sabato 23 novembre 2013

Appello del Patriarca Gregorio III: "se l’occidente vuole ottenere qualche risultato deve smettere di inviare armi ai ribelli. La Siria ha bisogno di pace"

Siria: caccia alle Chiese
di Marco Tosatti
 

 
  
 
Il sito di informazione sul Medio Oriente Ereb rilancia la denuncia fatta dal patriarca melchita Gregorio III Lahm all’agenzia libanese al-Nashra. Durante il conflitto in Siria i jihadisti islamici (provenienti da oltre 80 Paesi diversi, come denunciava l’ex arcivescovo di Aleppo nazzaro) hanno distrutto o preso di mira oltre 45 chiese cristiane. Il prelato sottolinea che se “l’occidente vuole ottenere qualche risultato deve smettere di inviare armi ai ribelli. La Siria ha bisogno di pace”.
Il sito di informazione sul Medio Oriente Ereb rilancia la denuncia fatta dal patriarca melchita Gregorio III Lahm all’agenzia libanese al-Nashra. Durante il conflitto in Siria i jihadisti islamici (provenienti da oltre 80 Paesi diversi, come denunciava l’ex arcivescovo di Aleppo nazzaro) hanno distrutto o preso di mira oltre 45 chiese cristiane. Il prelato sottolinea che se “l’occidente vuole ottenere qualche risultato deve smettere di inviare armi ai ribelli. La Siria ha bisogno di pace”.  
"Ho lanciato un appello per la riconciliazione fra i siriani - dichiara l’arcivescovo - ho spiegato all’opposizione che sono pronto ad offrire loro protezione all’interno del patriarcato".  
Gregorio III sottolinea che i cristiani sono in pericolo nel Medio oriente, anche se essi non rappresentano una minaccia per nessuno. “La regione - spiega - rischia di diventare monocolore, settaria, nel quale vi sarà un conflitto solo interno all’islam (sunniti e sciiti)”.  
"Lo scorso 7 ottobre - continua - il papa ha chiamato tutto il mondo a digiunare e pregare per la pace in Siria interrompendo le manovre per bombardare il Paese". Il patriarca nota che da quel giorno il mondo è cambiato e una conferenza di pace è divenuta via via più concreta, tanto che ora si sta preparando un tavolo dei negoziati a Ginevra.  
"Posso dire - afferma - che il papa ha fatto un vero e proprio miracolo, e noi come cristiani dobbiamo ricoprire lo stesso ruolo per prevenire una crisi del mondo arabo e salvare le altre popolazioni dal disastro. Insieme ai cristiani siriani anche il Libano ha un ruolo nel portare avanti questa riconciliazione".  
C'è da rimarcare però che questa persecuzione nei confronti dei cristiani di tutte le confessioni - che qualcuno ha paragonato a un vero e proprio Olocausto -  pare avvenire nella sostanziale indifferenza dei governi più potenti dell'Occidente, che mandano armi e finanziamenti, in maniera diretta o indiretta, ai fondamentalisti islamici sponsorizzati da Qatar e Arabia Saudita. 
 

Chiesa dove vai «senza disciplina, senza unità nella devozione e nel rito, senza educazione nei suoi chierici, senza vita sacerdotale tra i suoi Vescovi e i suoi preti, senza presa sulle coscienze popolari, incredula ai misteri, insensibile al mondo invisibile» ?

"Siamo ancora cattolici o che cosa siamo diventati?" (Gnocchi e Palmaro)



Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro tornano sulle colonne de “il Foglio” di oggi con un nuovo articolo, un bellissimo articolo che fa nuovamente riflettere e fa esclamare al lettore: «È vero, è proprio così!». Non si tratta di dire tradizionalisti o non tradizionalisti, progressisti o non progressisti, conservatori o non conservatori; occorre andare al nocciolo della questione e chiedersi: siamo ancora cattolici o che cosa siamo diventati?

I sentimenti buoni non sono sinonimo di cattolicità. Essere cattolici significa avere una dottrina e seguirla, unire in un unico corpo lex credendi e lex orandi, significa pensare da cattolico, parlare da cattolico, agire da cattolico… altrimenti non si è cattolici, si è qualcos’altro. Nessuno è obbligato ad essere cattolico, ma nessuno può dire di essere cattolico se, concretamente, non lo è. Oggi anche un ateo o un agnostico può affermare tranquillamente, senza battere ciglio: «sono d’accordo con il Papa», un tempo una cosa simile non sarebbe mai accaduta.

