VERO E FALSO CRISTIANESIMO
d. Curzio Nitolglia
● La vera vita non consiste solo e unicamente nel mangiare e bere, nel divertirsi e provare emozioni e piaceri. Tutto ciò da solo non ha sbocco, non ha fine né ideale: porta alla morte senza speranza di resurrezione. È una vita puramente animale alla quale manca l’essenziale di ciò che ci rende uomini: il “razionale”, ossia conoscere la Verità e amare il Bene con una prospettiva soprannaturale ed eterna. L’uomo, infatti, è un “animale razionale” (Aristotele). Il cristiano oltre che uomo ha in sé l’ordine soprannaturale, Dio, presente nella sua anima, tramite la Grazia santificante, ma in maniera limitata e finita.
● Il cristianesimo integrale è una cosa seria, non conosce le mezze misure, i compromessi, gli accomodamenti, le mescolanze dei princìpi. Da princìpi assolutamente certi (Fede e Morale) tira conclusioni logiche, che portano ad una vita fatta di Conoscenza della Verità (Fede) ed amore del Bene (Carità). Ma non si può conoscere il Vero senza combattere il falso e l’errore; non si può amare il Bene senza odiare o separarsi dal male. “Militia est vita hominis super terram” (Giobbe). Occorre essere assolutamente integri e intransigenti nei princìpi, anche se “elastici”, misericordiosi e comprensivi della umana fragilità e limitatezza nelle questione di mezzi e di pratiche.
● “La Grazia non distrugge la natura, la presuppone e la perfeziona” (San Tommaso D’Aquino). Perciò dobbiamo prima essere veri uomini e poi buoni cristiani. Infatti La vita naturale è l’unione dell’anima col corpo, la vita soprannaturale o cristiana è l’unione dell’anima con Dio. La morte è la separazione dell’anima dal corpo, la dannazione è la separazione dell’anima da Dio a causa del peccato.
● Essere vero e integrale cristiano significa camminare verso una meta che è Dio, senza deviare a destra o a sinistra, per quanto umana limitatezza possa permetterlo. Una delle raccomandazioni principali che dobbiamo farci sempre è quella di non mentire mai a noi stessi e a Dio che vede ogni cosa anche i pensieri più reconditi. Bisogna aderire alla Verità anche se non ci piace e se ci ripugna.
● Il vero cristianesimo è il contrario del modernismo (“la cloaca in cui confluiscono tutte le eresie”, San Pio X) per il quale non esiste una Verità assoluta, oggettiva, stabile, ma tutto è prodotto dalle esigenze o dal capriccio umano. Dio è il prodotto dell’uomo! Che assurdità, depravazione, degenerazione! Il modernismo è una religione rovesciata, infera, degenerata e invertita. Invece il vero cristianesimo integrale ha un unico Fine, oggettivo, per cogliere il quale bisogna essere disposti a tutto anche a rinnegare o dire no a noi stessi, ai nostri capricci, interessi, gusti e piaceri, in breve all’io corrotto dal peccato originale che invece è idolatrato dal modernismo soggettivistico. Ecco la contrapposizione irreconciliabile tra cristianesimo e modernismo, tra Cristo e Satana, tra luce e tenebre, tra “io” falso e ferito e Dio.
● Questa è la nostra Fede, ma “la Fede senza le opere è morta” (Giac. II, 20). Quindi bisogna tirarne delle conclusioni e applicarle alla vita pratica e quotidiana. Sapere e volere debbono camminare assieme, la sola conoscenza “gonfia”, la sola volontà è cieca. Noi siamo fatti per “conoscere, amare e servire Dio e mediante questo salvare la nostra anima” (Catechismo di San Pio X).
