venerdì 15 aprile 2016

I mondani vogliono farsi beffa della Legge eterna di Dio, ma Deus non irridetur!

 
Dopo l’editto voluttuoso di Bergoglio, finalizzato unicamente a provocare uno scisma, la pervicace contestazione di Gesù Cristo e del suo Vangelo (ormai non si sente più il nome di Gesù, per non parlare del volere di Dio: conta solo il volere degli uomini), attendiamoci un grande castigo con la speranza che almeno alla fine di tutto come è stato predetto, ciò che è putrido cadrà e non si rialzerà più...

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Carissimi lettori, noi seguaci di Gesù Cristo dobbiamo avere una visione soprannaturale della vita. Nulla capita per cieco caso, ma tutto ciò che avviene nel mondo è voluto, o perlomeno permesso, da Dio per nostro bene. Noi siamo tanto piccoli al cospetto della Santissima Trinità, pertanto non siamo in grado di comprendere gli arcani decreti divini. Dobbiamo solamente affidarci a Lui come fanno i neonati con le mamme.
 
Da un punto di vista spirituale la situazione del mondo è disastrosa a causa del dilagante secolarismo. Sembra di vivere ai tempi di Sodoma e Gomorra. Anche la situazione della Chiesa è drammatica a causa della confusione seminata dai modernisti. L'umanità sta andando verso l'abisso, basti pensare al fatto che molti abitanti della terra, anche tra i cristiani, non considerano più come peccaminosi certi atti umani contrari alla Legge naturale che il Signore ha scolpito nei nostri cuori. Pensiamo ad esempio all'aborto, ai rapporti prematrimoniali, agli atti impuri contro natura, ecc. Per salvare il mondo c'è bisogno di una “scossa”, di un qualcosa di grosso che faccia tremare tutto e svegliare le coscienze assopite. La Madonna ad Akita in Giappone (apparizioni riconosciute dalla competente autorità ecclesiastica), ha preannunciato un castigo epocale per il mondo intero. Dopodiché ci sarà il trionfo del suo Cuore Immacolato preannunciato a Fatima.
 
Quando a Padre Pio venne chiesto quando avverrà il trionfo del Cuore Immacolato, il santo frate cappuccino rispose che lo avrebbero visto i piccoli, cioè coloro che in quegli anni erano bambini. Da allora sono passati tanti anni, e ormai i fanciulli dell'epoca stanno diventando anziani. Pertanto, nel giro di qualche decennio finalmente avverrà il tanto auspicato trionfo della Madonna.
 
I materialisti stanno costruendo un mondo senza Dio, un mondo che fa orrore perché calpestando gli insegnamenti evangelici è diventato inumano. Ma “Deus non irridetur”, Dio non si lascia prendere in giro dal mondo, prima o poi il castigone verrà davvero. Anche nella Bibbia sono numerosi gli esempi di castighi esemplari inferti dal Signore, pensiamo ad esempio alla cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre, al diluvio universale, all'incenerimento di Sodoma, Gomorra e le altre tre città in cui dilagava l'omosessualità, alla morte inferta ad Onan per aver fatto un atto impuro contro natura, alla cattura e deportazione del popolo di Israele a Babilonia, alla distruzione del Tempio di Gerusalemme e alla diaspora degli ebrei ad opera dei Romani, ecc.
 
Dio è infinitamente buono ma è anche infinitamente giusto, e quando i peccati dei popoli raggiungono un certo livello, scattano i castighi divini. Durante la prima guerra mondiale la Madonna a Fatima disse chiaramente che se l'umanità non si fosse convertita, il Signore avrebbe permesso che gli uomini scatenassero una guerra ancora più disastrosa (la seconda guerra mondiale) e che la Russia avrebbe diffuso nel mondo gli errori del comunismo. Se a quei tempi Dio castigò il mondo con una terribile guerra, chissà che cosa avverrà adesso che pochi arrivano vergini al matrimonio, gli aborti si sono moltiplicati in maniera esponenziale, dilaga la contraccezione (che è un peccato contro natura che grida vendetta al cospetto di Dio), milioni di bambini innocenti vengono assassinati con l'aborto, le famiglie vengono disgregate dalla piaga del divorzio, gli omosessuali si sposano e adottano i bambini orfani o sottratti dai tribunali alle famiglie povere, in televisione imperversano programmi immorali, tra i cristiani si diffondono le mode indecenti, ecc. Insomma, la situazione dell'umanità è disastrosa, ormai il “grande castigo” è inevitabile (lo diceva anche lo zelantissimo Don Giuseppe Tomaselli nell'opuscoletto intitolato “Il mondo di oggi sotto la schiavitù di Satana”). I mondani vogliono farsi beffa della Legge eterna di Dio, ma Deus non irridetur!