Il pericolo per la Chiesa della nostra epoca è quello di essere troppo asservita ai parametri del mondo, ai parametri dei poteri governativi e statali. Siamo di fronte al pericolo di una Chiesa sguarnita, indifesa, soggetta ai venti esterni «senza disciplina, senza unità nella devozione e nel rito, senza educazione nei suoi chierici, senza vita sacerdotale tra i suoi Vescovi e i suoi preti, senza presa sulle coscienze popolari, incredula ai misteri, insensibile al mondo invisibile» (C. Lovera di Castiglione, Il Movimento di Oxford, Morcelliana, Brescia 1935, p. 191). Il Movimento di Oxford fu quel movimento di pensiero inglese diretto ed elaborato dal Cardinale Newman, attraverso il quale questo geniale professore smascherò, in maniera sublime, gli errori della chiesa anglicana, dalla quale si separò per abbracciare la Chiesa di Roma.  Fu studiando le eresie dei primi secoli, fu studiando i Padri della Chiesa che Newman comprese che ciò che era accaduto nel XVI secolo con il Protestantesimo non era altro che l’antico errore: ci si separava dalla dottrina e dal rito sacro di Roma e si inventavano cose nuove. «Lo scopersi quasi con terrore; c’era una somiglianza spaventosa – tanto più spaventosa in quanto così silente e priva di passione – fra le morte reliquie del passato e la cronaca febbrile del presente. L’ombra del quinto secolo gravava sul sedicesimo. Era come se uno spirito sorgesse dalle torbide acque del vecchio mondo con la figura e i lineamenti del mondo nuovo. La Chiesa, allora come ora, poteva apparire dura e perentoria, risoluta, autoritaria e implacabile; e gli eretici erano sfuggenti, mutevoli, riservati ed infidi; sempre pronti a adulare il potere civile in accordo fra loro soltanto con l’aiuto di esso, e il potere civile mirava sempre nuove annessioni, cercando di togliere di mezzo l’invisibile e sostituendo l’opportunità alla fede» (J.H. Newman,  Apologia pro vita sua, Jaca Book, Milano 19952, p. 144-145).

Dopo il Concilio Vaticano II i tradizionalisti sono stati considerati duri, perentori, risoluti, autoritari, implacabili… soltanto perché non volevano e non vogliono che all’amata Chiesa venga sottratta la sua reale e originaria identità, quella che la Tradizione ha trasmesso.

Molti pastori della Chiesa che sono senza misericordia contro coloro che vogliono vivere cattolicamente, sono poi morbidissimi e tolleranti nei confronti dei peccati, anche quelli mortali: è indubbio che il primo problema, oggi, non è più quello di perseguire la vita soprannaturale e di avere come primo obiettivo quello della salvezza delle anime, ma di inseguire ciò che il mondo afferma, propone e talvolta, con le leggi, impone ai popoli (pensiamo, per esempio, a quella terribile battaglia contro l’aborto, che "C"attolici come Mario Palmaro conducono con determinazione e risolutezza).
Oggi è il tempo della grande tentazione per la Chiesa.

Divisione e confusione regnano nel mondo e i valori di Dio, di patria e di famiglia sono stati scalzati per dare spazio ad una pianificazione materialista e individualista, in una sfrenata rincorsa dell’uomo al piacere, che porterà l’uomo stesso a schiantarsi contro se stesso, autodistruggendosi. «La norma del diritto moderno», affermava il Terziario francescano Attilio Mordini (1923-1966), che ha affrontato coraggiosamente i problemi del nostro tempo nel solco vivo della tradizione cristiana «è l’uomo, ma l’uomo non è definibile; l’uomo non può essere oggetto, e solo come immagine di Dio può sostanziarsi quale presenza di eternità nel tempo e nel mondo» (Il Tempio del Cristianesimo. Per una retorica della storia, il Cerchio, Rimini 2006, p. 153).
A Treviri, secondo la Tradizione, si custodisce la veste inconsutile del Salvatore, quella che i soldati si giocarono a dadi al momento della crocifissione: «Ora la tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo» (Gv 19, 23). Ecco, la Chiesa è chiamata a custodire fedelmente, «da cima a fondo», il tesoro consegnato da Cristo agli Apostoli e non può cedere alle lusinghe: aver tolto dal sito Internet vaticano l’intervista di Papa Francesco ad Eugenio Scalfari è la dimostrazione che questa Chiesa è fragile, vulnerabile, in balia proprio delle tentazioni.
Cristina Siccardi

