istituzioni?
  Qual è il segreto macigno che ci impedisce, anche quando un briciolo di questo desiderio si manifesta ancora in noi; qual è il segreto macigno che blocca il nostro reale operare, perché il nostro mondo torni ad essere cattolico?

  I motivi secondari sono tanti, ci sono di mezzo, certamente, il nostro peccato e tutte le nostre meschinità, ma tutto questo viene dopo la pietra d’inciampo, che è ormai un vero macigno:
  il più delle volte noi viviamo come se tutto non fosse compiuto. Viviamo in fondo come gli Ebrei che attendono ancora e questo costituisce il nostro tradimento.

  Gli Ebrei furono definiti “gli eterni aspettanti”, perché non accolsero il Messia volendone un altro; ma come dovremo essere definiti noi, se vivremo senza la convinzione che tutto è compiuto?

  “Consummatum est” disse Cristo sulla Croce, tutto è compiuto. Gesù Cristo Signore Nostro ci ha già redenti, ha ottenuto per noi tutte le grazie che ci sono necessarie; ci ha dato tutti gli strumenti, nei Sacramenti, perché la nostra trasformazione in lui avvenga; ci ha consegnato tutte le verità necessarie per la nostra salvezza, perché si compia la nostra santificazione. La Rivelazione è conclusa con la morte di S. Giovanni; il tesoro di grazia è al completo per noi, tutto è compiuto, tutto ci è dato.

  Invece noi, per non operare, per non “trafficare” la grazia dataci, attendiamo ancora… alcuni passano tutta la vita così, ed è terribile!

  Attendono ancora che qualcosa capiti, come se Cristo non fosse venuto.
  Alcuni, molti, attendono ancora come se Cristo non avesse tutto compiuto.
  Alcuni, troppi, attendono ancora come se non avessero tutti gli strumenti necessari per la grande operazione: la santificazione della propria vita e la trasformazione del mondo in Cristianesimo, in Cristianità.
  Esattamente come gli Ebrei, attendono ancora e questa attesa è tradimento.

  “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?” (Mt 11,3) chiese dal carcere San Giovanni Battista. E saputo che la salvezza era presente (“Andate e riferite a Giovanni... i ciechi vedono, gli storpi camminano, ... ai poveri è annunciata la buona novella” Mt 11,4-5), consegnò la vita nel supremo martirio e i suoi discepoli seguirono il Messia e fecero il Cristianesimo.

  Non dobbiamo attendere un altro e Cristo ha già tutto compiuto, se aspettassimo ancora compiremmo il supremo tradimento.

  I santi di tutti i tempi sanno questo e, nell’ora del loro presente, compiono l’opera di Dio.

  Hanno fatto la Cristianità, cioè la trasformazione della società umana in cristiana, coloro che non attendevano altro perché sapevano che tutto è compiuto. Uomini e donne indecisi sulla definitività della Rivelazione non avrebbero combinato nulla. Uomini e donne impegnati a reinterpretare la Rivelazione per scoprirne novità rivoluzionarie, non avrebbero costruito niente.

  Certo, il cristiano è colui che attende: attende però il ritorno definitivo di Cristo, non il compimento della sua Rivelazione e della sua opera, c’è una bella differenza!

  Il cristiano è costituito dall’attesa del ritorno definitivo di Cristo, quando verrà a giudicare i vivi e i morti e il suo regno non avrà fine.

  Attende, il cristiano, la ricapitolazione di tutta la realtà in Cristo quando lui porterà a compimento, purificando, la cristianizzazione della realtà.

  Per questo il cristiano, che ha ormai tutte le grazie per quest’opera, inizia questo lavoro di trasformazione della realtà; la inizia nel tempo, in questo tempo che gli è dato; inizia questo lavoro, che Cristo porterà definitivamente a compimento con il suo ritorno, in questo costituisce il Giudizio.

  E noi rischiamo di attendere ancora per non compiere il nostro lavoro!

