venerdì 17 giugno 2011

pensieri perlessi sull'entusiasmo di molti sacerdoti più per i referendum che per la liturgia

Bandiere sull’altare

Questi preti, che si sono schierati così apertamente per un referendum, sostenuti da numerosi vescovi, mi interrogano. Mi chiedo, anzitutto, come possano appassionarsi così tanto, davvero, e non per finta, per qualcosa di così opinabile e di così poco importante. Se andare sulla Luna è, dal punto di vista della salvezza dell’anima, come salire su un autobus, decidere se i tubi dell’acqua li gestisce lo stato o i privati, dovrebbe essere, per un prete, piuttosto secondario.
Noto anche che tanta baldanza, tanta voglia di esporsi, non si vede quando in gioco vi sono valori ben più alti, e più difficili da difendere.
Viaggia, molto clero, al seguito del mondo. Omogeneo, indistinguibile. Per questo si entusiasma per battaglie fittizie, che scadono in un fiat. Domani servirà qualcos’altro, per sentirsi vivi, giusti e idealisti. La sinistra, sempre pronta a creare surrogati scadenti e scaduti, proporrà nuove Armageddon. Col seguito di quei religiosi a cui, non interessando
più nulla la salvezza delle anime, interessa tutto il resto.
Scriveva Marcel de Corte, sottolineando la strana alleanza tra parte del clero e rivoluzione anticristiana: “Il prete, che una vocazione superiore sradica, e che non prende nuovamente radice umilissimamente nel soprannaturale, diviene per eccellenza agente di dissolvimento e distruzione del mondo e dell’uomo, l’utopista, il rivoluzionario protetto, il sobillatore di prim’ordine delle folle, insuperabile”.
Secondo pensiero: sono stato domenica a trovare mio cugino, sacerdote. Dopo la messa, preparata con cura e zelo, si è precipitato all’ospedale, a trovare due malati. Poi, senza perdere un attimo, è tornato a casa e ha fatto da mangiare a tutta la mia famiglia. Finito il pranzo e alcune chiacchiere, subito in oratorio, per preparare il “grest” per centocinquanta
bambini.
Quando vado a trovare mio cugino, mi riconcilio con i preti. Ha rinunciato a una famiglia, a una casa, a una stabilità; rinuncia, continuamente, a se stesso, persino a un po’ di tempo
libero, e siccome gli altri se ne accorgono, lo cercano e lo spremono come un limone.
Che ha sempre qualcosa da dare, perché lo attinge non da sé, ma da Cristo. Non tutti i preti sono, insomma, dei pagliaccetti politicanti, degli opinionisti da giornale di partito, né degli utopisti sradicati. Ve ne sono ancora molti capaci di dare tutto se stessi a Dio e al prossimo, cioè di rendere visibile la grandezza della carità di Cristo. Penso che se ce ne fossero un po’ di più come lui e un po’ meno come lo sbandieratore, Odifreddi e soci eviterebbero di scrivere, senza vergogna, che la castità è contro natura, mentre la poligamia no.
La pastorale dimezzata
Un ultimo pensiero: c’è una nuova, meritevole rivista, intitolata Liturgia culmen et fons, edita da Fede & Cultura. Don Enrico Finotti, che la dirige, crede che il crollo della liturgia sia come il peccato originario, quello di Adamo ed Eva che non riconoscono più di essere stati creati, e rifiutano di adorare. Crede che la chiesa abbia civilizzato i popoli, non con i discorsi, né con i referendum, né appoggiando questo o quel partito, ma con i sacramenti.
Nell’ultimo numero ha scritto un bell’articolo, “Il Soggetto della liturgia”, che vorrei mandare al prete che mette la bandiera sull’altare perché ha dimenticato, appunto, chi sia il protagonista della messa: Cristo e la sua chiesa: “Si assiste oggi, infatti, a una riduzione solo sociologica dell’Assemblea liturgica, ossia, si considera soltanto il piccolo o grande gruppo che si vede e che si raduna in un certo luogo, ma si dimentica tutto il resto: la sua invisibile dimensione universale e soprannaturale.
Soprattutto non ci si rende conto a sufficienza della presenza e dell’azione del Capo del corpo, senza il quale tutto svanisce ed è travolto dal flusso inesorabile del tempo senza lasciare l’impronta di una salvezza eterna e definitiva. Una ‘pastorale dimezzata’, attenta esclusivamente ai dati sociologici… Svanisce il respiro dei secoli, si chiude l’orizzonte della chiesa diffusa su tutta la terra, si oscura la comunione dei santi di essere un ospite di riguardo invitato ad assistere a una nostra sempre mutevole creatività e a condividere quello che piace fare a noi”.
Così si finisce per togliere la croce di Cristo dall’altare e sostituirla con una bandiera di Di Pietro. (Francesco Agnoli)

da "Il Foglio"

giovedì 16 giugno 2011

Socci e la "Guerra contro Gesù"


