lunedì 26 settembre 2011

"Vivere di grazia e secondo le leggi di natura è il più bel destino che un’anima possa desiderare in terra" (Don Alberto Secci)

Successo del primo Pellegrinaggio della

Tradizione al Santuario mariano di Oropa

«O quam beatus, o Beata, quem viderint oculi tui» (“Oh, davvero è beato, o Vergine Beata, colui sul quale si posano i tuoi occhi”) è la scritta che si trova sull'architrave del portale della chiesa della Madonna Bruna della Basilica Antica di Oropa e sono le parole con le quali don Alberto Secci ha introdotto la sua bellissima omelia della Missa in solemnitate Beatae Mariae Virginis de Oropa in occasione del primo pellegrinaggio della Tradizione dell’Italia Nord-Ovest, che si è tenuto sabato 24 settembre proprio al Santuario biellese. Da più di quarant’anni non veniva qui celebrata una Messa solenne tridentina e oggi, grazie al Santo Padre Benedetto XVI, con il suo Sommorum Pontificum, 500-600 fedeli hanno potuto assistere alla celebrazione del Santo Sacrificio del Figlio di Dio all’altare dove si trova l’affresco dello Sposalizio di Maria Vergine.
«Siamo qui pellegrini, non per fare manifestazioni», ha ancora detto don Alberto, «ma per chiedere grazie e metterci sotto lo sguardo della Madonna, per essere sotto i suoi occhi… Di quante grazie abbiamo bisogno: di una Fede più grande; di un amore più grande per Dio e il prossimo; di santità nelle nostre case; di salute per servire il Signore; di pazienza e costanza nelle prove… Ma dopo aver domandato tutte le grazie, dobbiamo elevare a Dio il nostro infinito ringraziamento perché possiamo celebrare la Messa di sempre all’altare di Oropa… Perché il mondo non si pone più sotto gli occhi della Madonna? Il mondo e tanti della Chiesa seguendo il mondo non accettano più che le persone sentano il peso della Croce. Tuttavia non si può piacere a Dio e alla Madre, non si può essere beati senza la Croce. Chi sfugge la Croce ne trova una più terribile».

Il coro ha cantato la Messa gregoriana cum jubilo e la sacralità è scesa in tutta la chiesa: le persone, immerse nella preghiera e protette dalle distrazioni, grazie al clima spirituale che questo rito diffonde, hanno assistito con grande silenzio e concentrazione. Fra i canti è stato anche possibile ascoltare l'inno, non più cantato da decenni, Maria che dolce nome, composto, proprio ad Oropa, da Padre Maggi, collaboratore dell'allora Patriarca di Venezia, Giuseppe Sarto, ovvero il futuro papa san Pio X.
Il Santuario Reginae Montis Oropae, il più importante santuario mariano delle Alpi, trasuda Fede millenaria. Questo diamante celeste, incastonato fra le montagne, sorge a 1.200 metri, sopra Biella, in cima alla valle omonima. È uno di quei luoghi sacri dove sono i muri, le pietre, la terra a cantare a gran voce la Tradizione: è una rocca dedicata alla Madonna che porta in sé il sigillo dei santi che hanno fatto grande la storia della Chiesa e che le hanno permesso, con l’intervento di Dio, di trasmettere l’integrità della Fede.
Lo sviluppo del Santuario subì diverse trasformazioni nel tempo, fino a raggiungere le monumentali dimensioni odierne tramutandosi da luogo di passaggio a luogo di destinazione per i pellegrini animati da un forte spirito devozionale. Il maestoso complesso è frutto dei disegni dei più grandi architetti sabaudi: Arduzzi, Gallo, Beltramo, Juvarra, Guarini, Galletti, Bonora che hanno contribuito a progettare e a realizzare l’insieme degli edifici che si svilupparono tra la metà del XVII e del XVIII secolo. Dal primitivo sacello all'imponente Basilica Superiore, consacrata nel 1960, lo sviluppo edilizio ed architettonico è stato grandioso.
Articolato su tre piazzali a terrazza, il complesso è imperniato su due grandi luoghi di culto: la Basilica Antica, realizzata all'inizio del XVII secolo e in cui si venera la Madonna Nera e la Chiesa Nuova. Completano la struttura monumentali edifici, chiostri e la solenne scalinata che conduce alla Porta Regia.
Cuore spirituale del Santuario è la Basilica Antica che è stata realizzata nel Seicento, in seguito al voto fatto dalla città di Biella in occasione dell'epidemia di peste del 1599. Nel 1620, con il completamento della chiesa, si tenne la prima delle solenni incoronazioni che ogni cento anni hanno scandito la storia del Santuario. Innalzata sul luogo dove sorgeva l'antica chiesa di Santa Maria, conserva al suo interno, come un prezioso scrigno, il sacello eusebiano, edificato nel IX secolo. Nella calotta e nelle pareti interne del sacello sono visibili preziosi affreschi risalenti al Trecento, opera di un ignoto pittore, detto il Maestro di Oropa. All'interno del sacello è custodita la statua della Madonna Nera, realizzata in legno di cirmolo.
Secondo la tradizione, la statua della Vergine Maria, che si dice opera dell’evangelista san Luca (alcuni studi fanno, invece, risalire la statua alle mani di uno scultore valdostano del XIII secolo), venne portata da Sant'Eusebio dalla Palestina, nel IV secolo, mentre fuggiva dalla persecuzione ariana. Ispirato da sant’Atanasio, il quale aveva scritto la Vita di sant’Antonio, iniziatore del monachesimo in Oriente, fondò a Vercelli una comunità sacerdotale, simile a una comunità monastica. Questo cenobio diede al clero dell’Italia settentrionale una significativa impronta di santità apostolica e suscitò figure di Vescovi santi come Limenio e Onorato, successori di Eusebio a Vercelli, Gaudenzio a Novara, Esuperanzio a Tortona, Eustasio ad Aosta, Eulogio a Ivrea, Massimo a Torino. Il Vescovo tenace e coraggioso, come ha ancora detto don Alberto nella predica, «fu martire per stenti, per umiliazioni e sofferenze … È un Vescovo cattolico che ha subito l’indicibile per difendere la Chiesa che era stata contaminata dall’Arianesimo. Visse il Vangelo della sofferenza, quella morale e fisica, per salvare la Chiesa e il Cristianesimo. Non spaventiamoci, allora, di fronte a qualche sacrificio».
Oggi viviamo una situazione similare al tempo di sant’Eusebio con l’invadenza del Modernismo in vasti strati della Cattolicità. Oggi, come allora, la Chiesa ha bisogno di uomini di Fede provata, coraggiosi e fieri di fare gli interessi di Dio e della Verità che, senza badare a meschini calcoli, sappiano difendere la Sposa di Cristo dagli attacchi del nemico: il demonio, con le sue seduzioni mondane.

