giovedì 26 luglio 2012

segni dei tempi

Chiude 30Giorni,

la storica rivista cattolica

diretta da Andreotti





di Franca Giansoldati

CITTA’ DEL VATICANO – 30Giorni, la storica testata cattolica legata a Cl e diretta da Giulio Andreotti chiude i battenti. In questi decenni si era distinta per importanti battaglie a favore della Chiesa: è stata tra le prime voci a rivendicare la libertà religiosa nei Paesi islamici, il dialogo con il mondo laico, i ponti con la Cina e Israele fino alle riflessioni sulle eresie contemporanee, la gnosi e il pericolo di un neo pelagianesimo.

La sospensione delle pubblicazioni è stata annunciata da uno scarno comunicato apparso sul sito della testata. «Purtroppo alcuni accadimenti degli ultimi mesi, in particolare la morte di don Giacomo Tantardini, rendono impossibile continuarne la realizzazione». All’origine della dolorosa decisione presa dalle venti persone che vi lavorano (tra giornalisti e personale amministrativo) e il senatore Andreotti non ci sono solo questioni legate a problemi economici. Perché con la scomparsa di don Giacomo, figura storica nel mondo ciellino, già anima del settimanale Il Sabato (chiuso alla metà degli anni Novanta) , è venuto a mancare un punto di riferimento fondamentale per l’elaborazione editoriale del giornale. I più importanti filoni culturali anche se venivano sviluppati e ampliati all’interno della testata, erano frutto di sue fortunate intuizioni. 30Giorni era diffusa in quattro lingue e veniva distribuita gratuitamente a monasteri e istituti religiosi del Terzo Mondo, grazie a una onlus creata apposta da don Giacomo.

La direzione del senatore Andreotti, grande amico del sacerdote romano, ha arricchito il giornale di notevoli contributi diplomatici e stranieri come l’intervista a Shimon Peres o editoriali affidati all’ex segretario di Stato americano Colin Powell. «Vogliamo ringraziare di cuore tutti coloro che ci hanno accompagnato con la loro stima e il loro affetto» scrivono i vicedirettori sul sito del giornale. La speranza è di riuscire a trovare nuovi editori disposti a scommettere su un progetto editoriale destinato a rafforzare i legami tra la Chiesa di Roma e le periferie cattoliche, le diocesi nei territori di missione, le comunità più lontane.

martedì 24 luglio 2012

Dignità e Sovranità di una Nazione


Pubblichiamo questi due articoli in questo frangente drammatico per la nostra Italia. Il primo di Langone mette il dito sulla piaga delle divisioni tra le varie destre italiane chiedendone una unificazione strategica e non solo tattica, il secondo auspica Roberto de Mattei in Parlamento.  Ci limitiamo a registrare questi flebili segni di vita di una realtà politica di cui si sente la necessità per un ritorno di dignità e di sovranità nazionale e per stornare il pericolo che operazioni come “Bonino al Quirinale” possano andare in porto.

RIPARTIAMO DA ITACA, NON DA PREDAPPIO
di Camillo Langone

Purché non sia nostalgia. La mia paura è che l’indispensabile rifondazione culturale della destra italiana si rattrappisca in una sorta di rifondazione missina. Non tanto perché missino io non lo sono mai stato: non ne faccio una questione personale. Ma perché, molto evidentemente, di tutto l’Italia ha bisogno fuorché di un ritorno agli anni settanta, anche se solo nei termini di un vintage intellettuale.
Purtroppo invece leggo la lista dei promotori e dei partecipanti di “Ritorno a Itaca”, il convegno pro-destra tenutosi  l’altro giorno ad Acquasanta Terme, e mi sembrano davvero poche le persone che non abbiano trascorso qualche remoto anno nel Fronte della gioventù. Nonostante il toponimo cattolico e lo svolgimento dei lavori in un monastero benedettino, in quella località delle Marche mio arei sentito spaesato e in tanti devono averla pensata come me, siccome l’appello di Marcello  Veneziani “a tutte le destre” è stato raccolto da una destra sola, quella con Benito nell’album dei ricordi. Dov’era la destra cattolica? Dov’erano Giovanni Cantoni e Giovanni Lindo Ferretti, Angela Pellicciari e Costanza Miriano? Dov’era Alleanza Cattolica e Antonio Socci, il giurista Francesco D’Agostino e Magdi Allam? E Roberto Dal Bosco gran disvelatore del nichilismo buddista? E dov’era la destra libertaria di Oscar Giannino, degli economisti dell’Istituto Leoni e ei ragazzi del Tea Party? Non pervenuti nemmeno loro.

Su quel palco piceno mi sarebbe piaciuto vedere Giancarlo Gentilini, leghista e Patriota, e Pier Carlo Bontempi, sommo architetto della tradizione, e Ida Magli, una che di euro e di Europa aveva già capito tutto nel 1997, e Claudio Risé con i suoi maschi selvatici, e un poeta di sicuri sentimenti nazionali come Aurelio Picca… Niente da fare. Non poteva andare altrimenti perché l’appello di Veneziani aveva un titolo includente ma un testo escludente che si rivolgeva esplicitamente solo alla destra di Storace, a quel poco che resta di Futuro e Libertà e alla componente aennina all’interno del Pdl. Dando la sensazione, più che di un ritorno a Itaca, di un ritorno a Predappio. La nostalgia è la grande malattia dell’intero centrodestra(ha colpito non solo gli amici di Veneziani) e per diagnosticarla anziché Omero serve Jack London e il suo Richiamo della foresta. Tutti improvvisamente smaniano di tornare all’origine, sulle posizioni di quando erano giovani (o meno vecchi), quindi c’è chi parte per Forza Italia, chi per Alleanza Nazionale. E’ un fenomeno comprensibile, visti i chiari di luna, però patetico (Premio Disperazione a Carmelo Briguglio che ieri ha proposto di rifare An e di rimetterci a capo Gianfranco Fini). Purtroppo per loro, al posto della grande foresta i ritornanti troveranno solo radi boschetti, defogliati dal tempo. Se non addirittura singoli alberi, assediati dalla vecchiaia e dal cemento, incapaci di fornire qualsivoglia riparo. Contenti loro.

