venerdì 7 dicembre 2012

IL PAPA SU TWITTER

E

LA TEOLOGIA DEL CAZZEGGIO


 

di Francesco Colafemmina

Il gesuita Antonio Spadaro è fra i più tenaci assertori della Chiesa 2.0, una sorta di riedizione digitale della vecchia Chiesa analogica. In occasione del primo tweet papale - evento paragonabile a Giovanni Paolo II che scia sull'Adamello e ondeggia al ritmo della musica di Bono Vox - ha pubblicato un breve ebook dal titolo "Twitter Theology" (perché english fa figo). Il succo del libercolo è il seguente (si può anzi si deve condensare in 140 battute): "Vocazione di Twitter è una comunicazione che faccia della brevità il sinonimo non di superficialità, ma di densità ed efficacia." (p.18).
Ebbene, potremmo anche auspicare che questa vocazione venga pienamente realizzata da Twitter grazie all'intervento del Pontefice sul social network. Eppure ci sarebbero da fare un po' di considerazioni ulteriori.

Twitter, caro padre Spadaro, è l'espressione più alta del consumismo verbale e noetico della contemporaneità. Sul web tutto passa e nulla dura. La nostra stessa vita sul web è in qualche modo un oblio della realtà. Un costante superamento dell'attimo nella vorace bulimia di parole, pensieri, notizie e immagini che guida la rete. In tale bulimia è evidente che densità ed efficacia vadano cordialmente a farsi fottere (perdonate l'espressione ma è l'unica che mi viene in mente).

Forse non tutti sanno che questa costante accelerazione della rete in tutte le sue forme è motivata alla radice da una mera logica economica. I motori di ricerca come Google, infatti, non sono certo dei benefattori dell'umanità ma delle imprese, imprese che vendono spazi pubblicitari. Tutti i servizi accessori di Google (anche questo blog) sono fondamentalmente volti a trattenere il pubblico sulla rete in modo tale che possa più facilmente visualizzare gli spazi pubblicitari e dunque far arricchire Google.

Lo stesso discorso è valido per Twitter. Twitter non è una società filantropica, ma un progetto di social networking volto a commercializzare essenzialmente accounts. Più persone sono su Twitter, più account ci sono, più vale la piattaforma. Perché tutti questi milioni di utenti costituiscono un potenziale bacino di consumatori. Consumano infatti già notizie, aggiornamenti di stato, cazzate le più estrose. A breve potranno consumare anche spazi pubblicitari, cliccare e far guadagnare qualcuno dall'altro capo del mondo. Non è paragonabile neppure alla radio e neanche alla TV, perché in questi due casi il canale televisivo o radiofonico può essere per scelta privo di pubblicità e indipendente.

Spadaro, come tutti coloro che viaggiano sull'onda dei trends, come tutte le anime pie che parlano parlano e parlano senza sapere quale sia l'oggetto delle proprie elucubrazioni, non spiega certo la natura economica di Twitter. Non spiega come funziona.

Ve lo spiego dunque io. Twitter è stato fondato nel 2006 con un finanziamento iniziale di 1-5 milioni di $ (la cifra non è mai stata divulgata). L'intento è quello di offrire un'alternativa a Facebook meno strutturata e basata sulla trasposizione del meccanismo degli SMS in una piattaforma di condivisione sociale. Dato che milioni di persone si messaggiano sui cellulari, Twitter ha sfruttato un meccanismo già operante nella società e nella testa degli individui tecnologizzati. Negli scorsi anni la società ha ricevuto numerosi finanziamenti tra i quali sono da ricordare quelli di alcuni fondi di venture capital (ad es. Insight Venture Partners che vanta tra i suoi partners ex dirigenti di Golman Sachs), fino ad arrivare agli enormi finanziamenti come quello di 800 milioni di $ nel 2010 da parte della Digital Sky Technology (una società russa che vanta stretti legami con Goldman Sachs assieme alla quale ha anche investito 500 milioni di $ in Facebook nel 2011) e quello da 300 milioni di $ del dicembre 2011 effettuato dal principe saudita Alwaleed bin Talal. Evidentemente non stiamo parlando di filantropi.

