sabato 27 febbraio 2010

lamentabili

«LAMENTABILI SANE EXITU»

SUPREMA SACRA INQUISIZIONE ROMANA ED UNIVERSALE

65.ma tesi condannata e commento di Mons. Francesco Heiner


Catholicismus hodiernus cum vera scientia componi nequit nisi transformetur in quemdam Christianismum non dogmaticum, id est in protestatismum latum et liberalem.

L'odierno Cattolicesimo non si può conciliare con la vera scienza, se non a condizione che si trasformi in un Cristianesimo non dommatico; cioè in un Protestantesimo largo e liberale.

Antitesi: L'odierno Cattolicesimo si può conciliare con la vera scienza, senza che abbia a trasformarsi in un Cristianesimo non dommatico; cioè in un Protestantesimo largo e liberale.

In questa ultima Tesi, che è l’ultima conseguenza del Modernismo estremo, si pretende che l’odierno cattolicesimo, cioè la dottrina cattolica non sia compatibile con la vera scienza, fintanto che la Chiesa tien forte ai suoi dommi e non li abbandoni, come fa la Teologia protestante per trasformarsi in un Cristianesimo senza di essi.

La Chiesa Cattolica, relativamente alla sua Teologia, dorrebbe andare a scuola dal liberale e progressivo Protestantesimo, da uomini che si chiamano Strauss, Renan, Ritschl, Harnack, ecc., e farsi insegnare da loro che cosa sia la Chiesa della «pura parola e del Sacramento!».

Quanto però sia terribilmente triste il «Cristianesimo senza domm» nel Protestantesimo, ce lo insegna Huppert nel suo opuscolo, stampato a Colonia nel 1902 sul Protestantesimo germanico al principio del XX secolo, a cui rimandiamo i benevoli nostri lettori.

Ma lasciamo piuttosto parlare un testimone stesso della scuola protestante. Il teologo protestante Rade in Marbur iscrive così: «Trinità, Divinità di Cristo, Miracoli, Creazione del mondo, Provvidenza, Risurrezione dalla morte, nessun domma cristiano, per così dire, esiste che, di fronte alla spiegazione formalista indifferente, non si provi che sia insensato e labile. La verità della religione cristiana consiste nella negazione di tutto ciò che è specificamente cristiano. Se si vuole ancora qui parlare di Cristianesimo, dobbiamo ammetterne soltanto uno completamente modernizzato. Con esso non esiste più né rivelazione, né miracolo, né Padre, né Figliuolo, né Spirito Santo, né croce, né trasfigurazione, né Regno dei Cieli, né vita eterna! non resta altro se non che noi sentiamo e sperimentiamo un Dio, nel praticare la religione, che abbiamo la remissione dei peccati, che addiveniamo padroni di tutti i destini e acquistiamo il coraggio della giustizia. Il delirio egoistico dell'immortalità viene condannato, la cristiana speranza è rimpiazzata dalla fantasia, e la realtà della risurrezione di Cristo è contestata. Una morale triviale si adorna con una dolce sentimentalità. Il simbolo Apostolico viene relegato ad una accozzaglia di pensieri inventata da uomini di tempi remotissimi ed inconsideratamente imposto quale giogo ai pagani ed ebrei desiderosi di abbracciale il Cristianesimo. Senza stare in personale relazione con la religione, un nauseabondo vagheggiamento la vuole rendere aggradevole alla gente volgare, dappoichè essa è una potenza che esige riverenze da ciascuno che la considera assennatamente nello sviluppo dell'umanità» (Monitore Ev. Eccl. di Berlino, n. 34, 1900).

Per tal modo la religione si modernizza e si trasforma in una morale ornata di belle parole. «Questa dunque sarebbe una sorte di Cristianesimo senza domm » in cui dovrebbe trasformarsi secondo questa Tesi il Cattolicismo, che voglia stare all'altezza della vera scienza!

Per avere un’idea anche più estesa di come la pensi il moderno Protestantesimo liberale sul trasformismo che dovrebbe subire la religione cattolica, secondo le idee modernistiche, rimandiamo i nostri lettori al libro del professor Harnack intitolato La natura del Cristianesimo. Come è noto, egli è al caposcuola del Protestantismo moderno, ed il teologo giù influente della sua confessione.

Ma lasciamo parlare un Protestante. Il Predicatore di Corte signor Stöcker così descrive la religione senza dommi: «Quasi tutto l’anno si parlò pro e contro il libro del signor Harnack intitolato La natura del Cristianesimo. Se Harnack ha ragione, la Cristianità ha vissuto quasi 19 secoli in gravi errori, che offendono la maestà divina, giacché questo scienziato nega la divinità di Cristo, la reale risurrezione, i miracoli della Bibbia, e così tutto il soprannaturale del Cristianesimo. La natura del Cristianesimo dimostra a che punto è giunta la nostra più estrema teologia. Se il libro dell’Harnack non fosse scritto così entusiasticamente si potrebbe giudicare che contenesse il Vangelo del moderno anticristianesimo. In fondo la posizione di questi moderni radicali è altrettanto pericolosa e rivoluzionaria quanto quella degli antichi liberali. V’è la differenza che quelli lavoravano con più spirito e non con le assurde negazioni, ma scansando criticamente i fatti soprannaturali non col moralismo senza religione, ma in modo che la vita abbia una tinta di religione. Tale differenza è naturalmente un vantaggio per essi, e per la Chiesa un detrimento maggiore. Giacché con questo essi nascondono molte delle loro ultime conseguenze. Appunto perciò il libro dell'Harnack è tanto più significante, in quanto che va fino al fondo di tutte le conseguenze, chiaramente e senza ambagi. Questa si riduce in ultima analisi all'affermazione che “Cristo non appartiene al Vangelo”. Questa proposizione vuol dire né più né meno che noi non possiamo più professare l'articolo di fede che dice “Io credo in Gesù Cristo”. Chi segue l'Harnack non può più credere in Gesù Redentore, ma soltanto in Dio Padre, che Egli ci ha insegnato. Nella Teologia moderna non hanno più alcun senso le parole di Cristo “chi crede in me ha la vita eterna”. Questa teologia moderna ha tutta un’altra religione, che noi non abbiamo» (Gaz. Ev. Eccl. germ., 1902, 1-6).

Alla fine di questa esposizione singolare nella bocca di un Protestante, si dice cosi: «Ed ora il prof. Harnack non vuole più saperne di Cristologia. Se egli ha ragione, la Chiesa vissuta finora ha torto. Lo Spirito Santo ha condotto i discepoli in molti errori. Così lo Spirito della Chiesa non è lo Spirito Santo, ma lo Spirito del domma, della lettera e della forma. Ci si spieghi, a mo' d’esempio, quale sia la differenza per una singola questione della nuova e della vecchia credenza: Possiamo noi pregare Cristo o no? Possiamo noi nelle ore di sconforto dell’animo raccomandarci a Cristo ed esclamare “Signore abbiate pietà ai noi ?”. La Chiesa di tutti i secoli ha avuto in uso la preghiera a Cristo. Posto che non lo riteniamo più per Dio, non possiamo più indirizzargli le preghiere. Pregare gli uomini è la negazione di Dio, qui non v'è via di mezzo.