tratto da:  http://cordialiter.blogspot.it/2016/04/il-grande-castigo.html

un querculanus qualunque vale cento cardinali


«Salutare autocritica»
di P. G. Scalese 

Mi è stato sollecitato un intervento sull’esortazione apostolica Amoris laetitia. I lettori che mi seguono ab initio sanno che non mi piace molto commentare i documenti pontifici. Scrissi in altra occasione: «Le sentenze non si discutono, si applicano». In questa circostanza, pertanto, anziché entrare nel merito dell’esortazione, preferirei soffermarmi principalmente su alcuni aspetti procedurali, anche se sarà inevitabile fare dei riferimenti ai contenuti.

 

Il documento ci invita a essere umili e realisti e a fare una “salutare autocritica” (n. 36): credo che tale atteggiamento non debba essere rivolto solo verso la Chiesa del passato e la sua prassi pastorale, ma, per essere autentico, debba estendersi a 360° e quindi anche alla Chiesa odierna. Vorrei pertanto fare alcune domande, non con spirito polemico, ma come semplice invito alla riflessione.

 

1. È corretto tornare su questioni che erano state già affrontate in tempi relativamente recenti (il precedente Sinodo sulla famiglia risale al 1980), senza che nel frattempo la situazione fosse radicalmente mutata? È vero che in questi trentacinque anni ci sono state non poche novità, che non erano state allora affrontate (p. es., la fecondazione assistita, la maternità surrogata, la teoria del gender, le unioni omosessuali, la stepchild adoption, ecc.); ma è altrettanto vero che tali tematiche non sono state al centro dei lavori degli ultimi Sinodi e sono toccate solo in parte e di sfuggita nell’esortazione apostolica. L’attenzione sembrava rivolta esclusivamente su una questione che era stata già ampiamente dibattuta e definita: l’accesso ai sacramenti da parte dei divorziati risposati civilmente. La questione era stata autorevolmente risolta nell’esortazione apostolica Familiaris consortio (n. 84); il suo insegnamento era stato poi ripreso dal Catechismo della Chiesa cattolica (n. 1650) e ribadito dalla Lettera della Congregazione per la dottrina della fede del 14 settembre 1994 e dalla Dichiarazione del Pontificio Consiglio per i testi legislativi del 24 giugno 2000. Mi rendo perfettamente conto che Amoris laetitia sfugge a questa logica dottrinale-giuridica, per porsi su un piano squisitamente pastorale; chiedo solo: è corretto rimettere in discussione un insegnamento ormai praticamente definitivo?

 

2. È corretta la procedura seguita per affrontare questo tema? Prima il Concistoro straordinario nel febbraio 2014; poi l’assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi nell’ottobre dello stesso anno; successivamente, l’emanazione dei due motu proprio sulle cause di nullità matrimoniale nell’agosto 2015; quindi l’assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi nell’ottobre immediatamente successivo; infine l’esortazione apostolica post-sinodale appena pubblicata. Finora non si era mai vista una simile procedura: non era sufficiente un’unica assemblea sinodale, debitamente preparata? Era proprio necessario questo “martellamento” durato due anni? A qual fine? Senza contare poi le anomalie registrate lungo il cammino: la segretezza della relazione al Concistoro e del dibattito sinodale; la relazione post disceptationem del Sinodo 2014, che non rifletteva i risultati del dibattito; la relazione finale del medesimo Sinodo, che riprendeva tematiche che non erano state approvate dai Padri; la lettera riservata dei tredici cardinali all’inizio del Sinodo 2015, denunciata pubblicamente come “cospirazione”; ecc.: sono cose normali?

