lunedì 8 marzo 2010

Michael Davies: cambiare il rito per cambiare la fede (3)

San Giovanni Fisher

Abbiamo visto precedentemente come la riforma protestante si sia diffusa in Inghilterra non attraverso la predicazione dei riformatori (come Lutero in Germania o Calvino in Svizzera), ma attraverso una riforma liturgica di una straordinaria ambiguità. Il re Enrico VIII aveva sì provocato lo Scisma e si era proclamato capo della chiesa Inglese, aveva anche promulgato leggi di soppressione di conventi e incameramento dei beni ecclesiastici, ma non aveva mai permesso che l'eresia entrasse nel suo regno. E' noto che prima dei suoi atti scismatici, era stato insignito dal Papa del titolo di “Defensor fidei”, per i suoi scritti in difesa della dottrina cattolica sull'Eucarestia. È dopo Enrico VIII, sotto il regno di Edoardo VI fanciullo, che i protestanti, approfittando della debolezza della situazione, fecero entrare consistentemente le nuove dottrine in terra d'Inghilterra. L'arcivescovo di Canterbury, Cranmer, fu il grande architetto dell'impresa, protestantizzare la nazione trasformando il culto in senso riformato.
Vi fu così dapprima l'introduzione del “Book of common prayer” (Libro della preghiera comune) che costituiva una prima tappa della trasformazione del cattolicesimo in Anglicanesimo. Una prima tappa prudentemente ambigua, per non scandalizzare i fedeli ancora legati alla tradizione cattolica. Al riguardo ecco cosa spiega Bucer: “Questi elementi non devono essere conservati che durante un certo tempo, per timore che il popolo, non avendo appreso il Cristo, sia sviato dall’abbracciare la sua religione da delle innovazioni troppo importanti. Ecco, invece, cosa ci ha confortati: nelle chiese, tutti gli uffici sono detti o cantati in lingua vernacolare; la dottrina della giustificazione è insegnata pura da ogni errore, e l’eucaristia è distribuita come è stato stabilito dal Cristo, essendo state abolite le messe private” (Original Letters Relative to the English Reformation, Parker Society 1846 e 1847, t. II, pp. 535-536).
Si legge dalla penna del Dr. Darwell Stone: “E’ probabile che il Prayer Book del 1549 costituiva ciò che allora si stimava possibile mettere in opera senza rischi, piuttosto che ciò che desideravano l’arcivescovo Cranmer e coloro che agivano con lui, e che all’epoca in cui l’opera fu pubblicata prevedevano già una revisione che si sarebbe avvicinata maggiormente alla posizione dei riformatori estremisti” (D. Stone, History of the Doctrine of the Eucharist, Londra, 1909, t. II, p.139). A proposito di questo primo Prayer Book, il canonico anglicano E.C. Ratcliff ugualmente osserva: “I suoi autori lo consideravano come una misura intermedia, che preparava una messa in opera ben più fedele alle loro opinioni riformatrici”.
E il padre Clark scrive: “Nel primo periodo, il più delicato, Cranmer e i suoi amici compresero che era più saggio introdurre la riforma per tappe, preparando progressivamente gli spiriti alle decisioni più radicali che dovevano seguire. Se dovettero a volte ricorrere alla violenza e all’intimidazione per ridurre l’opposizione, la loro politica fu più sovente di cominciare col neutralizzare la massa conservatice, col privarla dei suoi capi che avevano lo spirito cattolico, per poi abituarla progressivamente alla nuova situazione religiosa. Cranmer deplorava lo zelo intempestivo di uomini come Hooper, che non potevano che irritare gli spiriti conservatori e di irrigidire l’atteggiamento di quella parte importante della popolazione che, saputa prendere, poteva essere condotta a dare il suo assenso alle misure interimali e ambigue” (F. Clark, Eucharistic Sacrifice and the Reformation, Devon 1980, p.194). Questo modo di procedere