Non il Figlio ma soltanto il Padre appartiene al Vangelo come l'ha predicato Gesù, ecco il risultato della vera scienza; ecco il Cristianesimo senza domma; ecco la nuova religione moderna del primo Teologo del Protestantesimo liberale, cui applaudono non soltanto i giovincelli, ma anche la maggior parte dei vecchi predicatori. Egli sta lavorando per attivare e modificare il Cattolicismo a questa nuova confessione mediante gli studi storico-scientifici ; e purtroppo Teologi cattolici non si mostrano avversi a tendergli la mano. Qui si apre addirittura un abisso immenso fra il Cattolicismo e il Protestantesimo scientifico, perciò dalla Chiesa è condannato ogni riavvicinamento in questo senso.

Senza dubbio chi si pone dalla parte dell’evoluzionismo de’ Modernisti, come viene specialmente rappresentato dal signor Loisy e sua scuola, non troverà così singolare e insensata la proposta di trasformare il Cattolicismo in un Cristianesimo senza dommi; cosa che naturalmente la Chiesa non può ammettere, ed ogni cattolico deve assoggettarsi alla sua autorità. Ecco quanto scrive in proposito il signor Loisy nella sua più volte citata opera L'Evangile et l’Eglise a pag 73: «All’istesso modo che la costante flessibilità dell’insegnamento della Chiesa fa che nessun conflitto del domma con la scienza possa essere considerato come irreducibile, il carattere stesso di questo insegnamento fa che l'autorità della Chiesa e delle sue formule non sia incompatibile con la fede personale…La Chiesa non esige la fede alle sue formule, come alla espressione adeguata della verità, assoluta, ma essa la presenta come l’espressione meno imperfetta che sia moralmente possibile; essa domanda che si rispettino secondo le loro qualità, che se ne cerchi la fede, che se ne serva per trasmetterla ; il formulario dell’ecclesiastico è l’ausiliare della fede, egli non può essere la linea direttrice del pensiero religioso, l'oggetto integrale di questo pensiero... Ciascuno si appropria l’oggetto come può, con l’aiuto del formulario. Come tutte le anime e tutte le intelligenze differiscono tra loro, così

tutte le gradazioni della fede sono di una varietà infinita... L'evoluzione continua della dottrina si fa mediante il lavoro degli individui, essendo che la loro attività reagisce su le attività generali, e sono gli individui che pensando con la Chiesa pensano anche per la Chiesa medesima» . Con questo il domma della Chiesa col suo immutabile contenuto è reso relativo e proclamato nella religione il soggettivismo. Ancora un piccolo passo e siamo già al Cristianesimo senza dommi, che può andare d'accordo con la scienza moderna. La novissima Enciclica « Pascendi» , da noi già citata, chiarisce luminosamente questa specie di Cattolicismo, e lo condanna con argomenti di tale evidenza, che basta leggere il pontificio documento per restarne convinto.

D’altra parte è una supposizione del tutto gratuita l'asserire che il Cattolicismo qual’esso è difatti, non possa conciliarsi con la vera scienza. È questa la ben nota frase dei nemici della Chiesa, contrari al domma, e dei rappresentanti del liberalismo religioso, la quale non è soltanto

insulsa, ma anche falsa e bugiarda. Che cosa vuol dire Cattolicismo? È la religione cattolica; cioè come ben dice Weber nella sua Apologetica «l'ordinamento religioso è l’elevazione della vita umana per mezzo della rivelazione soprannaturale, che nella Chiesa fondata da Cristo si communica agli uomini mercé la fede» . Questa religione o religioso ordinamento, nel modo onde viene annunziato, mediante la Chiesa cattolica, quale esposizione autorevolmente da essa fatta, appartiene nella sua intima natura ad un ordine soprannaturale; quindi come tale immensamente superiore alle potenze intellettuali umane. Ciò che fu dato all'uomo, perché divenisse cosa tutta sua propria, deve senza dubbio corrispondere alle condizioni sotto cui esso possa ragionevolmente servirsene; ciò vuol dire che debba essere altrettanto intelligibile come vero e buono. Ma appunto nel Cristianesimo Cattolico sono dati questi presupposti, mercé i quali lo Spirito e la volontà dell'uomo sono in grado di acquistare la convinzione della verità, ragionevolezza e bontà del medesimo. Con ciò gli viene garentita completamente la cognizione della rivelazione soprannaturale, come gli viene rappresentata dall’infallibile magistero della Chiesa. La religione Cattolica non è una religione proveniente esclusivamente dalla ragione; quindi non è una religione naturale, come insegna l'agnosticismo, ma religione da Dio rivelata, quindi soprannaturale, che non può affatto essere compresa e conosciuta mediante le sole forze naturali dello spirito umano. L' intelligenza ovvero scienza umana è per contrario circoscritta nei limiti della facoltà perscrutatrice tutta sua propria ed intima: e non può neppure nel suo proprio e naturale ramo delle cognizioni penetrare nel secreto di ogni problema, né far risplendere in tutta la sua ampiezza e bellezza ogni qualunque verità. Tanto meno poi lo Spirito umano può penetrare nel soprannaturale, quando vuole perscrutare o comprendere la divinità nelle sue proprietà, ovvero nelle sue relazioni, all'uomo e al mondo visibile. Qui fa d’uopo contentarsi di concetti analoghi, ma non si potrà mai giungere a conoscere la natura de' misteri della religione. La ragione deve le sue premesse unicamente alle proprie scoperte ed osservazioni; queste perciò le danno soltanto il diritto di poterne trarre le necessarie logiche conclusioni. Tutti questi motivi e ragioni offrono soltanto una certezza meramente umana, anche nell'ambiente di quelle verità che sono accessibili alla nostra ragione. Ma quanto spesso anche la certezza meramente umana. si addimostra negativa od insufficiente e ciò sia a cagione dei pregiudizi, delle limitazioni, delle imperfezioni e delle passioni, con cui si creano dei principî, si giudicano delle osservazioni e si traggono illogiche conseguenze!

La cognizione basata su la divina rivelazione è tutt’altro. Essa può di pieno diritto vantarsi di possedere la suprema certezza, perchè può appellarsi alla parola di colui, che come complesso di tutta la perfezione è allo stesso tempo onnisciente e suprema verità. Cristo ha istituito nella sua Chiesa un supremo. magistero mediante il quale essa comunica all'umanità questa divina rivelazione e la mantiene pura, l'interpreta autorevolmente e la difende dagli attacchi de' suoi nemici. L'esistenza e la infallibilità di questo magistero formano il domma fondamentale della religione, cattolica. Il Signore dette a Pietro il dono della fede, perchè egli non vacillasse in essa; perciò gli dette altresì l'incarico di confermare i suoi fratelli nella medesima. Dando poi l'incarico ai suoi apostoli d'insegnare, Cristo aggiunge che Egli sarà con loro, fino alla consumazione de' secoli. Promette altresì, che le porte dell'inferno non prevarranno contro la sua Chiesa. Egli pregherà il Padre e darà loro un altro consolatore, che resti con loro in perpetuo, lo Spirito di verità. L'Apostolo chiama la Chiesa di Dio vivo, colonna ed appoggio della verità. La Chiesa Cattolica può per questo nell'esercizio del suo infallibile ministero in cose di religone e di fede insegnare solo la verità, quindi nulla che stia realmente in opposizione con un’altra verità. Dio è la sorgente di tutte le cognizioni naturali e soprannaturali, di tutta la scienza, tanto empirica che rivelata; perciò è impossibile che ambedue non siano d’accordo tra di loro.

