venerdì 27 settembre 2013

quando le nazioni hanno leaders e non pagliacci eterodiretti

Abituati come siamo all'immondezzaio umano politico-culturale occidentale, lo Zar appare sempre più come una luce solitaria su questo spettrale deserto di nichilismo popolato da oscene macchiette e da servi asservitori delle masse. La cosa ci rincuora almeno un po'. del resto già  Platone, ben prima di Putin, ammoniva: “Quando il cittadino accetta che chiunque gli capiti in casa possa acquistarvi gli stessi diritti di chi l’ha costruita e c’è nato; quando i capi tollerano tutto questo per guadagnare voti e consensi in nome di una libertà che divora e corrompe ogni regola ed ordine, così muore la Democrazia: per abuso di se stessa e, prima che nel sangue, nel ridicolo” (Repubblica, Libro VIII).

Dio benedica la Santa Madre Russia 
brani del Discorso tenuto
il 19 settembre scorso dal Presidente Vladimir Putin
al Valdai International Discussion 

 
«Altra grave sfida all’identità della Russia è legata ad eventi che hanno luogo nel mondo. Sono aspetti insieme di politica estera, e morali. Possiamo vedere come i Paesi euro-atlantici stanno ripudiando le loro radici, persino le radici cristiane che costituiscono la base della civiltà occidentale. Essi rinnegano i principi morali e tutte le identità tradizionali: nazionali, culturali, religiose e financo sessuali. Stanno applicando direttive che parificano le famiglie a convivenze di partners dello stesso sesso, la fede in Dio con la credenza in Satana.

La “political correctness” ha raggiunto tali eccessi, che ci sono persone che discutono seriamente di registrare ppartiti politici che promuovono la pedofilia. In molti Paesi europei la gente ha ritegno o ha paura di manifestare la sua religione. Le festività sono abolite o chiamate con altri nomi; la loro essenza (religiosa) viene nascosta, così come il loro fondamento morale. Sono convinto che questo apre una strada diretta verso il degrado e il regresso, che sbocca in una profondissima crisi demografica e morale.
E cos’altro se non la perdita della capacità di auto-riprodursi testimonia più drammaticamente della crisi morale di una società umana? Oggi la massima parte delle nazioni sviluppate non sono più capaci di perpetuarsi, nemmeno con l’aiuto delle immigrazioni. Senza i valori incorporati nel Cristianesimo e nelle altre religioni storiche, senza gli standard di moralità che hanno preso forma dai millenni, le persone perderanno inevitabilmente la loro dignità umana. Ebbene: noi riteniamo naturale e giusto difendere questi valori. Si devono rispettare i diritti di ogni minoranza di essere differente, ma i diritti della maggioranza non vanno posti in questione.

Simultaneamente, vediamo sforzi di far rivivere in qualche modo un modello standardizzato di mondo unipolare e offuscare le istituzioni di diritto internazionale e di sovranità nazionale. Questo mondo unipolare e standardizzato non richiede Stati sovrani; richiede vassalli. Ciò equivale sul piano storico al rinnegamento della propria identità, della diversità del mondo voluta da Dio»...

giovedì 26 settembre 2013

balaustre e iconostasi

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
 
BALAUSTRA E ICONOSTASI:
QUALCHE CONSIDERAZIONE

 
Papa Benedetto XVI, nel suo discorso di commiato al Clero romano, dedicato al senso del Concilio Vaticano II, attribuiva certe deviazioni nella Riforma liturgica postconciliare all'azione “virulenta” di una corrente di pensiero, che ha preso il sopravvento anche in campo cattolico. Ai seguaci -spiega il Papa- non interessava la Liturgia come atto di fede, come realtà “sacra”, ma come luogo dove la Comunità fa “delle cose comprensibili; intelleggibili”. C'era la tendenza a pensare e a dire: 'la sacralità è una cosa pagana, eventualmente dell'Antico Testamento. Nel Nuovo Testamento, invece, vale solo il fatto che Cristo è morto fuori dalle porte della Città Santa; fuori dal Tempio: nel mondo profano'. La sacralità, quindi, è da considerarsi terminata, superata. Profanità anche del Culto, dunque, che è atto dell'insieme; partecipazione comunitaria. E 'partecipazione' vuol dire: 'attività'; 'fare delle cose'” (BENEDETTO XVI, Conversazione con il Clero di Roma–14.2.2013. Cfr. L. BOUYER, Cattolicesimo in decomposizione, Brescia 1969. J. RATZINGER, Introduzione allo spirito della Liturgia, Torino 2001).