● Il buon uso delle creature è indispensabile per la vera e buona vita cristiana. Le creature (noi compresi) sono mezzi e strumenti atti a farci cogliere il Fine ultimo che è uno solo: Dio. Quindi non dobbiamo servirle ma servircene (nel senso buono e non utilitaristico del termine). Ossia, le si impiega “tanto quanto ci aiutano a cogliere il Fine, né più né meno” (S. Ignazio da Loyola). Anche noi siamo creature e mezzi per gli altri. Non dobbiamo scambiarci per il Fine. Questo è narcisismo disordinato non cristianesimo. L’ordine è il mezzo ordinato al Fine.
● Il disordine è quando l’uomo si mette al posto di Dio. Tutti i mali derivano da questo disordine, che è il ribaltamento dell’ordine divino. Il Modernismo è essenzialmente questa rivoluzione antropocentrica. Non è un peccato di debolezza o fragilità, ma dello spirito e di fermo proposito, scientificamente studiato e fermamente voluto. Dio non è il primo o il Fine né nell’intelletto, né nella volontà e neppure nella sensibilità dell’uomo, ma l’Uomo è “Fine” a se stesso (Gaudium et spes, 24) e Dio una sua produzione!
● “Et ab occultis meis munda me”, infatti ognuno di noi anche se non è modernista può, per debolezza, mettere Dio al secondo posto, anche non esplicitamente o non pienamente cosciente ma praticamente nel bene che fa o crede di fare. Queste sono le imperfezioni che non vediamo pienamente o non vogliamo vedere, cercando di occultarle ai nostri occhi. Ma non possiamo nasconderle agli “occhi” di Dio. Facciamo il bene per “glorificare” il nostro amor proprio più che per dar gloria a Dio solo. È mancanza di purezza d’intenzione. Occorre fare attenzione, poiché “l’uomo guarda all’azione, ma Dio all’intenzione” (Imitazione di Cristo) e il giorno del Giudizio ci troveremo a mani vuote di fronte Dio, avendo fatto il bene per noi stessi e per la nostra “gloria” tramite una segreta e impercettibile compiacenza nelle nostre capacità e azioni. Dobbiamo far caso solo allo sguardo di Dio e al suo Giudizio. Se ci lasciamo influenzare dall’occhio e dal “giudizio” dell’uomo significa che Dio non ha praticamente e realmente il primo posto in noi. Dobbiamo solo pensare a ciò che avviene in noi di bene per ringraziare Dio o di male per correggercene e non a ciò che avviene attorno a noi: sarebbe rispetto umano. Quando ci mettiamo al primo posto, in pratica anche se non a parole, viviamo nella menzogna. “Tutti i mali della nostra vita derivano dall’eccessivo timore di dispiacere agli altri o dal desiderio disordinato di essere apprezzati da loro” (Imitazione di Cristo). Dobbiamo chiedere a Dio la luce e la forza per raddrizzare questa stortura, che sussiste nel profondo della nostra anima. Solo quando Dio sarà il primo nella nostra vita, non solo a parole ma anche nei fatti, allora saremo veramente cristiani.
● Orgoglio e Umiltà. La vera umiltà di cuore e non di sole parole consiste nella verità. La nostra vita è creata
e ci è data da Dio per Dio. La falsità è pensare che la nostra vita è diretta da noi e per noi.
● Dolcezza e Fortezza sono le due virtù che occorrono al vero cristiano per sopportare, accettare e per agire. Docilità nell’accettazione e virilità nell’azione. Senza docilità la fortezza si tramuterebbe in crudeltà e senza fortezza la dolcezza in codardia. Dobbiamo unire queste due virtù, come l’intelletto e la volontà. Per fare un esempio: abbiamo amici, ma anche nemici. È facile vivere con gli amici (anche se uno solo è il vero amico che non tradisce mai: Gesù Cristo). “Il nemico di oggi forse sarà l’amico di domani e l’amico di oggi sarà il nemico di domani” (Imitazione di Cristo). È difficile umanamente parlando vivere con i nemici. Allora bisogna saper far tesoro, soprannaturalmente, delle gioie degli uni e delle pene degli altri per esercitare la virtù di pazienza e di fortezza. Pene e gioie sono mezzi che debbono aiutarci a raggiungere il Fine che è Dio. Tutto deve servire al nostro sviluppo: lodi e affronti. Se viviamo solo per il nostro piacere non mettiamo Dio al primo posto. Invece se Dio è realmente il Fine ultimo della nostra vita allora le gioie degli amici e le pene dei nemici ci aiuteranno come strumenti per unirci a Dio. Chiediamogli la grazia di “saper sopportare chi ci avversa e di evitare chi ci adula e lusinga” (Imitazione di Cristo).