Con tutto ciò si ha la pretesa di asserire che l’odierno Cattolicismo si trovi in opposizione con la vera scienza. In che consiste propriamente questa tanto decantata vera scienza? Ben inteso si allude unicamente alle cognizioni naturali intellettive. Ma che cosa esse hanno da fare, di fronte alla religione come tale, con le conoscenze soprannaturali? Certamente, dice 1'Harnack « La scienza è una bella cosa, e guai a colui che la disprezza,che rintuzza in sè stesso l’inclinazione per la cognizione! Ma alle domande donde, dove e perchè, essa oggi non da risposta, come non la dette neppure due o tremila anni fa. Senza dubbio essa c’insegna sui fatti reali, discopre contradizioni, riunisce gli eventi e corregge le aberrazioni de' nostri sentimenti e delle nostre idee. Ma dove e come comincia la curva del mordo, e la curva della nostra vita propria, quella curva di cui a noi è nota soltanto una parte e dove essa conduca, questo a noi non viene insegnato dalla scienza»(La Natura del Cristianesimo, pag. 188).

Malgrado ciò, di nulla nel campo religioso si è fatto più abuso, sotto l’apparenza della verità, quanto di questa scienza. Ciò che per la grande, ma limitata ragione, non è scientificamente intelligibile o dimostrabile si vuole che sia inconciliabile con essa. Nondimeno tutta la scienza umana è e resta ben meschina cosa, anche nel campo della naturale conoscenza del tutto manchevole, allorché giunge ai confini del soprannaturale. L'uomo non riceve già a mezzo della scienza naturale, ma dalla fede cristiana soltanto il superiore lume che lo preservi dagli errori, e che completa e ricolma le lacune della scienza: illumina la via della disquisizione, appaga la sete della religione, e lo mena traverso l'oscurità della vita terrena. È solo il Cristianesimo che ci da il completo e vero senso della verace dignità dell'uomo, della sublimità della sua destinazione, e della legittima relazione degli uomini fra loro:non è mai pensato né pronunziato alcun che di più grande su la terra di ciò che Cristo insegnò e la Chiesa per divino incarico insegna a noi.

La vera scienza richiede che, astrazione fatta dal metodo scientifico di essa, si battano le vie appropriate alle fonti della scienza medesima, e che si rimanga dentro i confini della potenzialità umana. Ma le rette vie per giungere alla perfetta cognizione della religione naturale partono unicamente dalla fede annunziata da Cristo, e che la Chiesa Cattolica ha la missione d' insegnare e di mantenere pura ed illibata.

Se la scienza naturale è e rimane «vera scienza » non deve mai trovarsi in reale contradizione con la scienza soprannaturale, con quella religione di Gesù Cristo che Egli ha depositata nella sua Chiesa; ambedue possono e debbono lasciarsi porre d'accordo. La vera scienza non cerca di mettersi in contradizione con la scienza della fede, ma aspira ad armonizzare tra loro tutti i risultati della scienza che tutti conducono ad un centro comune, a vicenda si illuminano, si raffermano e si aiutano. In tal modo, essi rendono possibile una così grande ed identica completa visione del mondo, che partendo da Dio a Lui conduca, ed abbraccia insieme tutto il campo della scienza e della vita, i regni della natura e della grazia, della ragione e della fede, del naturale e del soprannaturale.

Certamente una scienza senza Dio e senza rivelazione, che nega e combatte la divinità di Cristo e la divina fondazione della Chiesa, non si lascia affatto conciliare con l’odierno Cattolicismo: essa sta in diretta ed aperta contradizione col Cattolicismo credente; cotesta scienza è quindi debitamente condannata dalla Chiesa. Tale lotta della fede con la incredulità, della religione soprannaturale con la scienza, che da essa fa divorzio, Goethe medesimo contradistingue come il tema più profondo della storia del mondo, affermando che sono grandi quei tempi in cui gli uomini si lasciano signoreggiare da una fede viva; ed insignificanti e superficiali quelli in cui si fece strada l’insipida incredulità della scienza. I1 signor von Baer tanto celebre naturalista quanto pensatore, riveste con le seguenti belle parole il pregio che egli fa della religione cristiana rivelata. «Consideriamo senza esitare che è nocivo il dono della scienza o di ogni specie di cultura, se essa ci ruba la pace dell'anima, o distrugge i supremi interessi della religione» .

Con questa specie di scienza patteggi pure un «Cristianesimo senza domma», il Protestantesimo liberale e lasso, cioè infedele: noi non gli invidiamo la sorte. Il Cattolico credente invece non lo farà mai, e noti lo deve. Egli è tratto dalla completa convinzione che il suo cattolicismo può bene andare d’accordo con la vera scienza. Ambedue hanno la loro origine in Dio, la fonte di tutte e di ognuna delle scienze e verità. Come il vero non sta mai in contradizione con un altro vero, così pure non v’ha reale contradizione fra cognizione naturale e cognizione rivelata. Soltanto la falsa scienza poteva costruire una simile contradizione; di essa ben può dirsi ciò che scrive l'Apostolo: «La sapienza di questo mondo è stoltezza dinanzi a Dio» (ICor. 3, 19).

.

SUPREMA SACRA INQUISIZIONE ROMANA ED UNIVERSALE

«LAMENTABILI SANE EXITU»

Con deplorevoli frutti, l'età nostra, impaziente di freno nell'indagare le somme ragioni delle cose, non di rado segue talmente le novità, che, lasciata da parte, per così dire, l'eredità del genere umano, cade in errori gravissimi. Questi errori sono di gran lunga più pericolosi qualora si tratti della disciplina sacra, dell'interpretazione della Sacra Scrittura, dei principali misteri della Fede.

È da dolersi poi grandemente che, anche fra i cattolici, si trovino non pochi scrittori i quali, trasgredendo i limiti stabiliti dai Padri e dalla Santa Chiesa stessa, sotto le apparenze di più alta intelligenza e col nome di considerazione storica, cercano un progresso dei dogmi che, in realtà, è la corruzione dei medesimi.

Affinché dunque simili errori, che ogni giorno si spargono tra i fedeli, non mettano radici nelle loro anime e corrompano la sincerità della Fede, piacque al Santissimo Signore Nostro Pio per divina Provvidenza Papa X, che per questo officio della Sacra Romana ed Universale Inquisizione si notassero e si riprovassero quelli fra di essi che sono i precipui.