La corrente ideologica, disapprovata da Benedetto XVI, è in contrasto con i reperti storici-archeologici-liturgici del Cristianesimo primitivo, generali e costanti. Fin dai primi tempi, nel luogo di preghiera della Chiesa cristiana si nota una distinzione tra la parte riservata al Popolo, Navata, e la parte che custodisce l'Altare, detta Santuario, venerata come riproduzione terrestre del Santuario del Cielo, non meno del Tabernacolo di Mosè e del Tempio di Salomone (Es 25, 8-9. 40; 26, 31-37; 30, 1-9. Lev 16, 12-13. Sap 9, 8. 1Re 6-9, 1-9).

La distinzione è segnata da una cancellata-balaustra, intesa come simbolo della mistica linea di confine tra cielo e terra. La Chiesa crede di attraversarla realmente ogni volta che, nella Liturgia, celebra l'unico, perfetto, Sacrificio della Croce, presentato da Cristo “oltre il secondo velo del Tempio”, “una volta per sempre” (Mt 27, 51. Ebr 9, 1-14).

Si realizza, così, un'ineffabile comunicazione tra altare terrestre e altare celeste. La Tradizione apostolica è esplicita: “Supplices te rogamus, omnipotens Deus: iube haec perferri per manus sancti Angeli tui in sublime altare tuum, in conspectu divinae Maiestatis tuae: ut quotquot ex hac altaris participatione, sacrosanctum Filii tui Corpus et Sanguinem sumpserimus, omni benedictione coelesti, et gratia repleamur. Per eundem Christum Dominum nostrum. Amen (Supplici Ti preghiamo, Dio onnipotente: ordina che queste Offerte siano portate per mano del tuo Angelo santo sul tuo altare sublime del cielo, al cospetto della tua Divina Maestà, così che quanti dalla partecipazione a questo altare, riceveremo il sacrosanto Corpo e Sangue del Figlio tuo, siamo ricolmati di ogni grazia e benedizione celeste. P.C.N.S. Amen)(CANONE ROMANO. Ebr 6, 19-20; 8, 5-6. Apoc 6, 9; 8, 3).

L'Iconoclastia (Sec. VIII) incrementò, per reazione, la consuetudine di appendere icone e tende all'architrave di collegamento tra le colonne della balaustra, la quale è così diventata una parete ricoperta di icone (Iconostasi), disposte su uno o più livelli o registri; uno, di solito, in Grecia, Anatolia, Macedonia, Italia, Grado, Venezia-Friuli, senza differenze; cinque o sei, nei Paesi slavi (Cfr. B. BAGATTI, Alle origini della Chiesa, vol. II, Città del Vaticano 1982, 20-21, 125, 178. L. BOUYER, Architecture et liturgie, Paris 1967).

“Ci sarà l'Iconostasi?”, questa la prima, spontanea domanda di una devota al suo Parroco ortodosso, missionario in Italia, sul punto di aprire al culto una chiesa, già cattolica. Per l'Ortodosso, una chiesa senza iconostasi non è una chiesa, come, un tempo, una chiesa senza balaustra per un Cattolico.