venerdì 22 novembre 2013

niente paura...un po' di misericordina mette tutto a posto



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MATRIMONI GAY: COME I CATTOLICI PERDERANNO
QUESTA BATTAGLIA
IN DIECI PASSI
By Basta bugie.

Con le leggi sull'omofobia l'uomo viene demolito un pezzo alla volta nel trionfale plauso dei nemici della Chiesa
Omofobia. Il Parlamento italiano sta per approvare una legge che persegue con sanzioni specifiche le condotte che rientrano in questa nuova categoria concettuale. Ma che cosa significa essere omofobi? In realtà, nessuno può dirlo con precisione, perché l'omofobia è un'invenzione ideologica. È una trovata da codice penale sovietico, che permetterà a pubblici ministeri e giudici di perseguire le condotte più diverse, nel trionfo più grottesco della giurisprudenza creativa.

L'OMOFOBIA COME CATEGORIA DELL'ASSURDO

L'omofobia presuppone che il mondo sia fatto da eterosessuali e da omosessuali, oltre che da altre categorie eventualmente definibili con riferimento alla sfera sessuale. Ma già il concetto di eterosessualità è fasullo: infatti, quando uomo e donna compiono atti sessuali sono semplicemente persone normali. Il resto è anormalità. Una volta accettata la categoria giuridica dell'omofobia, questa affermazione non potrà più essere fatta pubblicamente senza rischiare di essere perseguiti dalla magistratura. La stessa cosa può dirsi di un professore o di una maestra che insegnino ai loro alunni che i rapporti fra persone dello stesso sesso non sono normali, o che avere due padri o due madri è dannoso per i figli. Una denuncia penale penderà come una spada di Damocle anche sulla testa di qualunque sacerdote o catechista che definisca gli atti omosessuali un peccato contro natura, e dunque peccato "che grida vendetta al cospetto di Dio". 
L'omofobia è una categoria dell'assurdo. Se una persona viene aggredita o insultata, l'ordinamento giuridico prevede già sanzioni, applicabili a tutti in base al principio di eguaglianza. Inventarsi nuove pene per il caso in cui la vittima sia omosessuale (o dichiari di esserlo, perché poi come si può verificarlo?) significa inaugurare una potenziale infinita proliferazione di categorie a protezione rafforzata da parte dell'ordinamento penale. Si potrebbero ipotizzare leggi per punire più severamente la "grassofobia", per tutelare gli obesi dalle prese in giro di colleghi e compagni di scuola; oppure la "tabaccofobia", per difendere i fumatori da chi li discrimina per le loro condotte polmonari; o ancora, la "calvofobia", per porre fine all'indegna discriminazione delle persone con pochi capelli. Come si vede, non esiste un limite a questa demenziale gara di proliferazione dei diritti civili.

GENDER, MATRIMONI OMO E ADOZIONI GAY
Una nazione che introduce nelle sue leggi la categoria dell'omofobia accetta inevitabilmente l'ideologia del gender. Che cosa significa questo? Secondo la teoria del gender, il sesso di una persona non è un fatto che discende inesorabilmente dalla natura – si nasce uomo, oppure donna, e tertium non datur – ma ogni individuo sceglie, e non una volta per tutte, se vuole essere uomo o donna, a prescindere dal suo corpo e dalla genetica.
L'omofobia certifica per via giuridica la distruzione del sesso come identità naturale, trasformandolo in una scelta individuale arbitraria. Sarò uomo o donna così come può decidere di mangiare marmellata di pesche o di ciliegie. L'uomo letteralmente "si fa da sé", portando a compimento il progetto di devastazione antropologica e sociale iniziato dai pensatori illuministi e rivoluzionari come Rousseau. Progetto che si riassume nella ribellione totale a Dio, che culmina nel rigettare i vincoli sessuali imposti dal corpo e dai suoi organi. E che si fa beffe del progetto divino sull'uomo "crescete e moltiplicatevi". 
Deve essere chiaro fin da subito che, una volta fatta una legge sull'omofobia, qualunque essa sia, il passaggio successivo automatico sarà una legge sui matrimoni gay. E in seguito non mancherà la legalizzazione delle adozioni di coppie omosessuali e l'accesso delle medesime alla fecondazione artificiale.