Concludo qui la lista delle inevitabili critiche, che poteva perfino essere più lunga, per venire alla pras construens: l’inevitabile condivisione della necessità, anzi dell’urgenza, di una rifondazione culturale della destra. Per uscire dall’intellettualismo e dal settarismo di Acquasanta, mantenendo però il medesimo format, propongo di intitolare il prossimo convegno “ritorno alla Nazione”. Allora sì. Sul tema della sovranità(“politica, monetaria, internazionale” come precisato da Veneziani a Borgonovo su queste pagine) possono confluire tutte le destre possibili e immaginabili, e forse pure quelle inimmaginabili che al momento se ne stanno ben nascoste perché intenzionate a combattere Monti e la finanza mondialista ma non a partecipare ai raduni dei vecchi camerati.

In fondo lo slogan giusto esiste già da qualche tempo, si tratta solo di dargli una bella lucidata. Verrà rilanciato in un libro in uscita a settembre per Mondadori, firmato proprio da Veneziani e felicemente intitolato Dio, patria e famiglia. E se qualcuno storce il naso di fronte alla grande triade delle cose permanenti (per citare Eliot) faccia la cortesia di accomodarsi altrove: abbiamo scoperto che è di sinistra.
tratto da "Libero" del 18 luglio u.s.



 

*****

Vi immaginate Roberto De Mattei

in Parlamento?

Quando a maggio c'è stata la marcia per la vita, sono rimasto positivamente sorpreso dal successo ottenuto dall'iniziativa nonostante i media progressisti l'avessero tenuta sotto silenzio. Ma ancor di più mi ha fatto piacere notare che gli organizzatori chiedevano esplicitamente l'abrogazione della legge sull'aborto, non come fanno certi politici che si limitano a chiedere dei torbidi compromessi. Vi confesso che in quei giorni ho pensato con speranza che dal movimento della marcia per la vita potesse nascere un nuovo movimento politico che difendesse davvero i valori cristiani.

Purtroppo, è di questi giorni la notizia che anche i leader democristiani dell'UDC (Casini e Cesa) hanno fatto delle sconvolgenti aperture sulle coppie di fatto, giungendo a dire di voler riconoscere giuridicamente persino le coppie omosessuali.

Visto che i partiti di sinistra sono su posizioni progressiste avverse al Magistero della Chiesa, e che anche nel PDL ci sono degli esponenti "liberal", penso che sia giunto il momento che qualcuno dia vita a un nuovo movimento politico che promuova davvero i valori cristiani. Secondo me gli organizzatori della marcia per la vita potrebbero far nascere questo movimento, che certamente raccoglierebbe le simpatie di molti cattolici delusi dagli attuali partiti. Il leader potrebbe essere scelto da militanti e simpatizzanti mediante un congresso fondativo. A mio avviso questo incarico potrebbe essere svolto dal prof. Roberto De Mattei, il quale ha una buona dialettica, una vasta cultura e una profonda conoscenza della Dottrina Cattolica. Chiunque sarà il leader, l'importante è che sia una persona con la "schiena dritta", cioè che non si spaventi di fronte alle critiche dei progressisti, e che non svenda i propri valori religiosi in cambio di qualche poltrona.


tratto da: http://cordialiter.blogspot.it/2012/07/vi-immaginate-roberto-de-mattei-in.html

venerdì 20 luglio 2012

"in attesa che sia reso possibile un dibattito aperto e serio mirante ad un ritorno delle autorità ecclesiastiche alla Tradizione" (Dichiarazione del Capitolo generale della FSSPX)


Dichiarazione

del Capitolo generale

della FSSPX


Alla fine del Capitolo generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X, riuniti accanto alla tomba del suo venerato fondatore Mons. Marcel Lefebvre, e uniti al suo Superiore generale, noi partecipanti, Vescovi, superiori e anziani di questa Fraternità, teniamo a far salire al cielo le nostre più vive azioni di grazia per i quarantadue anni di protezione divina così meravigliosa sulla nostra opera, in mezzo ad una Chiesa in piena crisi e ad un mondo che si allontana di giorno in giorno da Dio e dalla sua legge.

Noi esprimiamo la nostra profonda gratitudine a tutti i membri di questa Fraternità, sacerdoti, frati, suore, terziari, alle comunità religiose amiche, come ai cari fedeli, per la loro dedizione quotidiana e le loro ferventi preghiere in occasione di questo Capitolo, che ha conosciuto un franco confronto e svolto un lavoro molto fruttuoso. Tutti i sacrifici, tutte le pene accettate con generosità hanno certamente contribuito a superare le difficoltà che la Fraternità ha incontrato in questi ultimi tempi. Noi abbiamo ritrovato la nostra profonda unione nella sua missione essenziale: conservare e difendere la fede cattolica, formare dei buoni sacerdoti e lavorare per la restaurazione della Cristianità. Abbiamo definito ed approvato le necessarie condizioni per una eventuale regolarizzazione canonica. Si è stabilito che, in questo caso, sarà convocato prima un Capitolo straordinario deliberativo. Ma non dimentichiamo che la santificazione delle anime comincia sempre in noi stessi. Essa è opera di una fede vivificata ed operante attraverso la carità, secondo le parole di San Paolo: «Non abbiamo infatti alcun potere contro la verità, ma per la verità» (II Cor. XIII, 8), e anche: «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, al fine… di renderla santa e immacolata» (Cfr. Ef. V, 25 ss.).
Il Capitolo ritiene che il primo dovere della Fraternità nel servizio che intende rendere alla Chiesa, sia quello di continuare a professare, con l’aiuto di Dio, la fede cattolica in tutta la sua purezza e integrità, con una determinazione proporzionata agli attacchi che questa stessa fede oggi non cessa di subire.
È per questo che ci sembra opportuno riaffermare la nostra fede nella Chiesa cattolica romana, la sola Chiesa fondata da Nostro Signore Gesù Cristo, al di fuori della quale non c’è salvezza né possibilità di trovare i mezzi che conducono ad essa; nella sua costituzione monarchica, voluta da Nostro Signore, che fa sì che il potere supremo di governo su tutta la Chiesa appartenga solo al Papa, Vicario di Cristo sulla terra; nella regalità universale di Nostro Signore Gesù Cristo, creatore dell’ordine naturale e soprannaturale, alla quale ogni uomo e ogni società devono sottomettersi.
Per tutte le novità del Concilio Vaticano II che restano viziate da errori, e per le riforme che ne sono derivate, la Fraternità può solo continuare ad attenersi alle affermazioni e agli insegnamenti del Magistero costante della Chiesa; essa trova la sua guida in questo Magistero ininterrotto che, con la sua azione di insegnamento, trasmette il deposito rivelato in perfetta armonia con tutto ciò che la Chiesa intera ha sempre creduto, in ogni luogo.
Parimenti, la Fraternità trova la sua guida nella Tradizione costante della Chiesa, che trasmette e trasmetterà fino alla fine dei tempi l’insieme degli insegnamenti necessari al mantenimento della fede e alla salvezza, in attesa che sia reso possibile un dibattito aperto e serio mirante ad un ritorno delle autorità ecclesiastiche alla Tradizione.
Noi ci uniamo agli altri cristiani perseguitati nei diversi paesi del mondo, che soffrono per la fede cattolica, spesso fino al martirio. Il loro sangue versato in unione con la Vittima dei nostri altari è la prova del rinnovamento della Chiesa in capite et membris, secondo il vecchio adagio «sanguis martyrum semen christianorum».
«Infine, ci rivolgiamo alla Vergine Maria, anch’ella gelosa dei privilegi del suo Figlio divino, gelosa della sua gloria, del suo Regno sulla terra come in Cielo. Quante volte ella è intervenuta in difesa, anche armata, della Cristianità, contro i nemici del Regno di Nostro Signore! Noi la supplichiamo di intervenire oggi per scacciare i nemici interni che tentano di distruggere la Chiesa più radicalmente dei nemici esterni. Che ella si degni di conservare nell’integrità della fede, nell’amore per la Chiesa, nella devozione al successore di Pietro, tutti i membri della Fraternità San Pio X e tutti i sacerdoti e i fedeli che operano con le stesse intenzioni, affinché ella ci difenda e ci preservi tanto dallo scisma quanto dall’eresia.
Che San Michele Arcangelo ci trasmetta il suo zelo per la gloria di Dio e la sua forza per combattere il demonio.
Che San Pio X ci faccia partecipi della sua saggezza, della sua scienza e della sua santità per discernere, in questi tempi di confusione e di menzogna, il vero dal falso e il bene dal male.» (Mons. Marcel Lefebvre, Albano, 19 ottobre 1983).