  Anche noi, carissimi, che orgogliosamente amiamo definirci tradizionali, anche noi rischiamo di attendere ancora. Certo, sappiamo bene che la Rivelazione è conclusa, poi però aspettiamo sempre che qualcosa capiti nella Chiesa per poter iniziare un lavoro su di noi e sul mondo… e non capiterà nulla di nuovo, se non la nostra santificazione o il nostro tradimento.

  Anche noi rischiamo di essere “eterni aspettanti” come gli Ebrei; come i cristiani che attendono qualche nuova interpretazione della legge di Dio, qualche novità che renda più allettante la fede; qualche novità nei Comandamenti, nei Sacramenti e nella Messa che li renda più efficaci.

  Ma questi aspettanti non fanno la storia, perché la storia è di Dio e tutto è già compiuto.

sabato 30 giugno 2018

E' venuta l'ora di donare la propria vita per Cristo - Editoriale di "Radicati nella fede" - Luglio 2018


Pubblichiamo l'Editoriale di Luglio 2018

E' VENUTA L'ORA
DI DONARE LA PROPRIA VITA 
PER CRISTO


E' VENUTA L'ORA 
DI DONARE LA PROPRIA VITA PER CRISTO
Editoriale di "Radicati nella fede" - Anno XI n° 7 - Luglio 2018

 “Non è più tempo di dimostrare che Dio esiste, è venuta l'ora di donare la propria vita per Cristo”, così scrive Léon Bloy in una delle sue opere più interessanti “Celle qui pleure”, “Colei che piange”, tutto un testo forte, deciso, a volte violento, in difesa del messaggio della Madonna a La Salette.

  Non è più tempo di provare che Dio esiste, non è più tempo di perdersi in conversazioni e discorsi accademici, in disquisizioni sulla situazione della fede e della Chiesa. Non è più il tempo delle conferenze, dei conferenzieri, dei teologi, dei pedagogisti, dei pastoralisti. E' venuto il tempo di donare la vita per Cristo.

  Anche noi che ci amiamo definire tradizionali, anche noi che siamo definiti dagli altri come tradizionalisti in modo dispregiativo, sì anche noi, proprio noi, dobbiamo stare attenti a non perderci in dimostrazioni inutili. E' venuta l'ora, è suonata l'ora anche per noi di dare la vita per Cristo.

  Che cosa distingue un vero cattolico, e quindi un vero cattolico tradizionale, dal cattolico di un giorno, dal cattolico liberale, dal cattolico ammodernato? Il fatto che dà la vita per Cristo.

  Dà la vita, e non solo qualcosa, poco o tanto che sia.

  Invece, proprio su questo, proprio sul fatto di dare la vita per Cristo, anche noi, e lo scriviamo con dolore, anche noi ci siamo ammodernati.

  Siamo diventati come tutti, pieni di distinguo, di considerazioni secondarie, di “bisogna vedere, bisogna valutare”, “non si può chiedere troppo” ... “non esageriamo”.

  Che senso avrebbe, ad esempio, lo scandalizzarsi per la confusione seguita ad esempio per Amoris Laetitia se poi non piangiamo di dolore perché noi non diamo a sufficienza la vita per Cristo? Che senso avrebbe desiderare il ritorno della Chiesa alla sua Tradizione, senza vedere che il cuore della Tradizione stessa è proprio il dare la vita per Cristo.

  Che senso avrebbe nausearsi per l'immoralità dilagante e istituzionalizzata nel mondo ateizzato di oggi, se poi non si fosse disposti a dare tutto a Dio. Non c'è una morale del giusto mezzo in questo, la morale cattolica è la morale del tutto a Dio.

  Rimpiangiamo la Cristianità, noi tradizionali rimpiangiamo questo, rimpiangiamo un mondo totalmente cattolico, un mondo che in tutti i suoi aspetti dipendeva totalmente da Dio, ma dimentichiamo che la Cristianità è stata fatta da uomi e donne che hanno dato la vita per Cristo.

  E cosa vuol dire dare la vita per Cristo? Innanzitutto vuol dire rendere possibile sempre, in ogni circostanza, in ogni tempo, in ogni situazione, dentro ad ogni avvenimento; significa rendere possibile l'affermazione del primato di Cristo nella nostra vita e per conseguenza nella vita di tutti.