 

3. È corretto insinuare determinate soluzioni pastorali, che non erano state accolte dai Padri sinodali (e pertanto non potevano essere riprese nel testo dell’esortazione), nelle note del documento? È corretto mettere in discussione in un documento del magistero l’insegnamento di un documento precedente con la seguente formula: «molti … rilevano» (nota 329)? “Molti” chi? “Rilevano” a che titolo? Inoltre, quale tipo di adesione richiede la nota 351, che ammette una possibilità in aperto contrasto con con l’insegnamento e la prassi ininterrotta della Chiesa, basandosi su argomenti che erano stati già presi in considerazione e giudicati insufficienti a giustificare una deroga a quell’insegnamento e a quella prassi (cf la Lettera della Congregazione della Dottrina della fede del 14 settembre 1994, in particolare il n. 5: «Tale prassi [di non ammettere i divorziati risposati all’Eucaristia], presentata [da Familiaris consortio] come vincolante, non può essere modificata in base alle differenti situazioni»)?

 

4. Non ci si dovrebbe preoccupare, quando si pubblica un documento, di che cosa arriverà ai fedeli? In Evangelii gaudium si poneva, giustamente, il problema della comunicazione del messaggio evangelico (n. 41); in Amoris laetitia si ammonisce di «evitare il grave rischio di messaggi sbagliati» (n. 300). Il fatto che nei giorni successivi all’uscita dell’esortazione siano stati pubblicati commenti contrastanti fra loro non dovrebbe far riflettere? Non sarà che il linguaggio usato non fosse sufficientemente chiaro? È possibile che sullo stesso documento ci sia chi afferma che non cambia nulla e chi lo considera rivoluzionario? Se un’affermazione fosse chiara, non se ne dovrebbero poter dare contemporaneamente due interpretazioni opposte. La confusione provocata non dovrebbe essere un campanello d’allarme? In Amoris laetitia non si ignora il problema: «Comprendo coloro che preferiscono una pastorale piú rigida che non dia luogo ad alcuna confusione» (n. 308), ma poi, con Evangelii gaudium (n. 45), si risponde che è preferibile una Chiesa che «non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada». Si è tentati addirittura di pensare che la confusione venga intenzionalmente ricercata, perché in essa agirebbe lo Spirito e in essa Dio va ricercato. Personalmente preferisco credere, con San Paolo, che «Dio non è un Dio di disordine, ma di pace» (1 Cor 14:33).

 

5. È possibile che, via via che passano gli anni, le esortazioni apostoliche post-sinodali diventino sempre piú prolisse? È possibile che non si riesca a sintetizzare in poche proposizioni i risultati delle discussioni dei Padri? La concisione, in genere, si sposa bene con l’efficacia e l’incisività: quando ci si dilunga oltre il necessario per trasmettere un determinato messaggio, il piú delle volte significa che le idee non erano molto chiare. Senza contare che, elaborando documenti eccessivamente lunghi, si rischia di scoraggiare anche i piú volenterosi a intraprenderne la lettura e li si costringe ad accontentarsi dei sunti, solitamente parziali e di parte, che ne fanno i mezzi di informazione.

 

6. È proprio necessario che i documenti pontifici si trasformino in trattati di psicologia, pedagogia, teologia morale, pastorale, spiritualità? È questo il compito del magistero della Chiesa? Prima si afferma che «non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero» (n. 3) poi, di fatto, ci si pronuncia su ogni aspetto e si rischia addirittura di cadere in quella “casuistica insopportabile”, che pure, a parole, si dice di deprecare (n. 304). Al magistero spetta il compito di interpretare la parola di Dio (Dei Verbum, n. 10; Catechismo della Chiesa cattolica, n. 85), definire le verità della fede, custodire e interpretare la legge morale, non solo evangelica, ma anche naturale (Humanae vitae, n. 4). Il resto — la spiegazione, l’approfondimento, le applicazioni pratiche, ecc. — è sempre stato lasciato ai teologi, ai confessori, ai maestri di spirito, alla coscienza ben formata dei singoli fedeli. Un’esortazione apostolica, destinata a tutti i fedeli, non può, a mio parere, diventare un manuale per confessori.