La Chiesa, oggi, ha bisogno di un clero che risponda alle invocazioni di san Louis-Marie Grignon de Montfort (1673-1716), il poeta per eccellenza di Maria Santissima, il quale, nella sua sublime Preghiera Infocata, supplicava la Santissima Trinità di fortificare e rinvigorire gli eletti del Signore, i sacerdoti:
«Che cosa ti chiedo? Liberos! Sacerdoti liberi secondo la tua libertà […].
Liberos! Uomini totalmente dedicati a te per amore e disponibili al tuo volere, uomini secondo il tuo cuore. Non deviati né trattenuti da progetti propri, realizzino tutti i tuoi disegni e abbattano tutti i tuoi nemici, come novelli Davide con in mano il bastone della Croce e la fionda del rosario.
Liberos! Uomini simili a nubi elevate da terra e sature di celeste rugiada, pronte a volare dovunque le spinga il soffio dello Spirito Santo. I profeti hanno visto anche loro quando si chiedevano: Chi sono quelli che volano come nubi?. Andavano là dove lo Spirito li dirigeva. […].
Le lotte e persecuzioni che la progenie di Belial muoverà ai discendenti di tua Madre, serviranno solo a far meglio risaltare quanto efficace sia la tua grazia, coraggiosa la loro virtù e potente tua Madre. A lei infatti hai affidato fin dall’inizio del mondo l’incarico di schiacciare con il calcagno e l’umile cuore la testa di quell’orgoglioso.
Altrimenti fammi morire! Mio Dio, non è meglio per me morire piuttosto che vederti ogni giorno così crudelmente e impunemente offeso e trovarmi sempre più nel pericolo di venire travolto dai torrenti di iniquità che ingrossano? Preferirei mille volte la morte!
Mandami un aiuto dal cielo, o toglimi la vita! […].
Il regno speciale di Dio Padre è durato fino al diluvio e si è concluso con un diluvio d’acqua. Il regno di Gesù Cristo è terminato con un diluvio di sangue. Ma il tuo regno, Spirito del Padre e del Figlio, continua tuttora e finirà con un diluvio di fuoco d’amore e di giustizia. […].
Chi sono questi animali e questi poveri, che abiteranno nella tua terra e saranno nutriti dai cibi dolci che hai loro preparato? Non sono forse questi missionari poveri, abbandonati alla Provvidenza e saziati dall’abbondanza delle tue delizie? Non sono essi i misteriosi animali di cui parla Ezechiele?. Avranno la bontà dell’uomo, perché ameranno il prossimo con disinteresse e impegno; il coraggio del leone perché arderanno di santo sdegno e prudente zelo di fronte ai demoni figli di Babilonia; la forza del bue, perché si sobbarcheranno alle fatiche apostoliche e alla mortificazione del corpo, e infine l’agilità dell’aquila, perché contempleranno Dio.
Tali saranno i missionari che tu vuoi mandare nella tua Chiesa. Essi avranno un occhio d’uomo per il prossimo, un occhio di leone per i tuoi nemici, un occhio di bue per se stessi e un occhio d’aquila per te».
Di questi uomini di Dio ha bisogno per la sua Chiesa, così è stato, così sempre sarà, fino alla fine dei tempi.


