venerdì 16 dicembre 2011

si è toccato un mito...ma i miti sono intoccabili perché fragilissimi (se fossero stati forti non serviva mitizzarli): se li si tocca si sbriciolano


Magistero e Concilio Vaticano II

Il 2 dicembre scorso sull’osservatore Romano appariva un articolo di Fernadno Ocariz sull’adesione al Concilio Vaticano II.
Mons Ocariz ha fatto parte della commissione incaricata dalla Congregazione per la dottrina della fede per i colloqui che si sono svolti durante circa un anno e mezzo con i rappresentanti della Fraternità San Pio X.
Il fatto che l’Osservatore Romano dedichi questo spazio all’argomento, mostra quanto sia attuale il dibattito sul concilio, riaperto dalle recenti pubblicazioni di Mons. Gherardini[1], Roberto de Mattei, Gnocchi e Palmaro e, ultimamente padre Serafino Lanzetta,. Si è toccato un mito e le critiche non vengono più soltanto dalla Fraternità San Pio X ma anche da personalità riconosciute ufficialmente nella Chiesa.
Nell’articolo Mons Ocariz ribadisce e conferma che nel Vaticano II il magistero non è stato esercitato  “mediante il carisma dell’infallibilità”. Ma poi  l'autore afferma che magistero non infallibile “non significa che esso possa essere considerato «fallibile» nel senso che trasmetta una «dottrina provvisoria» oppure «autorevoli opinioni». Ogni espressione di magistero autentico va recepita come è veramente: un insegnamento dato da Pastori che, nella successione apostolica, parlano con il «carisma della verità» (Dei verbum, n. 8), «rivestiti dell’autorità di Cristo» (Lumen gentium, n. 25), «alla luce dello Spirito Santo» (Ibidem).

Indubbiamente la chiesa ci insegna che il magistero autentico richiede “ossequio religioso della volontà e dell’intelletto”.[2] Tale assenso però non è più fondato sull’autorità di Dio che rivela e assiste la Chiesa nel magistero infallibile, ma unicamente sulla prudenza. Si è tenuti ad accettare ossequiosamente in spirito di fede ciò che la suprema autorità propone, per il rispetto che le si deve e perché, anche se non assistita infallibilmente nel caso preciso, ha tutte le competenze per insegnare e quindi è degna di credibilità.[3]
Ma generalmente i teologi sono d’accordo per affermare che un errore è possibile nel magistero non infallibile e semplicemente autentico, come lo mostra nei suoi articoli Xavier da Silveira.[4] Questa possibilità si è poi già verificata storicamente nella Chiesa.[5]
In tali circostanze è lecito chiedere spiegazioni all’autorità competente e perfino sospendere l’assenso quando si constata una contraddizione con ciò che è insegnato già in maniera infallibile.[6]

Detto questo ci si può chiedere se l'insegnamento del Concilio Vaticano II  benché non infallibile, possa definirsi come magistero autentico.
Parlando di magistero occorre distinguere il soggetto dal modo di insegnamento e dal contenuto.
Il Papa ed i vescovi in un concilio legittimamente riunito, come fu il Vaticano II, sono il supremo soggetto del magistero e questo è fuori discussione.

Quanto al modo di insegnamento del concilio, è molto rivelatrice la spiegazione che Paolo VI dà nella sua enciclica Ecclesiam suam, del 6 agosto 1964: «...Andate, dunque, istruite tutte le genti, è l’estremo mandato di Cristo ai suoi Apostoli. Questi nel nome stesso di Apostoli definiscono la propria indeclinabile missione. Noi daremo a questo interiore impulso di carità, che tende a farsi esteriore dono di carità, il nome, oggi diventato comune, di dialogo. La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio (nn.66-67). Questo dialogo esclude altre forme anche legittime di rapporto con “il mondo”, che hanno caratterizzato la Chiesa del passato: (nn. 80-81)».
Si tratta quindi non più di insegnare ma di dialogare, escludendo le altre forme di rapporto con il mondo, cioè il modo tradizionale di porsi della Chiesa come colei che insegna, trasmette la verità che ha ricevuto dalla Tradizione.

Come fa notare Mons. Ocariz, per quel che concerne il contenuto dell’insegnamento del concilio, sono di fede le verità già insegnate come tali dal precedente Magistero infallibile.
Le nuove dottrine invece, in contrasto con la Tradizione, non si possono attribuire al magistero della Chiesa ma a questo nuovo modo di porsi con il mondo che si può chiamare solo in senso lato “magistero” poiché non vi è più l’intenzione di insegnare ma appunto di dialogare[7].
Pretendere di attribuire un’autorità magisteriale a documenti ambigui o in aperto contrasto con l’insegnamento tradizionale della Chiesa e voler imporli come dottrina cattolica, diventa dell’autoritarismo a cui ogni cattolico, in ossequio alla fede di sempre e per amore alla Chiesa, può e deve resistere.