 

7. È giusto insistere sull’astrattezza della dottrina (nn. 22; 36; 59; 201; 312), contrapponendola al discernimento e all’accompagnamento pastorale, quasi non ci fosse possibilità di convivenza fra le due realtà? Che la dottrina sia astratta, non mette conto di sottolinearlo: lo è per natura; come la prassi, di per sé, è pratica. Ma ciò non significa che nella vita umana non ci sia bisogno dell’una e dell’altra: la prassi deriva sempre da una teoria (basti pensare che in Amoris laetitia si ripete per ben due volte, ai nn. 3 e 261, un principio filosofico — e pertanto astratto — che era stato già enunciato in Evangelii gaudium ai nn. 222-225: «Il tempo è superiore allo spazio»). Ragion per cui è importante che la prassi, per essere buona (“ortoprassi”), sia ispirata da una dottrina vera (“ortodossia”); in caso contrario, una dottrina errata genererebbe inevitabilmente una prassi cattiva. Disprezzare la dottrina non giova a nulla, serve solo a privare la prassi del suo fondamento, della luce che dovrebbe guidarla. Non ci si accorge, inoltre, che il parlare della prassi non si identifica con la prassi stessa, ma costituisce solo una teoria della prassi? E la teoria della prassi è pur sempre una teoria, altrettanto astratta quanto la dottrina a cui si vuole contrapporre la prassi.

 

8. Descrivere la Chiesa del passato come una Chiesa esclusivamente interessata alla purezza della dottrina e indifferente ai problemi reali delle persone, non è forse una caricatura che non corrisponde in alcun modo alla realtà storica? Arrivare al punto di usare certe espressioni (n. 49: «Invece di offrire la forza risanatrice della grazia e la luce del Vangelo, alcuni vogliono “indottrinare” il Vangelo, trasformarlo in “pietre morte da scagliare contro gli altri”»; n. 305: «Un pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone. È il caso dei cuori chiusi, che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa “per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite”») è non solo offensivo, ma falso e ingeneroso verso quanto la Chiesa ha fatto e continua a fare, pur fra mille contraddizioni e infedeltà, per la salvezza delle anime. Nella Chiesa il discernimento e l’accompagnamento pastorale (magari chiamati con nomi diversi e senza fare troppe teorizzazioni) ci sono sempre stati; solo che finora ciascuno faceva il suo mestiere: il magistero insegnava la dottrina, i teologi l’approfondivano, i confessori e i direttori spirituali l’applicavano ai singoli casi. Oggi invece sembrerebbe che nessuno riesca piú a distinguere la specificità del proprio ruolo.

 

9. Trasformare le esigenze della vita cristiana in “ideali” (nn. 34; 36; 38; 119; 157; 230; 292; 298; 303; 307; 308) non significa — davvero in questo caso — trasformare il cristianesimo in qualcosa di astratto, peggio, in una filosofia, se non addirittura in una ideologia? Non significa forse dimenticare che la parola di Dio è viva ed efficace (Eb 4:12), che la verità rivelata è una “verità che salva” (Dei Verbum, n. 7; Gaudium et spes, n. 28), che il vangelo «è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede» (Rm 1:16), che «Dio non comanda l’impossibile; ma, quando comanda, ti ammonisce di fare quello che puoi e di chiedere quello che non puoi, e ti aiuta perché tu possa farlo» (Concilio di Trento, Decreto sulla giustificazione, c. 11; cf Agostino, De natura et gratia, 43, 50)?

 

10. Siamo sicuri che la “conversione pastorale” (Evangelii gaudium, n. 25), che si richiede alla Chiesa odierna, sia un bene per essa? Ho l’impressione che alla base di tale conversione ci sia un equivoco di fondo, già presente al momento dell’indizione del Concilio Vaticano II e giunto fino ai nostri giorni: pensare che non sia piú necessario che la Chiesa oggi si prenda cura della dottrina, essendo già essa sufficientemente chiara, conosciuta e accettata da tutti, e che ci si debba preoccupare solo della prassi pastorale. Ma siamo proprio sicuri che la dottrina sia oggi cosí chiara, che non necessiti di ulteriori approfondimenti e di essere difesa da interpretazioni erronee? Siamo proprio certi che tutti, oggi, conoscano la dottrina cristiana? Non basta rispondere a queste domande dicendo che c’è il Catechismo della Chiesa cattolica: primo, perché non è scontato che tutti lo conoscano; secondo, perché, quand’anche fosse conosciuto, non è detto che sia da tutti condiviso. Se è vero che «la misericordia non esclude la giustizia e la verità, ma anzitutto dobbiamo dire che la misericordia è la pienezza della giustizia e la manifestazione piú luminosa della verità di Dio» (Amoris laetitia, n. 311), è altrettanto vero che «non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo, è eminente forma di carità verso le anime» (Humanae vitae, n. 29; cf Familiaris consortio, n. 33; Reconciliatio et paenitentia, n. 34; Veritatis splendor, n. 95). E il servizio che il magistero deve offrire alla Chiesa è, innanzi tutto, il servizio della verità (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 890); proprio insegnando la verità che salva il magistero assume un atteggiamento pastorale e “misericordioso” verso le anime. Solo quando il magistero avrà adempiuto a questo suo compito primario, gli operatori pastorali potranno, a loro volta, formare le coscienze, fare opera di discernimento e accompagnare le anime nel loro cammino di vita cristiana. 