Agli occhi del fedele ortodosso, l'iconostasi non è parete di separazione, ma di congiunzione; non schermo opaco, che impedisce di vedere ciò che avviene all'altare, ma diaframma trasparente, che permette di vedere meglio la realtà più profonda e più vera di quanto si compie: il Mistero, reso presente dalla Liturgia, infinitamente superiore al visibile e al comprensibile. A nessuno verrebbe mai in mente di eliminarla come una barriera discriminatoria e classista, per consentire ai fedeli di osservare meglio quello che fanno i Sacerdoti dietro (lo fece il Patriarca di Venezia Angelo Roncalli (1953-1958), che, malgrado i suoi vent'anni di Nunziatura in Bulgaria, Turchia e Grecia (1925-1944), tolse i pannelli della balaustra-iconostasi di San Marco).

Col recinto simbolico della balaustra la Chiesa segnala il luogo dove avvengono “i divini, sacri, immacolati, immortali, celesti, vivificanti e tremendi Misteri” (LIT. di S. G. CRISOSTOMO).

L'Iconostasi, sviluppo naturale della balaustra, è il mega-video-schermo, sul quale la Chiesa proietta la sua coscienza dello stesso Mistero. Riassunto dei momenti e dei personaggi fondamentali. Vera e propria 'Summa theologica visiva'.

mercoledì 25 settembre 2013

"Il mondo può tremare e crollare, gli ecclesiastici potranno inebriarsi al vino della mondanità ma le montagne della fede – trasmesseci dalla tradizione liturgica – sono ancora là. Non resta che raggiungerle."

Si ha a volte la netta sensazione che una forza estranea, non cattolica, antiromana occupi la nostra vera Patria, la Chiesa; si ha a volte la percezione che si debba darsi alla macchia e cominciare una lotta partigiana, andare in montagna come fecero alcuni valorosi al tempo dell'occupazione nazista; si ma quali montagne raggiungere? Quest'articolo lo dice chiaramente...

 

 La fede in Cristo e la Liturgia

tratto da: http://traditioliturgica.blogspot.it/2013/09/la-fede-in-cristo-e-la-liturgia.html
 