Don Pierpaolo Maria Petrucci

 [1] Mons. Gherardini ha pubblicato fra l’altro una bella risposta all’ articolo di Mons. Ocariz sulla rivista “Disputationes theologicae”.

[2] Per esempio Pio IX (Quanta cura)

[3] Padre Dublanchy, Dictionnaire de Théologie Catholique, art. Infaillibilité du pape col 1711-1712


[5] Apologia della Tradizione, Roberto de Mattei; Lindau 2011, parte I


giovedì 15 dicembre 2011

farisei ipocriti che discettiate dell’ICI non pagata dalla Chiesa, togliete prima le travi dal vostro occhio

PUBBLICANI, PROSTITUTE E REGNO DEI CIELI
OSSIA: L’ICI E LA CHIESA

di Vincenzo Scarpello


Secondo la migliore (e dunque peggiore) scuola di Goebbels. Basterebbe leggere il testo della legge per capire che la Chiesa l’Ici la paga. Fare un altarino in un albergo è elusivo o evasivo?… qui casca il cosacco! Come mai gli è sfuggito che anche sinagoghe e moschee hanno gli stessi “privilegi”? Non è l’Ici l’obiettivo: è la Chiesa. I pubblicani: i tassatori dei tempi di Gesù

SECONDO LA MIGLIORE (E DUNQUE PEGGIORE) SCUOLA DI GOEBBELS
Chi frequentasse i social network, ma anche chi si imbattesse negli estenuanti dibattiti televisivi e massmediatici di questi ultimi tempi barbari, noterebbe la ciclica riproposizione di una proposta demagogica ed ideologica. Che viene a tambur battente replicata ed echeggiata da programmi radiofonici, programmi televisivi finto giovanilistici ed ovviamente, social network; affidandosi alla totale mancanza di senso critico e di approfondimento e verifica di chi li legge. E allora questo lettore-utente ignaro rimane impressionato ed indignato dal messaggio goebbelsiano, che poi condividerà e a sua volta diffonderà in una catena di Sant’Antonio degna di migliori cause.
Invece no. Ogni santo giorno, aprendo la posta elettronica, connettendomi sui social network, ed ascoltando la radio o (rarissimamente) la televisione, trovo il pierino o la pierina di turno che frantuma le glorie con la questione dell’ICI non pagata dalla Chiesa Cattolica.
La prima obiezione che si fa ai pierini è che quei beni innanzitutto sono al di fuori della disponibilità economica dello Stato italiano, in quanto la maggioranza degli stessi non solo esistevano ancor prima che lo Stato italiano esistesse, ma che, in seguito alle decine di leggi eversive della feudalità, di smantellamento dell’asse ecclesiastico e di espropriazione forzata di quelle terre, vi fu un concordato con lo stato italiano che ne sancì una volta per tutte la specialità, specialità ribadita anche nel laicissimo concordato del 1982 (1984 n.d.R.)
BASTEREBBE LEGGERE IL TESTO DELLA LEGGE PER CAPIRE CHE LA CHIESA L’ICI LA PAGA
Ma la prima controbiezione da parte questa volta non dei pierini, ma dei laicisti incazzati, di quelli che questa campagna la promuovono, è che questi beni comunque, in quanto immobili, sono cespiti potenzialmente soggetti a tassazione, in quanto costituiscono una manifestazione di ricchezza che deve essere tassata. Con pazienza si risponde che la normativa italiana distingue tra luoghi destinati al culto, esenti dall’ICI ai sensi dell’art. 7 del Decreto Legislativo 504 del 1992, il quale alla lettera D) esenta chiarissimamente dal pagamento i luoghi destinati ESCLUSIVAMENTE a fine di culto. “Esclusivamente” significa che altri beni della Chiesa, come appartamenti, alberghi per pellegrini o per esercizi spirituali sono incise dall’imposta al pari di ogni altro immobile. Chi, dopo aver letto il testo della legge, continuasse a ripetere la solita solfa degli immobili da cui la Chiesa trae un profitto ma che non pagherebbero l’ICI, passerebbe da ignorante in buona fede a somaro in mala fede.
FARE UN ALTARINO IN UN ALBERGO È ELUSIVO O EVASIVO? QUI CASCA IL COSACCO!
