giovedì 13 ottobre 2011

«quod Ecclesia semel docuit, semper docuit»

Circa il falso ecumenismo


[…] la differenza tra cattolici ed acattolici, per quanto si vogliano fratelli, sta sul piano della fede. Bisogna avere il coraggio di dirlo e di dirlo sempre. Usare tattiche scivolose quanto cortesi, sfumare tutti i contorni in un incerto crepuscolo che abolisca gli aspetti imbarazzanti, non è fare dell'ecumenismo. Esso è tale quando, coll'esercizio di ogni virtù, con tutti i sacrifici personali, con tutta la consistente pazienza, con la più affettuosa delle carità, mette dei termini chiari. Forse che sarebbe un ritorno alla unità piena tra i credenti, quello in cui il cammino venisse percorso lastricato di equivoci e di mezze verità? Ora è chiaro che si deve passare questo ponte - primato romano - e che, se non lo si passa coscientemente, non si raggiunge lo scopo unico e vero dell'ecumenismo. E si delinea il vero pericolo in tale entusiasmante materia. Ecco da chi è rappresentato il pericolo di fare dell'ecumenismo una accozzaglia di dottrine troncate. Ci sono scrittori che, abusando del nome di teologi o della dignità della ricerca, sgranano ad una ad una le verità della fede cattolica, sfaldano, ignorandolo, il Magistero. Essi fanno dubitare di sapere che la verità di Dio è una e perfetta, che negata in un punto - tale è la sua interna logica ed armonia - è giocoforza negare tutto. Non comprendono che Dio ha affidato tutto ad un Magistero, il quale è tanto sicuro e divinamente garantito che si può affermare «quod Ecclesia semel docuit, semper docuit». Forse hanno anche dimenticato che la visibilità della Chiesa e la sua realtà umana non la compromettono affatto, dimostrando la mano di Dio in quello che, affidato a mani umane, non reggerebbe oggi e sarebbe morto da tempo immemorabile. I nostri fratelli ci attendono, ma ci attendono nella luce del giorno, non tra le incerte ombre della notte!

(Cardinale Giuseppe Siri, da «Renovatio», XII (1977), fasc. 1, pp. 3-6)