Si ripete continuamente che i nostri sono tempi di confusione religiosa. Anch'io lo credo, ma dalla confusione non se ne esce se non lo si vuole. Oggi più che mai molti dei cosiddetti “capi” della Cristianità non sono in grado di aiutare le persone, presi come sono da una mentalità sempre più secolarizzata. Dove rivolgersi? Verso la liturgia tradizionale la quale continua a dare la sua perenne testimonianza ed esortazione.
 Uno dei legami più forti che ha la liturgia tradizionale è con la dottrina, una dottrina certa, definita, per nulla ambigua, in grado d'illuminare anche gli animi più confusi e di condannare senza possibilità di appello gli errori.
La liturgia, infatti, non è altro che la fede celebrata, il dogma divenuto poesia e canto da porgere al cuore dei fedeli. Chi la vive con attenzione non può non venirne illuminato, se è nell'oscurità dell'ignoranza, o abbeverato, se ha sete di verità.
 La cosa fondamentale sulla quale insiste all'infinito la liturgia è l'assoluta centralità di Cristo nella storia della salvezza di tutto il genere umano. Ogni preghiera inizia e termina nel nome di Cristo riconosciuto quale unico mediatore tra il genere umano e Dio. Chi lo rifiuta, come un tempo gli ebrei che lo condannarono in croce, non trova nella liturgia tradizionale tentennamenti o parole dolci: viene esecrato. Un passo tratto dalla settimana santa bizantina c'illustra, con chiara forza, questo concetto:
 “Al posto del bene che hai fatto, o Cristo, alla stirpe degli ebrei, essi ti hanno condannato alla croce, dandoti da bere aceto e fiele. Tu dunque, Signore, rendi loro secondo le loro opere, perché non hanno compreso la tua condiscendenza.
Non si contentarono del tradimento, o Cristo, i figli degli ebrei, ma scuotevano la testa schernendo e beffeggiando. Tu dunque, Signore, rendi loro secondo le loro opere, perché non hanno compreso la tua condiscendenza.
Né la terra che si scosse, né le rocce che si spezzarono convinsero gli ebrei, né il velo del tempio né la resurrezione dai morti. Tu dunque, Signore, rendi loro secondo le loro opere, perché non hanno compreso la tua condiscendenza” (Ufficio della santa Passione, Antifona 11).
 Il testo non rimprovera un'etnìa in particolare, per quanto si rivolga agli ebrei del tempo di Cristo, ma chiunque non voglia credere in Cristo come unico mediatore tra cielo e terra e si volga ad altro. Ne è prova il fatto che è cantato in un'assemblea di cristiani perché essi intendano e non siano tentati di porsi sul piano di chi, rinnegando Cristo, si volge ad altre credenze.
La centralità e insostituibilità di Cristo, la sua unità in seno alla Trinità, sono condizioni indispensabili per la salvezza del singolo che, a giusta ragione, può così pregare:
“Unico Padre dell'Unico Figlio Unigenito, e Unica luce, riflesso dell'Unica luce, e tu che unicamente sei il santo Spirito dell'Unico Dio, essendo veramente Signore dal Signore; o Triade santa Monade salva me che proclamo la tua divinità!” (Doxastikon della nona ode del Mattutino del Giovedì prima della Domenica delle Palme).
Davanti alla fede in Cristo, ci sono state schiere di martiri che giunsero al disprezzo della propria vita, pur di mantenere intatto il credo della Chiesa. La liturgia bizantina li celebra continuamente. Ecco un esempio:
“Senza temere né fuoco, né spada né morte, avete mantenuto ferma la confessione che salva rinvigoriti da Cristo, o beati” (Mattutino del sabato della terza settimana di Quaresima).
In una sola frase si sottolinea che la confessione della vera fede genera la salvezza per la quale, opportunamente o inopportunamente, i martiri hanno dato testimonianza fino alla tragica conseguenza di versare il proprio sangue. Anche questo fatto, celebrato nella liturgia, diviene esortazione, parenesi e ricordo da non dimenticare ma, semmai, da imitare.
Nella pratica dei santi, all'ascesi si associa un vero e proprio “eros” per l'ortodossia della fede: essi sono nemici giurati di ogni comportamento compromissorio che possa alterare o minimamente corrompere la dottrina. La liturgia, che trasmette questa tradizione vitale, in tal senso, diviene più eloquente che mai:
“... Gioisci, sapiente Atanasio, tu che trai il nome dall'immortalità, tu che hai cacciato dal gregge di Cristo, come un lupo, Ario vaniloquente, colpendolo con la fionda elastica delle tue dottrine divinamente sapienti. Gioisci astro fulgidissimo, difensore della Sempre-Vergine, tu che con voce stentorea l'hai splendidamente proclamata Madre di Dio in mezzo al sacro sinodo di Efeso, e hai ridotto a nulla le chiacchiere di Nestorio, o beatissimo Cirillo....” (Doxastikon dei santi al Mattutino).

E ancora, rivolgendosi a san Giovanni Damasceno, polemico verso l'Islam allora nascente, la liturgia insegna che solo la vera fede glorifica Dio, non altre:


"Hai rovesciato con la tua sapienza le eresie, o beatissimo, o sapientissimo Giovanni, e hai donato alla Chiesa una dottrina ortodossa, perché rettamente definisca e glorifichi la Triade, Monade trisipostatica, in una sola sostanza" (Exapostilarion del santo al Mattutino).
Questa testimonianza donataci ancor oggi da una liturgia tradizionale (in questo caso quella bizantina) pare essere totalmente oscurata laddove la liturgia è stata appannata, umanisticizzata e manipolata e i pastori si sono corrotti alle dottrine mondane di un umanismo dolcificato e irenistico ma mortalmente letale per la fede. La fortuna di avere ancora oggi queste tradizioni vive, ci pone in mano un'arma con la quale, conoscendo il vero spirito della Chiesa, siamo in grado di proteggerci da quanto Chiesa non è ma la sta invadendo e sovvertendo dal suo interno. 
La dottrina di sempre si staglia nella sua solenne immobilità per insegnare e confermare nella fede chi lo desidera. Nessuna tenebra potrà cancellare tale luce, nessuna confusione delle menti potrà svigorire la forza di questa testimonianza.
Il mondo può tremare e crollare, gli ecclesiastici potranno inebriarsi al vino della mondanità ma le montagne della fede – trasmesseci dalla tradizione liturgica – sono ancora là. Non resta che raggiungerle.
 
