sabato 5 marzo 2011

tavola rotonda su Radio Maria


Domenica 6 marzo
ore 21,00
su Radio Maria

TAVOLA ROTONDA
condotta da Francesco Agnoli.

"Dalla riforma anglicana al ritorno degli anglicani alla Chiesa Cattolica"


Interventi di :

Elisabetta Sala: «Enrico VIII e Elisabetta I»

Cristina Siccardi: «J.H. Newman»

Paolo Gulisano: «Chesterton»

Enrico Spitali: «Il ritorno degli anglicani»

venerdì 4 marzo 2011

se andare alla Messa nuova fa perdere la fede .... e la Messa antica, la suscita, la conserva e la nutre....

“Come andare a Messa e non perdere la fede”. Francesco Antonio Grana intervista don Nicola Bux

Se andare a Messa fa perdere la fede
di Francesco Antonio Grana

“Come andare a Messa e non perdere la fede”. È il titolo del nuovo libro di Nicola Bux, edito da Piemme, con un contributo di Vittorio Messori. Sacerdote e docente della Diocesi di Bari, romano per studi teologici e orientalistici, gerosolimitano per quelle sulle liturgie cristiane, Bux ha dedicato vari libri alla liturgia, ecclesiologia ed ecumenismo che sono stati tradotti nelle principali lingue europee. Amico di lunga data di Joseph Ratzinger, che nel 1997 presentò il suo libro “Il quinto sigillo”, Bux ha collaborato alla riforma postconciliare della liturgia, musica e arte sacra nella sua Diocesi e nella sua Regione con il liturgista benedettino l’Arcivescovo Andrea Mariano Magrassi, e con don Luigi Giussani in Comunione e Liberazione.

Don Nicola Bux, perché andando a Messa si può perdere la fede?

Perché la Messa in questi ultimi decenni non è più celebrata come espressione di un rito bimillenario della Chiesa cattolica, ma spesso secondo gli adattamenti e le creatività dei singoli celebranti. Per cui capita di partecipare in una parrocchia a una un certo di tipo di Messa e in un’altra a un altro tipo. Ciò ha finito per creare solo disorientamento, e spesso anche perplessità e disaffezione, talvolta noia e abbandono, perché in genere i fedeli, in qualsiasi parte del globo si trovino, pur con le diversità indotte dalle situazioni cultuali e linguistiche, vorrebbero assistere all’unica Messa della Chiesa cattolica. Soprattutto quando si è in presenza di abusi e di manipolazioni si finisce per far perdere la fede a molti. Come ha detto l’allora cardinale Ratzinger spesso sono state compiute deformazioni al limite del sopportabile.

Quali sono gli abusi liturgici più frequenti?

Frequente è l’affabulazione che affligge molti celebranti, per cui non c’è più solo il momento dell’omelia ma tante mini omelie che punteggiano la celebrazione. Questo finisce per togliere lo spazio al raccoglimento personale. Credo che questo tipo di frenesia affabulatoria dipenda dal convincimento in molti che se noi preti non spieghiamo le cose la gente non le comprende. Si ha una certa sfiducia che il rito in sé parli, che i suoi simboli, i suoi significati, le sue figure passino nelle persone. C’è come un eccesso di interposizione per cui alla fine più che diventare un rito sacro, liturgico, appunto sacramentale, diventa un’interminabile didascalia, naturalmente spesso spettacolarizzata anche da ulteriori apporti di quelli che sono stati chiamati gli attori della liturgia. Non a caso questo termine nella percezione della gente riguarda il mondo dello spettacolo. La Messa perde così il suo significato di mistero della passione e della risurrezione di Gesù Cristo, per diventare un intrattenimento che bisogna poi misurare quanto a gradimento. Ecco perché nella liturgia è stato introdotto l’applauso.

A che punto è la “riforma della riforma” voluta da Benedetto XVI?

Con questa espressione, che Ratzinger ha usato quando era ancora Cardinale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, egli intendeva dire che la riforma avviata dopo il Concilio doveva essere ripresa, e per certi versi corretta là dove, per usare sempre le sue parole, il restauro del dipinto aveva rischiato grosso, cioè nel tentativo di pulirlo si era corso il rischio di portare via anche i vari strati di colore. Egli ha avviato questo restauro attraverso un suo stile. Il Papa celebra la liturgia in modo sommesso, non gridato. Parimenti desidera che preghiere, canti e quant’altro non usino toni esibizionistici. E poi bisogna sottolineare due gesti particolari che nelle sue liturgie sono evidenti: aver interposto tra sé e l’assemblea la croce, a indicare che il rito liturgico non è rivolto al ministro sacerdotale ma a Cristo, e far ricevere la Comunione in ginocchio, a indicare che non si tratta di una cena nel senso mondano della parola, ma di una comunione al corpo di Gesù Cristo che viene però prima adorato, secondo le parole di Sant’Agostino, per poi essere mangiato.