Interviene allora il losco interlocutore, ed utilizza una tecnica retorico-propagandistica della quale sono maestri gli anticlericali, quella dell’eccezione, dell’espediente eretto a sistema, la cui esiguità statistica giustifica il venir meno del criterio generale. Una vera e propria carognata se applicata in qualsiasi sede giurisdizionale, ma che nei dibattiti politici ed ancor più nelle campagne ideologiche diviene la regola. Dirà il gaglioffo che è sufficiente costruire un altarino all’interno di un alberghetto o di un ristorante per far sì che l’intero immobile diventi esente ICI. Un atteggiamento evidentemente elusivo (ma non evasivo, contra legem) che consentirebbe di aggirare la tassazione degli immobili. A parte il fatto che tale comportamento non costiuisce una violazione della norma da un punto di vista tecnico giuridico, ed a parte il fatto che tale espediente vale in pochissimi casi, non si può non notare la malafede di chi pone questa questione se non in prospettiva di una campagna vergognosamente ideologica. Il nesso pertinenziale, che la Legge richiede affinchè possa applicarsi l’esenzione ICI, opera infatti laddove le strutture esenti siano pertinenze del luogo di culto e non viceversa, ossia quando la cappelletta o l’altarino siano degli ammennicoli posti all’interno di strutture più grandi, e qui opera l’esenzione ICI esclusivamente sulle porzioni di immobili destinate effettivamente al culto, non estendendosi a tutto l’immobile. Come si vede la Legge e l’ermeneutica della stessa, già disciplina questo caso-limite; e non sono necessarie, se non un’applicazione rigorosa della legge già esistente, ulteriori previsioni normative peggiorative o limitative o addirittura esclusive del regime agevolativo anche per chiese, monasteri e cattedrali, come vorrebbero i furenti anticlericali promotori di questa ennesima campagna d’odio. Ma almeno così dovrebbe essere, dal momento che se pure la cappellina annessa ad una struttura ricettiva sarebbe di per sé esente, essa è comunque parte di un immobile che esercita attività alberghiera, non contemplata comunque dal regime agevolativo, e quindi viene tassata in barba allo stesso art. 7, con buona pace del radicale o del piddino laico di turno che adesso troverete schiantato in preda a convulsioni.
COME MAI GLI È SFUGGITO CHE ANCHE SINAGOGHE E MOSCHEE HANNO GLI STESSI “PRIVILEGI”?
Ma scorrendo le altre lettere dell’art.7 si nota che chiese, basiliche e monasteri, a cui sono parificate, moschee, madrasse, sinagoghe, templi indù e buddisti, non sono gli unici immobili esentati dall’ICI. Ma è chiaro che nessuno osa dirlo: si sa, solo la Cattolica è l’unica che accetta il martirio, non replica, non ricorre ai legali, non lancia fatwa. Fossero solo quelle. Vi sono sedi di sindacati, organizzazioni non governative, enti no profit, associazioni culturali, e tutta una mirade infinita di associazioni ed enti, tra cui, ovviamente lo Stato, tra i quali si possono individuare molti tra quelli che fanno oggi gli spiritosi o le vergini violate del tempo di crisi.
Prima tra tutti la radio dei radicali, che campa e prospera proprio grazie al finanziamento dello Stato, ottomilionitrecentotrentamila euro grazie ai quali può tuonare all’universo mondo le sue battaglie cosiddette civili e può far conoscere con una capillarità che fa impallidire perfino Radio Maria, i suoi quotidiani attacchi, ringhiosi alle volte, e sempre spietati e senza sconti, contro la Chiesa ed i cattolici. Ma così anche giornali di partito o fortemente ideologizzati, come il Manifesto e Liberazione, o lo stesso Secolo d’Italia che senza le sovvenzioni dello Stato italiano non potrebbero nemmeno sostenere le spese di stampa e che invece sono i primi ad impastarsi la bocca di perbenismo anticattolico. Per non parlare del megafono dell’ateismo nostrano, la Repubblica di Eugenio Scalfari, il barbalittorio che ha raggiunto la pienezza del sé, che riceve milioni di euro non solo dallo Stato, ma da imprese di trasporto pubblico (sui voli nazionali e sui treni dove si effettua il servizio, si troveranno solo copie del giornale del Partito d’Azione) ed altri enti parastatali che forse danno a Repubblica e a tutti questi quotidiani, radio ed emittenti, la legittimazione etica a discettare dell’ICI non pagata dalla Chiesa, e si permettono, dall’alto della loro etica ineffabilità, a dare lezioni di morale e di gestione oculata del denaro pubblico alla Chiesa ed ai cattolici.