  San Benedetto esprime così il dare la vita per Cristo, “Nulla anteporre all'amore di Dio”: tutto questo è fatto di scelte, di cose che vengono prima e altre dopo. Il primato di Dio, riconosciuto, diventa opera; nella nostra vita diventa un'azione, una scelta e un'azione: Dio viene prima.

  E l’atto di riconoscere il primato a Dio è fatto con una coscienza dentro: la coscienza che dall'obbedienza a Dio dipende la nostra salvezza e la salvezza del mondo. Chi non riconosce che si tratta di questione di vita o di morte non da veramente il primato a Dio.

  Se la scelta per Cristo non avesse dentro questo senso del dramma, cioè la coscienza del pericolo, ovvero che il mondo può perdersi se non afferma Dio; se non ci fosse chiaramente questo senso del dramma saremmo ancora dei cattolici ammodernati.

  Passate in rassegna tutte le apparizioni mariane di tutti i tempi, considerate tutti i messaggi che la Chiesa ha riconosciuto come vere rivelazioni private, passate in rassegna, ed è sufficiente, La Salette, Lourdes, Fatima, e avrete il senso genuino del dramma. “Se il mio popolo non vuole sottomettersi, sarò costretta a lasciare cadere il braccio di mio Figlio” (La Beata Vergine Maria a La Salette); e questa chiarezza sull’urgenza dell’obbedienza a Dio è nient’altro che l’eco di tutto il Vangelo.

  Queste considerazioni non sono esercizio di scuola, non sono buone per sorreggere le nostre idee; queste considerazioni sono l'anima di scelte decisive che noi dobbiamo fare, che ciascuno di noi deve fare.

  Vedete, cari amici, in questi anni, e giustamente, ci siamo preoccupati della peste modernista, cioè del fatto che la dottrina della Chiesa è stata intossicata dal Modernismo considerato come la somma di tutte le eresie; il Modernismo fatto di distinguo, di accentuazioni più o meno forti, di sottigliezze intellettuali, di affermazioni del vero e del dogma a fianco a spaventose riduzioni modernizzate del cristianesimo. In questi anni ci siamo preoccupati giustamente del Modernismo come del fenomeno che maggiormente ha sfigurato la vita della Chiesa.

  Ma è arrivato il momento di preoccuparci ancor di più dell'imborghesimento nella Chiesa. Il Modernismo nasce dal mondo borghese. Non si potrebbe immaginare una deriva modernista in tutta la storia del medioevo cristiano; non si potrebbe immaginare una deriva modernista in mezzo al mondo dei poveri. Il Modernismo nasce nei salotti borghesi, ecclesiastici o laici che siano.

  E cosa fa il borghese? Il borghese mette al centro se stesso e il proprio denaro, cioè la riuscita della propria vita o, se volete, la tranquillità della propria vita, acquisita magari a grande fatica. E per salvare questa tranquillità, questa apparente tranquillità, diminuisce senza negarle tutte le verità cristiane, toglie loro l'impatto vitale.

  Il Modernismo nasce dal mondo borghese, è l'eresia dalla borghesia, è l'eresia dei cattolici borghesi. Per questo il pericolo dell'imborghesimento, anche per noi della tradizione, coincide con il pericolo modernista. Si salva dall'imborghesimento chi dà la vita per Cristo, e dare la vita per Cristo è il contrario dell'imborghesimento.

  Ma cos'è questo dare la vita per Cristo? Nel disegno di Dio è innanzitutto dare la vita per la Chiesa, corpo mistico di Cristo.

  Vivere per Gesù Cristo vuol dire fare la Chiesa.

  Occorre fare un salto di qualità su questo: ad esempio, non preoccuparsi solo di trovare la “chiesa giusta con la Messa giusta”, ma preoccuparsi che questa possa esserci. E quando questa chiesa giusta c'è, occorre che questa chiesa giusta possa continuare a vivere anche per te.

  Per questo occorre dare la vita per Cristo, stando al lavoro che Dio ci ha dato.

