giovedì 6 ottobre 2011

«Tradidi quo et accepi»: intervista con don Niklaus Pfluger

"Quello che più ci importa è la Chiesa cattolica. Con Mons. Lefebvre, anche noi ripetiamo le parole di San Paolo: «Tradidi quo et accepi», trasmettiamo ciò che noi stessi abbiamo ricevuto".

Sul sito del distretto di Germania, don Niklaus Pfluger, primo Assistente generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X ha risposto il 29 settembre 2011 a qualche domanda sulla riunione del 14 settembre a Roma e sui documenti consegnati al Superiore generale della Fraternità.
 
 

Si sa che è stato consegnato un preambolo dottrinale di grande interesse. Benché Lei sia obbligato alla riservatezza sul contenuto del documento, può dirci come vede questo testo?

Il testo proposto ammette delle correzioni da parte nostra. E questo è necessario, se non altro per eliminare chiaramente e definitivamente la minima ombra di ambiguità o di malinteso. Da parte nostra, adesso dobbiamo consegnare a Roma una risposta che rifletta la nostra posizione e manifesti senza ambiguità le preoccupazioni della Tradizione. In forza della nostra missione di fedeltà alla Tradizione cattolica, noi non dobbiamo fare dei compromessi. I fedeli, e ancor più i sacerdoti, sanno molto bene che le offerte romane fatte nel passato alle diverse comunità conservatrici erano inaccettabili. Se adesso Roma fa un’offerta alla Fraternità bisogna che questa sia chiaramente e inequivocabilmente per il bene della Chiesa e acceleri il ritorno alla Tradizione. Noi facciamo nostri il pensiero e il modo d’agire di tutta la Chiesa cattolica: la sua missione universale, e questo fu sempre l’ardente desiderio del nostro fondatore: che la Tradizione rifiorisse dovunque nel mondo. È questo che potrebbe giustamente favorire un riconoscimento canonico della Fraternità Sacerdotale San Pio X.

 Certi critici dicono che Roma, con questo preambolo, vorrebbe tendere una trappola alla Fraternità: una Fraternità legittimamente integrata potrebbe apportare alla Chiesa moderna il suo “carisma della Tradizione”, ma dovrebbe anche accettare altri percorsi e il pensiero conciliare, nel senso del pluralismo.

Questa critica è del tutto giustificata e dev’essere presa sul serio. Noi non possiamo escludere l’impressione che si stabilirebbe una accettazione silenziosa, che condurrebbe in effetti a quella diversità che relativizza la sola verità: è proprio questa la base del modernismo.

Assisi III e più ancora l’infelice beatificazione di Giovanni Paolo II, insieme a molti altri esempi, dimostrano chiaramente che le autorità della Chiesa non sono sempre pronti ad abbandonare i falsi principi del Vaticano II e le loro conseguenze. Di modo che ogni offerta fatta alla Tradizione deve garantirci la libertà di continuare sia la nostra opera sia la nostra critica nei confronti della «Roma modernista». E per essere franchi, questo sembra molto, molto difficile. Ancora una volta, dev’essere escluso ogni compromesso falso e pericoloso.

È inutile comparare la situazione attuale con gli incontri del 1988. A quell’epoca, Roma voleva impedire ogni autonomia della Fraternità San Pio X, il vescovo che si voleva concedere, forse sì o forse no, avrebbe dovuto dipendere in ogni caso da Roma. A Mons. Marcel Lefebvre questo appariva troppo aleatorio. Se egli avesse ceduto, Roma avrebbe potuto veramente sperare che una Fraternità senza vescovi «propri», una volta o l’altra avrebbe finito con l’orientarsi verso la linea conciliare. Oggi la situazione è tutt’altra. Vi sono quattro vescovi e 550 sacerdoti sparsi nel mondo, mentre le strutture della Chiesa ufficiale si sbriciolano sempre più velocemente. Roma non può più confrontarsi con la Fraternità come fece più di vent’anni fa.

Intravede la possibilità di una risposta positiva? E che la Fraternità sottoscriva il preambolo?

Qui la diplomazia svolge un ruolo importante. All’esterno, Roma vuole salvare la faccia. Il Papa ha già ricevuto troppi rimproveri per aver rimesso la “scomunica” ai nostri vescovi senza preamboli. Se fosse dipeso dalla maggioranza dei vescovi tedeschi, la Fraternità avrebbe dovuto prima firmare un riconoscimento in bianco del Concilio. Del resto, è quello che essi esigono oggi. Il Papa Benedetto XVI non l’ha fatto. Lo stesso dicasi per la liberalizzazione della Messa tridentina, l’altra condizione chiesta dalla Fraternità. In tal modo Roma ha acconsentito per due volte ai desideri della Fraternità. È evidente che oggi si chiede un testo che possa essere presentato al pubblico. La questione sta nel capire se questo testo si possa sottoscrivere. Fra una settimana, i Superiori della Fraternità San Pio X si riuniranno a Roma per discutere della cosa. Ovviamente, dev’essere chiaro al Cardinale Levada e alla Congregazione per la Dottrina della Fede, che non possono pretendere un testo che a sua volta la Fraternità non potrebbe giustificare di fronte ai suoi membri e ai suoi fedeli.



A chi hanno apportato maggiore vantaggio i colloqui: a Roma o alla Fraternità San Pio X?

È un punto molto interessante, quindi insisto: per noi non si tratta di acquisire un vantaggio. Noi vogliamo rendere nuovamente accessibile a tutta la Chiesa il tesoro che Mons. Lefebvre ci ha trasmesso. Su questo punto, uno statuto canonico sarebbe un beneficio per tutta la Chiesa. Per esempio, si può supporre che un vescovo conservatore possa chiedere ad un sacerdote della Fraternità di venire ad insegnare nel suo seminario diocesano. In più, una regolarizzazione della nostra posizione potrebbe anche significare che dei cattolici, che in altre occasioni si sono lasciati dissuadere da etichettature infamanti, a quel punto osino unirsi a noi. Ma non è di questo che si tratta, da 41 anni la Fraternità si è sviluppata regolarmente, e questo malgrado il pesante argomento della “scomunica”. Quello che più ci importa è la Chiesa cattolica. Con Mons. Lefebvre, anche noi ripetiamo le parole di San Paolo: «Tradidi quo et accepi», trasmettiamo ciò che noi stessi abbiamo ricevuto.

Intervista completa in versione originale su wwww.pius.info.