Rimane il problema degli immobili dove viene svolta attività commerciale, se si intenda attività commerciale la vendita di rosari, statuette ed immaginette sacre, che avvengono in pertinenze di immobili esenti ICI. Ma anche qui quella manifestazione di “ricchezza” viene autonomamente tassata, non sfuggendo alle maglie del fisco, fermo restando il criterio della commercialità dell’attività prevalente, che farebbe saltare in aria l’intera agevolazione.
NON È L’ICI L’OBIETTIVO. È LA CHIESA
Come si vede questa questione spinosissima dell’ICI e della Chiesa è solo un pretesto, un dagli all’untore scatenato nelle forme e nei metodi tipici delle voci del popolaccio che, insoddisfatto e perennemente vessato, cerca un capro espiatore su cui scaricare tutta la frustrazione di una finanziaria oggettivamente iniqua e voluta da un governo non votato da nessuno.
Il capro espiatorio bello e pronto lo danno i soliti noti, quei gruppi di potere anticlericali che sostengono slinguazzando sui loro quotidiani questo governo, gli stessi che fanfaroneggiano dall’alto della raggiunta pienezza del sé sulla presunta modestia intellettuale di un certo Josef Ratzinger, gli stessi che hanno in precedenza scatenato la più vergognosa e infame campagna d’odio contro la Chiesa, quella sulla pedofilia, che si è rivelata un bluff nelle proporzioni ed una lurida mascalzonata, degna delle peggiori propagande totalitarie scatenate da nazisti o comunisti, in passato ai danni di ebrei, oggi dei cattolici. L’obiettivo è come sempre la Chiesa, tanto troveranno sempre qualcuno che sarà pronto a farsi strumento di propagazione della menzogna, della calunnia e dell’infamia per mettere a posto la propria coscienza, per non ammettere di essere un peccatore ed andare a confessarsi, preferisce dar fuoco al confessionale, insofferenti, come ha giustamente detto qualcuno, a qualsiasi vincolo etico e qualsiasi freno di una legge etica, per sottrarre alla Chiesa il dovere di dire cosa è bene e cosa è male ed arrogarlo a sé, come vecchio (originale) o nuovo diritto.
I PUBBLICANI: I TASSATORI AI TEMPI DI GESÙ
La paghino anche i radicali allora la crisi, la paghino gli anticlericali, gli enti no-profit che nascondono con speculazioni e sotterfugi fiscali una ricchezza che sfugge al Fisco, la paghi l’Europa, per colpa della quale siamo costretti ad affrontare la peggiore macelleria sociale degli ultimi anni, che scialacqua i milioni che gli stati sottraggono alle proprie spese nelle feste dei funzionari di Bruxelles, nelle spese di rappresentanza, e soprattutto nelle misure di finanziamento disutili e totalmente svincolate dalle necessità reali dei cittadini, grazie alle quali campano enti ed associazioni no profit, molti dei quali oggi discettano di etica e di IOR, addirittura di etica allo IOR. La stessa Europa che continua a dare inutili finanziamenti alle cosiddette green economies, eolico, fotovoltaico, biomasse, che di ecologico non hanno nulla, ma di verde hanno solo il colore dei soldi delle speculazioni finanziarie, fatte distruggendo il patrimonio naturalistico dell’Italia, il dono più bello che Dio ci ha dato.
Solo quando si capirà che i responsabili della crisi –che sentendo le sirene ignoranti della campagna mediatica sembrerebbe essere causata dal mancato pagamento dell’ICI da parte delle parrocchie– vanno cercati proprio tra le forze che si avvantaggerebbero della distruzione della Chiesa, attuata anche attraverso la persecuzione fiscale, che ora colpirà la proprietà privata immobiliare, bene inalienabile tutelato al pari della libertà, forse solo allora i pierini e pierine potranno aprire gli occhi ed avere gli elementi critici per poter discernere la verità dalle campagne d’odio, che accompagnano la Chiesa da quando Pietro venne caricato da Nostro Signore del più pesante fra tutti i fardelli. San Matteo ed i pubblicani, gli antichi agenti delle tasse, odiati dai farisei e dagli zeloti, che ci precederanno nel Regno dei cieli, allora forse ci sorrideranno dal Paradiso, e ci daranno la forza di superare anche questa ennesima, mica tanto nascosta, persecuzione.