● Accettare e Fare. Questa è la vita cristiana. Accettare tutto quel che Dio permette, anche ciò che ci ripugna, per fare la Volontà di Dio, anche se è crocifiggente. Croce deriva dal latino cruciari ossia essere tormentato. Chi rifiuta di essere tormentato rifiuta la Croce e Gesù e quindi si preclude il Paradiso. La vera unione con Dio è l’unione morale o della Volontà, è l’uniformità alla Volontà di Dio. Sono realmente in comunione o in unione di vita comune con Dio se accetto la Sua Volontà in tutto ciò che mi accade e faccio il mio dovere anche se mi pesa e non mi piace.
● Ancora una volta ci si trova di fronte alla opposizione per diametrum tra Cristianesimo e Modernismo. Il primo accetta dalle mani di Dio tutto, gioie e dolori: “Dio ha dato, Dio ha tolto, sia benedetto il Nome del Signore!” (Giobbe). Il secondo ci dice che “Dio” è un prodotto dei bisogni del subconscio umano, per rendere l’uomo felice e soddisfatto di sé nell’esperienza o nel sentimentalismo religioso. Dio è un’escrescenza dell’egoismo umano per saziarsi maggiormente di sé, è qualcosa che l’uomo si dà per essere ancora più realizzato come Uomo. Che stravolgimento totale del cristianesimo!
● Apparenza e Realtà. Scorza e sostanza. Tutto ciò che l’egoismo chiama avversità o felicità è l’apparenza, la superficie, sotto la quale si cela la sostanza: la Volontà di Dio, come Gesù è realmente presente sotto le apparenze o specie dell’ostia di pane. Ebbene se vogliamo fare la Volontà di Dio dobbiamo accettare dalle sue mani tutto: le gioie e i dolori. La Volontà di Dio è dappertutto e noi dobbiamo essere felici in ogni occasione, anche nelle apparenze dell’avversità, vedendo la sostanza della divina Volontà, che sola può darci la vera pace dell’anima. Certamente questa pace, imperturbabilità del cuore, che nulla altera nel fondo dell’anima, anche se la sensibilità ne risente, non è frutto dei nostri sforzi, ma della Grazia di Dio. Chiediamola a Dio: è il dono più prezioso che possiamo ottenere: calmi e composti nella gioia, calmi e sereni nel dolore.
● La Vera Pace Sociale. “Non esistono mestieri bassi, esistono solo uomini bassi”. Qualsiasi mestiere, qualsiasi condizione sociale è voluta da Dio. Come nel corpo umano vi sono i piedi, le gambe, il cuore e la testa, così è nel corpo sociale. E come i piedi non possono fare a meno della testa, così la testa non può disprezzare i piedi, perché sono “bassi” (Apologo di Menenio Agrippa).
● la Meditazione non serve a piegare Dio a fare la nostra volontà, ma ad ottenerci la forza per fare la Sua volontà. Pregare soprattutto mentalmente significa avvicinarsi a Dio, entrare in comunione di pensiero e di volontà con Lui. Se tutti i nostri pensieri e le nostre riflessioni diventano orazione allora troveremo la vera unione con Dio e la vera pace dell’anima.
Conclusione.