CATTOLICI: DIECI MOSSE PER PERDERE

Insomma, gli effetti della legge sull'omofobia sono apocalittici. In Italia, sarebbe stata del tutto normale una reazione durissima del mondo cattolico, della Chiesa, della Conferenza episcopale italiana, delle associazioni e dei movimenti ecclesiali, del principale quotidiano cattolico. E invece tutto tace. Le uniche realtà cattoliche che non hanno taciuto ma si sono meritoriamente battute senza tregua sono state Alleanza Cattolica, con un manifesto di opposizione netto e lucidissimo; i Giuristi per la Vita, con una raccolta di firme e con articoli che hanno agitato le acque chete clericali; la Nuova Bussola on line con una campagna stampa intensa e tenace; il settimanale Tempi, appoggiando la raccolta di firme contro la legge, più altri siti o gruppi organizzati, battaglieri ma piccolini.
Come si spiega questa omissione di soccorso alla verità? Ipotizzo tre cause: 
  1. L'abitudine al compromesso: ormai da anni il mondo cattolico si è abituato a perseguire il male minore piuttosto che il bene e il vero: meglio una legge sull'omofobia cattiva, piuttosto che una pessima.
  2. L'esistenza di una rilevante lobby gay interna al mondo cattolico che lo paralizza su questa come su altre battaglie.
  3. La paura di battersi contro il mondo e di perdere una battaglia politica.
Questa "resa" spiega in fondo come è possibile che l'omosessualità, giudicata come un'anormalità deleteria dalla gran parte dell'opinione pubblica fino a poco tempo fa, improvvisamente sia diventata una condotta non solo lecita ma degna di una tutela giuridica speciale. Facendola diventare perfino più meritoria della tradizionale relazione uomo-donna. Molto ha fatto, è chiaro, il lavoro della lobby gay e il terreno favorevolissimo creatole dai mass media. Tuttavia, va aggiunto che il cattolicesimo si è per così dire "scavato la fossa" con le sue mani, attraverso dieci mosse clamorosamente sbagliate. Eccole:
  1. Il giudizio del cristianesimo sulla condotta omosessuale è indubbiamente molto severo da duemila anni; la prima mossa perdente consiste nell'ammorbidire progressivamente questo giudizio di verità, che per altro nulla toglie all'annuncio del perdono e della redenzione del peccatore, come per ogni altro peccato. 
  2. Tacere che la condotta omosessuale è un peccato. In nome del rispetto dovuto agli altri, e alla complessità delle cause, si conclude che questa condotta è sostanzialmente ingiudicabile. Se ci fate caso, anche i cattolici più rigorosi si sentono in dovere di premettere che "non hanno nulla contro gli omosessuali". Eppure, parlando del nono comandamento, non direbbero mai: "premesso che non ho niente contro gli adulteri". 
  3. Il passo successivo è negare esplicitamente che si tratti di peccato: c'è chi nasce così, e non si può far nulla per cambiare le cose. 
  4. Si abolisce dal proprio linguaggio (prediche, catechesi, conferenze, libri) il termine "contro natura", liquidando così anche l'idea di una natura in senso filosofico. L'unica natura che resta è così quella dei documentari di Piero Angela. 
  5. Si abbandona ogni pretesa di conservare nell'ordinamento giuridico una distinzione di giudizio rispetto all'omosessualità. Per secoli le leggi hanno considerato questo fenomeno come tollerabile, o come del tutto irrilevante sul piano giuridico, ma hanno sempre mantenuto una valutazione implicita negativa verso una condizione che può avere aspetti problematici di rilevanza pubblica. Pensiamo alla possibilità di ricoprire ruoli educativi, o di far parte di comunità organizzate specifiche come l'esercito o un ordine religioso. Distinguo e motivate discriminazioni che nascevano dal riconoscimento del carattere patologico, riconosciuto a livello mondiale fino al 1973, di quella condizione. 
  6. A questo punto dilaga l'effetto "laicità dello stato": siccome l'ordinamento non può dare giudizi etici, deve trattare tutto allo stesso modo; ergo, ogni relazione affettiva ha il medesimo valore morale e sociale; dunque, le leggi tratteranno esattamente allo stesso modo omosessuali ed eterosessuali, ed eventuali categorie ulteriori.
  7. A questo punto, chiunque provi a dire che l'omosessualità è contro natura, o che non vorrebbe un maestro omosessuale, diviene un fuorilegge prima sul piano mediatico (gogna televisiva e giornalistica) e poi sul piano giuridico (leggi sull'omofobia); e qui il mondo cattolico abbandona al loro destino tutti quelli che incappino nella mannaia organizzata dalla nuova omocrazia, liquidandoli come "imprudenti" o "integralisti". 
  8. Arriva dunque la legge sulle unioni gay, e qui il cattolico perdente ostenta soddisfazione perché "si evita di definirli matrimoni". 
  9. Arrivano, ovviamente, i matrimoni gay, e qui il cattolico perdente ostenta ottimismo perché "non sono previste le adozioni gay". 
  10. Arrivano le adozioni gay, e qui il cattolico perdente conclude, soddisfatto, che comunque "la famiglia tiene".
Fonte: Il Timone, ottobre 2013 (n. 126)