Perché, Don Alberto, ha pensato al Santuario di Oropa come luogo sacro del primo pellegrinaggio della Tradizione dell’Italia Nord-Ovest?
«Innanzitutto è il più grande santuario delle Alpi e poi è la storia intrinseca di questo luogo sacro a richiamare l’attenzione: qui ha trovato riparo sant’Eusebio, qui vivevano gli eremiti, separati dal mondo, uniti a Dio e alla Madonna, custode della Fede cattolica. I santi amano il silenzio, perché in esso si trova la voce di Dio e Dio chiama spesso i Suoi in disparte. La Madonna visse nel silenzio e nella grande umiltà ed Ella, che visse in disparte, ci insegna la custodia della Fede.

Da cosa deriva il “successo” di questa iniziativa?
Questo successo è dato dalla grande semplicità…. C’è tanto bisogno di semplicità! Recarsi al Monte di Oropa, assistere alla Santa Messa, sostare in preghiera con il Santo Rosario questo è ciò che si è fatto: non c’erano altri scopi pastorali in questo pellegrinaggio. La gente ha bisogno di semplicità. La crisi della Chiesa è crisi della Fede e la Fede ha bisogno di semplicità, di essere presi in disparte, di tornare alle piccole comunità, non c’è bisogno di grandi programmi, proprio come ha detto Benedetto XVI durante il suo discorso nella Cappella di San Carlo Borromeo del Seminario di Freiburg im Breisgau (24 settembre 2011):
«Sinceramente dobbiamo però dire che c’è un’eccedenza delle strutture rispetto allo Spirito. Aggiungo: La vera crisi della Chiesa nel mondo occidentale è una crisi di fede. Se non arriveremo ad un vero rinnovamento nella fede, tutta la riforma strutturale resterà inefficace. Ma torniamo alle persone […] Hanno bisogno di luoghi, dove possano parlare della loro nostalgia interiore. E qui siamo chiamati a cercare nuove vie dell’evangelizzazione. Una di queste vie potrebbe essere costituita dalle piccole comunità, dove si vivono amicizie, che sono approfondite nella frequente adorazione comunitaria di Dio».

Perché le persone sentono la necessità di tornare alla Santa Messa di sempre, entrata per molti anni nell’oblio?
Perché, nella Santa Messa di sempre, Dio parla subito, senza mediazioni. Nel Vetus Ordo è Dio che agisce e la Chiesa tutta si unisce a questa offerta. La vita è drammatica, sia nel dolore, sia nei momenti di felicità. L’equilibrio è lo stato migliore per l’uomo, ma è difficilissimo raggiungerlo: in questa Messa l’equilibrio è perfetto. Nella Santa Messa di sempre si “torna a casa”, come dalla propria madre: la mamma non è una pedagoga, ma è una mamma; così la Messa non è scuola di pedagogia religiosa, bensì altare di Sacrificio, dove avviene una realtà di sconvolgente amore: il Figlio di Dio che si immola ogni volta che il sacerdote sale all’altare.

Che cosa ha da offrire la Tradizione al cattolico “svezzato”, “vaccinato”, “impegnato”, come si usa dire “adulto”, degli anni Duemila?
Gli presenta la scuola dell’umiltà di fronte a Dio. La maggior parte dei cattolici “adulti” sono tristi e si sono messi in una solitudine sensibile: hanno fatto la Chiesa come volevano, ma ora non sanno più che cosa farne. Nella Tradizione c’è una Storia grande che ti conduce… per fare qualcosa di veramente nuovo. Il Figlio, spesso, non fa quello che fa il padre, ma nella tradizione familiare trova le sue radici di appartenenza. Nella Tradizione si vive una grande gioia di Fede, ben coscienti del dramma attuale; ma non si ha la saccenza e tracotanza di organizzare la preghiera altrui con nuovi sistemi di evangelizzazione. C’è tutto nella Tradizione, perché lì sta la Verità. Si torna a casa e si mettono le ossa al loro posto: qui c’è l’obbedienza vera e quando si obbedisce alla Verità si è in armonia, proprio come la natura che, obbedendo al Creatore, è perennemente in equilibrio.
Vivere di grazia e secondo le leggi di natura è il più bel destino che un’anima possa desiderare in terra».


Il pellegrinaggio si è chiuso nel pomeriggio con la recita del Santo Rosario nella Chiesa antica, stracolma ancora di gente, dove le litanie lauretane sono risuonate nella loto magnifica semplicità e nel loro genuino affidamento filiale. Nel 2020, ha infine ricordato don Alberto, si svolgerà una nuova incoronazione della statua di Oropa. Quest'anno è, dunque, il primo pellegrinaggio di un’auspicabile novena annuale.

Cristina Siccardi
Tratto da : Messa in Latino