Et íterum ventúrus est cum glória, iudicáre vivos et mórtuos

Nemici ben armati e molto fuoco amico, il De bello cristico secondo Socci

di Tommaso Ricci
Prendete, ad esempio, uno come Henri Labroue. Nel 1942 questo professore, già frammassone gauchiste, vuole pubblicare in Francia il suo “Voltaire antijuif”, copiosa raccolta di citazioni antiebraiche del vate illuminista par excellence, per dimostrare agli occupanti nazisti che lo spirito francese più genuino nulla ha da invidiare a quello germanico quanto a pulsioni antisemite.
Ma il suo servilismo verso i teutonici hitleriani risulta eccessivo perfino per le autorità di Vichy e così Labroue, per la pubblicazione, deve ricorrere all’intercessione del ministro tedesco per la propaganda Goebbels. Oppure prendete Paul Louis Couchoud, filosofo anticlericale impegnato a sciogliere nell’acido culturale gnostico la figura di Gesù Cristo (“L’idea che Dio si sia incarnato… ci urta… è inammissibile” sentenzia); ebbene questo pozzo di scienza, amico di Jean Guitton, abbandona radicalmente il suo scetticismo antisoprannaturale al cospetto della mistica contadina Marthe Robin. “Di quello che preghi, mi giunge il profumo. Non dimenticarti di me, o piena di vita” finirà per scriverle.
Pullula di personaggi bizzarri e sorprendenti il campo di battaglia disegnato da Antonio Socci nella “Guerra contro Gesù” (Rizzoli, 441 pp.), eccellente saggio di letteratura bellica che il giornalista e polemista senese ha covato fin dagli anni della sua gioventù, quando dalle pagine del mensile 30Giorni, prese a scagliarsi con furore achilleo contro i fortini religiosamente protetti di certa esegesi, anche cattolica. Al loro interno – scoprì già allora con orrore Socci – invece di rinvenire e setacciare criticamente le innumerevoli pepite d’oro utili a far risplendere la misteriosa figura di quel galileo che duemila anni fa si presentò al mondo pretendendo di essere Dio, le varie discipline storiche e teologiche venivano al contrario utilizzate (e in modo spesso antiscientifico) per oscurare, vaporizzare o sezionare il nazareno Gesù.
E allora ci si è messo di buzzo buono Socci per realizzare una planimetria il più possibile chiara ed esplicativa di questa campagna contra personam: ne è sortito un De bello cristico che illustra con impressionante nitidezza attaccanti, difensori, strategie, alleanze, colpi bassi, incongruenze, menzogne e cellule di resistenza di questa guerra poco santa e totale. E’ in corso da circa tre secoli questo conflitto anti Gesù – non sempre dichiarato, anzi talvolta ostentato come operazione demistificatoria e purificatrice.
C’è molto fuoco nemico, Voltaire in primo luogo con la sua aura di patrono della tolleranza (neanche quella frase sempre citata: non sono d’accordo con le tue opinioni ma darei la mia vita bla bla bla… è sua!); tra i tiratori scelti c’è anche Alfred Rosenberg, il teorico del nazionalsocialismo (vi scongiuro, professori di liceo e di università, fatelo studiare, vi assicuro che merita, è altamente istruttivo e vi garantisco l’attenzione spasmodica dei vostri studenti!) col suo “Il mito del XX secolo”, testo cruciale per comprendere il secolo breve.
Ma poi c’è tanto, tantissimo fuoco amico; e la guerra intra moenia è la più pericolosa e sconfortante, ci sono nomi (questi non oso scriverli, fanno cadere le braccia) altisonanti, ci sono purpuree intelligenze col “nemico” che scoraggerebbero il più pugnace dei temperamenti. Non così Socci che va beatamente avanti nel suo saggiotenzone incontrando – ecco il lato consolante del libro – anche menti libere, cattoliche e non, che viceversa riconoscono alla storia delle storie, quella di Gesù Cristo, quel briciolo di fondatezza “scientifica” e di certezza morale che si può ricavare col nostro limitato ma pur sempre splendido intelletto di uomini. Perché va bene il Deus absconditus, va bene che Nostro Signore lascia a ciascuno una via di fuga per non credere, va bene che la fede in Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo è un dono di Grazia, però alzare polveroni pseudoscientifici, nebbioni modernisti e muraglioni di pregiudizi invece di illuminare col sano uso della ragione (anch’essa dono del Creatore!) ciò che appare incerto, intricato e oscuro, questo non va assolutamente bene, vuol dire accecare invece di rischiarare. Si obietterà, la sabbia negli occhi è un trucco classico per mettere ko l’avversario, che c’entra con le dotte controversie sul “Gesù della storia e il Cristo della fede” qui sul tavolo? Appunto, è la controbiezione che sottosta all’intero libro di Socci: qui altro che diatribe specialistiche apparentemente astratte tra esegeti, papirologi, grecisti, archeologi, teologi e antichisti in genere, qui siamo di fronte a uno scontro culturale colossale. Il dibattito accademico su frammenti, geroglifici, documenti falsi e autentici (nei primi secoli dell’era cristiana non ci si battè forse sanguinosamente pro e contro un semplice iota?) cela una guerra che intacca le fondamenta della nostra civiltà, che coinvolge tutti e spinge ciascuno a prendere posizione. Quello di Socci è un sonoro rintocco contro il sonno della ragione.

Tratto da Il Foglio del 14 giugno 2011

domenica 12 giugno 2011

De Mattei e Gnocchi a Venezia


Conferenza a
VENEZIA
 
venerdì 17 giugno 2011
Sala Nassivera
Ca' Corner San Marco, 2662
 
alle ore 12,00
presentazione del libro:

Il Concilio Vaticano II - una storia mai scritta
Interverranno:Dott. Alessandro Gnocchi
Prof. Roberto de Mattei

preceduti da:
Assessore alla Cultura della Provincia di Venezia:
Dott. Raffaele Speranzon
Vice-Presidente della Commissione della Provincia di Venezia:
Dott. Pietro Bortoluzzi