mercoledì 20 novembre 2013

"la celebrazione versus populum va considerata per quello che in realtà è, una novità, una invenzione di Martin Luter" (Mons. Klaus Gamber)

Versus populum


 
L'idea che il sacerdote stia di fronte alla comunità risale senza dubbio a Martin Lutero. […] Prima di Lutero l'idea che il sacerdote quando celebra la messa stia di fronte alla comunità non si trova in nessun testo letterario, né è possibile utilizzare per suffragarla i risultati della ricerca archeologica. […] Dal punto di vista cattolico, invero, carattere sacrificale e conviviale della messa non sono mai stati in contrasto. Cena e sacrificio sono due elementi della medesima celebrazione. Certo col mutare dei tempi non sempre essi sono stati espressi con pari forza. […] Se al giorno d'oggi si desidera dare un rilievo maggiore al carattere di convito della celebrazione eucaristica, va detto che nella celebrazione versus populum questo non è che appaia con la forza che spesso si crede e si vorrebbe. Infatti soltanto il "presidente" della cena sta effettivamente al tavolo, mentre tutti gli altri convitati siedono giù nella navata, nei posti destinati agli "spettatori", senza poter avere alcun rapporto diretto col tavolo della Cena. Il modo migliore per rivendicare il carattere sacrificale della messa è dato dall'atto di volgersi tutti insieme col sacerdote (verso oriente, vale a dire) nella medesima direzione durante la preghiera eucaristica, nel corso della quale viene offerto realmente il santo sacrificio. Il carattere conviviale potrebbe essere invece sottolineato maggiormente nel rito della comunione […]. Secondo la concezione cattolica la messa è ben di più di una comunità riunita per la cena in memoria di Gesù di Nazareth: ciò che è determinante non è realizzare l'esperienza comunitaria, sebbene anche questa non sia da trascurare (cfr. 1Cor 10,17), ma è invece il culto che la comunità rende a Dio. Il punto di riferimento deve essere sempre Dio e non l'uomo, e per questa ragione fin dalle origini nella preghiera cristiana tutti si rivolgono verso di Lui, sacerdote e comunità non possono stare di fronte. Da tutto ciò dobbiamo trarre le dovute conseguenze: la celebrazione versus populum va considerata per quello che in realtà è, una novità, una invenzione di Martin Lutero.
Mons. Klaus Gamber, in "Instaurare omnia in Christo", 2/1990
 
tratto da: http://cordialiter.blogspot.it/2013/11/versus-populum.html

martedì 19 novembre 2013

è necessario sillabare per poter parlare

«SYLLABUS»
SILLABO DEGLI ERRORI PRINCIPALI
DEL NOSTRO TEMPO CONTENUTI NELLE ALLOCUZIONI CONCISTORIALI,
NELLE LETTERE ENCICLICHE
E NELLE ALTRE LETTERE APOSTOLICHE
DEL SANTISSIMO SIGNOR NOSTRO PIO PP. IX
(N. B. questi sotto sono tutte proposizioni erronee!)
I.
PANTEISMO, NATURALISMO E RAZIONALISMO ASSOLUTO.
1. Nessun supremo, sapientissimo e provvidentissimo Nume divino esiste distinto da questa universalità di cose, e Dio altro non è che la natura stessa delle cose e perciò soggetto a mutazioni, e diventa Dio realmente nell'uomo e nel mondo, e tutte le cose sono Dio, ed hanno la stessissima sostanza di Dio; ed un'identica cosa è Dio con il mondo, e per conseguenza lo spirito con la materia, la necessità con la libertà, il vero col falso, il bene col male, e il giusto con l'ingiusto.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