Ecône, 14 luglio 2012

Fonte: DICI

martedì 17 luglio 2012

"Non siamo noi che rompiamo con Roma" (Mons. B. Fellay)

Il mutismo dottrinale non è la risposta

all’«apostasia silenziosa»

DICI: Come si è svolto il Capitolo generale? In quale atmosfera?
Mons. Fellay: In un’atmosfera molto calda, perché il mese di luglio è particolarmente torrido, nel Vallese! Ma in un clima molto diligente, in fondo, poiché i membri del Capitolo hanno potuto dialogare in tutta libertà, come si conviene in una tale riunione di lavoro.

DICI: Sono state trattate le relazioni con Roma? Vi erano delle questioni proibite? I dissensi che si sono manifestati in questi ultimi tempi in seno alla Fraternità, hanno potuto essere placati?
Mons. Fellay: Questa non è una domanda sola! A proposito di Roma, siamo veramente andati al fondo delle cose, e tutti i capitolari hanno potuto prendere visione dell’intero dossier. Niente è stato messo da parte, non ci sono tabù tra noi. Era mio dovere esporre con precisione l’insieme dei documenti scambiati col Vaticano, cosa che si era rivelata difficile per il clima deleterio di questi ultimi mesi. Tale esposizione ha permesso una discussione franca che ha chiarito i dubbi e dissipato le incomprensioni. Questo ha favorito la pace e l’unità dei cuori, cosa che è molto gratificante.
DICI: Come vede le relazioni con Roma dopo questo Capitolo?
Mons. Fellay: Per quanto ci riguarda tutte le ambiguità sono state eliminate. Molto presto faremo pervenire a Roma la posizione del Capitolo, che ci ha dato l’occasione di precisare la nostra tabella di marcia insistendo sulla conservazione della nostra identità, unico mezzo efficace per aiutare la Chiesa a restaurare la Cristianità. Poiché, come ho già detto recentemente, «se vogliamo far fruttare il tesoro della Tradizione per il bene delle anime, dobbiamo parlare e agire» (si veda l’intervista in DICI n° 256 dell’8 giugno 2012). Noi non possiamo rimanere in silenzio di fronte alla perdita generalizzata della fede, né di fronte alla caduta vertiginosa delle vocazioni e della pratica religiosa. Non possiamo tacere di fronte all’«apostasia silenziosa» e alle sue cause. Poiché il mutismo dottrinale non è la risposta a questa «apostasia silenziosa» che perfino Giovanni Paolo II constatava nel 2003.
In questi frangenti, noi intendiamo ispirarci, non solo alla fermezza dottrinale di Mons. Lefebvre, ma anche alla sua carità pastorale. La Chiesa ha sempre considerato che la migliore testimonianza a favore della verità fosse data dall’unione dei primi cristiani nella preghiera e nella carità. Essi erano «un cuore solo e un’anima sola», ci dicono gli Atti degli Apostoli (4, 32). Il bollettino interno della Fraternità San Pio X si intitola Cor unum, che per tutti noi è un ideale comune, una parola d’ordine. Così noi ci allontaniamo decisamente da tutti coloro che hanno voluto approfittare della situazione per seminare la zizzania, ponendo i membri della Fraternità gli uni contro gli altri. Tale spirito non viene da Dio.
DICI: Cosa Le fa pensare la nomina di Mons. Ludwig Müller a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede?
Mons. Fellay: L’ex Vescovo di Ratisbona, dove si trova il nostro seminario di Zaitzkofen, non ci apprezza, non è un segreto per nessuno. Dopo l’atto coraggioso di Benedetto XVI in nostro favore, nel 2009, ha dato prova di non voler collaborare nella stessa direzione e ci ha trattati come dei paria! Fu lui che allora dichiarò che il nostro seminario avrebbe dovuto essere chiuso e i nostri studenti sarebbero dovuti andare nei seminari delle loro regioni d’origine, prima di affermare senza mezzi termini: «I quattro Vescovi della Fraternità San Pio X dovrebbero dimettersi tutti»! (si veda l’intervista rilasciata a Zeit on line l’8 maggio 2009).
Ma più importante e più inquietante per noi è il ruolo che deve assumere a capo della Congregazione della Fede, che ha il compito di difendere la Fede e la cui missione propria e di combattere gli errori dottrinali e le eresie. In effetti, diversi testi di Mons. Müller sulla reale transustanziazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo, sul dogma della verginità di Maria, sulla necessità per i non cattolici di una conversione alla Chiesa cattolica… sono più che discutibili! Senza alcun dubbio, un tempo essi sarebbero stati oggetto di un intervento del Sant’Uffizio, da cui è sorta la Congregazione della Fede che egli oggi presiede.
DICI: Come si presenta l’avvenire della Fraternità San Pio X? Nella sua battaglia per la Tradizione è sempre sulla linea di cresta?
Mons. Fellay: Più che mai noi dobbiamo conservare effettivamente questa linea di cresta fissata dal nostro fondatore. È una linea difficile da mantenere, ma assolutamente vitale per la Chiesa e il tesoro della sua Tradizione. Noi siamo cattolici, noi riconosciamo il Papa e i Vescovi, ma innanzi tutto dobbiamo conservare inalterata la fede, fonte della grazia del Buon Dio. Di conseguenza bisogna evitare tutto ciò che potrebbe metterla in pericolo, senza tuttavia sostituirci alla Chiesa cattolica, apostolica e romana. Lungi da noi l’idea di costituire una Chiesa parallela, esercitando un ministero parallelo!
Mons. Lefebvre è stato molto chiaro su questo, già trent’anni fa: egli ha solo voluto trasmettere ciò che aveva ricevuto dalla Chiesa bi-millenaria. È tutto quanto noi vogliamo, seguendo le sue orme, poiché è solo così che potremo aiutare efficacemente a «restaurare tutte le cose in Cristo». Non siamo noi che rompiamo con Roma, con la Roma eterna, maestra di saggezza e di verità. Ciò nonostante sarebbe irrealistico negare l’influenza modernista e liberale che si esercita nella Chiesa a partire dal Vaticano II e dalle riforme che ne sono derivate. In poche parole, noi conserviamo la fede nel primato del Pontefice romano e nella Chiesa fondata su Pietro, ma rifiutiamo tutto ciò che contribuisce all’«autodistruzione della Chiesa», riconosciuta dallo stesso Paolo VI già nel 1968.
Si degni la Madonna, Madre della Chiesa, affrettare il giorno della sua autentica restaurazione!