Questi signori stanno investendo in Twitter perché la piattaforma il cui valore è oggi stimato in circa 8,4 miliardi di $ sta già guadagnando in maniera esponenziale attraverso la vendita non solo di pubblicità, ma di "promoted tweets", ossia di aggiornamenti di stato che compaiono sempre in alto e spingono gli utenti a cliccare links che rinviano a pubblicità. Nel 2012 si stimano già 300 milioni di $ di guadagni dalle pubblicità. Negli anni futuri Twitter evolverà e i suoi managers stanno già studiando il metodo più efficace per ricavare denaro dal bacino straordinario di utenti che oggi il social network può vantare.

Insomma immaginate qualcuno che con la scusa di offrirvi la possibilità di scambiarvi opinioni, idee, storie (in un mondo sempre più isolato ed egoista), vi faccia entrare in un grande stadio chiedendovi solo di registrarvi e di fornire le vostre identità. Per qualche anno vi abitua a incontrarvi sempre lì, ormai lo stadio fa parte del vostro modo di vivere, non potete fare a meno di ritrovarvi lì. Poi un giorno cominciate a vedere che qualcuno sta installando un maxischermo al centro dello stadio. Non ci fate caso e continuate a scambiare le vostre informazioni.
Un altro giorno scoprite che proprio sotto le vostre poltrone ci sono dei microfoni che registrano quanto affermate (le parole che usate di più, le persone con cui più facilmente vi relazionate, i vostri gusti insomma); paradossalmente pensate si tratti di un metodo per scongiurare eventuali intrusioni nei vostri affari e ignorate quest'altro segno. Dopo 5-6 anni, quando lo stadio è diventato la vostra casa perché la vita perde significato rispetto a questo luogo di scambio costante, compulsivo di parole, immagini, sensazioni, ecco che dal maxischermo cominciano a bombardarvi di pubblicità. Ed è come se ciascuno di voi riceva una pubblicità su misura. Per un attimo vi fermate a pensare: ma mi staranno usando? Forse sono diventato uno strumento di consumo? Forse sono stato attirato in una trappola per spendere il denaro che si va sempre più assottigliando nelle mie tasche? Il vostro vicino vi darà una scrollatina... no, i gestori dello stadio sono dei benefattori, sono circondato da amici, è troppo bello! Intanto qualcuno se ne starà disteso sul suo Panfilo a leggere il Corano, batterà le mani e arriverà un servo in livrea: "Portami altro succo d'arancia, subito!".

Ecco, che il mondo possa essere abitato da tanti coglioni non lo nego, ma che il Santo Padre debba entrare su Twitter per alimentare il giro di affari dei proprietari e finanziatori di Twitter, mi sembra una assurdità. Perché tutti comprenderete che se il Papa va su Twitter le quotazioni dell'azienda salgono, di poco, ma salgono. Strano che Spadaro non ne parli nel suo libercolo. Davvero strano, specie tenendo conto che secondo gli analisti Twitter potrebbe decidere di quotarsi nel 2013. E infatti lo scorso mese alcuni ex executives di Google sono passati a Twitter lanciando un chiaro segnale di ristrutturazione interna ai fini di una possibile quotazione che non faccia lo stesso flop di Facebook.

A ciò si aggiunga che il Papa su Twitter non seguirà nessuno, dunque questo account è la negazione del social networking, ossia delle tante elucubrazioni di Spadaro e dei suoi affiliati. E' una comunicazione a senso unico. Testimonianza ancora una volta di come il social networking nella sua dimensione oclocratica ponga tutti sullo stesso livello e sia strumento del tutto inadeguato al Vicario di Cristo!

E infine va notato che il Papa non scriverà se non il primo tweet. Tutti gli altri saranno brani delle omelie, delle catechesi, etc. Frasi chiaramente decontestualizzate e pertanto inefficaci. Ma questo non sembra interessare l'altro guru della Cybertheology, don Paolo Padrini.

Insomma, per concludere, a chi mi chiede cosa possa pensarne di questa discesa del Papa nel mondo del social networking rispondo con il seguente sketch dei Tretre, comici degli anni '80 il cui valido pensiero filosofico è ancora vivo: