giovedì 18 marzo 2010

Se la storia si ripete…


Il Card. Fauhaber ordina sacerdote il diacono Joseph Ratzinger
Nessuno dubita che chi commette atti turpi e si macchia di crimini particolarmente gravi, come quelli di cui si discorre in questi giorni, si esponga al rischio della riprovazione e della condanna eterna, meriti le più severe sanzioni ecclesiastiche e civili; inoltre è chiaro che se costui è chierico o religioso. egli rinnega anche impegni e i suoi voti pubblici e solenni, contraddice gravemente il suo servizio alla Chiesa e la sua fede; ma se è vero che la storia talvolta si ripete, è anche vero che la Chiesa, nel caso si opponga al regime ideologico dominante, rischia di subire da esso una vera e propria persecuzione. Il paragone con il nazismo non è dunque così peregrino. Ecco al proposito un articolo da leggere e da meditare, come si suol dire, per non dimenticare....

« Il vescovo di Ratisbona, monsignor Gerhard Ludwig Müller, la scorsa settimana ha ricordato, nella sua lettera sul tema delle accuse di pedofilia ad alcuni sacerdoti della diocesi, “il sinistro discorso tenuto nel 1937 a Berlino dal maestro della sobillazione popolare”. Si tratta del discorso – recentemente citato anche dal quotidiano Süddeutsche Zeitung – che fu pronunciato il 28 maggio del 1937 dal ministro per la propaganda hitleriana, Joseph Goebbels, e che si inquadra nella campagna di linciaggio alla quale i preti cattolici furono sottoposti nei primi anni del regime di Hitler. Una storia che in Germania è stata raccontata in un libro molto dettagliato e illuminante, uscito nel 1971. Il libro si intitola “I processi dal 1936 al 1937 per reati contro la morale pubblica a membri di confraternite e preti”, e lo ha scritto lo storico Hans Günter Hockerts, docente a Monaco.

L’autore racconta come il nazismo usò gli scandali avvenuti nella congregazione di Waldbreitbach per fare la guerra ai preti cattolici, i quali avevano assunto un atteggiamento apertamente critico verso il regime. Goebbels aveva ordinato che tutti i giornali del Reich (circa quattordici milioni di copie al giorno) riferissero minuziosamente di ogni singolo processo. Titolazione, sommario, attacco e taglio dell’articolo venivano discussi quotidianamente nella conferenza stampa e poi trasmessi alle redazioni. Braccio destro del ministro in questa operazione era il capo del suo ufficio, Alfred-Ingemar Berndt, incaricato di formulare tutti i giorni nuove frasi di scherno e di diffamazione. Slogan del tipo: “Le sacrestie si sono trasformate in bordelli”, “I conventi sono diventati covi di omosessuali” diventavano titoli a effetto. Il grande raduno ordinato da Goebbels, e tenutosi il 28 maggio del 1937 alla Deutschlandhalle di Berlino, doveva servire a rafforzare la campagna di denigrazione contro il clero cattolico. Vi parteciparono ventimila persone, e non mancavano le SA, le squadre d’assalto hitleriane. Goebbels esordì dicendo che “il governo del Reich avrebbe volentieri evitato di spendere parole su questi fatti, ma l’impertinenza dei cattolici non ci permette di tacere”.

Eppure, nonostante i durissimi attacchi, l’esito non fu quello sperato da Goebbels. I fedeli non voltarono la schiena alla chiesa cattolica. Anzi, mai come in quei due anni le chiese si sono riempite di fedeli, mentre i sacerdoti si difendevano dal pulpito e mettevano in guardia dalla lettura dei giornali. Poi, come scrive Hockerts nel suo libro, fu Hitler stesso a smorzare, a seconda della convenienza, l’ira strumentale di Goebbels. Successe, per esempio, nel marzo del 1936, quando ordinò alla Wehrmacht di entrare in Renania: di lì a poco si sarebbe tenuto nel Land un referendum per il quale aveva bisogno anche del voto dei cattolici. I dibattimenti ripresero in aprile, ma già qualche mese dopo, in agosto, furono di nuovo interrotti: c’erano le Olimpiadi. Hitler provò a portare dalla sua parte anche il cardinale di Monaco, Michael von Faulhaber, promettendogli in cambio la fine di ogni processo. I vescovi tedeschi cercarono di guadagnare tempo, ma quando nel marzo del 1937 Pio XI pubblicò l’enciclica “Mit brennender Sorge” (“Con viva ansia”) nella quale denunciava il regime nazista, Hitler ordinò la ripresa immediata della campagna contro i sacerdoti cattolici. La vicenda, come si ricordava all’inizio, è stata rievocata da monsignor Müller nella sua missiva ai fedeli, che si apre con una netta condanna verso qualsiasi abuso sessuale e che sostiene l’assoluta necessità, non solo di combatterlo ma di punire chiunque se ne sia macchiato. Il vescovo di Ratisbona si oppone però in modo altrettanto deciso alla stigmatizzazione della chiesa cattolica nel suo insieme, e al veder trasformato qualsiasi prete in un potenziale reo di abusi sessuali verso minori. Ricorda quindi come il nazismo cercò “di esporre il clero cattolico alla pubblica vendetta. Il mezzo per arrivarci era la ‘Sippenhaft’ (letteralmente: responsabilità del clan). Non era più il vero colpevole o il colpevole accusato a torto, il signor XY, a essere responsabile delle proprie azioni, ma l’intero clero al quale il colpevole apparteneva, o meglio ancora la chiesa come ‘sistema’».

Andrea Affaticati
su Il Foglio del 16 marzo 2010