dei riformatori inglesi corrisponde d'altronde perfettamente al contegno dello stesso Lutero: “Istituire una liturgia fondamentalmente nuova era un'idea totalmente estranea al pensiero di Lutero...Preferiva servirsi della messa romana, per una ragione ben semplice, che non smette di ricordare: per attenzione ai deboli, cioè per non allontanare inutilmente il popolo dalla nuova chiesa con l'introduzione di novità. Si limitò a eliminare dall'antico rito ogni riferimento al carattere sacrificatorio della messa: il canone, per esempio e l'offertorio che lo precedeva. Pensava così che valesse di più conservare la “parola messa”” (H.Grisar, Luther, Londra 1913.1917, t.V, p. 145). In una opera in difesa della bolla di Papa Leone XIII “Apostolicae curae”, che dichiarava invalide le ordinazioni anglicane, i vescovi cattolici inglesi mettono giustamente l'accento sulle omissioni del Prayer Book riguardo alla santa cena. L'abbiamo ripetutamente ricordato: nel nuovo rito anglicano della messa, quello del Prayer book del 1549, non troveremo affermate delle eresie, ma omesse verità di fede essenziali. Le omissioni , il “taciuto”, in liturgia è sempre grave, perché rinunciare ad affermare con completezza e chiarezza tutte le verità di fede implicate, può portare a un vuoto di dottrina nei sacerdoti e nei fedeli che nel futuro apre il campo all'eresia: in parole semplici oggi sei cattolico con una messa eccessivamente semplificata, domani senza saperlo ti ritrovi protestante perché la forma della tua preghiera non ha nutrito più la tua fede. Ecco cosa dicono i vescovi cattolici inglesi:“Per dire le cose brevemente, se si compara il primo Prayer Book di Edoardo VI con il messale (cattolico), vi si scoprono sedici omissioni, il cui scopo era evidentemente quello di eliminare l’idea di sacrificio” (Il Cardinale arcivescovo e i Vescovi della provincia di Westminster, A Vindication of the Bull Apostolicae Curae, Londra 1898, p. 154).
Naturalmente gli anglicani si sono difesi dall'accusa di aver protestantizzato la messa, dicendo che i loro servizi tendevano alla semplicità e a un ritorno all’uso primitivo (la scusa è sempre quella di un ritorno ad una mitica semplicità delle origini). I vescovi cattolici inglesi intervengono con severità ricordando che mai le chiese locali hanno avuto il potere di togliere dai riti, semmai solo quello di aggiungere, e che l'operaanglicana è una totale innovazione fatta “a tavolino”: “Esse (le chiese locali) non devono omettere o cambiare quel che si vuole rispetto alle forme che ci ha trasmesso la tradizione immemorabile. Perché questo uso immemorabile, che si siano o no incorporate nel corso delle epoche delle aggiunte superflue, non può, agli occhi di coloro che credono in una Chiesa visibile guidata da Dio, non aver conservato almeno tutto ciò che è necessario; in modo che portando al rito che ci è stato trasmesso un’adesione inflessibile proviamo sempre un sentimento di sicurezza; mentre, se noi ne omettiamo o se ne cambiamo quello che si vuole, può essere che abbandoniamo precisamente un elemento essenziale. Questa sana maniera di agire è stata sempre quella della Chiesa cattolica… Si sa che, un tempo, le Chiese locali potevano legittimamente aggiungere nuove preghiere e nuove cerimonie… Ma che avessero avuto il permesso di sopprimere preghiere e cerimonie in uso prima, vuoi di rimaneggiare nel modo più radicale i riti esistenti, è una tesi alla quale noi non riconosciamo alcun fondamento storico, e che ci sembra assolutamente inaudita. Stimiamo di conseguenza, che adottando questa attitudine senza precedenti, Cranmer ha agito con una inconcepibile temerarietà” (Ibid., p. 42).
Tutte cose di una straordinaria attualità come vedremo più avanti...