Fonte: DICI n°258

traduzione di http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2012/07/16-luglio-intervista-mons-fellay-dopo.html

lunedì 16 luglio 2012

de Mattei vs. Cavalcoli

Il prof. R. de Mattei interviene nel dibattito sul Concilio



(su Riscossa Cristiana del 13-07-2012) Il dibattito che si è riaperto sul Concilio, dopo la pubblicazione dell’articolo di Paolo Pasqualucci (Il “discorso critico” che la gerarchia non vuol fare. Recensione a: Brunero Gherardini, “Concilio Vaticano II . Il discorso mancato. Ed. Lindau”) e i successivi interventi di Mons. Brunero Gherardini, di P. Giovanni Cavalcoli e di Cristina Siccardi, si arricchisce ora del contributo del prof. Roberto de Mattei, che ci ha inviato la seguente lettera, che volentieri pubblichiamo:
Caro direttore,
associandomi ai recenti interventi di Mons. Brunero Gherardini e della dott.ssa Cristina Siccardi nel dibattito da Lei aperto su Riscossa Cristiana, osservo:
Il rev. padre Giovanni Cavalcoli è un valente teologo, ma sul punto continua a produrre articoli e lettere in cui ripete un unico ritornello: quello secondo cui i documenti del Concilio Vaticano II che hanno come oggetto la fede (o la morale) sono infallibili, o quasi, a causa dell’autorità da cui promanano e della materia di cui trattano. Non basta però ripetere mille volte un’opinione perché sia vera. E l’opinione teologica di padre Cavalcoli è in contrasto con l’insegnamento della buona teologia.
Nessun Concilio, infatti, si occupò di questo argomento come il Vaticano I. La promulgazione del dogma dell’infallibilità avvenuta con la costituzione Pastor Aeternus del 18 luglio 1870, fu preceduta da un’ampia discussione e da una lunga relazione finale in cui mons. Vincenzo Gasser, vescovo di Bressanone, chiarì bene requisiti e limiti dell’infallibilità di un Papa e, di conseguenza, di un Concilio a Lui unito[1].
Perché una dottrina possa essere considerata infallibile – spiegò il Relatore – devono verificarsi tre requisiti, nel soggetto, nell’oggetto e nel modo d’insegnamento:1) che il Papa, con o senza il Concilio a lui unito, parli come capo della Chiesa universale; 2) che la materia in cui si esprime riguardi la fede o i costumi; 3) che su quest’oggetto intenda pronunziare un giudizio definitivo.
Con queste precisazioni mons. Gasser intendeva rispondere alle numerose obiezioni, soprattutto di carattere storico, dei Padri conciliari “anti-infallibilisti”. Essi citavano i casi dei Papi Onorio e Liberio, o del Concilio di Costanza, che, di fatto, si allontanarono dalla fede ortodossa per negare con ciò il dogma dell’infallibilità. Ma ad essi venne opportunamente risposto che i Papi e i Concili che avevano errato non lo avevano mai fatto “ex cathedra”, esercitando la prerogativa della infallibilità. In questi casi, non si verificarono dunque tutte le condizioni richieste per l’infallibilità[2]. Se nei casi dei Papi Liberio ed Onorio, nei documenti, suggellati da approvazione pontificia del Concilio Costantinopolitano I o di Costanza, vi era stato errore, ciò era dovuto appunto alla fallibilità (o non infallibilità) di quei documenti.
Non è sufficiente l’autorità che promana un documento (Papa e/o Concilio), e l’oggetto del Magistero (fede e morale) per definirlo infallibile (o quasi): è necessario anche un terzo elemento, il modo di insegnamento. È sufficiente che manchi uno dei tre requisiti indicati dalla costituzione Pastor Aeternus perché il Magistero non possa essere considerato infallibile, ma fallibile senza che questo significhi necessariamente sbagliato. Coloro che vogliono “infallibilizzare” gli atti del Magistero ragionano esattamente come i negatori dell’infallibilità. Tra questi sembra essere anche il rev. padre Cavalcoli.
Roberto de Mattei
[1] Mansi, vol. 52, coll. 1204-1232; cfr. in particolare col. 1214.
[2] Umberto Betti, La costituzione dommatica Pastor Aeternus del Concilio Vaticano I, Pontificio Ateneo Antoniano, Roma 1961, pp. 644-646.


tratto da: http://www.corrispondenzaromana.it/il-prof-r-de-mattei-interviene-nel-dibattito-sul-concilio/

sabato 14 luglio 2012

Comunicato della Casa Generalizia della Fraternità Sacerdotale San Pio X

(La traduzione è nostra)



Il Capitolo Generale della Fraternità San Pio X si è concluso questo Sabato, 14 Luglio 2012, a Ecône (Svizzera). Riuniti presso la tomba di Mons. Marcel Lefebvre, i capitolari hanno reso grazie a Dio per l'unità profonda che è regnata tra loro durante tutti questi giorni di  lavoro. Il Capitolo Generale preparerà presto una dichiarazione generale per Roma, che sarà resa pubblica. Il Superiore Generale, Mons. Fellay, ringrazia profondamente tutti i sacerdoti e i fedeli per le loro ferventi preghiere nel corso di questo capitolo.