mercoledì 14 dicembre 2011

La parola alla scienza: “La Sindone non è un falso”

Una nuova ricerca dell’Enea sul sacro Lino custodito a Torino

di Marco TosattiVatican Insider, 14/12/2011

L’Enea, l’agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, ha pubblicato un rapporto sui cinque anni di esperimenti svolti nel centro Enea di Frascati sulla “colorazione simil-sindonica di tessuti di lino tramite radiazione nel lontano ultravioletto”. In parole povere: si è cercato di capire come si è impressa sul telo di lino della Sindone di Torino l’immagine così particolare che ne costituisce il fascino, e il più grande e radicale interrogativo, di “individuare i processi fisici e chimici in grado di generare una colorazione simile a quella dell’immagine sindonica”.
Nell’articolo linkato si trova lo sviluppo della ricerca. Gli scienziati (Di Lazzaro, Murra, Santoni, Nichelatti e Baldacchini) partono dall’ultimo (e unico) esame completo interdisciplinare del lenzuolo, compiuto nel 1978 dalla squadra degli scienziati americani dello STURP (Shroud of Turin Reasearch Project). Una base di partenza di cui troppo spesso chi scrive e discetta di Sindone preferisce non tenere conto, a dispetto dell’evidenza dei dati, verificati da un accurato controllo su riviste “peer rewieved”, cioè approvate da altri scienziati in modo oggettivo e indipendente.
Il rapporto dell’Enea smentisce, con molto fair play, quasi “en passant”, ma con molta chiarezza, l’ipotesi che la Sindone di Torino possa essere opera di un falsario medievale. L’ipotesi è stata avvalorata – contro molte argomentazioni di peso – dall’esito delle discusse, e probabilmente falsate – misurazioni al C14; un esame la cui credibilità è stata resa molto fragile oltreché dalla difficoltà oggettiva (le possibilità di contaminazione di un tessuto di cui non si conosce che in parte il percorso storico sono altissime), anche da errori fattuali di calcolo, dimostrati, e dall’impossibilità di ottenere per i controlli necessari i “dati grezzi” dai laboratori. A dispetto delle reiterate richieste. Un’omissione che basta da sola a gettare un’ombra pesante sulla correttezza scientifica dell’episodio.
Scrive il rapporto: “La doppia immagine (frontale e dorsale) di un uomo flagellato e crocifisso, visibile a malapena sul lenzuolo di lino della Sindone di Torino presenta numerose caratteristiche fisiche e chimiche talmente peculiari che rendono ad oggi impossibile ottenere in laboratorio una colorazione identica in tutte le sue sfaccettature, come discusso in numerosi articoli, elencati nelle referenze. Questa incapacità di replicare (e quindi falsificare) l’immagine sindonica impedisce di formulare un’ipotesi attendibile sul meccanismo di formazione dell’impronta. Di fatto, ad oggi la Scienza non è ancora in grado di spiegare come si sia formata l’immagine corporea sulla Sindone.
A parziale giustificazione, gli Scienziati lamentano l’impossibilità di effettuare misure dirette sul lenzuolo sindonico. Infatti, l’ultima analisi sperimentale in situ delle proprietà fisiche e chimiche dell’immagine corporea della Sindone fu effettuata nel lontano 1978 da un gruppo di 31 scienziati sotto l’egida dello Shroud of Turin Research Project, Inc. (STURP). Gli scienziati utilizzarono strumentazione all’avanguardia per l’epoca, messa a disposizione da diverse ditte produttrici per un valore commerciale di due milioni e mezzo di dollari, ed effettuarono numerose misure non distruttive di spettroscopia infrarossa, visibile e ultravioletta, di fluorescenza a raggi X, di termografia e pirolisi, di spettrometria di massa, di analisi micro-Raman, fotografia in trasmissione, microscopia, prelievo di fibrille e test microchimici”.
Le analisi effettuate sul telo sindonico non trovarono quantità significative di pigmenti (coloranti, vernici) né tracce di disegni. Sulla base dei risultati delle decine di misure effettuate, i ricercatori STURP conclusero che l’immagine corporea non è dipinta, né stampata, né ottenuta tramite riscaldamento. Inoltre, la colorazione dell’immagine risiede nella parte più esterna e superficiale delle fibrille che costituiscono i fili del tessuto di lino, e misure effettuate recentemente su frammenti di telo sindonico dimostrano che lo spessore di colorazione è estremamente sottile, pari a circa 200 nm = 200 miliardesimi di metro, ovvero un quinto di millesimo di millimetro, corrispondente allo spessore della cosiddetta parete cellulare primaria della singola fibrilla di lino. Ricordiamo che un singolo filo di lino è formato da circa 200 fibrille.
Altre importanti informazioni derivate dai risultati delle misure STURP sono le seguenti: Il sangue è umano, e non c’è immagine sotto le macchie di sangue; la sfumatura del colore contiene informazioni tridimensionali del corpo; le fibre colorate (di immagine) sono più fragili delle fibre non colorate; la colorazione superficiale delle fibrille di immagine deriva da un processo sconosciuto che ha causato ossidazione, disidratazione e coniugazione della struttura della cellulosa del lino. “In altre parole, la colorazione è conseguenza di un processo di invecchiamento accelerato del lino”.