tratto da: http://querculanus.blogspot.it/2016/04/salutare-autocritica.html

giovedì 14 aprile 2016

a chi la gioia dell'amore a chi la palma del Martirio

 
miliziani cristiani di autodifesa in Siria invocano la protezione celeste
"Non è accettabile che mentre dei cristiani muoiono per la loro fedeltà a Gesù, in Occidente degli uomini di Chiesa discettino per ridurre al minimo le esigenze del Vangelo"
 card. Sarah, Prefetto del Culto Divino

mercoledì 13 aprile 2016

“Assolver non si può chi non si pente,/né pentere e volere [rimaner nel peccato] insieme puossi / per la contraddizion che nol consente” (Inferno, XXVII, 118-120).

Magisteri al confronto - scontro! A chi dare ragione quando si contraddicono?

 
 
Pio XII
Amoris laetitia
Ci si chiederà come la legge morale , che è universale , può bastare , e nello stesso tempo essere vincolante in un caso singolare, il quale nella sua situazione concreta è sempre unico e di “ una volta” . Lo può e lo fa , perché giustamente a causa della sua universalità la legge morale comprende necessariamente ed “intenzionalmente”  tutti i casi particolari , all’interno dei quali si verificano i suoi concetti. E in questi casi numerosissimi lo fa con una logica così concludente , che la stessa coscienza del semplice fedele vede immediatamente e con piena certezza la decisione da prendere ..
Ciò vale soprattutto per le obbligazioni negative della legge morale , di quelle che esigono un non fare, un lasciare stare. Ma non soltanto di quelle . Le obbligazioni fondamentali della legge cristiana per quanto superano quelle della legge naturale , si basano sull’essenza dell’ordine soprannaturale costituito dal Divino redentore. Dai rapporti essenziali fra l’uomo e Dio, fra l’uomo e l’uomo, fra i parenti, fra i genitori e i figli , dai rapporti essenziali di comunione nella famiglia, nello stato, nella Chiesa , risulta , fra le altre cose che l’odio a Dio, la blasfemia , l’idolatria, la defezione dalla vera fede , la negazione della vera fede , lo spergiuro , l’omicidio, la falsa testimonianza, la calunnia l 'adulterio e la fornicazione , l'abuso del matrimonio , il peccato solitario, il  furto e la rapina , la sottrazione di quanto è necessario per la vita , la frustrazione di salari equi , l’ accaparramento dei beni di prima necessità  e gli aumenti ingiustificati dei prezzi ,la  bancarotta fraudolenta , le manovre di speculazione sleali : tutto ciò è sempre gravemente interdetto dal legislatore divino. Non c’è da esaminare. Qualunque sia la situazione individuale, non c’è altro esito che obbedire.
Pio XII , discorso 18 Aprile 1952 . ( traduzione mia)
Originale:
https://w2.vatican.va/content/pius-xii/fr/speeches/1952/documents/hf_p-xii_spe_19520418_soyez-bienvenues.html
 
 
 
È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano. Prego caldamente che ricordiamo sempre ciò che insegna san Tommaso d’Aquino e che impariamo ad assimilarlo nel discernimento pastorale: «Sebbene nelle cose generali vi sia una certa necessità, quanto più si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione. […] In campo pratico non è uguale per tutti la verità o norma pratica rispetto al particolare, ma soltanto rispetto a ciò che è generale; e anche presso quelli che accettano nei casi particolari una stessa norma pratica, questa non è ugualmente conosciuta da tutti. […] E tanto più aumenta l’indeterminazione quanto più si scende nel particolare».[347] È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari. Nello stesso tempo occorre dire che, proprio per questa ragione, ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma. Questo non solo darebbe luogo a una casuistica insopportabile, ma metterebbe a rischio i valori che si devono custodire