Ecône, 14 Luglio 2012

venerdì 13 luglio 2012

miracoli di nostra Santa Fè

La scala santa di Santa Fe





Sappiamo bene che Dio è “Padre Onnipotente”. Sono le prime parole della nostra professione di fede. Le conosciamo e le crediamo profondamente vere. Tuttavia, capita che quando Dio, al quale “non erit impossibile omne verbum”, ossia nulla è impossibile, decide di sospendere le leggi della natura da lui stesso create, capita, dicevamo, che si resti sorpresi, quasi stupefatti dinanzi alla sua onnipotenza. Forse – parliamo per noi in prima persona – se avessimo più fede certi “prodigi” non ci scomporrebbero minimamente, li riterremmo un modo come un altro utilizzato dal Signore per manifestare il suo amore.
Il caso che stiamo per esporre ne è un esempio. Come doveroso, offriamo qualche connotato storico.
Siamo nel 1872 in America, precisamente a Santa Fe, capitale del New Mexico. Il vescovo locale, Jean Baptiste Lamy, decide di far costruire una cappella, precisamente la cappella di Loretto (sì, con due T, il nome inglese infatti suona come: Sisters of Loretto) per poter fornire un luogo di culto alle suore appena stabilitesi, dopo una peregrinazione che le vide attraversare il Sud-Ovest degli Stati Uniti, il Kentucky, il Missouri ed il Kansas.
Le suore (quattro, la superiora suor Madeleine, Suor Catherine, Suor Hilaire e Suor Robert) appena giunte sul posto iniziarono dunque ad appaltare i lavori adiacenti alla loro semplice abitazione, affinché, oltre al convento, potesse essere eretta una struttura simile alla “Sainte Chapelle” di Parigi, dunque, la prima cappella gotica ad ovest del Mississippi. Il progetto fu affidato all’architetto P. Mouly, noto per la sua perizia e capacità: aveva, tra l’altro, realizzato la cattedrale di Santa Fe. I lavori durarono cinque anni. La cappella misurava 22,5 metri di lunghezza, era larga metri 7,5 ed alta metri 25,5.
L’opera terminata era esteticamente ammirevole. La galleria, gli archi, la navata riuscivano a dare il senso del divino, a coinvolgere e a creare l’idoneo raccoglimento. Ciò che sconvolse le suore fu il doversi accorgere, di colpo, che il coro non era accessibile, dal momento che non era stata né progettata né dunque costruita una scala apposita per potervi accedere dalla tribuna. D’acchito si cercò l’architetto progettista, nel tentativo di riuscire a tamponare l’errore, ma questi era da poco deceduto.
Vennero a questo punto contattati diversi ingegneri, i quali emisero unanimemente un triste verdetto: il danno era irreparabile, lo spazio non era sufficiente alla costruzione di una scala. L’unica alternativa era costituita dalla edificazione di una nuova galleria, o, altrimenti, la costruzione di una scala a chiocciola, sicuramente in usuale.
Le suore si comportarono nell’unico modo nel quale può comportarsi un cristiano dinanzi alle difficoltà: ossia, memori dell’aforisma: «Quando pare non ci sia più nulla da fare, si può ancora pregare», decisero di iniziare una novena a San Giuseppe (sotto il cui patronato era stata posta la cappella), nella sicura speranza che il Cielo non le avrebbe abbandonate in una situazione così incresciosa. Per nove giorni e nove notti, senza sosta, elevarono preghiere al patrono dei falegnami, affinché potesse intercedere in loro favore.
Il nono giorno, inaspettatamente, si presentò alla porta del loro convento un uomo strano, con i capelli grigi, accompagnato da un asino carico di piccoli e semplici strumenti da lavoro. Questi chiese di poter conferire con su or Maddalena, la superiora, e manifestò la volontà di costruire lui stesso la scala mancante. La religiosa accolse di buon grado la proposta di quest’uomo, anche se non era stato da loro interpellato.
Il falegname iniziò a lavorare dentro la cappella e chiese di essere lasciato solo mentre si adoperava per la riuscita della sua opera. Ogni tanto, però, qualche consorella riusciva a sbirciare e la perplessità era pressoché di tutte: l’uomo, infatti, si serviva soltanto di una sega, un goniometro e un martello. Invece dei chiodi utilizzava cavicchi. Tra le stranezze notavano poi che immergeva dei pezzi di legno in secchi d’acqua: insomma, oggetti poveri e usati in maniera quantomeno atipica. Per rispetto, non vollero intromettersi e restarono ad attendere la conclusione dell’operato.
Dopo tre mesi la scala poteva dirsi pronta e se fino ad ora si poteva parlare di coincidenze, stranezze, atipicità, adesso bisognava ammettere l’inspiegabile. La scala consisteva appunto in una doppia spirale apparentemente sospesa senza punti d’appoggio, assemblata senza alcun chiodo e realizzata con una tipo di legno assolutamente sconosciuto.
Quando madre Maddalena volle pagare il carpentiere per il lavoro svolto, non riuscì a trovarlo, essendo scomparso.
Le suore volevano sdebitarsi e fecero tutto il possibile per rintracciarlo, senza alcun esito positivo. Nessuno, infatti lo conosceva né l’aveva mai visto prima di allora.
Torniamo alla scala, denominata, non dunque senza motivo “scala santa”.
Essa è composta da trentatre gradini (gli anni di Gesù) che girano su due spirali di 3600 esatti. Il fatto inconcepibile è che il tutto è senza alcun sostegno centrale. Non avendo alcun pilastro centrale per sostenerla, significa che tutto il peso deve gravare necessariamente sul primo gradino, un controsenso, assolutamente impensabile secondo le più elementari leggi della fisica e della statica. Le stesse suore temevano non poco a salire, consce del prodigio che le vedeva coinvolte.
Gli enigmi legati a quell’episodio non sono mai stati risolti: chi era quell’uomo? Da dove veniva? Come faceva a conoscere le necessità del convento? Come fece, da solo, a progettare e a realizzare la scala, una scala con la perfezione delle curve dei montanti irrealizzabile in quell’epoca? (il legno è raccordato sui Iati dei montanti da nove spacchi di innesto sull’esterno, e da sette sull’interno). Come riuscì nella sua impresa senza servirsi di chiodi e altri utensili indispensabili alla realizzazione? Come mai nessuno ebbe a sapere chi fosse? Da dove proveniva quel legno unico, che, ad oggi, nessuno sa classificare e appare sconosciuto agli studiosi? Come può una scala reggersi in equilibrio senza sostegno centrale e non crollare istantaneamente ma, al contrario, portare per decenni il peso quotidiano di centinaia di persone senza mostrare il benché minimo cedimento? Di più, senza presentare la minima traccia di usura inevitabile dopo quasi un secolo e mezzo? Le testimonianze parlano inoltre di una sorta di “leggerezza” che si avverte nel percorrere gli scalini.
La ragione non può dare risposta; forse, più semplicemente, bisogna ammettere, con Pascal, che l’ultimo stadio della ragione è riconoscere che vi sono una quantità infinita di cose che la superano.
Che sia stato veramente S. Giuseppe ad edificare quest’opera? Ciò che, in ogni caso, non lascia dubbi è l’inspiegabilità del susseguirsi degli eventi e il fatto che, ad oggi, resta un capolavoro vivente, visitato anche da non credenti i quali non possono che constatare l’oggettiva inspiegabilità della costruzione.
La scala santa attualmente attira oltre duecentocinquantamila visitatori l’anno, è meta di numerosi pellegrinaggi da ogni parte del mondo ed è da centotrentasette anni al centro del più singolare prodigio religioso architettonico mai esistito.