Come già accennato, fino ad oggi tutti i tentativi di riprodurre un’immagine su lino avente le medesime caratteristiche sono falliti. Alcuni ricercatori hanno ottenuto immagini aventi un aspetto simile all’immagine sindonica, ma nessuno è mai riuscito a riprodurre simultaneamente tutte le caratteristiche microscopiche e macroscopiche. “In questo senso, l’origine dell’immagine sindonica è ancora sconosciuta. Questo sembra essere il nodo centrale del cosiddetto “mistero della Sindone”: indipendentemente dall’età del lenzuolo sindonico, che sia medioevale (1260 – 1390) come risulta dalla controversa datazione al radiocarbonio o più antico come risulta da altre indagini, e indipendentemente dalla reale portata dei controversi documenti storici sull’esistenza della Sindone negli anni precedenti il 1260, la domanda più importante, la “domanda delle domande” rimane la stessa: come è stata generate l’immagine corporea sulla Sindone?”.
Ci sono due possibilità, scrivono gli scienziati, su come il lenzuolo sindonico sia stato posto intorno al cadavere: posato sotto e sopra (non completamente a contatto con tutto il corpo irrigidito dal rigor mortis) oppure pigiato sul corpo e legato in modo da avere un contatto con quasi tutta la superficie corporea.
“La prima modalità è avvalorata dal fatto che esiste una precisa relazione tra l’intensità (sfumatura) dell’immagine e la distanza fra corpo e telo. Inoltre, l’immagine è presente anche nelle zone del corpo non a contatto con il telo, ad esempio immediatamente sopra e sotto le mani, e intorno la punta del naso. La seconda modalità è meno probabile perché sono assenti le deformazioni geometriche tipiche di un corpo a tre dimensioni riportato a contatto su un lenzuolo a due dimensioni. Inoltre, manca l’impronta dei fianchi del corpo. Di conseguenza, possiamo dedurre che l’immagine non si è formata dal contatto del lino con il corpo”.
E’ proprio questa osservazione, “unita alla estrema superficialità della colorazione e all’assenza di pigmenti” che “rende estremamente improbabile ottenere una immagine simil-sindonica tramite metodi chimici a contatto, sia in un moderno laboratorio, sia a maggior ragione da parte di un ipotetico falsario medioevale”. Sotto le macchie di sangue non c’è immagine. Questo significa che le tracce di sangue si sono depositate prima dell’immagine. Quindi l’immagine si formò in un momento successivo alla deposizione del cadavere. Inoltre tutte le macchie di sangue hanno contorni ben definiti, senza sbavature, quindi si può ipotizzare che il cadavere non fu asportato dal lenzuolo. “Mancano segni di putrefazione in corrispondenza degli orifizi, che si manifestano dopo circa 40 ore dalla morte. Di conseguenza, l’immagine non dipende dai gas di putrefazione e il cadavere non rimase nel lenzuolo per più due giorni”.
Una della ipotesi relative alla formazione dell’immagine era quella di una forma di energia elettromagnetica (ad esempio un lampo di luce a corta lunghezza d’onda), che potrebbe avere i requisiti adatti a riprodurre le caratteristiche dell’immagine sindonica, quali la superficialità della colorazione, la sfumatura del colore, l’immagine anche nelle zone del corpo non a contatto con il telo e l’assenza di pigmenti sul telo.
I primi tentativi di riprodurre il volto sindonico tramite radiazione, utilizzarono un laser CO2 che hanno prodotto una immagine su un tessuto di lino simile a livello macroscopico. Tuttavia, l’analisi microscopica ha evidenziato unacolorazione troppo profonda e molti fili di lino carbonizzati, caratteristiche incompatibili con l’immagine sindonica. Invece i risultati dell’Enea “dimostrano che un brevissimo e intenso lampo di radiazione VUV direzionale può colorare un tessuto di lino in modo da riprodurre molte delle peculiari caratteristiche della immagine corporea della Sindone di Torino, incluse la tonalità del colore, la colorazione superficiale delle fibrille più esterne della trama del lino, e l’assenza di fluorescenza”. Tuttavia, avvertono gli scienziati dell’Enea, “va sottolineato che la potenza totale della radiazione VUV richiesta per colorare istantaneamente la superficie di un lino corrispondente ad un corpo umano di statura media, pari a IT superficie corporea = 2000 MW/cm2 17000 cm2 = 34mila miliardi di Watt rende oggi impraticabile la riproduzione dell’intera immagine sindonica usando un singolo laser eccimero, poiché questa potenza non può essere prodotta da nessuna sorgente di luce VUV costruita fino ad oggi (le più potenti reperibili sul mercato arrivano ad alcuni miliardi di Watt)”.
Però l’’immagine sindonica “presenta alcune caratteristiche che non siamo ancora riusciti a riprodurre, – ammettono – per esempio la sfumatura dell’immagine dovuta ad una diversa concentrazione di fibrille colorate gialle alternate a fibrille non colorate”. E avvertono: “Non siamo alla conclusione, stiamo componendo i tasselli di un puzzle scientifico affascinante e complesso”. (…)

