venerdì 5 marzo 2010

Celibato ecclesiastico (2)

Celibato clericale 2

Concludiamo, con questo secondo capitolo, le riflessioni sull’origine del celibato, o continenza, per i membri della classe clericale. Già ci siamo occupati della disciplina della Chiesa occidentale, constatando che non si può affermare - come molti fanno - che l'astensione sessuale sia stata decretata nel IV secolo al Sinodo di Elvira o addirittura nel XII secolo, al secondo Concilio Lateranense. In realtà, i Padri di quelle solenni riunioni non fecero che confermare decisioni e prassi precedenti: nella Chiesa, sin dalle origini, era dato per scontato che il servizio all'altare dovesse accompagnarsi con l'astensione dall'esercizio della sessualità.


Come dicevamo, ci basiamo sul denso saggio del cardinale Alfons Stickler che inizia il suo studio sul celibato tra i cristiani orientali - in effetti, di questi ora ci occupiamo - con le parole seguenti: «Di fronte a un atteggiamento ritenuto sin dall'inizio più liberale, si è mosso il rimprovero alla Chiesa latina di essere divenuta sempre più stretta e severa nella sua disciplina celibataria. Quale prova di questa asserzione, ci si appella alla prassi della Chiesa orientale che avrebbe conservato l'originale disciplina della Chiesa primitiva. Per questo motivo - dicono alcuni - anche la Chiesa latina dovrebbe tornare alla disciplina originale, soprattutto di fronte al grave peso che il celibato costituisce oggi per la situazione pastorale nella Chiesa universale».

In realtà, come sono andate davvero le cose in Oriente? E come si è giunti all'attuale situazione, immutata da secoli, secondo la quale solo i vescovi sono tenuti alla continenza assoluta se erano già sposati, mentre i preti e i diaconi possono usare del matrimonio, purché sia il primo e sia stato contratto prima dell'ordinazione? Stickler cita testimoni importanti come il vescovo Epifanio di Salamina, nell'isola di Cipro, nato nel 315 e morto nel 403 e i cui scritti sulla disciplina della Chiesa sono tra i più autorevoli. Nella sua opera principale, Panarion, Epifanio afferma a chiare lettere che «Dio ha mostrato il carisma del nuovo sacerdozio per mezzo di uomini che hanno rinunciato all'uso del matrimonio o che da sempre hanno vissuto come vergini». E questa è, aggiunge Epifanio, «la norma stabilita dagli apostoli, secondo sapienza e santità». In un'altra opera, il vescovo ribadisce che così si fa dove vengono osservate le disposizioni della Chiesa. Se in qualche luogo ci sono sacerdoti che continuano a generare figli, «ciò non avviene in osservanza della norma, ma è una conseguenza della debolezza umana». Ci sono già, come si vede, i segni di un disordine che, dopo tre secoli, condurrà alla «resa» la Chiesa d'Oriente

C'è pure la testimonianza di un santo grande e famoso, Girolamo, il traduttore in latino della Scrittura, ordinato sacerdote in Asia nel 379 e vissuto quasi sempre in Oriente, morendo poi in Palestina. Girolamo ricorda spesso la prassi di ordinare soltanto chierici vergini o continenti, disciplina che vige, ricorda, anche «nelle Chiese d'Oriente e dell'Egitto». A Nicea, dove nel 325 si tenne il primo Concilio ecumenico della storia, si stabilì il divieto per i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, e in genere per tutti i chierici, di tenere donne nella loro casa. Unica eccezione, la madre, le sorelle, le zie e altre femmine al di sopra di ogni sospetto a causa dell'età avanzata. Come fa notare Stickler, «tra le donne per le quali è permessa la convivenza, non figurano le spose». Per secoli, dubbi sulle vere intenzioni dei Padri di Nicea sono stati avanzati sulla base dell'episodio di un vescovo dell'Egitto, tal Paphnuzios, il quale avrebbe chiesto all'assemblea - e ottenuto da essa - di lasciare alle Chiese particolari la decisione sull'obbligo o no di astensione dal sesso. Ebbene, com'è ormai dimostrato in modo inequivocabile, questo episodio è apocrifo. Esistette forse un Paphnuzios eremita del deserto, ma non fu mai Padre al Concilio di Nicea.

È dunque accertato che la disciplina dei cristiani orientali era, nei primi secoli, omogenea a quella degli occidentali: la Chiesa, in questo indivisa, esigeva dai suoi ministri verginità, celibato, continenza. Ma un simile obbligo, tanto contrastante con l'istinto naturale e dunque così difficile da osservare, esigeva un'autorità, un'organizzazione, un controllo costante, un Magistero energico e centrale: tutte cose che difettavano alle Chiese d'Oriente. Di fronte, poi, al dilagare degli abusi, gli imperatori di Bisanzio - che, a causa del cesaropapismo vigente, avevano autorità nelle questioni ecclesiali - tendevano a scegliere la via più tranquillizzante per il potere politico,emanando norme che autorizzavano il chierico a tenere con sé la moglie dopo l'ordinazione. Scrive Stickler: «Mentre per i vescovi si riusciva a mantenere in quasi tutto l'Oriente l'antica tradizione di completa continenza, l'uso sempre più invalso dell'uso del matrimonio da parte dei sacerdoti, dei diaconi e suddiaconi, purché contratto prima dell'ordinazione, veniva giudicato non più arrestabile. Ciò significa che ci si arrendeva alla situazione di fatto».