Quanti ostacoli sta incontrando il Motu proprio Summorum Pontificum sulla messa preconciliare?

Credo che attualmente gli ostacoli diventino più flebili rispetto all’uscita del Motu proprio, nel 2007. Attraverso internet si può vedere come ci sia un discreto movimento di giovani che cerca, e per quanto è possibile pratica, la Messa tradizionale, chiamata anche Messa in latino o Messa di sempre. E questo credo che sia un segno molto importante da cogliere.

È chiaro che i pastori della Chiesa, in primo modo i vescovi e poi i parroci, pur affermando spesso che bisogna saper cogliere il segno dei tempi, espressione molto in uso dopo il Vaticano II, non riescono spesso a comprendere che i segni dei tempi non li stabiliscono loro, ma si presentano e soprattutto sono regolati dai giovani. Credo che questo sia il sintomo più interessante, perché se alla Messa tradizionale ci corressero gli anziani, gli adulti, si potrebbe anche avere il sospetto che si tratti di una nostalgia. Il fatto che siano prevalentemente i giovani quelli che cercano e partecipano alla Messa in latino è assolutamente inaspettato e però meriterebbe di essere letto, compreso e accompagnato soprattutto da parte dei vescovi.

Credo che il Papa abbia contezza di ciò e per questo intenda dare un ulteriore apporto attraverso un’istruzione applicativa del Motu proprio per aiutare tutti a comprendere che accanto alla nuova forma del rito romano c’è anche la forma antica o straordinaria.

Come è nata la sua amicizia con il cardinale Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI?

È un’amicizia che risale ai tempi iniziali del suo lavoro teologico e soprattutto quando è diventato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Mi hanno molto interessato i suoi studi, direi il suo navigare controcorrente, pur essendo egli un teologo progressista tra virgolette, come d’altronde siamo stati tutti noi giovani dopo il Concilio. Naturalmente man mano che ci si accorgeva che quanto si sperava progredisse in realtà diventava sempre più confuso, a volte contraddittorio al punto da far perdere i connotati dell’eredità cattolica, si è diventati più guardinghi. E in questo io ho potuto fruire senza merito della stima e della considerazione dell’allora cardinale che mi ha chiamato in Vaticano quale consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede, e in seguito, anche di quella delle Cause dei Santi e dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie, e mi ha nominato perito ai Sinodi dei Vescovi sull’Eucaristia del 2005 e sul Medio Oriente del 2010.


da "L'Avanti" del 4 marzo 2011

lunedì 28 febbraio 2011

"la santità, la penitenza, la vera povertà, il distacco dal mondo hanno sempre dato fastidio e continuano a darlo" Card. Giuseppe Siri

Il grande Cardinale Siri contro la storiografia progressista

Per i colti il progressismo ha un modo suo di rivelarsi a proposito di storia; sono progressista se giustifico Giordano Bruno, sono conservatore se lodo l’austero San Pier Damiani. Tutto qui! Ripetiamo che si parla di storiografia nell’area della produzione, che vorrebbe chiamarsi «cattolica». Dell’altro qui non ci interessiamo. La parte maggiore della produzione — ci sono, è vero, nobili e importanti eccezioni — pare obbedisca, per essere in sintonia col progresso, ai seguenti canoni:

— la società ecclesiastica è la prima causa dei guai, che hanno colpito i popoli;

— la Chiesa — detta per l’occasione postcostantiniana — avrebbe fatto con continui voltafaccia, alleanza coi potentati di questo mondo per mantenersi una posizione di privilegio e di comodità;

— le intenzioni impure, le più recondite e malevole, vengono attribuite a personaggi fino a ieri ritenuti degni di ammirazione. Per questo sistema di giudizio alcuni Papi sono stati quasi radiati dalla Storia, non si sa con quale motivazione;

tutta la storia ecclesiastica fino al 1972 è stata panegirica, unilaterale, concepita con costante pregiudizio laudatorio, mentre non è che un accumulo di pleonasmi i quali hanno alterato il volto di Cristo. Questa conclusione — tutti lo vedono — costituisce il fondamento per distruggere il più possibile nella Chiesa e ridurla ad un meschino ricalco del Protestantesimo. San Tommaso Moro, Martire, è stato messo addirittura sul piano di Lutero;

— le vite dei Santi vanno riportate a dimensioni «umane» con difetti, peccati, persino delitti, mentre gli aspetti soprannaturali tendono ad essere relegati nel solaio dei miti;

il valore della Tradizione e delle tradizioni è del tutto irriso, con evidente oltraggio alla obiettività storica, perché, se non sempre, le tradizioni che attraversano senza inquinamenti i secoli hanno sempre una causa che le ha generate.