  E' la differenza che passa tra chi cerca la “Messa giusta” e basta e chi invece, trovato il luogo di Messa, fa di tutto per contribuire perché questo luogo di Messa possa dilatarsi, fortificarsi, ed essere casa accogliente per molte altre anime.

  Troppi di noi, trovata la Messa giusta, non si sono preoccupati minimamente di essere missionari affinché ogni Domenica molti altri fedeli potessero vivere la stessa grazia.

  C'è in noi come una tentazione borghese di salvarsi uno spazio privato, e questo è terribile. Vogliamo un luogo di messa tradizionale per noi, per quando ne sentiamo il bisogno, nella misura in cui lo sentiamo... ma questo non è dare la vita!

  Amici, su questo finora abbiamo troppe volte scherzato, occorre fare sul serio. Troppi sono come inerti, senza forze, debilitati, prima ancora di aver iniziato un lavoro.

  Abbiamo di fronte un'estate, una breve estate ma che può diventare un'estate intensa. Viviamola perché la Tradizione sia affermata, viviamola perché la Tradizione sia incrementata. Non andiamo ovunque a perdere tempo come coloro che non hanno speranza, scegliamo i luoghi dove la Messa cattolica è stata salvaguardata. Preoccupiamoci di vivere l'unico riposo vero che il Signore ci dà, che è quello della sua compagnia; preoccupiamoci di onorare il Signore nel suo giorno, nel giorno di Domenica, con la Messa cantata; preoccupiamoci di dare voce, intelligenza e cuore al momento solenne, al momento che consacra tutta la settimana; preoccupiamoci di intessere rapporti intelligenti e seri con i fratelli nella fede, stiamo in loro compagnia; preoccupiamoci della preghiera; preoccupiamoci dello studio; preoccupiamoci di una buona lettura che ci faccia diventare ogni giorno di più coscienti del dramma e tendenti alla santità. Parliamo tra noi delle nostre letture. Non perdiamo tempo, impariamo a non essere borghesi almeno a partire dall'estate affinché tutto l'anno sia vissuto con la stessa intensità.

 Non è più tempo di dimostrare che Dio esiste, non è più il tempo delle conversazioni sulla Chiesa, è il tempo dell'edificazione della Chiesa. Che ciascuno di noi si ponga la domanda: “Io che cosa faccio di concreto perché Domenica prossima la Messa tradizionale sia cantata con la solennità dovuta a Dio?”. Domandiamoci: “Io cosa faccio perché la dottrina cristiana possa incontrare la mia vita e possa incontrare la vita di molti?”. Domandiamoci per favore che cosa stiamo facendo perchè Cristo sia servito, perchè Cristo sia riconosciuto e amato. Preoccupiamoci, mentre tutti sono distratti sull’unica cosa che conta: dare la vita per Cristo affinchè il Signore possa darci la vita eterna.

  Proprio il senso del dramma dà la capacità di muoversi. Come mai molti tra noi, in questi anni, han fatto così poco e stan facendo quasi niente? Perché non invitiamo? Perché non insistiamo? Perché non urliamo a volte, partendo da casa nostra, affinché altri vengano a servire Dio? Perché non abbiamo più la coscienza che dentro a questo servire c'è la promessa della vita e della vita vera.

  La Madonna a La Salette disse: “Ditelo a tutto il mio popolo”.

  Se non è urgente, se non abbiamo il senso del dramma, se non è più per noi questione di vita o di morte, non diventa vero nemmeno per gli altri.

  E se tutto questo ci sta sembrando troppo esagerato, vuol dire che siamo diventati anche noi borghesi come tutti quanti, borghesi e modernisti, perché in fondo si tratta della stessa cosa.