2. Devesi negare ogni azione di Dio sugli uomini e sul mondo.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

3. L'umana ragione, senza tener verun conto di Dio, è l'unica arbitra del vero e del falso, del bene e del male, e legge a se stessa, e con le naturali sue forze basta a procacciare il bene degli uomini e dei popoli.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

4. Tutte le verità della religione derivano dalla forza ingenita dell'umana ragione, quindi la ragione è norma precipua, per cui l'uomo possa e debba conseguire la cognizione di tutte le verità di qualsiasi genere.
Epist. Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.
Epist. Encicl. Singulari quidem, 17 marzo 1856.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

5. La divina rivelazione è imperfetta e perciò soggetta a un continuo e indefinito progresso, che corrisponde al progresso dell'umana ragione.
Epist. Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

6. La fede di Cristo urta la ragione; e la rivelazione divina non solo non giova a nulla, ma nuoce altresì al perfezionamento dell'uomo.
Epist. Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862,

7. Le profezie ed i miracoli esposti e narrati nelle Sacre Scritture sono invenzioni poetiche, e i misteri della fede cristiana sono la somma delle investigazioni filosofiche; nei libri dei due Testamenti si contengono invenzioni mitiche, e lo stesso Gesù Cristo non e che una mitica finzione.
Epist. Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

II.
RAZIONALISMO MODERATO.
8. Equiparandosi la ragione umana alla stessa religione, perciò le discipline teologiche si hanno da trattare come le filosofiche.
Alloc. Singulari quadam perfusi, 9 dicembre 1854.

9. Tutti i dogmi indistintamente della religione cristiana sono oggetto della scienza naturale, ossia della filosofia; e l'umana ragione, storicamente soltanto coltivata, può in virtù delle proprie forze e principi naturali giungere alla vera scienza di tutti i dogmi anche i più reconditi, purché questi dogmi siano stati proposti come oggetto alla stessa ragione.
Epist. ad Archiep. Frising. Gravissimas, 11 dicembre 1862.
Epist. ad eundem Tuas libenter, 21 dicembre 1863.

10. Altro essendo il filosofo ed altra la filosofia quegli ha diritto e dovere di sottomettersi a quell'autorità che egli medesimo abbia provata vera; ma la filosofia non può né deve sottomettersi a veruna autorità.
Epist. ad Archiep. Frising. Gravissimas, 11 dicembre 1862.
Epist. ad eundem Tuas libenter, 21 dicembre 1863.

11. La Chiesa non solamente non deve metter bocca giammai in filosofia, ma deve anzi tollerare gli errori della filosofia medesima e lasciare che da se stessa si corregga.
Epist. ad Archiep. Frising. Gravissimas, 11 dicembre 1882.

12. I decreti della Sede Apostolica e delle Romane Congregazioni impediscono il libero progresso della scienza.
Epist. ad Archiep. Frising. Tuas libenter, 21 dicembre 1863.

13. Il metodo e i principi coi quali gli antichi Dottori scolastici coltivarono la Teologia non corrispondono alle esigenze dei tempi nostri e al progresso delle scienze.
Epist. ad Archiep. Frising. Tuas libenter, 21 dicembre 1863.

14. La filosofia vuolsi trattare senza avere nessun riguardo alla rivelazione soprannaturale.
Epist. ad Archiep. Frising. Tuas libenter, 21 dicembre 1863.
N.B. Col sistema del razionalismo combinano in gran parte gli errori di Antonio Gunther condannati nella lettera al Card. Arcivescovo di Colonia: Eximiam tuam, del 15 giugno 1847, e nella lettera al Vescovo di Breslavia: Dolore haud mediocri 30 aprile 1860.