martedì 13 dicembre 2011

L'Altare cattolico e il Concilio Vaticano II.

Libro di M. Davies, prefato dal prof. de Mattei
PREFAZIONE


Michael Trehorne Davies nacque a Yeovil, nel Somerset, il 13 marzo 1936 e morì a Chislehurst in Kent, il 25 settembre 2004. Fu presidente della Federazione Internazionale Una Voce dal 1995 al 2003 e soprattutto autore di numerose opere in difesa della Tradizione cattolica, nelle quali il rigore delle argomentazioni e l’accuratezza delle informazioni si accompagnava ad una eccellente preparazione teologica. L’allora cardinale Ratzinger, che lo conobbe personalmente, lo definì “un uomo di profonda fede”, “sempre fedele alla Chiesa”.
Il cardinale Ratzinger, oggi Benedetto XVI, condivideva con Michael Davies l’ammirazione per gli studi di mons. Klaus Gamber, che aveva dimostrato come l’orientamento dell’Altare, e la celebrazione del Santo Sacrificio verso il popolo, introdotti dalla Liturgia postconciliare, avessero segnato un capovolgimento rispetto alla prassi immemorabile della Chiesa, implicando anche un cambiamento nella comprensione del Santo Sacrificio della Messa. È dall’esame della Sacra Liturgia nei primi secoli che Davies prende le mosse in questo saggio, nel quale una parte importante è dedicata a stabilire un paragone tra il culto cattolico e il culto protestante.
Davies, che si convertì dall’anglicanesimo al cattolicesimo anche per l’attrazione che su di lui esercitava la Liturgia romana, ha trattato più ampiamente questo tema in uno de suoi libri più interessanti, La riforma liturgica anglicana, che ha avuto sei edizioni inglesi, ed una in francese. Egli vi dimostra, sulla base di inoppugnabili documenti storici, che il protestantesimo in Inghilterra entrò e si diffuse più che con la predicazione e l’insegnamento, grazie a una riforma liturgica che fece scivolare in pochi anni clero e popolo nell’eresia.
Quando, nel 1509, il re Enrico VIII salì al trono, l’Inghilterra, chiamata tradizionalmente “la dote di Maria”, conosceva un’epoca di rinnovamento religioso, malgrado la presenza di sporadici abusi. Ma cinquant’anni dopo, nel 1559, sotto il regno di sua figlia Elisabetta, lo scisma di Enrico VIII era compiuto e il cattolicesimo era definitivamente distrutto. Una nuova forma di cristianesimo, l’anglicanesimo, l’aveva rimpiazzato, prima di diffondersi in tutto il mondo anglosassone. Questo cambiamento imprevisto e in massa di tutto un popolo non ebbe come causa principale la predicazione di un Riformatore, quale Lutero in Germania o Calvino in Svizzera. Esso fu opera primaria dell’arcivescovo di Canterbury, Thomas Cranmer, il quale, già segretamente protestante, concepì uno spregiudicato piano di modifica radicale della fede del popolo inglese attraverso il mutamento della Liturgia. Egli era infatti convinto che la pratica liturgica quotidiana avrebbe trasformato le idee e le mentalità meglio di qualsivoglia libro o discorso. La storia della riforma inglese è quella di un disegno che, pur a momenti alterni, finì per prevalere grazie al carattere profondamente equivoco del Book of Prayers cranmeriano, suscettibile, per la sua ambiguità, di opposte “ermeneutiche”.
Michael Davies era fiero delle sue origini gallesi e conclude significativamente queste pagine con un riferimento a san Riccardo Gwyn, insegnante del Galles, padre di sei bambini, giustiziato nel 1584 per essersi rifiutato di partecipare alla liturgia protestante. Di questo spirito profondamente cattolico della sua patria egli raccolse l’eredità e la volle ritrasmettere alle generazioni future. Il fatto che oggi la Tradizione cattolica conosca una rinascita si deve a cattolici come Michael Davies, che con i loro libri, articoli e conferenze, hanno contribuito a rianimare e istruire migliaia di fedeli in un’epoca di confusione e di sbandamento come quella che attraversiamo.

Roberto de Mattei
Michael Trehorne Davies, L'altare cattolico e il Concilio Vaticano II,
Per richieste:
Suore Francescane dell'ImmacolataMonastero delle Murate - 06012 Città di Castello (PG)
Tel. 075/8555779 - e.mail: francescanecittacastello@interfree.it
 
tratto da Messa in Latino

lunedì 12 dicembre 2011

Il Credo non è più sufficiente per essere riconosciuti come cattolici?


I punti forti di Mons. Fellay

Articolo di Jean Madiran,
pubblicato sul n° 7492 di Present del 9 dicembre 2011



Senza pretendere di intervenire nei negoziati dottrinali fra la FSSPX e il cardinale Levada, né di commentarli, ci si può fermare ad alcune osservazioni generali sullo stato della Chiesa, espresse da Mons. Bernard Fellay nella sua importante intervista del 28 novembre scorso.

«La situazione presente della Chiesa, nei nostri paesi un tempo cristiani, è la caduta drammatica delle vocazioni: quattro ordinazioni a Parigi nel 2011, una sola nella diocesi di Roma per il 2011-2012»; «si tratta di diocesi esangui al punto che nel prossimo avvenire in Francia bisognerà raggrupparle come sono già state raggruppate le parrocchie… In una parola, la gerarchia ecclesiastica oggi è alla testa di strutture sovradimensionate per degli effettivi in calo costante».