Perciò, dopo istituito diligentissimo esame e avuto il voto dei Reverendi Signori Consultori, gli Eminentissimi e Reverendissimi Signori Cardinali Inquisitori generali nelle cose di fede e di costumi, giudicarono che le seguenti proposizioni sono da riprovarsi e da condannarsi, come si riprovano e si condannano con questo generale Decreto:

1. La legge ecclesiastica che prescrive di sottoporre a previa censura i libri concernenti la Sacra Scrittura non si estende ai cultori della critica o dell'esegesi scientifica dei Libri dell'Antico e del Nuovo Testamento.

2. L'interpretazione che la Chiesa dà dei Libri sacri non è da disprezzare, ma soggiace ad un più accurato giudizio e alla correzione degli esegeti.

3. Dai giudizi e dalle censure ecclesiastiche, emanati contro l'esegesi libera e superiore, si può dedurre che la fede proposta dalla Chiesa contraddice la storia, e che i dogmi cattolici in realtà non si possono accordare con le vere origini della religione cristiana.

4. Il magistero della Chiesa non può determinare il genuino senso delle sacre Scritture nemmeno con definizioni dogmatiche.

5. Siccome nel deposito della fede non sono contenute solamente verità rivelate, in nessun modo spetta alla Chiesa giudicare sulle asserzioni delle discipline umane.

6. Nella definizione delle verità, la Chiesa discente e la Chiesa docente collaborano in tale maniera, che alla Chiesa docente non resta altro che ratificare le comuni opinioni di quella discente.

7. La Chiesa, quando condanna gli errori, non può esigere dai fedeli nessun assenso interno che accetti i giudizi da lei dati.

8. Sono da ritenersi esenti da ogni colpa coloro che non tengono in alcun conto delle riprovazioni espresse dalla Sacra Congregazione dell'Indice e da altre Sacre Congregazioni Romane.

9. Coloro che credono che Dio è l'Autore della Sacra Scrittura sono influenzati da eccessiva ingenuità o da ignoranza.

10. L'ispirazione dei Libri dell'Antico Testamento consiste nel fatto che gli Scrittori israeliti tramandarono le dottrine religiose sotto un certo aspetto particolare in parte conosciuto e in parte sconosciuto ai gentili.

11. L'ispirazione divina non si estende a tutta la Sacra Scrittura al punto che tutte e singole le sue parti siano immuni da ogni errore.

12. L'esegeta, qualora voglia affrontare con utilità gli studi biblici, deve, anzitutto, lasciar cadere quel certo qual preconcetto inerente l'origine sovrannaturale della Sacra Scrittura.

13. Gli stessi Evangelisti e i Cristiani della seconda e terza generazione composero le parabole evangeliche in modo artificioso così da spiegare gli esigui frutti della predicazione di Cristo presso i giudei.

14. Gli Evangelisti riferirono in molte narrazioni non tanto ciò che effettivamente accadde, quanto ciò che essi ritennero maggiormente utile ai lettori, ancorché falso.

15. Gli Evangeli furono soggetti a continue aggiunte e correzioni, fino alla definizione e alla costituzione del canone; in essi, pertanto, della dottrina di Cristo, non rimase che un tenue e incerto vestigio.

16. I racconti d Giovanni non sono propriamente storia, ma mistica contemplazione del Vangelo; i discorsi contenuti nel suo Vangelo sono meditazioni teologiche sul Mistero della Salvezza, destituite di verità storica.

17. Il quarto Evangelo esagerò i miracoli, non solo perché apparissero maggiormente straordinari, ma anche affinché fossero più adatti a significare l'opera e la gloria del Verbo Incarnato.

18. Giovanni rivendica a sé il ruolo di testimone di Cristo; in verità egli non è che un eccellente testimone di vita cristiana, ovvero della vita di Cristo alla fine del primo secolo.

19. Gli esegeti eterodossi espresso più fedelmente il vero senso della Scrittura di quanto non abbiano fatto gli esegeti cattolici.

20. La Rivelazione non poté essere altro che la coscienza acquisita dall'uomo circa la sua relazione con Dio.

21. La Rivelazione, che costituisce l'oggetto della Fede cattolica, non si è conclusa con gli Apostoli.

22. I dogmi, che la Chiesa presenta come rivelati, non sono verità cadute dal cielo, ma l'interpretazione di fatti religiosi, che la mente umana si è data con travaglio.

23. Può esistere, ed esiste in realtà, un'opposizione tra i fatti raccontati dalla Sacra Scrittura ed i dogmi della Chiesa fondati sopra di essi; sicché il critico può rigettare come falsi i fatti che la Chiesa crede certissimi.

24. Non dev'essere condannato l'esegeta che pone le premesse, cui segue che i dogmi sono falsi o dubbi, purché non neghi direttamente i dogmi stessi.

25. L'assenso della Fede si appoggia da ultimo su una congerie di probabilità.

26. I dogmi della Fede debbono essere accettati soltanto secondo il loro senso pratico, cioè come norma precettiva riguardante il comportamento, ma non come norma di Fede.

27. La Sacra Scrittura non prova la Divinità di Gesù Cristo; ma è un dogma che la coscienza cristiana deduce dal concetto di Messia.

28. Gesù, durante il suo Ministero, non parlava per insegnare di essere il Messia, né i suoi miracoli miravano a dimostrarlo.

29. Si può ammettere che il Cristo storico sia molto inferiore al Cristo della Fede.

30. In tutti i testi evangelici, il nome "Figlio di Dio" equivale soltanto a nome "Messia" e non significa assolutamente che Cristo è vero e naturale Figlio di Dio.

31. La dottrina su Cristo, tramandata da Paolo, Giovanni e dai Concili Niceno, Efesino e Calcedonense, non è quella insegnato da Gesù, ma che su Gesù concepì la coscienza cristiana.

32. Non è possibile conciliare il senso naturale dei testi evangelici con quello che i nostri teologi insegnano circa la coscienza e la scienza infallibile di Gesù Cristo.

33. È evidente a chiunque non sia influenzato da opinioni preconcette che Gesù ha professato un errore circa il prossimo avvento messianico, o che la maggior parte della sua dottrina, contenuta negli Evangeli sinottici, è priva di autenticità.

34. Il critico non può affermare che la scienza di Cristo non sia circoscritta da alcun limite, se non ponendo ipotesi - non concepibile storicamente e che ripugna al senso morale - secondo la quale Cristo abbia avuto la conoscenza di Dio in quanto uomo e non abbia voluto in alcun modo darne notizia ai discepoli e alla posterità.

35. Cristo non ebbe sempre la coscienza della sua dignità messianica.

36. La Risurrezione del Salvatore non è propriamente un fatto di ordine storico, ma un fatto di ordine meramente sovrannaturale, non dimostrato né dimostrabile, che la coscienza cristiana lentamente trasse dagli altri.

37. La Fede nella Risurrezione di Cristo inizialmente non fu tanto nel fatto stesso della Risurrezione, quanto nella vita immortale di Cristo presso Dio.

38. La dottrina concernente la Morte espiatrice di Cristo non è evangelica, ma solo paolina.

39. Le opinioni sull'origine dei Sacramenti, di cui erano imbevuti i Padri tridentini, e che senza dubbio ebbero un influsso nei loro Canoni dogmatici, sono molto distanti da quelle cui ora gli storici del Cristianesimo dànno credito.