III.
INDIFFERENTISMO E LATITUDINARISMO.
15. Ogni uomo è libero di abbracciare e professare quella religione, che, col lume della ragione, reputi vera.
Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1831.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

16. Gli uomini nel culto di qualsiasi religione possono trovare la via dell'eterna salute e l'eterna salute conseguire.
Epist. Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846
Alloc. Ubi primum, 17 dicembre 1847.
Epist. Encicl. Singulari quidem, 17 marzo 1856.

17. Almeno si deve sperare bene dell'eterna salute di tutti quelli, che affatto non si trovano nella vera Chiesa di Cristo.
Alloc. Singulari quadam perfusi, 9 dicembre 1854.
Lett. Apost. Quanto conficiamur, 17 agosto 1863.

18. Il protestantesimo non è altro che una forma diversa della medesima vera religione cristiana, nella qual forma, del pari che nella Chiesa cattolica, è dato di piacere a Dio.
Epist. Encicl. Noscitis et Nobiscum, 8 dicembre 1849

IV.
SOCIALISMO, COMUNISMO, SOCIETÀ CLANDESTINE,
SOCIETÀ BIBLICHE, SOCIETÀ CLERICO-LIBERALI.
Tali pestilenze sono condannate più volte e con gravissime espressioni nella Lettera Enciclica Qui pluribus, 9 novembre 1846; nell'allocuzione Quibus quantisque, 20 aprile 1849; nella Lettera Enciclica Noscitis et Nobiscum, 8 dicembre 1849; nell'Allocuzione Singulari quadam, 9 dicembre 1854; nella Lettera Apostolica Quanto conficiamur, 17 agosto 1863.
V.
ERRORI SULLA CHIESA E I SUOI DIRITTI.
19. La Chiesa non è una vera e perfetta società completamente libera, né ha diritti suoi propri e permanenti a lei conferiti dal suo divino Fondatore; ma spetta alla civile potestà definire quali siano i diritti della Chiesa e i limiti dentro i quali possa esercitare i medesimi diritti.
Alloc. Singulari quadam perfusi, 9 dicembre 1834.
Alloc. Multis gravibusque, 17 dicembre 1860.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

20. L'ecclesiastica potestà non deve esercitare la propria autorità senza il permesso ed il consenso del civile governo.
Alloc. Meminit unusquisque, 30 settembre 1861.

21. La Chiesa non ha potestà di definire dogmaticamente che la religione della Chiesa cattolica è la sola ed unica vera religione.
Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.

22. L'obbligazione da cui sono assolutamente legati i maestri e gli scrittori cattolici, si restringe a quelle cose soltanto, che dall'infallibile giudizio della Chiesa vengono proposte a credersi da tutti come dogmi di fede.
Epist. ad Archiep. Frising. Tuas libenter, 21 dicembre 1863.

23. I Romani Pontefici e i Concili ecumenici oltrepassarono i limiti della loro potestà, usurparono i diritti dei principi, e sul definire eziandio le cose di fede ed i costumi errarono.
Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.

24. La Chiesa non ha potestà di usare la forza, ne alcuna potestà temporale diretta o indiretta.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

25. Oltre la potestà inerente all'episcopato, vi è altra temporale potestà, data dal civile governo o espressamente o tacitamente concessa, e quindi revocabile a talento del medesimo.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

26. La Chiesa non ha un ingenito e legittimo diritto di acquistare e di possedere.
Alloc. Numquam fore, 15 dicembre 1856.
Epist. Encicl. Incredibili, 17 settembre 1863.

27. I sacri ministri della Chiesa e lo stesso Romano Pontefice si debbono al tutto rimuovere da ogni cura e dominio delle cose temporali.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

28. Non è lecito ai Vescovi senza il permesso del governo promulgare neppure le stesse Lettere Apostoliche.
Alloc. Numquam fore, 15 dicembre 1856.

29. Le grazie concesse dal Romano Pontefice si debbono ritenere per nulle, se non furono implorate per organo del governo.
Alloc. Numquam fore, 15 dicembre 1856.

30. La immunità della Chiesa e delle persone ecclesiastiche trasse origine dal diritto civile.
Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.

31. I1 foro ecclesiastico per le cause temporali dei chierici, siano civili, siano criminali, si deve assolutamente sopprimere, anche non consultata e reclamante la Sede Apostolica.
Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852
Alloc. Numquam fore, 15 dicembre 1856.

