PER I TEMPI
DI CONFUSIONE E INCERTEZZA
Pubblichiamo l'editoriale di Novembre 2016
di "Radicati nella fede"
PER I TEMPI DI CONFUSIONE E INCERTEZZA
Editoriale di "Radicati nella fede" - Anno IX n° 11 - Novembre 2016
Sono tempi di confusione, non di
certezze.
Confusione nel mondo, che si è
progressivamente staccato da Gesù Cristo; ma ciò che fa più male,
confusione tra i cristiani, nella misura in cui si sono adeguati al
mondo.
E la confusione fa male e stanca.
Nella confusione non è possibile per l'uomo nessun lavoro, perché
l'uomo confuso è incapace di un lavoro. Può fare episodicamente
cose buone e cose cattive, ma non può fare un lavoro.
I tempi di confusione sono i tempi
dell'uomo “episodico”.
Intendiamoci bene, non tutto è male
nel mondo e soprattutto non tutto è male nella Chiesa, questo non lo
diremo mai! Ma la confusione è un male in sé: il buono nella
confusione non esprime compiutamente un bene... e nella confusione
tante cose buone potrebbero esprimersi in un male.
La confusione è come un clima che
tutto avvolge; è uno stato d'animo, una condizione mentale e morale,
che tutto rende passeggero. La confusione impedisce la stabilità.
L'uomo instabile ha bisogno di essere
intrattenuto continuamente, per non cadere nell'angoscia del suo
nulla.
Il problema è che, a furia di vivere
nella confusione, incominci ad adattarti ad essa. Ciò che ti dava
fastidio, diventa la condizione della tua vita, l'orizzonte costante
del tuo vivere. Con il tempo addirittura la credi normale questa
continua instabilità.
Chi ama sottolineare la “vita” la
cerca. Molti credono che “vivere” voglia dire cambiare
continuamente; essere “vitali” vuol dire, per molti, fare cose
nuove. Sentirsi vivi viene fatto coincidere con non avere legami per
essere sempre pronti ad una nuova esperienza.
È così forte l'instabile clima della
confusione, che moltissimi ci restano dentro, anche tra quelli che
vogliono dirsi cristiani e magari tradizionali.
Sì, anche tra i tradizionali: cerchi
per istinto il cristianesimo di sempre, quello della Tradizione, e
dopo vuoi viverlo senza troppi legami, per assaporarne al suo interno
tutte le esperienze possibili; e così non costruisci nulla!
Insomma, chi fa consistere tutto nel
“vitale” pensa che la confusione sia positiva; chi fa consistere
tutto nel riferimento a Dio e alla Rivelazione, cerca invece la
stabilità.
È l'inganno dei tempi di confusione:
prendi la confusione dilagante come alibi per non impegnarti fino in
fondo.
Cosa fare allora nei tempi di
confusione? Cosa chiederci in questa bufera?
Intanto ricordare che Dio chiede la
stabilità: la vita è vocazione. Dio chiama ad abbracciare lo stato
di vita dentro il quale crescere nell'unione con Lui, dentro il quale
diventare santi. Diventare preti, entrare in convento, sposarsi
comporta una stabilità che, secondo il mondo senza Dio, toglie
libertà; ma è in questi vincoli vocazionali che Dio dona l'unica
vera libertà che è vivere di Lui.
E vuol dire ricordare che Dio per
primo si è “legato” a una stabilità umana quando è diventato
uomo per la nostra salvezza, nascendo a Betlemme. E dentro questo
vincolarsi all'umano stabile, si è compiuta la nostra salvezza.
Ecco perché dobbiamo fuggire lo
smodato desiderio di libertà come contrario, proprio contrario al
metodo di Dio. Carissimi, è su questo che può sorgere o crollare
una vita.
Così la vita cristiana si sviluppa
nell'accettazione della stabilità e questa accettazione produce un
modo di muoversi.
Per queste ragioni riteniamo che sia
estremamente importante eleggere un luogo di riferimento, un luogo
che abbia la vita dentro; e a quel luogo fare obbedienza.
La Chiesa è il mistico corpo di
Cristo, ma è un corpo! È visibile, incontrabile. La grazia di Dio
passa dentro i luoghi dove la vita cristiana si esprime con
stabilità, come passa attraverso i segni esterni dei sacramenti.
Come non sarebbe cattolico pretendere
la grazia sottraendosi ai segni fisici dei sacramenti, così sarebbe
non cattolico vivere la Chiesa come puro riferimento virtuale, senza
un legame a un luogo umano reale.
La Tradizione non è solo un contenuto
di Dottrina, che rimane a livello di discorso, è anche un luogo
fisico, dove la dottrina è vissuta nella grazia di Cristo. Chi si
accosta ai sacramenti nelle nostre chiese e cappelle, che per
miracolo sono concesse alla Tradizione della Chiesa, non dovrebbe mai
dimenticarlo: questi sacramenti ci sono perché in quel dato luogo si
vive la stabilità per Dio.
Non fidiamoci dei discorsi che
abbracciano tutto e costruiscono niente. Non fidiamoci del mondo
virtuale (internet) che ci ha diseducato provocandoci a stare alla
finestra giudicando tutto e vivendo niente: preghiamo il Signore
perché ci indichi un riferimento possibile; e il Signore, che è
fedele, ci farà riconoscere il “nostro” luogo della grazia. Ma
quando il Signore ce lo avrà fatto incontrare, allora dopo poniamo
sinceramente la nostra obbedienza, perché la nostra vita lì sia
edificata.
Nessun tempo di crisi può essere
alibi perché non si faccia questa obbedienza. Nessuna confusione può
essere alibi per noi, a meno che la confusione ci piaccia ormai per
non seguire niente e nessuno. Ma chi non segue niente e nessuno, non
può dire di seguire Cristo. Il riferimento a Cristo passa sempre nel
riferimento a quel corpo visibile che è la Chiesa.
E se proprio dobbiamo seguire le
notizie e commenti su internet, che ha pur il merito di informare
sulla Tradizione della Chiesa e di suscitarne un dibattito,
ascoltiamo coloro che non scrivono solo, ma coloro che hanno un reale
riferimento di obbedienza a un luogo ecclesiale, coloro che vivono
realmente la corporeità della Chiesa, con stabilità.
Non è a caso che i nemici della
tradizione, dopo il motu proprio di Benedetto XVI che dichiarava la
messa antica mai abolita, hanno fatto di tutto perché le messe
tradizionali fossero episodiche e non stabili. E hanno fatto di tutto
perché mai queste messe fossero sorrette da luoghi stabili di
dottrina e vita cristiana: noi stiamo ancora attendendo dopo 8 anni
la promessa parrocchia personale!
La cosa triste è che col passare del
tempo tanti amanti la Tradizione questa stabilità non la chiedono
più, né nella preghiera a Dio né nella dovuta fatica della
militanza anche in rapporto all'autorità.
È invece la grazia più grande che
dobbiamo chiedere in questi tempi difficili e insidiosi di
confusione: la grazia di non amarla questa confusione per farla poi
diventare l'arma della disobbedienza. Ad Oropa, fedeli a un voto,
abbiamo domandato soprattutto questo.