Si potrebbe continuare.

Ma non si può tacere il rovescio della medaglia: i personaggi vengono magnificati perché si sono rivoltati, perché hanno messo a posto la legittima Autorità, perché hanno avuto il coraggio di distruggere quello che altri hanno edificato, hanno rivendicato la «libertà» dell’uomo con la indipendenza del loro pensiero, incurante della verità. Gli eretici diventano vittime, mezzi galantuomini... qualcuno ha osato parlare di una canonizzazione di Lutero. È condannevole chi ha difeso la libertà della Chiesa, la libertà della scuola cattolica, chi ha imposto ai renitenti la disciplina ecclesiastica. Tutti sanno la sorte riservata a coloro che ancora osano salvaguardarla! Si capisce benissimo la logica interna di questo andazzo della storiografia: la santità, la penitenza, la vera povertà, il distacco dal mondo hanno sempre dato fastidio e continuano a darlo dalle tombe, come se queste non potessero mai essere chiuse. È difficile sia accolto nel club progressista chi dice bene del passato!

[Pensiero del Cardinale Giuseppe Siri tratto dalla "Rivista Diocesana Genovese" del gennaio 1975]

Pubblicato da cordialiter

Un uomo chiamato cavillo

tratto dal libro: "Cattivi Maestri" di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro

Il conservator cortese

Si deve chiarire subito una cosa: questo cattivo maestro non è un cattivo soggetto. Il conservator cortese è un uomo animato dalle migliori intenzioni, che agisce normalmente in buona fede, e che è sorretto da un inguaribile ottimismo. Ma, proprio per queste ragioni, è capace di pro­vocare danni devastanti. Insomma, è buono e insieme pericolosissimo.

La sua caratteristica più temibile, però, è la capacità di mimetizzarsi. Gli altri cattivi maestri sono in genere agevolmente identifìcabili. Il conservator cortese no. Tracciare il suo identikit è molto diffìcile. Ed è difficile perché, a ben guardare, non possiede una sua precisa fisionomia. Piuttosto, tende ad adattarsi come un guanto alla realtà che intende difendere e proteggere.

Ma chi è, in definitiva, questo "conservator cortese"? Si tratta di un cattolico, normalmente sostenuto da una certa formazione dottrinale, formazione che in taluni casi può essere perfino solida e robusta. In ogni caso, la sua storia è estranea al progressismo ecclesiale, o se anche ne proviene, lui ha deciso risolutamente di abbandonarla a un passato di cui un po' si vergogna. In ogni caso, adesso è venuto il momento di lavorare per "conservare" lo status quo, accontentandosi di evitare che le cose peggiorino.

Per fare questo, è necessario anche mettersi a dire a quattro venti che le cose non vanno poi così male, anzi stanno sensibilmente migliorando. Il cavillo sarà l'arma impropria nelle mani del nostro uomo. Maneggiandolo come un bisturi, egli inciderà con delicatezza i bubboni infetti del pensiero progressista. Ma, con impegno se possibile maggiore, egli orienterà l'arma del cavillo nei confronti dei cattolici tradizionali, i cattolici-cattolici insomma. I quali, per certi versi, sono secondo il conservator cortese gli uomini peggiori e più deleteri, perché con la loro mania della verità e della tradizione mettono a repentaglio tutto il delicato percorso di "restaurazione gentile". Quel buzzurro del cattolico-cattolico, ad esempio, polemizza apertamente, denuncia, critica, stronca: un vero concentrato di stupidità politica, che deve essere fermato a ogni costo.

Il conservator cortese ha fatto un'analisi della situazione ecclesiale, che più o meno può essere riassunta così: il progressismo cattolico ha iniziato da tempo la sua inesorabile parabola discendente; poco alla volta, il modernismo perde il suo potere all'interno delle istituzioni ecclesiali. Questa "mutazione" si nota soprattutto in certe conferenze episcopali, come quella italiana, "commissariate" e affidate alla guida del presidente, in modo da silenziare le voci stonate presenti nell'episcopato.