40. I Sacramenti ebbero origine perché gli Apostoli e i loro successori interpretarono una certa idea e intenzione di Cristo, sotto la persuasione e la spinta di circostanze ed eventi.

41. I Sacramenti hanno come unico fine di ricordare alla mente dell'uomo la presenza sempre benefica del Creatore.

42. La comunità cristiana inventò la necessità del Battesimo, adottandolo come rito necessario e annettendo ad esso gli obblighi della professione cristiana.

43. L'uso di conferire il Battesimo ai bambini fu un'evoluzione disciplinare, ragion per cui il Sacramento è diventato due, cioè il Battesimo e la Penitenza.

44. Nulla prova che il rito del Sacramento della Confermazione sia stato istituito dagli Apostoli; la formale distinzione di due Sacramenti, cioè del Battesimo e della Confermazione, non risale alla storia del cristianesimo primitivo.

45. Non tutto ciò che narra Paolo a proposito dell'istituzione dell'Eucaristia [I Cor., 11, 23-25] è da considerarsi fatto storico.

46. Il concetto della riconciliazione del cristiano peccatore, per autorità della Chiesa, non fu presente nella comunità primitiva: fu la Chiesa ad abituarsi lentamente a questo concetto. Per di più, dopo che la Penitenza fu riconosciuta quale istituzione della Chiesa, non veniva chiamata col nome di Sacramento, poiché era considerata come Sacramento vergognoso.

47. Le parole del Signore "Ricevete lo Spirito Santo; a coloro ai quali rimetterete i peccati saranno rimessi e a coloro ai quali non li rimetterete non saranno rimessi" [Joh., 20, 22-23] non si riferiscono al Sacramento della Penitenza, anche se i Padri tridentini vollero affermarlo.

48. Giacomo, nella sua epistola [Jac., 5, 14 sqq.], non volle promulgare un Sacramento di Cristo, ma raccomandare una pia pratica e se in ciò riconobbe un certo qual mezzo di Grazia, non lo intese con quel rigore con cui lo intesero i teologi che stabilirono la nozione e il numero dei Sacramenti.

49. Coloro che erano soliti presiedere alla cena cristiana acquisirono il carattere sacerdotale per il fatto che essa progressivamente andava assumendo l'indole di un'azione liturgica.

50. Gli anziani che, nelle adunanze dei Cristiani, esercitavano l'ufficio di vigilanza, furono dagli Apostoli creati preti o vescovi per provvedere all'ordinamento necessario delle crescenti comunità, e non propriamente per perpetuare la missione e la potestà Apostolica.

51. Il Matrimonio fu riconosciuto dalla Chiesa come Sacramento della nuova Legge solo molto tardi; infatti, perché il Matrimonio fosse considerato Sacramento, era necessario che lo precedesse la piena dottrina della Grazia e la spiegazione teologica del Sacramento.

52. Cristo non volle costituire la Chiesa come società duratura sulla terra, per lunga successione di secoli; anzi, nella mente di Cristo, il regno del Cielo, unitamente alla fine del mondo, doveva essere prossimo.

53. La costituzione organica della Chiesa non è immutabile; ma la società cristiana, non meno della società umana, va soggetta a continua evoluzione.

54. I dogmi, i sacramenti, la gerarchia, sia nel loro concetto come nella loro realtà, non sono che interpretazioni ed evoluzioni dell'intelligenza cristiana, le quali svilupparono e perfezionarono il piccolo germe latente nel Vangelo con esterne aggiunte.

55. Simon Pietro non ha mai sospettato di aver ricevuto da Cristo il primato nella Chiesa.

56. La Chiesa Romana diventò capo di tutte le Chiese non per disposizione della Divina Provvidenza, ma per circostanze puramente politiche.

57. La Chiesa si mostra ostile ai progressi delle scienze naturali e teologiche.

58. La verità non è immutabile più di quanto non lo sia l'uomo stesso, poiché si evolve con lui, in lui e per mezzo di lui.

59. Cristo non insegnò un determinato insieme di dottrine applicabile a tutti i tempi e a tutti gli uomini, ma piuttosto iniziò un certo qual moto religioso adattato e da adattare a diversi tempi e circostanze.

60. La dottrina cristiana fu, nel suo esordio, giudaica; poi divenne, per successive evoluzioni, prima paolina, poi giovannea, infine ellenica e universale.

61. Si può dire senza paradosso che nessun passo della Scrittura, dal primo capitolo della Genesi fino all'ultimo dell'Apocalisse, contiene una dottrina perfettamente identica a quella che la Chiesa insegna sullo stesso argomento, e perciò nessun capitolo della Scrittura ha lo stesso senso per il critico e per il teologo.

62. Gli articoli principali del Simbolo apostolico non avevano per i cristiani dei primi tempi lo stesso significato che hanno per i cristiani del nostro tempo.

63. La Chiesa si dimostra incapace a tutelare efficacemente l'etica evangelica, perché ostinatamente si attacca a dottrine immutabili, inconciliabili con i progressi odierni.

64. Il progresso delle scienze richiede una riforma del concetto che la dottrina cristiana ha di Dio, della Creazione, della Rivelazione, della Persona del Verbo Incarnato e della Redenzione.

65. Il Cattolicesimo odierno non può essere conciliato con la vera scienza, a meno che non si trasformi in un cristianesimo non dogmatico, cioè in protestantesimo lato e liberale.

Nella seguente Feria V, il giorno 4 dello stesso mese ed anno, fatta di tutte queste cose accurata relazione al Santissimo Signor Nostro Pio Papa X, Sua Santità approvò e confermò il Decreto degli Eminentissimi Padri e diede ordine che tutte e singole le sopra enumerate proposizioni siano considerate da tutti come riprovate e condannate.

Pietro Palombelli,

Notaro della Sacra Inquisizione Romana ed Universale

Dato a Roma, presso il Palazzo del Sant'Uffizio, il giorno 3 del mese di Luglio dell'Anno 1907.

Per l'Anno Sacerdotale

Abate Emanuel Andrè o.s.b.

Sacerdozio e Ministero





LIBRO PRIMO

Natura del Ministero ecclesiastico

CAPITOLO I

ORIGINE DEL MINISTERO

Dio ha tanto amato il mondo che gli ha dato il suo Unico Figlio e mentre inviava nel mondo il suo Divino Figlio gli diede un grande ministero da compiere verso l'umanità decaduta. Egli doveva soddisfare, come Redentore, la giustizia di suo Padre e poi meritarci le grazie necessarie alla salvezza e creare un’istituzione che, attingendo continuamente dal tesoro dei suoi divini meriti, facesse giungere a tutti gli eletti le grazie che dovevano condurli alla vita eterna. Nostro Signor Gesù Cristo compì in modo pieno la missione ricevuta dal Padre e alla vigilia della sua morte poté affermare con tutta verità: «Io ti ho glorificato sulla terra compiendo l'opera che mi hai dato da fare» (Gv. 17,4) e ciò ripeterà più espressamente sulla croce un istante prima di morire esclamando: «Tutto è compiuto» (Gv. 19,30). Egli aveva formato i suoi Apostoli al ministero, aveva consegnato a loro ogni verità, rivelato ogni cosa e posto nelle loro mani i sacramenti. Però prima di metterli in azione per l’esercizio del ministero aveva dato a loro lo Spirito Santo. L'opera che gli Apostoli dovevano compiere, era opera divina, poteva essere compiuta soltanto con lo spirito di Dio, non essendo lo spirito dell'uomo acconcio a una simile fatica: e lo Spirito di Dio fu dato.