Matteo SALVATTI

giovedì 12 luglio 2012

tramonto di una novella ostpolitik




Mons. Ma Daqin: «Alla luce degli insegnamenti della nostra Madre Chiesa, che ora servo come vescovo, dovrò concentrami sul lavoro pastorale e di evangelizzazione. Quindi mi risulta scomodo prendere certe responsabilità. Per questa ragione, dal giorno della mia consacrazione, non ritengo conveniente essere un membro dell'Associazione patriottica». (scrosciante applauso di tutta l'assemblea, molti dei fedeli scoppiano il lacrime).


La vendetta dell'Associazione patriottica: Mons. Ma Daqin sotto indagine
di Jian Mei
Il sito ufficiale del Consiglio ha pubblicato oggi una nota, controfirmata dall’Associazione patriottica, accusando il vescovo di aver violato "in modo grave" il regolamento sulle ordinazioni episcopali. Ad Harbin, fonti di AsiaNews denunciano “difficoltà” per due sacerdoti della Chiesa ufficiale che si erano opposti all’ordinazione del 6 luglio scorso.

Shanghai (AsiaNews) - Mons. Thaddeus Ma Daqin, vescovo ausiliare di Shanghai, è indagato per aver violato "in modo grave" il regolamento sulle ordinazioni episcopali in Cina. Lo confermano oggi l'Associazione patriottica e il Consiglio dei vescovi cinesi con una nota. Tuttavia, il documento non spiega in quali termini mons. Ma Daqin avrebbe violato la norma. Inoltre, fonti cattoliche di AsiaNews ad Harbin (Heilongjiang) riferiscono che due sacerdoti della Chiesa ufficiale sotto il controllo del governo stanno avendo problemi con le autorità religiose locali, per essersi opposti all'ordinazione illecita del 6 luglio scorso (v. 06/07/2012, "L'ordinazione illecita ad Harbin rafforza il partito degli 'scomunicati'. Liberato l'amministratore apostolico fedele al papa").
Secondo quanto si legge nel sito ufficiale del Consiglio dei vescovi cinesi, la nota di oggi su mons. Ma dice: "Sui quesiti sollevati nei giorni scorsi circa le regole [da seguire] per l'ordinazione del vescovo coadiutore di Shanghai, il portavoce del Consiglio dichiara: il 7 luglio, le azioni del vescovo coadiutore della diocesi di Shanghai hanno violato in modo grave il regolamento sull'ordinazione episcopale del Consiglio dei vescovi in Cina". Per questo, prosegue, "il Consiglio sta indagando e valutando il caso".
Intanto, mentre i media internazionali continuano a concentrarsi sul "riposo" di mons. Ma (v. 09/07/2012, "Deve 'riposare' in seminario il coraggioso vescovo ausiliare di Shanghai"), la diocesi di Shanghai rompe il silenzio e annuncia sul proprio sito che il vescovo è in "ritiro personale", negando "tutte le accuse che lo indicano detenuto, agli arresti domiciliari o scomparso", che sono "soltanto pettegolezzi". Tuttavia, il messaggio non si riferisce a lui come "vescovo" ma solo come "Ma Daqin".
La nota di Shanghai, apparsa sotto il nome di "portavoce della diocesi di Shanghai", sottolinea che "Ma in persona ha richiesto e ottenuto il consenso del vescovo Aloysius Jin Luxian [per andare in ritiro]. Dall'8 luglio scorso, egli è in ritiro al santuario di Sheshan, dove spera di non essere disturbato".
Ad AsiaNews i webmaster di alcuni siti cattolici della Cina continentale hanno detto che da ieri funzionari religiosi li hanno avvertiti di cancellare ogni notizia legata all'ordinazione di mons. Ma.
Nei giorni scorsi, le discussioni e i commenti apparsi su vari forum online e di gruppi cattolici sono stati molto attivi, in particolare nell'esprimere sostegno alla coraggiosa azione di mons. Ma, e nell'esortare gli altri vescovi di seguire il suo esempio. Tuttavia, altri hanno espresso disaccordo circa la mossa del vescovo (chissà perchè n.d.r.).


apis argumentosa

lib guariniLA CONTINUITA’
DELLA VITA CATTOLICA.
UN SAGGIO DI MARIA GUARINI
di Piero Vassallo