Tuttavia, prosegue il conservator cortese, natura non facit saltus, e ancor di più la Chiesa non può fare salti o consumare strappi; ergo, occorre mettersi docilmente sotto la guida della Conferenza episcopale nazionale, dire e fare soltanto ciò che a essa è gradito, e soprattutto - si badi bene: soprattutto - evitare sempre di muovere anche la più garbata critica a ciò che la Conferenza episcopale dice o scrive. Insomma: il conservator cortese è, prima ancora che un cattolico, un clericale. Di più: un clericalone a 24 carati. Per lui, la Conferenza episcopale, come la Buonanima durante il Ventennio, ha sempre ragione.

A prima vista, il nostro tipo umano sembrerebbe totalmente innocuo. Anzi: un autentico servitore della Chiesa. Ma, guardandolo più da vicino, si scopre che le cose stanno diversamente.

Il problema è che questo cattivo maestro ritiene più importante servire la strategia di una Conferenza episcopale nazionale, piuttosto che insegnare e testimoniare i contenuti della dottrina cattolica. E la cosa gli pare cosi ovvia, così buona e giusta, che ve lo dirà anche in faccia. Facciamo un esempio. Una Conferenza episcopale decide di difendere una legge che consente la fe­condazione artificiale. Il ragionamento è: meglio avere una legge non del tutto condivisibile, piuttosto che subire do­mani una legge peggiore. Mettiamo che voi, senza entrare nel merito del ragionamento suddetto, chiediate a un giornalista cattolico di poter spiegare in un articolo perché la fecondazione artificiale, anche nei limiti previsti dalla legge che "piace" ai vescovi, sia intrinsecamente illecita.

Se il tipo che avete davanti è un uomo chiamato cavillo, cioè un "conservator cortese", ecco che cosa vi risponderà: «Vedi, carissimo,» il tono è sempre conciliante e pedagogico, come quello di un salesiano che sta rimproverando per l'ennesima volta un ragazzo troppo vivace «vedi, carissimo, quello che tu dici è vero: la fecondazione artificiale è sbagliata. Però, in questo momento, noi dobbiamo soste­nere senza se e senza ma la strategia che è stata decisa dai vescovi».

«Ma è la Chiesa che insegna, per ragione e non per fede, che i figli non si devono mai fare per via artificiale.»

«Quello che tu vorresti scrivere non è coerente con la linea del nostro giornale.»

«Ma io volevo soltanto ribadire la verità, la verità non fa mai male.»

«Carissimo, ci sono momenti in cui bisogna saper tacere, se la strategia lo richiede. Adesso l'obiettivo è difendere la legge sulla provetta così com'è. Se uno non sostiene questa linea, non può scrivere per noi.»

«E se invece uno fa la fecondazione artificiale rispettando la legge, può scrivere per voi?»

«Certo. Mi spiace che tu non capisca. Apprezzo davvero molto la tua testimonianza per la verità, ti stimo tantissimo. Ma finché questa è la tua posizione, non puoi scrivere per noi.»

L'uomo chiamato cavillo è fatto così: flessibilissimo sulla dottrina, inflessibile come una SS sulla "linea" - detta altrimenti "strategia" - sposata dall'episcopato.

Il conservator cortese si sta diffondendo parecchio nel mondo cattolico. E questo è positivo, in quanto egli è un tipo antagonista-predatore del cattolico democratico, detto anche cattolico progressista. Tuttavia è anche un male perché il conservator cortese è anche un nemico spietato del cattolico-cattolico. Il risultato è una condizione di stallo, nella quale però il nostro conservatore finisce con l'accogliere, senza rendersene conto, proprio i paradigmi del progressismo modernista. Nel senso che misura gli obiettivi della sua buona battaglia sempre in termini di "male minore", perdendo totalmente di vista la stella polare della verità tutta intera.

In sostanza, l'uomo chiamato cavillo è un democristiano del terzo millennio capace anche di criticare i democristiani del millennio precedente per gli sconquassi che hanno provocato, ma continuandone disastrosamente il metodo.

IDENTIKT

Dove opera?
Prevalentemente nei giornali cattolici. E segnalato anche in ruoli di responsabilità nell'associazionismo cattolico.

Come riconoscerlo?
Cavilla, distingue, precisa, raffredda, smorza, sopisce. E si addormenta.

Come difendersi?
Non svegliatelo.