CAPITOLO II

Nostro Signore Gesù Cristo dopo aver creato ed esercitato egli stesso il santo ministero, lo affidò agli Apostoli come coloro che dovevano continuare l'opera sua. A questo scopo concesse ad essi il potere d'ordine e di giurisdizione e, allo stesso tempo le virtù necessarie per il buon uso di questi terribili poteri. «Onus angelicis humeris formidandum», dice il Concilio di Trento.

Gesù creò gli Apostoli e li fece ministri perfetti. «Ci ha resi ministri adatti di una Nuova Alleanza» (2 Cor. 3, 6) perché egli aveva altrettanta facilità nel dar loro i poteri.

Gli Apostoli trasmisero facilmente i poteri, avendo a loro disposizione i sacramenti; ma non poterono trasmettere le virtù (però le esigevano da coloro che ordinavano. Cfr. 2 Tm. 2, 2; At. 6, 3). Ciò ci mostra come il ministero poté alle volte fallire e ci fa toccare con mano l’innata debolezza negli eredi degli Apostoli.

Senza anticipare vediamo ciò che era il ministero in mano agli Apostoli. Ce lo dice San Pietro in una sola parola: «Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola» (At. 6, 4).

Si ha oggi questo concetto e del ministero e dell’ordine che bisogna seguire per compierli bene? Ne dubitiamo assai: perché, se non erriamo, ci sembra che oggi il grande affacendarsi sia l'amministrazione dei sacramenti e poi la predicazione; mentre la preghiera è considerata come un’opera personale del sacerdote, anziché come l'opera principale del ministero. Un autentico rovesciamento dell'ordine stabilito da Dio.



CAPITOLO III



IL CORPO E L'ANIMA DEL MINISTERO

Nel ministero bisogna, come nella Chiesa, distinguere il corpo e l'anima: allo stesso modo dei composti nei quali si distingue la materia e la forma. Il corpo del Ministero è la parte esteriore, rituale: l'amministrazione dei sacramenti.

L'anima del ministero, è certamente la preghiera, l'unione interiore a nostro Signore; unione che ci deve far attingere da Dio lo spirito interiore, il solo capace di fecondare le opere esterne.

La predicazione appartiene al corpo del ministero; mentre se la si considera doversi ispirare, vivificarsi, animarsi nella preghiera e in essa attingere potenza ed efficacia, allora appartiene all'anima del Ministero. E questo ci rivela la profondità dell'affermazione di San Pietro citata più sopra: «Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola» (At. 6,4).

CAPITOLO IV



L'ORDINE VERO DELLE TRE GRANDI FUNZIONI DEL MINISTERO

Poiché il ministero secondo nostro Signore e gli Apostoli è contenuto principalmente in queste tre funzioni: preghiera, predicazione e amministrazione dei sacramenti, è necessario. osservare che San Pietro ha messo prima di tutto la preghiera, dopo la predicazione e finalmente, come una risultante, l'amministrazione dei sacramenti.

Ecco l'ordine vero delle sante funzioni del ministero. Innanzitutto è necessario entrare in relazione scambievole con Dio: punto principale, perché bisogna captare la grazia, divenirne familiare, come dice San Gregorio, e poi dedicarsi alle anime presso le quali si dovrà esercitare il ministero.

Dopo aver pregato bisogna predicare e istruire: e la predicazione fatta potente dalla preghiera che l'ha preceduta, conduce le anime a desiderare, a chiedere e poi a ricevere i sacramenti.

Questa l'economia nell'opera della salvezza delle anime, questo l'ordine col quale Nostro Signore vuole che si compiano le sante funzioni.

CAPITOLO V



PRIMA FUNZIONE DEL MINISTERO: LA PREGHIERA

Nostro Signore c'insegna che bisogna pregare sempre: «Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre senza stancarsi mai» (Lc. 18,1). Il compimento di questo precetto, preso a rigor di termine, ci sarebbe impossibile: perciò i santi Padri lo hanno spiegato nel senso che bisogna pregare spesso perché l'anima sia continuamente sotto l'azione e sotto la protezione della preghiera fatta precedentemente.

A questo scopo lo Spirito Santo ha ispirato alla Chiesa di stabilire le ore della preghiera, e sono considerati sempre oranti coloro che sono fedeli alla preghiera nei tempi prescritti, nelle ore prescritte, e meglio, nelle ore canoniche. Infatti il Venerabile Beda dice che «semper orat qui statuta tempora non praetermittit orandi».

Le ore canoniche sono note. Gli Apostoli ci hanno dato l'esempio della preghiera nel corso delle ore canoniche: «verso mezzanotte Paolo e Sila, in preghiera, cantavano inno a Dio, mentre i carcerati stavano ad ascoltarli». Era una preghiera vocale, dal momento che era intesa da coloro che stavano in prigione con gli Apostoli (At. 16,25).

Nel giorno della Pentecoste la Chiesa nascente era riunita per la preghiera di Terza, quando discese lo Spirito Santo: «si trovavano tutti insieme nello stesso luogo.., all'ora terza del giorno» (At. 2,1-15).

San Pietro sale a pregare in una stanza alta ed era l'ora di Sesta: «Salì verso mezzogiorno sulla terrazza a pregare» (At. 10,9).

San Pietro e San Giovanni salgono al tempio per pregare all'ora di Nona: «Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera verso le tre del pomeriggio» (At. 3,1). Questo passo è estremamente importante: gli Apostoli avevano le loro ore fisse per pregare: «Horam orationis», e Nona era una di queste.

Il Centurione Cornelio, prima ancora di essere cristiano, pregava all'ora Nona, e fu allora che ricevette la visita dell'angelo che lo indirizzò a San Pietro: «Verso quest'ora, stavo recitando la preghiera delle tre del pomeriggio» (At. 10,30).

La tradizione della Chiesa è costante su questo punto così importante della preghiera nelle ore canoniche. Gli esempi dei Santi sono uniformi in tutti i secoli, e li vediamo tutti e sempre fare delle preghiere nelle ore canoniche il loro primo dovere. E come San Pietro diceva: «Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense» (At. 6,2), non volendo sacrificare la predicazione per un servizio esterno di carità, tanto meno egli avrebbe sacrificato la preghiera, che anteponeva alla predicazione, ad ogni altra cosa come ne fanno testimonianza 1e parole già citate: «Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola» (At. 6,4). Secondo San Pietro il Ministero consisteva innanzitutto nella preghiera, e, dopo nella predicazione; l'amministrazione dei sacramenti veniva dopo come una cosa secondaria. Una parte per così dire materiale che spesso gli Apostoli lasciavano ai diaconi per il battesimo e ai presbiteri per il battesimo, e per gli altri sacramenti.