La Chiesa d'Oriente, insomma, giudicò come male minore il legalizzare ciò che pure andava contro una disciplina che, come più volte essa stessa aveva affermato, risaliva addirittura agli apostoli. La «resa» avvenne nel 691, nel secondo Concilio Trullano, detto così per la cupola, troùllos in greco, della sala del palazzo imperiale di Costantinopoli dove fu celebrato. Significativo il luogo: nel cuore del palazzo, cioè, di un Cesare cui non interessavano le questioni teologiche o le pratiche ascetiche, bensì la regolarizzazione di una miriade di situazioni disordinate e ambigue. Sotto quel «trullo» si presero decisioni che valgono ancor oggi in Oriente. Si dispose innanzitutto che i vescovi non potevano coabitare con le loro mogli. In ogni caso - e sino ad oggi - i vescovi sono scelti soprattutto tra i monaci, votati sin da piccoli alla verginità. Quanto ai sacerdoti, diaconi, suddiaconi, si concedeva che potessero usare del matrimonio «eccetto nei tempi in cui prestino servizio all'altare e celebrino i sacri misteri, dovendo essere continenti durante questo tempo». Osserva Stickler: «Questa disposizione significava un ritorno alla prassi dei sacerdoti dell'Antico Testamento, tenuti all'astinenza solo quando era il loro turno per il servizio nel tempio di Gerusalemme. Prassi che la Chiesa antica aveva sempre rifiutato, con chiare ragioni». E prassi, aggiungiamo, basata sul fatto che allora il servizio all'altare era, in Oriente, limitato alla domenica.

Poiché anche in quelle Chiese la celebrazione dell'eucaristia divenne, con gli anni, quotidiana, per coerenza si sarebbe dovuto ritornare alla continenza completa, così come praticata in Occidente. Invece, anche qui la Chiesa d'Oriente sembrò arrendersi allo stato di fatto e, malgrado le disposizioni «trullane» siano tuttora in vigore, nessun prete pratica più quell'astinenza sessuale che pure era considerata essenziale per celebrare il Santo Sacrificio.

Anche qui, poi, si aggiunse un falso, come era avvenuto per il presunto Paphnuzios. In effetti, i Padri del Concilio Trullano, alla ricerca di precedenti nella Tradizione che giustificassero la loro disciplina «lassista» , si rivolsero ai Concili africani, quegli stessi che abbiamo citato nella prima parte e che invece affermavano chiaramente il legame tra stato clericale e celibato o continenza, datandoli addirittura all'età apostolica. Come sentenzia la deliberazione dell'assise di Cartagine, nel 390, che non lascia dubbi: «Conviene che tutti coloro che servono ai divini sacramenti siano continenti in tutto, affinché custodiscano ciò che hanno insegnato gli apostoli e ciò che tutto il passato ha conservato». Approfittando del fatto che gli atti di quei Concili erano in latino, lingua conosciuta da pochi in Oriente, si manipolarono le frasi adatte e questa falsificazione fu portata come conferma della Tradizione alle decisioni del Concilio Trullano.

Abbiamo già visto quale risposta sia stata data dalla Tradizione occidentale, e a lungo pure da quella orientale, all'obiezione, anche oggi continuamente riproposta, secondo la quale (stando alla lettera paolina a Timoteo e a Tito) i candidati agli Ordini sacri devono essere sposati una sola volta. Questo perché, spiegano i Padri, se non avessero saputo stare senza moglie in caso di vedovanza, «si dovrebbe temere per la loro capacità di osservare la continenza nel sacerdozio».

Nei secoli, e oggi ancora, viene poi riproposta un'altra possibile difficoltà scritturale contro celibato e continenza, quella di 1 Corinzi 9, 5, dove Paolo, retoricamente, chiede: «Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa?». Questa è la traduzione della Cei; ma è, va pur detto, ambigua se non errata. Così rileva, in effetti, il cardinale Stickler. «L'originale greco non parla semplicemente di una gunaika che potrebbe significare anche moglie. Di certo non senza intenzione san Paolo aggiunge la parola adelfèn, ossia "donna sorella", per escludere ogni confusione con la consorte».

Naturalmente, la verginità sacerdotale (originaria sin dall'infanzia o ritrovata che sia, nella rinuncia alla pratica sessuale) è un mistero legato direttamente al Mistero del Cristo e sia la teologia che la mistica hanno qui da fare, e hanno fatto nei secoli, riflessioni profonde. (…).

Vittorio Messori