Insidiosa novità surrettiziamente introdotta nella cultura cattolica dallo spirito del Concilio, l'oblio e/o la disistima del pensiero di San Tommaso d'Aquino attivano un sentimentalismo che rende i fedeli incapaci di ammettere il primato della Verità.
Nel pensiero cattolico, infatti, circola indisturbata e talora approvata la gioconda convinzione che il Concilio abbia elevato l'amore puro e spensante al di sopra dei princìpi conosciuti dalla ragione e definiti dai dogmi.
Se non che Romano Amerio ha confutato tale illusoria convinzione: "No, non c'è l'amore, perché sopra l'amore c'è un pensiero che afferma Sopra tutto c'è l'amore e che esclude con la sua affermazione che sopra tutto ci sia un sentimento impensato".
Il primato del pensiero sul sentimento, lo sostiene un discepolo di Amerio, Enrico Maria Radaelli, è stabilito affinché "il moto più santo e deiforme, l'amore, non si muti in mera materialità incosciente: se non è pensato neanche l'amore può esistere".
Nella Chiesa cattolica, società che ha radice e fondamento nella rivelazione del Logos increato, rammentare l'ovvia tesi sul primato del pensiero, sarebbe superfluo e quasi imbarazzante, se non fosse continua l'esternazione di opinioni sentimentali da parte di fedeli e sacerdoti emozionati e confusi, ultimamente inclini a festeggiare l'avvenuto transito della carità verso gli erranti nell'apprezzamento o addirittura nella gaudiosa condivisione dell'errore.
La sagace Maria Guarini al proposito afferma: "Il problema è che il cristianesimo ha abbandonato la philosophia perennis anche per un'inedita via: quella dei movimenti. E si è persa la consapevolezza che, in mancanza di un serio impianto teoretico-dottrinale si cade in un sentimentalismo e devozionismo che non portano da nessuna parte perché mettono in secondo piano sia la ragione, massificata da slogan e atteggiamenti e comportamenti indotti, che la volontà, scaduta in volontarismo sostenuto da metodi accattivanti e coinvolgenti l'emozione".
Alterata dal movimentismo, l'amicizia cattolica si rovescia nella smanceria e nel suono sgradevole delle chitarre, che accompagnano insulse rime.
Di qui la caduta delle difese immunitarie dall'antropocentrismo, che, infatti, diluvia dai pulpiti della teologia modernizzante ed erompe nelle liturgie canterine messe in scena per procurare deliziose vertigini agli ecumenisti senza rete.
Per contrastare la diffusione della teologia debole e della liturgia sciatta, Maria Guarini ha pubblicato, nella collana delle Diffusioni Editoriali Umbilicus Italiae (www.edizionideui.com), "La Chiesa e la sua continuità Ermeneutica e istanza dogmatica dopo il Vaticano II", un volume che raccoglie suoi scritti insieme con puntuali interventi di Brunero Gherardini, Antonio Livi, Francesco Colafemmina, Enrico Maria Radaelli, Gianni Battistini e Curzio Nitoglia.
I testi scritti o proposti da Guarini sono un puntuale commento alle parole dettate dall'illuminata intransigenza al cardinale Giacomo Biffi: "La prima misericordia di cui abbiamo bisogno è la luce impietosa della verità".
Il sequestro della verità negli ambulacri del buonismo vieta purtroppo di cogliere il profondo significato dell'ermeneutica della continuità predicata da Benedetto XVI.
Causa dell'incomprensione diffusa è l'oblio o il rifiuto del principio secondo cui "non è il dogma che muta o si evolve, ma la capacità della Chiesa e in essa del singolo credente di approfondirlo, estrarne come lo Scriba del Regno le inesauribili ricchezza: nova et vetera".
Ora il baluginio, fra le righe dei documenti redatti dai padri del Vaticano II, di pensieri aperti alla nuova e inquinata teologia è fuori discussione.
E' proposta l'espressione cenni fra le righe poiché, in base alle chiare indicazioni di Romano Amerio e di Antonio Livi, si deve riconoscere che il tentativo degli eversori teologici, grazie a Dio, non è riuscito.
Tuttavia non si può negare che la presenza in alcuni testi conciliari di formule imprecise o confuse generi legittime perplessità e giustifichi richieste di chiarimento sulle definizioni oscillanti.
Valga ad esempio Gaudiun et spes 24. Il testo latino afferma che l'uomo "in terris sola creatura est quam Deus propter seipsam voluerit". Se non che la traduzione ufficiale recita: "l'uomo è stato voluto da Dio per Se stesso". In quale fra le due contrarie definizioni deve credere il fedele? Chi è nell'errore, l'estensore del testo latino o il traduttore? In quale corno del dilemma risiede l'infallibilità del Vaticano II?
Chiedere il chiarimento, dunque, non è un atto irriguardoso, non è un attentato alla cattedra di Pietro. Si chiede il chiarimento perché si desidera la chiusura della parentesi confusa aperta dalla nuova teologia, quella che Pio XII ha severamente condannato nell'Enciclica Humani generis e che Paolo VI ha definito "fumo di satana".
Solamente una rumorosa fazione di novatori irriducibili nega l'urgenza del chiarimento. L'irritata e superciliosa reazione dei teologi progressisti alle osservazioni critiche dei difensori della tradizione, e severamente contrastata da Antonio Livi, che scrive: "Si potrebbe osservare sconsolatamente che la critica da sinistra, ossia da parte dei progressisti, è recepita come lecita e sempre utile al progresso della comunione ecclesiale, mentre la critica da destra, ossia da parte dei conservatori è recepita come illecita e sempre dannosa per l'unità della Chiesa".
Nessuno ha mai pensato seriamente di denunciare l'esistenza di eresie nei testi del Vaticano II. Da parte dei tradizionisti (opportunamente Maria Guarini propone l'uso di questo termine, che esclude la discendenza da un termine abusato quale tradizionalismo) è avanzata la legittima proposta di chiarimento sui testi nei quali è evidente una certa ambiguità o anfibologia, derivata dal tentativo dei teologi neo modernisti, costituiti in fazione nei corridoi del Concilio Vaticano II e intesi a sovvertire la tradizione
Antonio Livi scrive: "La posizione di Amerio non è un rifiuto degli insegnamenti del Concilio, anzi corrisponde sostanzialmente a quello che Benedetto XVI avrebbe poi denominato ermeneutica della continuità; infatti la denuncia del presunto tentativo di rottura e di discontinuità che sembra risultare dalla lettura di alcuni testi del Vaticano II va unito alla certezza che tale tentativo è di per sé irrealizzabile e che quindi il sensus fidei della comunità cristiana può sempre interpretare le novità dottrinali alla luce di ciò che è sempre stata, nella sua essenza, la fede della Chiesa".
Nella dichiarazione di monsignor Livi è impossibile cogliere l'intenzione di giustificare la rivolta all'autorità del Concilio. Tanto meno quando si considerano le ammissioni di un onesto progressista quale è padre Giovanni Cavalcoli sugli errori riscontrati nelle istruzioni pastorali contenute nei documenti del Vaticano II.
Per ristabilire la pace intorno alle verità cattolica, sarà quindi necessario (giusta l'osservazione di padre Cavalcoli) intraprendere un difficile cammino inteso a stabilire quali sono i testi dogmatici del Vaticano II (e se esistono, dato che il Vaticano II è stato autorevolmente definito concilio pastorale).
Il nodo non è sciolto in via definita, ma si vede finalmente l'epilogo di una stagione infelice e tormentata. Sembra che si possa sostenere in conclusione l'utilità del lavoro amorevolmente compiuto da Maria Guarini al seguito delle opere di Romano Amerio e delle sapienti considerazioni di Antonio Livi.
E' dunque condivisibile il giudizio dell'autorevole Brunero Gherardini, che definisce l'autrice "apis argumentosa, che lancia ai quattro venti, con la costanza dei forti, i frutti della sua intelligenza, del suo studio, del suo impegno per la sana dottrina e la Santa Madre Chiesa".