San Paolo pur avendo convertito numerosi abitanti di Corinto, in Corinto battezzò soltanto pochissime persone perché la massa dei fedeli era già stata battezzata da Apollo e da Cefa; ed egli dice chiaramente che nostro Signore non l'aveva inviato a battezzare, ma a predicare il Vangelo: «Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il Vangelo» (1Cor. I,17). Ciò è di basilare importanza tanto più che oggi le idee sono diametralmente all'opposto di quelle degli Apostoli: i vescovi e i sacerdoti dopo aver somministrato i sacramenti credono volentieri di aver compiuto il loro ministero, mentre ne hanno compiuto soltanto la parte materiale, perché l'essenziale non consiste in questo.

CAPITOLO VI

SECONDA FUNZIONE DEL MINISTERO: LA PREDICAZIONE

La predicazione della parola di Dio non è un'opera umana. La scienza per quanto grande sia e l'eloquenza per quanto potente, non sono punto la predicazione della parola di Dio.

La scienza può essere utile, ed utile l'eloquenza, ma nella predicazione della parola di Dio c'è qualcosa più della scienza e meglio dell'eloquenza. Sottolineiamo bene l'espressione «Parola di Dio». Per parlare questa parola, bisogna averla ricevuta: e se è vero che la si riceve dalla Chiesa, non è men vero che essa diviene parola di vita grazie allo Spirito di Dio infuso in noi durante la preghiera. La parola che dobbiamo predicare deve perciò venire da Dio e deve essere annunziata dallo Spirito di Dio. Gli Apostoli hanno veramente predicato, la prima volta, nel giorno della Pentecoste: «Furono pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare...» (At. 2,4). Vi è perciò una distanza infinita tra il nostro insegnamento e gli insegnamenti umani. Gli uomini annunziano la parola dell'uomo, noi la parola di Dio: gli uomini parlano col loro spirito, noi abbiamo lo spirito di Dio: gli uomini intendono far nascere la scienza nei loro uditori, noi la fede. Quale differenza!

Ora, come per generare la scienza bisogna possedere la scienza, allo stesso modo per generare la fede nelle anime bisogna essere già se stessi penetrati dalla fede. La parola che noi annunciamo dev'essere la stessa parola della fede: «Verbum Fidei», dice San Paolo (Rom. 10,8), «Fides ex auditu» (Rom. 10,17).

Pertanto, noi non siamo dei professori di religione, ma i mezzi di Dio per far penetrare la fede nelle anime: «Come se Dio esortasse per mezzo nostro», dice ancora San Paolo (2 Cor. 5,20). Perciò oltre il chiedere a Dio con la preghiera che la nostra parola sia veramente la sua parola; dobbiamo essere ricolmi dello Spirito di Dio per annunciare la divina parola, sapendo poi che in questo formidabile ministero facciamo un'opera eminentemente divina per cui ci occorre essere umili, oranti e supplichevoli, spogli di noi stessi, e in qualche modo di tutta la nostra umanità se vogliamo che l'opera nostra sia veramente Papera di Dio che faccia nascere la fede nei nostri uditori: «Questa è l'opera. di Dio: credere in colui che egli ha mandato» (Gv. 6,29)

.
CAPITOLO VII

TERZA FUNZIONE DEL MINISTERO: I SACRAMENTI

Dopo aver pregato e parlato, l'uomo di Dio, «Homo Dei» (1 Tm. 6,11), vedendo la fede ormai nata nell'anima degli ascoltatori e operarvi le opere necessarie alla giustificazione, darà i sacramenti.

I sacramenti che elargiscono tanta grazia, non danno però le disposizioni necessarie per riceverli. Ecco un punto capitale nella dottrina cristiana: e ciò dimostra quanto si sbagliano coloro che credono che tutto è salvo quando si sono ricevuti i sacramenti.

I sacramenti sono dei segni sensibili della grazia invisibile; e il sacerdote che amministrai sacramenti, pur stando attento al rito esterno, deve applicarsi interiormente a chiedere la grazia interiore: egli deve entrare in comunione con Dio che dà la grazia, con Nostro Signore Gesù Cristo che l'ha meritata e con l'anima che la riceve. Nella religione non c'è nulla che sia soltanto esteriorità. Dio è spirito, e in tutto ciò che viene da lui, come tutto ciò che a lui va, dev’essere spirito.

Noi siamo anima e corpo: Nostro Signore è Dio e uomo; i sacramenti hanno forma e materia: tutto questo in armonia l'un con l'altro. Si turberebbe quest’armonia dimenticando od omettendo nella nostra religione quanto Dio volle che vi fosse conservato.

L'uomo che dimenticasse la sua anima per non veder altro che il suo corpo; chi in nostro Signore vedesse soltanto l'umanità, imitando per cose dire gli antichi Antropomorfiti; il sacerdote, che nei sacramenti non vedesse altro. che il rito esterno, sarebbero fuori dalla verità. Ora, soltanto la verità salva: «La verità vi farà liberi» (Gv. 8,32).

CAPITOLO VIII

IL MINISTERO È UN MISTERO INTERIORE

Benché nel ministero ci siano diversi elementi esterni, tuttavia risponde a verità l'affermare che, preso nel suo insieme, il ministero è cosa interiore. Infatti, chiedere la grazia, concorrere al suo stabilirsi nelle anime, a conservarvisi e a farla sviluppare non è forse l'essenziale e il tutto del ministero? Chi non vede che tutte queste cose sono fatti interiori? E perché è cosa, come d'altronde non se ne può dubitare, si comprende sempre più chiaramente quant'è profonda l'affermazione del principe degli Apostoli che dice: «Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola» (At. 6,4). Egli pone in primo luogo la preghiera: perché il ministero, che agisce sugli uomini, manifesta la sua efficacia nella misura con la quale il ministero è entrato in comunicazione con Dio per mezzo della preghiera. Dio solo dà senza aver ricevuto, perché, essendo Dio, ha in se stesso ogni bene: noi che non siamo Dio, non possiamo dare se non dopo che abbiamo ricevuto. E quando si tratta dei mez zi di santificazione delle anime da chi li potremo ricevere se non da Dio; e come Dio ce li darà con la loro piena efficacia se noi non lo preghiamo, con umiltà, con fiducia e con perseveranza ?

Quanto sono ammirevoli sotto quest'aspetto gli antichi missionarî benedettini nostri Padri! Quando arrivavano in un paese idolatra vi cercavano un luogo solitario e un sito inaccessibile dove si mettevano in preghiera, lottavano con i demoni, con le fiere; si costruivano una capanna di legno, cantando i salmi nelle ore canoniche del giorno e della notte... «Nos vero orationi instantes erimus». Quando poi avevano pregato, spesse volte per anni, andavano da loro contadini e pastori, domandavano chi erano, che cosa facevano e da lì alle prime lezioni di catechismo non c'era che un passo e col tempo i catecumeni... «Orationi et ministerio Verbi instantes erimus».