Era stato annunciato che il Vaticano II avrebbe provocato una «primavera della Chiesa», una «nuova Pentecoste». Nei fatti incontestabili il Vaticano II è stato seguito dal contrario. È questa una realtà che troppo spesso si passa sotto silenzio. Se Mons. Fellay ne parla non gli si può dare torto.

La causa più generale di questo stato di cose, o quanto meno una delle cause, secondo Mons. Fellay è la «sterilità di 50 anni di apertura al mondo moderno», si è «aperta la Chiesa a questo mondo in piena secolarizzazione», come «se la Chiesa poteva adattarsi fino a questo punto alla modernità, senza adottarne lo spirito».

Considerando le «interpretazioni evolutive», cioè cangianti, che a Roma stessa sembra si danno alle novità sorte dal Vaticano II, la nuova libertà religiosa, il nuovo ecumenismo, la nuova collegialità, Mons. Fellay si appella alla «impossibilità di aderire in maniera stabile ad una dottrina in movimento». L’obiezione non è trascurabile.

In seguito ad un concilio che con dei decreti pastorali ha voluto stabilire degli obblighi dottrinali (pretendendo in particolare, per bocca dello stesso Paolo VI, di avere la «stessa autorità del concilio di Nicea»), la questione che si pone è di sapere se «Il Credo non è più sufficiente per essere riconosciuti come cattolici».

La domanda che pone Mons. Fellay, non è inventata da lui, essa in effetti si impone nella vita quotidiana, nel comportamento oggi abituale di una gran parte del clero e della sua gerarchia:
«Il Concilio Vaticano II … Non ha aggiunto agli articoli di fede: “credo nella libertà religiosa, nell’ecumenismo, nella collegialità…”. Si esige oggi che coloro che abbandonano i loro errori e si riuniscono alla Chiesa cattolica professino la loro fede nella libertà religiosa, nell’ecumenismo o nella collegialità?»
Io aggiungo volentieri: per essere riconosciuti cattolici, bisogna accettare la soppressione del «consustanziale» nel Credo? Occorre tacere sulla eliminazione del piccolo catechismo per i bambini battezzati?

Questi sono alcuni dei punti forti. Non si possono scartare con un gesto della mano. Così formulati, essi sono accessibili, senza titoli universitari, alla maggior parte dei preti e dei fedeli. Per di più, vi è un altro punto sul quale le affermazioni di Mons. Fellay lasciano nel lettore una certa perplessità. Egli sembra ritenere che negli ultimi due anni «la Fraternità San Pio X non è più la sola a vedere i problemi dottrinali posti dal Vaticano II». E sarebbe curioso sapere in che momento e in seguito a quale equivoco la FSSPX ha potuto sentirsi sola in merito a questi problemi dottrinali. «Da 40 anni», dice precisamente Mons. Fellay: cioè dunque dal 1971. Ora, i problemi dottrinali in questione sono stati pubblicamente sollevati prima dell’intervento pubblico della FSSPX. Basta citare un nome, che non è certo il solo, ma che è il più illustre, quello di uno dei quattro grandi tomisti di lingua francese del XX secolo, il nome di Marcel De Corte, per avere la prova che le difficoltà dottrinali indicate dai punti forti di Mons. Fellay sono stati esplicitamente posti sul tappeto fin dagli anni sessanta. Questo sta a dimostrare che la FSSPX non è stata la prima e nemmeno la sola. Il suo gran merito non sta in questo, sta nel fatto che essa ha dato una forte presenza sociologica, mediatica, liturgica, istituzionale, e anche episcopale, alle questioni, alle critiche, alle proteste, che altrimenti sarebbero probabilmente rimaste allo stato teorico. Il peso di una tale presenza infastidisce i settari democratici de La Croix, la cui malevolenza annovera la FSSPX tra i «gruppuscoli integralisti». Ma onestamente, nessuno può credere che la FSSPX sia un semplice «gruppuscolo».

tratto da: Una Vox

domenica 11 dicembre 2011

da La Salette a Fatima..

Documentario - Da La Salette a FatimaSulla strada nazionale francese che va da Grenoble ad Antibes, chiamata attualmente “route Napoléon”, in relazione al passaggio di Napoleone al suo ritorno dall’esilio all’isola d’Elba, a 40 Km da Gap, incontriamo un piccolo borgo montano, Corps (920 mt.). A Est di questo borgo inizia una vallata in salita che conduce al Comune di “La Salette Fallavaux” composto da una dozzina di piccoli villaggi. Le montagne che lo circondano formano una catena montuosa, ed è proprio a Nord di questo circolo montuoso, all’altezza di 1800 mt., che Massimino GIRAUD di 11 anni e Melania MATHIEU di 14 anni faranno la loro esperienza particolare.
II 19 SETTEMBRE 1846, una BELLA SIGNORA appariva ai due fanciulli nativi di CORPS mentre stavano pascolando le mucche su un alpeggio del Comune di LA SALETTE, a 1.800 metri di altezza….