 

martedì 24 settembre 2013

caro amico, ti scrivo: dialogare senza strologare

Ratzinger: "Caro Odifreddi
le racconto chi era Gesù"

 
La fede, la scienza, il male. Un dialogo a distanza fra Benedetto XVI e il matematico. Ricevuta il 3 settembre scorso, è in parte pubblicata oggi da Repubblica.
 

ll. mo Signor Professore Odifreddi, (...) vorrei ringraziarLa per aver cercato fin nel dettaglio di confrontarsi con il mio libro e così con la mia fede; proprio questo è in gran parte ciò che avevo inteso nel mio discorso alla Curia Romana in occasione del Natale 2009. Devo ringraziare anche per il modo leale in cui ha trattato il mio testo, cercando sinceramente di rendergli giustizia.

Il mio giudizio circa il Suo libro nel suo insieme è, però, in se stesso piuttosto contrastante. Ne ho letto alcune parti con godimento e profitto. In altre parti, invece, mi sono meravigliato di una certa aggressività e dell'avventatezza dell'argomentazione. (...)

Più volte, Ella mi fa notare che la teologia sarebbe fantascienza. A tale riguardo, mi meraviglio che Lei, tuttavia, ritenga il mio libro degno di una discussione così dettagliata. Mi permetta di proporre in merito a tale questione quattro punti:

1. È corretto affermare che "scienza" nel senso più stretto della parola lo è solo la matematica, mentre ho imparato da Lei che anche qui occorrerebbe distinguere ancora tra l'aritmetica e la geometria. In tutte le materie specifiche la scientificità ha ogni volta la propria forma, secondo la particolarità del suo oggetto. L'essenziale è che applichi un metodo verificabile, escluda l'arbitrio e garantisca la razionalità nelle rispettive diverse modalità.

2. Ella dovrebbe per lo meno riconoscere che, nell'ambito storico e in quello del pensiero filosofico, la teologia ha prodotto risultati durevoli.

3. Una funzione importante della teologia è quella di mantenere la religione legata alla ragione e la ragione alla religione. Ambedue le funzioni sono di essenziale importanza per l'umanità. Nel mio dialogo con Habermas ho mostrato che esistono patologie della religione e - non meno pericolose - patologie della ragione. Entrambe hanno bisogno l'una dell'altra, e tenerle continuamente connesse è un importante compito della teologia.

4. La fantascienza esiste, d'altronde, nell'ambito di molte scienze. Ciò che Lei espone sulle teorie circa l'inizio e la fine del mondo in Heisenberg, Schrödinger ecc., lo designerei come fantascienza nel senso buono: sono visioni ed anticipazioni, per giungere ad una vera conoscenza, ma sono, appunto, soltanto immaginazioni con cui cerchiamo di avvicinarci alla realtà. Esiste, del resto, la fantascienza in grande stile proprio anche all'interno della teoria dell'evoluzione. Il gene egoista di Richard Dawkins è un esempio classico di fantascienza. Il grande Jacques Monod ha scritto delle frasi che egli stesso avrà inserito nella sua opera sicuramente solo come fantascienza. Cito: "La comparsa dei Vertebrati tetrapodi... trae proprio origine dal fatto che un pesce primitivo "scelse" di andare ad esplorare la terra, sulla quale era però incapace di spostarsi se non saltellando in modo maldestro e creando così, come conseguenza di una modificazione di comportamento, la pressione selettiva grazie alla quale si sarebbero sviluppati gli arti robusti dei tetrapodi. Tra i discendenti di questo audace esploratore, di questo Magellano dell'evoluzione, alcuni possono correre a una velocità superiore ai 70 chilometri orari..." (citato secondo l'edizione italiana Il caso e la necessità, Milano 2001, pagg. 117 e sgg.).