giovedì 21 giugno 2018

Attacco al sacerdozio, attacco all’Eucarestia


di Roberto de Mattei

 L’Eucarestia è sempre stata il bersaglio preferito di chi odia la Chiesa. L’Eucarestia, infatti, riassume la Chiesa. Essa, come osserva un teologo passionista, «compendia tutte le verità rivelate, è l’unica sorgente della grazia, è anticipazione della beatitudine, riepilogo di tutti i prodigi dell’Onnipotenza» (Enrico Zoffoli, Eucarestia o nulla, Edizioni Segno, Udine 1994, p. 70).
Gli attuali attacchi al Sacramento dell’Eucarestia erano stati previsti dalla Madonna a Fatima nel 1917. Alla Cova da Iria la Vergine esortò i tre pastorelli a pregare «Gesù Cristo, presente in tutti i tabernacoli della terra, in riparazione degli oltraggi, dei sacrilegi e delle indifferenze con cui Egli è offeso».
E, prima ancora, nella primavera del 1916, l’Angelo era apparso ai bambini tenendo nella sua mano sinistra un calice, sul quale era sospesa un’ostia. Diede la santa Ostia a Lucia, e il Sangue del calice a Giacinta e Francesco, che rimasero in ginocchio, mentre diceva: «Prendete e bevete il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo, orribilmente oltraggiato dagli uomini ingrati. Riparate i loro crimini e consolate il vostro Dio».
Il cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il culto divino, nella sua prefazione al bel libro di don Federico Bortoli, La distribuzione della Comunione sulla mano. Profili storici, giuridici e pastorali (Edizioni Cantagalli, Siena 2017), afferma che questa scena «ci indica come noi dobbiamo comunicare al Corpo e al Sangue di Gesù Cristo». 
Secondo il Cardinale, «gli oltraggi che Gesù riceve nell’Ostia santa» sono, in primo luogo «le orribili profanazioni, di cui alcuni ex-satanisti convertiti hanno dato notizia e raccapricciante descrizione»; ma anche «le Comunioni sacrileghe, ricevute non in grazia di Dio, o non professando la fede cattolica». Inoltre: «Tutto ciò che potrebbe impedire la fruttuosità del Sacramento, soprattutto gli errori seminati nelle menti dei fedeli perché non credano più nell’Eucaristia».
Ma il più insidioso attacco diabolico consiste «nel cercare di spegnere la fede nell’Eucaristia, seminando errori e favorendo un modo non confacente di riceverla; davvero la guerra tra Michele e i suoi Angeli da una parte, e Lucifero dall’altra, continua nel cuore dei fedeli: il bersaglio di satana è il Sacrificio della Messa e la Presenza reale di Gesù nell’Ostia consacrata». Questo attacco segue a sua volta due binari: il primo è «la riduzione del concetto di ‘presenza reale’», con la vanificazione del termine “transustanziazione”.
Il secondo è «il tentativo di togliere dal cuore dei fedeli il senso del sacro». Scrive il cardinale Sarah: «Mentre il termine “transustanziazione” ci indica la realtà della presenza, il senso del sacro ce ne fa intravedere l’assoluta peculiarità e santità. Che disgrazia sarebbe perdere il senso del sacro proprio in ciò che è più sacro! E come è possibile? Ricevendo il cibo speciale allo stesso modo di un cibo ordinario».
Poi ammonisce: «Che nessun sacerdote osi pretendere di imporre la propria autorità su questa questione rifiutando o maltrattando coloro che desiderano ricevere la Comunione in ginocchio e sulla lingua: veniamo come i bambini e riceviamo umilmente in ginocchio e sulla lingua il Corpo di Cristo».  
Le osservazioni del cardinale Sarah sono più che giuste, ma vanno inquadrate in un processo di secolarizzazione della liturgia che ha la sua origine nell’equivoco Novus Ordo Missae di Paolo VI del 3 aprile 1969, di cui l’anno prossimo ricorderemo l’infausto cinquantenario.
Questa riforma liturgica, come scrivevano i cardinali Ottaviani e Bacci, presentando il loro Breve esame critico, ha rappresentato «sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino». Alla teologia tradizionale della Messa se ne è sostituita una nuova, che ha rimosso la nozione di sacrificio e ha illanguidito, nella prassi, la fede nell’Eucarestia.