Poi sorgeva una comunità cristiana: poteva venire la persecuzione, ma era vinta e la fede trionfante piantata nelle anime perché tutto fluiva da un principio interiore: la preghiera, l'unione con Dio. In questa unione e in questa incessante comunione con Dio i cristiani ricevevano le grazie di luce e di conversione per le anime; e il ministero era benedetto da Dio.

venerdì 26 febbraio 2010

GIURAMENTO ANTIMODERNISTA (Acta Apostolicæ Sedis, 1910, pp. 669-672)



IO ….. fermamente accetto e credo in tutte e in ciascuna delle verità definite, affermate e dichiarate dal magistero infallibile della Chiesa, soprattutto quei principi dottrinali che contraddicono direttamente gli errori del tempo presente.

Primo: credo che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza e può anche essere dimostrato con i lumi della ragione naturale nelle opere da lui compiute (cf Rm 1,20), cioè nelle creature visibili, come causa dai suoi effetti.

Secondo: ammetto e riconosco le prove esteriori della rivelazione, cioè gli interventi divini, e soprattutto i miracoli e le profezie, come segni certissimi dell'origine soprannaturale della religione cristiana, e li ritengo perfettamente adatti a tutti gli uomini di tutti i tempi, compreso quello in cui viviamo.

Terzo: con la stessa fede incrollabile credo che la Chiesa, custode e maestra del verbo rivelato, è stata istituita immediatamente e direttamente da Cristo stesso vero e storico mentre viveva fra noi, e che è stata edificata su Pietro, capo della gerarchia ecclesiastica, e sui suoi successori attraverso i secoli.

Quarto: accolgo sinceramente la dottrina della fede trasmessa a noi dagli apostoli tramite i padri ortodossi, sempre con lo stesso senso e uguale contenuto, e respingo del tutto la fantasiosa eresia dell'evoluzione dei dogmi da un significato all'altro, diverso da quello che prima la Chiesa professava; condanno similmente ogni errore che pretende sostituire il deposito divino, affidato da Cristo alla Chiesa perché lo custodisse fedelmente, con una ipotesi filosofica o una creazione della coscienza che si è andata lentamente formando mediante sforzi umani e continua a perfezionarsi con un progresso indefinito.

Quinto: sono assolutamente convinto e sinceramente dichiaro che la fede non è un cieco sentimento religioso che emerge dall'oscurità del subcosciente per impulso del cuore e inclinazione della volontà moralmente educata, ma un vero assenso dell'intelletto a una verità ricevuta dal di fuori con la predicazione, per il quale, fiduciosi nella sua autorità supremamente verace, noi crediamo tutto quello che il Dio personale, creatore e signore nostro, ha detto, attestato e rivelato.

Mi sottometto anche con il dovuto rispetto e di tutto cuore aderisco a tutte le condanne, dichiarazioni e prescrizioni dell'enciclica Pascendi e del decreto Lamentabili, particolarmente circa la cosiddetta storia dei dogmi.

Riprovo altresì l'errore di chi sostiene che la fede proposta dalla Chiesa può essere contraria alla storia, e che i dogmi cattolici, nel senso che oggi viene loro attribuito, sono inconciliabili con le reali origini della religione cristiana.

Disapprovo pure e respingo l'opinione di chi pensa che l'uomo cristiano più istruito si riveste della doppia personalità del credente e dello storico, come se allo storico fosse lecito difendere tesi che contraddicono alla fede del credente o fissare delle premesse dalle quali si conclude che i dogmi sono falsi o dubbi, purché non siano positivamente negati.

Condanno parimenti quel sistema di giudicare e di interpretare la sacra Scrittura che, disdegnando la tradizione della Chiesa, l'analogia della fede e le norme della Sede apostolica, ricorre al metodo dei razionalisti e con non minore disinvoltura che audacia applica la critica testuale come regola unica e suprema.

Rifiuto inoltre la sentenza di chi ritiene che l'insegnamento di discipline storico-teologiche o chi ne tratta per iscritto deve inizialmente prescindere da ogni idea preconcetta sia sull'origine soprannaturale della tradizione cattolica sia dell'aiuto promesso da Dio per la perenne salvaguardia delle singole verità rivelate, e poi interpretare i testi patristici solo su basi scientifiche, estromettendo ogni autorità religiosa e con la stessa autonomia critica ammessa per l'esame di qualsiasi altro documento profano.

Mi dichiaro infine del tutto estraneo ad ogni errore dei modernisti, secondo cui nella sacra tradizione non c'è niente di divino o peggio ancora lo ammettono ma in senso panteistico, riducendolo ad un evento puro e semplice analogo a quelli ricorrenti nella storia, per cui gli uomini con il proprio impegno, l'abilità e l'ingegno prolungano nelle età posteriori la scuola inaugurata da Cristo e dagli apostoli.

Mantengo pertanto e fino all'ultimo respiro manterrò la fede dei padri nel carisma certo della verità, che è stato, è e sempre sarà nella successione dell'episcopato agli apostoli (1), non perché si assuma quel che sembra migliore e più consono alla cultura propria e particolare di ogni epoca, ma perché la verità assoluta e immutabile predicata in principio dagli apostoli non sia mai creduta in modo diverso né in altro modo intesa (2).

Mi impegno ad osservare tutto questo fedelmente, integralmente e sinceramente e di custodirlo inviolabilmente senza mai discostarmene né nell'insegnamento né in nessun genere di discorsi o di scritti. Così prometto, così giuro, così mi aiutino Dio e questi santi Vangeli di Dio.

1 IRENEO, Adversus haereses, 4, 26, 2: PG 7, 1053.

2 TERTULLIANO, De praescriptione haereticorum, 28: PL 2, 40.


Una Fides

Credo in unum Deum

Patrem Omnipotèntem, factòrem caeli et terrae, visibìlium òmnium et invisibìlium.

Et in unum Dòminum, Iesum Christum, Fìlium Dei Unigènitum.

Et ex Patre natum ante òmnia saècula.

Deum de Deo, Lumen de Lùmine, Deum verum de Deo vero.

Gènitum, non factum, consubstantiàlem Patri; per Quem òmnia facta sunt.

Qui propter nos hòmines et propter nostram salùtem descèndit de caelis.

Et incarnàtus est de Spìritu Sancto ex Marìa Vìrgine; et homo factus est.

Crucifìxus ètiam pro nobis; sub Pòntio Pilàto passus et sepùltus est.

Et resurrèxit tèrtia die, secùndum Scriptùras.

Et ascèndit in caelum, sedet ad dèxteram Patris.

Et ìterum ventùrus est cum glòria iudicàre vivos et mòrtuos; cuius Regni non erit finis.

Et in Spìritum Sanctum, Dòminum et vivificàntem, qui ex Patre Filiòque procèdit.

Qui cum Patre et Fìlio simul adoràtur et conglorificàtur; qui locùtus est per Prophètas.

Et Unam, Sanctam, Cathòlicam et Apostòlicam Ecclèsiam.

Confìteor unum Baptìsma in remissiònem peccatòrum.

Et expecto resurrectiònem mortuòrum.

Et vitam + ventùri saèculi. Amen.