In tutte le tematiche discusse finora si tratta di un dialogo serio, per il quale io - come ho già detto ripetutamente  -  sono grato. Le cose stanno diversamente nel capitolo sul sacerdote e sulla morale cattolica, e ancora diversamente nei capitoli su Gesù. Quanto a ciò che Lei dice dell'abuso morale di minorenni da parte di sacerdoti, posso  -  come Lei sa  -  prenderne atto solo con profonda costernazione. Mai ho cercato di mascherare queste cose. Che il potere del male penetri fino a tal punto nel mondo interiore della fede è per noi una sofferenza che, da una parte, dobbiamo sopportare, mentre, dall'altra, dobbiamo al tempo stesso, fare tutto il possibile affinché casi del genere non si ripetano. Non è neppure motivo di conforto sapere che, secondo le ricerche dei sociologi, la percentuale dei sacerdoti rei di questi crimini non è più alta di quella presente in altre categorie professionali assimilabili. In ogni caso, non si dovrebbe presentare ostentatamente questa deviazione come se si trattasse di un sudiciume specifico del cattolicesimo.

Se non è lecito tacere sul male nella Chiesa, non si deve però, tacere neppure della grande scia luminosa di bontà e di purezza, che la fede cristiana ha tracciato lungo i secoli. Bisogna ricordare le figure grandi e pure che la fede ha prodotto  -  da Benedetto di Norcia e sua sorella Scolastica, a Francesco e Chiara d'Assisi, a Teresa d'Avila e Giovanni della Croce, ai grandi Santi della carità come Vincenzo dè Paoli e Camillo de Lellis fino a Madre Teresa di Calcutta e alle grandi e nobili figure della Torino dell'Ottocento. È vero anche oggi che la fede spinge molte persone all'amore disinteressato, al servizio per gli altri, alla sincerità e alla giustizia. (...)

Ciò che Lei dice sulla figura di Gesù non è degno del Suo rango scientifico. Se Lei pone la questione come se di Gesù, in fondo, non si sapesse niente e di Lui, come figura storica, nulla fosse accertabile, allora posso soltanto invitarLa in modo deciso a rendersi un po' più competente da un punto di vista storico. Le raccomando per questo soprattutto i quattro volumi che Martin Hengel (esegeta dalla Facoltà teologica protestante di Tübingen) ha pubblicato insieme con Maria Schwemer: è un esempio eccellente di precisione storica e di amplissima informazione storica. Di fronte a questo, ciò che Lei dice su Gesù è un parlare avventato che non dovrebbe ripetere. Che nell'esegesi siano state scritte anche molte cose di scarsa serietà è, purtroppo, un fatto incontestabile. Il seminario americano su Gesù che Lei cita alle pagine 105 e sgg. conferma soltanto un'altra volta ciò che Albert Schweitzer aveva notato riguardo alla Leben-Jesu-Forschung (Ricerca sulla vita di Gesù) e cioè che il cosiddetto "Gesù storico" è per lo più lo specchio delle idee degli autori. Tali forme mal riuscite di lavoro storico, però, non compromettono affatto l'importanza della ricerca storica seria, che ci ha portato a conoscenze vere e sicure circa l'annuncio e la figura di Gesù.