● Tutto ciò sembra esagerato e impossibile. Dal punto di vista puramente naturale lo è ma: “tutto posso in Colui che mi fortifica” (San Paolo). Tuttavia l’egoismo, il proprio comodo, il capriccio sono quasi onnipresenti nelle nostre opere e nella nostra natura ferita dal peccato originale. Occorre sempre rifarci a princìpi del cristianesimo, decisi a seguirli sin nelle loro ultime conclusioni, senza accomodarli ai nostri capricci. I princìpi non conoscono accomodamenti: 2 + 2 = 4, sempre 4 non quasi 4 o 4 e qualcosa. Invece quando si tratta di metodo, di come adoperare i mezzi possiamo essere elastici e concreti. Fermezza nei princìpi perché si crede, dolcezza nei mezzi perché si ama. Se ci lasciamo sopraffare dai capricci nel campo di princìpi siamo “canne agitate dal vento”. I capricci per definizione mutano continuamente e senza un perché. Se mancano i princìpi o si annacquano, vengono meno i veri cristiani per dar luogo ai mezzi-cristiani. Il cristiano deve sforzarsi di essere un alter Christus.
Ora,
1°) Cristo è Dio e come Dio non muta, così il cristiano deve cercare di non cambiare continuamente i princìpi del suo agire.
2°) Cristo è vero uomo, quindi non dobbiamo distruggere la natura umana in noi, ma educarla ed elevarla soprannaturalmente.
3°) In Cristo la natura umana e quella divina sono unite nella Persona del Verbo, ma non sono mescolate, confuse, sono mantenute nella loro integrità dalla Persona divina. Così il cristiano deve cercare di subordinare e unire la natura alla Grazia, ricorrendo al Verbo divino.
4°) Cristo non ha persona umana, vi è una sola Persona divina che fa sussistere in Sé la natura divina e quella umana. Così il cristiano dovrebbe cercare di perdere la sua falsa personalità umana ferita dal peccato originale, per far vivere in sé la Persona di Cristo. “Vivo, iam non plus ego, sed Christus vivit in me”; “Mihi vivere Christus est et mori lucrum” (San Paolo). Solo i santi, che hanno fatto vivere perfettamente Cristo in sé ed hanno perso la loro vecchia personalità ferita e disordinata, sono uomini normali e cristiani perfetti e integrali, poiché hanno annientato l’indipendenza del falso “io” di fronte all’Io di Cristo.
Perciò,
1°) dobbiamo lavorare al perfezionamento dell’elemento divino in noi, mediante la Grazia santificante;
2°) dell’umano mediante l’educazione e la sottomissione della sensibilità all’intelletto e alla volontà;
3°) dobbiamo poi unire la nostra persona umana a quella divina, allontanando ogni ostacolo tra Lui e noi;
4°) ed infine perdere o uniformare totalmente la nostra volontà o personalità alla Volontà divina, facendoci condurre da Lui.
● San Paolo ci invita “Siamo forti nel Signore, affidiamoci alla sua potenza. Rivestiamoci dell’armatura di Dio per resistere agli assalti del diavolo. Poiché la lotta che dobbiamo sostenere non è contro gli esseri fatti di carne e sangue, ma contro i prìncipi delle tenebre, contro gli spiriti maligni. Ai reni la cintura della verità; al petto la corazza della giustizia; ai piedi la calzatura del Vangelo; al braccio lo scudo della fede; al capo l’elmo della speranza; alla mano la spada dello spirito” (Efes., IV, 10-17).
● Non possiamo restare indifferenti agli assalti contro ciò che per noi vi è di più prezioso: la nostra Fede, la nostra Religione, il nostro Dio e la Sua Chiesa. Se riusciremo ad essere fedeli alla severità dei princìpi e della disciplina tracciata, nulla potrà atterrirci e la vittoria finale sarà nostra e soprattutto di Dio con noi. Se abbiamo idee vere e non annacquate in testa, amore soprannaturale nel cuore e nella volontà, sangue rigenerato dal Sacrificio di Cristo nelle vene, potremo fare qualcosa di piccolo anche nel mondo presente. Infatti vi è una potenza, che non è nostra ma alla quale possiamo partecipare, in questo mondo che trionfa su tutto e questa è la nostra Fede (I Gv., V, 4).
14 maggio 2011