mercoledì 11 luglio 2012

La Norvegia non ha debito pubblico. Come mai?

di Edoardo Capuano



La Norvegia non ha debito pubblico, per svariate ragioni che ora vi esporrò.
Il motivo principale però resta principalmente uno ed uno solo: non ha aderito al sistema schiavista della moneta debito e, udite udite,la sua banca centrale è una delle ultime in Europa in mano ad uno stato.
Insomma la sintetizzo così: una sola moneta, la Corona, una sola banca. E tutto quanto statale.
La Banca Centrale Norvegese non solo è rimasta una delle ultime banche europee controllate dallo Stato, e non dai banchieri Privati, ma gestisce perfino il Fondo Pensioni norvegese in attivo,un altro miracolo specie in tempi di crisi!
Ed è per questi fatti che la Norges Bank non vuole far parte del sistema Euro. Ovviamente non sono scemi i Norvegesi.
Beati loro… Ma vediamo gli altri punti di forza che fanno della Norvegia un paese simbolo da emulare:
Non ha aderito all’euro. La moneta Norvegese è la Corona. E l’avevamo detto.
Non ha privatizzato le aziende energetichepetrolio (Statoil), energia idroelettrica (Statkraft), alluminio (Norsk Hydro),
la principale banca del paese (DnB NOR), e le telecomunicazioni (Telenor).
Qui da noi invece, la legge 111 del 15 luglio permette la dismissione del capitale pubblico!
E visti i precedenti, Iri ad esempio, non c’è da star tranquilli…
Circa il 30% di tutte le aziende quotate alla borsa di Oslo è statale.
I titoli di stato rendono il 6,75% netto ai risparmiatori.

Pur essendo il principale produttore di petrolio europeo, non fa parte dell’OPEC. (Per la cronaca, l’Italia è il secondo produttore europeo e in Basilicata è stato individuato il più grande giacimento d’Europa su terraferma).
Tornando alla Norvegia, spulciando un attimo si scopre che il petrolio del paese è controllato dal governo tramite i maggiori operatori come il 62% in Statoil nel 2007, la controllata statale al 100% Petoro, e SDFI, oltre al controllo delle licenze di esplorazione e produzione. Una sorta di ENI alla Mattei, prima del fatale “incidente”.
Poi se spulciate ancora un altro po’ sai che potreste scoprire?
Non ci crederete ma la Norvegia ha fondato un Fondo Pensioni Sovrano nel 1995 per ridistribuire i proventi del petrolio, del fisco, dei dividendi, delle cessioni e delle royalties.

Ahhh! E noi non potremmo fare lo stesso dato che l’Italia è il secondo produttore europeo e in Basilicata è stato individuato il più grande giacimento d’Europa su terraferma?
Ovviamente si, manca la materia prima che prenda le decisione.. Comunque alzo proprio le mani….
Perché questi Norvegesi sono davvero forti. E mica si sognano di privatizzare l’acqua o la raccolta dei rifiuti, come vorrebbero fare i nostri politici…
Vedete, la scusa del debito pubblico legata ai costi dello stato è una SCUSA! Il problema è la moneta debito..
Ed è così evidente specie ora che vi cito un altro dato: la Norvegia ha un avanzo di bilancio statale del 10%, mentre noi, che abbiamo privatizzato quasi tutto, abbiamo un debito pubblico pari al 119% del nostro PIL…
Finisce qui? Ma manco per sogno! Proseguiamo! C’è da segnalare che la Norges Bank è la prima banca Centrale in assoluto ad aver citato in giudizio nel 2009 per truffa sui derivati la City Group, il più grande gruppo d’affari del Mondo. Immaginiamoci gli esiti delle sentenze che il Tribunale amministrativo di Stato norvegese dovrebbe emettere…
Va poi ricordato che il Governo norvegese ha firmato qualche mese fa un importante Trattato con accordi del confine acqueo nel Mare del Nord con la Federazione Russa, al fine di un congiunto sfruttamento gas-petrolifero, escludendo di fatto le “7 sorelle” multinazionali globali, storicamente “coinvolte” in tali frangenti e rappresentanti gli interessi primari di Canada e USA, ovviamente contrarie a tale accordo.
Sottolineo poi che la Norvegia dopo un iniziale appoggio ha ritirato le truppe dalla Libia,aggiungendo alla Nato un’ulteriore difficoltà “politica”.
Il Governo norvegese è stato il primo ad aver evidenziato un futuro riconoscimento della Palestina come Stato sollevando molti consensi ma anche dure e aspre critiche.

Dopo aver elencato così tanti aspetti positivi della Norvegia viene naturale chiedersi:
ma se l’Italia fosse come la Norvegia monetariamente sovrana cioè fuori dall’euro?

E se non fosse trivellata da cima a fondo da multinazionali estere e/o finanziarie per i suoi giacimenti di idrocarburi, i secondi per ordine di importanza in Europa?
E se per le nostre preziose risorse elettriche non fosse sfruttata da scatole cinesi della multinazionale di stato francese EDF?

E se le nostre risorse idriche, tra le maggiori al mondo, non fossero in mano alle multinazionali dell’acqua in bottiglia tipo Nestlé, e dai due colossi francorotti Suez Gaz de France e Veolia?
E se i proventi di dette risorse pubbliche li gestissimo per ridistribuirli al popolo come nei paesi dove esiste un social welfare?
Avremmo un debito pubblico inesistente come la Norvegia?