(...) Inoltre devo respingere con forza la Sua affermazione (pag. 126) secondo cui avrei presentato l'esegesi storico-critica come uno strumento dell'anticristo. Trattando il racconto delle tentazioni di Gesù, ho soltanto ripreso la tesi di Soloviev, secondo cui l'esegesi storico-critica può essere usata anche dall'anticristo - il che è un fatto incontestabile. Al tempo stesso, però, sempre - e in particolare nella premessa al primo volume del mio libro su Gesù di Nazaret - ho chiarito in modo evidente che l'esegesi storico-critica è necessaria per una fede che non propone miti con immagini storiche, ma reclama una storicità vera e perciò deve presentare la realtà storica delle sue affermazioni anche in modo scientifico. Per questo non è neppure corretto che Lei dica che io mi sarei interessato solo della metastoria: tutt'al contrario, tutti i miei sforzi hanno l'obiettivo di mostrare che il Gesù descritto nei Vangeli è anche il reale Gesù storico; che si tratta di storia realmente avvenuta. (...)

Con il 19° capitolo del Suo libro torniamo agli aspetti positivi del Suo dialogo col mio pensiero. (...) Anche se la Sua interpretazione di Gv 1,1 è molto lontana da ciò che l'evangelista intendeva dire, esiste tuttavia una convergenza che è importante. Se Lei, però, vuole sostituire Dio con "La Natura", resta la domanda, chi o che cosa sia questa natura. In nessun luogo Lei la definisce e appare quindi come una divinità irrazionale che non spiega nulla. Vorrei, però, soprattutto far ancora notare che nella Sua religione della matematica tre temi fondamentali dell'esistenza umana restano non considerati: la libertà, l'amore e il male. Mi meraviglio che Lei con un solo cenno liquidi la libertà che pur è stata ed è il valore portante dell'epoca moderna. L'amore, nel Suo libro, non compare e anche sul male non c'è alcuna informazione. Qualunque cosa la neurobiologia dica o non dica sulla libertà, nel dramma reale della nostra storia essa è presente come realtà determinante e deve essere presa in considerazione. Ma la Sua religione matematica non conosce alcuna informazione sul male. Una religione che tralascia queste domande fondamentali resta vuota.

Ill. mo Signor Professore, la mia critica al Suo libro in parte è dura. Ma del dialogo fa parte la franchezza; solo così può crescere la conoscenza. Lei è stato molto franco e così accetterà che anch'io lo sia. In ogni caso, però, valuto molto positivamente il fatto che Lei, attraverso il Suo confrontarsi con la mia Introduzione al cristianesimo, abbia cercato un dialogo così aperto con la fede della Chiesa cattolica e che, nonostante tutti i contrasti, nell'ambito centrale, non manchino del tutto le convergenze.

Con cordiali saluti e ogni buon auspicio per il Suo lavoro.

BENEDETTO XVI

domenica 22 settembre 2013

i pastori puzzino pure (ma non di peccato) purchè siano sempre chiari e cristallini