D’altra parte, l’apertura ai divorziati risposati, incoraggiata dall’Esortazione Amoris laetitia, e l’intercomunione con i protestanti, auspicata da molti vescovi, cosa sono se non oltraggi all’Eucarestia? Il sacerdote bolognese don Alfredo Morselli ha ben illustrato le radici teologiche che legano l’Amoris laetitia e l’intercomunione con gli evangelici (https://cooperatores-veritatis.org/2018/05/06/in-principio-era-lazione-il-legame-tra-amoris-laetitia-e-lintercomunione-con-gli-evangelici/). 
Aggiungiamo che l’attacco all’Eucarestia è divenuto oggi un attacco all’Ordine Sacro, per lo stretto legame che unisce i due sacramenti. La costituzione visibile della Chiesa è fondata sull’Ordine, il sacramento che rende il battezzato partecipe del sacerdozio di Cristo; il sacerdozio è esercitato principalmente nell’offerta del Sacrificio eucaristico che esige il prodigio della transustanziazione, dogma centrale della fede cattolica.
Se la presenza di Cristo nel Tabernacolo non è reale e sostanziale e la Messa è ridotta a semplice memoria, o simbolo, di quel che avvenne sul Calvario, non c’è bisogno di sacerdoti che offrano il sacrificio e poiché nella Chiesa la gerarchia è fondata sul sacerdozio, viene meno la costituzione della Chiesa e il suo Magistero.
In questo senso l’ammissione all’Eucarestia dei divorziati risposati e dei protestanti ha un nesso con la possibilità di attribuire il sacerdozio a laici sposati e di conferire gli ordini sacri minori alle donne. L’attacco all’Eucarestia è attacco al sacerdozio.
Non c’è nulla di più grande, di più bello, di più commovente, della misericordia di Dio nei confronti del peccatore. Quel Cuore che ha tanto amato gli uomini, per l’intercessione del Cuore Immacolato di Maria, a cui è inscindibilmente legato, vuole portarci a godere la felicità eterna in Paradiso e nessuno, neanche il peccatore più incallito, può dubitare di questo amore salvifico.
Per questo non dobbiamo mai perdere la fiducia in Dio, ma conservarla fino all’estremo della nostra vita, perché mai nessuno è stato ingannato da questa ardente fiducia. Il Signore non ci inganna, ma noi possiamo cercare di ingannare Lui e possiamo ingannare noi stessi. E non c’è inganno più grande di far credere che è possibile salvarsi senza pentirsi dei propri peccati e senza professare la fede cattolica.
Chi pecca, o vive nel peccato, se si pente, si salva; ma se presume di ingannare Dio, non si salva. Non è Dio che lo condanna è egli stesso che, accostandosi indegnamente ai sacramenti, mangia e beve il cibo della propria condanna. È san Paolo che lo spiega ai Corinti, con queste gravi parole: «Chi mangia il pane, o beve il calice del Signore indegnamente, sarà reo del Corpo e del Sangue del Signore. Che ciascuno esamini se stesso, prima di mangiare di quel pane e bere di quel calice; poiché chi mangia e beve indegnamente, se non distingue il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna» (1 Cor. 11, 27-29). San Paolo constatava poi che, nella chiesa di Corinto, in seguito a comunioni sacrileghe, molti erano i casi di persone che misteriosamente si ammalavano e morivano (1 Cor 11, 30).
Triste è la sorte di chi non si accosta ai sacramenti perché si ostina a vivere nel peccato. Peggiore è il destino di chi si accosta sacrilegamente ai sacramenti, senza essere in grazia di Dio. Più grave ancora è il peccato di chi incoraggia i fedeli a comunicarsi in stato di peccato e amministra loro illecitamente l’Eucarestia. Sono questi gli oltraggi che feriscono e trafiggono più profondamente il Sacro Cuore di Gesù e il Cuore Immacolato di Maria.
Sono questi i peccati che esigono la nostra riparazione, la nostra presenza accanto al Tabernacolo, la nostra difesa pubblica dell’Eucarestia contro ogni genere di profanatori. Così facendo ci assicureremo la nostra salvezza e quella del nostro prossimo e accelereremo l’avvento del Regno di Gesù e di Maria sulla società, che non tarderà ad instaurarsi sulle macerie del mondo moderno.

tratto da: https://www.corrispondenzaromana.it/attacco-al-sacerdozio-attacco-alleucarestia/