di Marco Bongi
 
 
Domandina facile facile... Supponiamo, ed è comunque tutto da dimostrare, che ogni esternazione dell'attuale "Vescovo di Roma" fosse dottrinalmente corretta ed assolutamente ortodossa: "Chi sonoio per..." "Chi non cerca Dio si salva se segue la sua coscienza" per gli omosessuali e i divorziati ci vuole più tenerezza e misericordia ecc.,
e che ogni fraintendimento  fosse dovuto unicamente alla cattiva interpretazione dei mass-media:
Mi chiedo:
 Per quale motivo tali fraintendimenti si verificano costantemente e sistematicamente?
Siamo del resto ormai abituati alla triste litanìa dei giornalisti e commentatori cosiddetti "conservatori conciliari": il Papa non è stato correttamente interpretato, non intendeva assolutamente dire quello che hanno riportato le testate laiche, si è mantenuto fedelissimo al Magistero precedente...
Sarà... ma non mi risulta che il Sillabo o l'enciclica "Pascendi" di San Pio X, in quei tempi lontani e difficili, fossero stati interpretati in modo differente rispetto all loro reale significato.
Anche allora c'erano i liberali e gli anticlericali, anche allora c'era interesse a distorcere il pensiero dei Pontefici ma ciò semplicemente non era materialmente possibile.
I pronunciamenti infatti erano talmente chiari e cristallini che nessun lettore, per quanto in mala fede, avrebbe potuto distorcerli.  
E allora? Le risposte al mio quesito non sono molte ma, come spesso chiedo ai miei lettori, mi farebbe davvero piacere che ce ne fossero altre.
Posto infatti che tutti conosciamo, e quindi dovrebbero conoscerle anche in Vaticano,  la superficialità e la malignità di molti commentatori degli organi d'informazione, se davvero si volessero evitare i fraintendimenti, ci sarebbe un unico rimedio: tornare ad un linguaggio chiaro e definitorio, preciso, inequivocabile e netto. 
Questo aspetto della comunicazione ecclesiale contemporanea è stato evidenziato, con mirabile acutezza, da Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro nel loro recente volume "La bella addormentata" (Vallecchi 2011).
Tali pagine erano dedicate all'analisi dei documenti conciliari ma le medesime considerazioni possono applicarsi, forse ancora di più, al linguaggio colloquiale di Papa Francesco.
In altre parole: per cercare di essere più compresi dal mondo contemporaneo si è è ottenuto paradossalmente l'effetto assolutamente opposto ovvero di non essere compresi da nessuno.
Già... perchè le risposte sono soltanto due:
 1 - o i comunicatori della Chiesa, ad ogni livello, non conoscono il significato comune di parole, espressioni idiomatiche  o proposizioni. In questo caso dovrebbero soltanto mettersi a studiare...    
2 - Oppure, e fa tremare solo il pensarlo, questi signori lo fanno apposta. Usano un linguaggio volutamente ambiguo perchè non hanno il coraggio di proclamare apertamente la Verità e così sperano di dire ad ognuno quello che vorrebbe sentirsi dire. Ai credenti che bisogna convertirsi, agli atei che basta seguire la coscienza, ai gai che il loro comportamento non è giudicabile, ai divorziati che il Cristianesimo non è un insieme di precetti e via di questo passo.
 Questo è il risultato dell'aggiornamento della comunicazione religiosa all'uomo contemporaneo? Davvero sconfortanti i traguardi raggiunti dalla "pastoralità" del Concilio Vaticano II. E poi si stupiscono se le vocazioni crollano, se i fedeli non credono più alla Ressurrezione di Cristo? Se le Chiese e i conventi sono vuoti?
Beh... anche per questi problemi ci sarebbe comunque la soluzione mediaticamente apprezzata: facciamone ricoveri per immigrati!
 

"molte cose imprendono senza curarsi di Dio, molte contro Dio" (Leone XIII)

"Il genere umano, dopo che "per l'invidia di Lucifero" si ribellò sventuratamente a Dio creatore e largitore de' doni soprannaturali, si divise come in due campi diversi e nemici tra loro; l'uno dei quali combatte senza posa per il trionfo della verità e del bene, l'altro per il trionfo del male e dell'errore. Il primo è il regno di Dio sulla terra, cioè la vera Chiesa di Gesù Cristo; e chi vuole appartenervi con sincero affetto e come conviene a salute, deve servire con tutta la mente e con tutto il cuore a Dio e all'Unigenito Figlio di Lui. Il secondo è il regno di Satana, e sudditi ne sono quanti, seguendo i funesti esempi del loro capo e dei comuni progenitori, ricusano di obbedire all'eterna e divina legge, e molte cose imprendono senza curarsi di Dio, molte contro Dio. Questi due regni, simili a due città che con leggi opposte vanno ad opposti fini, con grande acume di mente vide e descrisse Agostino, e risali al principio generatore di entrambi con queste brevi e profonde parole: "Due città nacquero da due amori; la terrena dall'amore di sé fino al disprezzo di Dio, la celeste dall'amore di Dio fino al disprezzo di sé (De Civit. Dei, lib. XIV, c. 17)."

Leone XIII - Humanus genus -condanna del RELATIVISMO MORALE E FILOSOFICO della massoneria.