32. Senza veruna violazione del diritto naturale e dell'equità si può abrogare l'immunità personale, con cui i chierici sono esonerati dal peso di subire e di esercitare la milizia. Simile abrogazione poi è domandata dal civile progresso massimamente in una società costituita a forma di più libero regime.
Epist. ad Episc. Montisregal. Singularis Nobisque, 29 settembre 1864.

33. All'ecclesiastica potestà di giurisdizione non appartiene esclusivamente per proprio ingenito diritto, dirigere l'insegnamento delle materie teologiche.
Epist. ad Archiep. Frising. Tuas libenter, 21 dicembre 1863.

34. La dottrina d coloro, che pareggiano il Romano Pontefice ad un Principe libero e operante nella Chiesa universale, è dottrina che prevalse nel medio evo.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

35. Nulla vieta, sia per sentenza di qualche Concilio generale, sia per fatto di tutti i popoli, che il Supremo Pontificato, dal Vescovo di Roma e da Roma stessa, si trasferisca ad altro Vescovo e ad altra città.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

36. La definizione del Concilio nazionale non ammette verun'altra disputa, e la civile amministrazione può esigere la cosa a questi termini.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

37. Possono istituirsi Chiese nazionali sottratte e al tutto divise dall'autorità del Romano Pontefice.
Alloc. Multis gravibusque, 17 dicembre 1860.
Alloc. Jamdudum cernimus, 1S marzo 1861.

38. I soverchi arbitrî dei Romani Pontefici produssero la divisione della Chiesa in orientale ed occidentale.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

VI.
ERRORI INTORNO ALLA SOCIETÀ CIVILE
CONSIDERATA IN SE STESSA
E NEI SUOI RAPPORTI CON LA CHIESA.
39. Lo Stato, come origine e fonte di tutti i diritti, gode di un diritto tale che non ammette confini.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

40. La dottrina della Chiesa cattolica è avversa al bene e ai vantaggi dell'umana società.
Epist. Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.
Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849.

41. Alla civile potestà, sebbene esercitata da un sovrano infedele, compete un potere indiretto negativo riguardo alle cose sacre; quindi le spetta non solo il diritto noto col nome di exequatur, ma altresì il diritto d'appellazione, che chiamano ab abusu.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

42. Nel conflitto fra le leggi delle due potestà prevale il diritto civile.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

43. Il potere laicale ha autorità di rescindere, interpretare e annullare le solenni convenzioni, ossia concordati, intorno all'uso dei diritti spettanti all'ecclesiastica immunità stipulata con la Sede Apostolica, e non solo senza il consenso di questa, ma non ostante eziandio le sue proteste.
Alloc. In Concistoriali, 1 novembre 1850.
Alloc. Multis gravibusque, 17 dicembre 1860.

44. L'autorità civile può immischiarsi delle cose concernenti la religione, i costumi e il regime spirituale. Quindi può giudicare delle istruzioni che i Pastori della Chiesa pubblicano per loro uffizio a regola delle coscienze; ed anzi può decretare sopra l'amministrazione dei Santi Sacramenti, e sopra le disposizioni necessarie a riceverli.
Alloc. In Concistoriali, 1 novembre 1850.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

45. Tutto il regime delle pubbliche scuole, in cui si istruisce la gioventù di qualsiasi Stato cristiano (eccettuati solamente per certi motivi i Seminari vescovili) può e deve essere affidato alla civile autorità; e per siffatta guisa affidato, che non si riconosca verun diritto di altra qualunque autorità di immischiarsi nella disciplina delle scuole, nel regolamento degli studi, nel conferimento dei gradi, nella scelta ed approvazione dei maestri.
Alloc. In Concistoriali, 1 novembre 1850.
Alloc. Quibus virtuosissimis, 5 settembre 1851.

46. Anzi negli stessi Seminari dei chierici il metodo da seguirsi negli studi si assoggetta alla civile autorità.
Alloc. Numquam fore, 15 dicembre 1856.

47. L'ottimo andamento della società civile richiede che le scuole popolari, aperte ai fanciulli di qualunque classe del popolo, e in generale tutti i pubblici Istituti destinati all'insegnamento delle lettere e delle discipline più gravi, non che a procurare l'educazione della gioventù, siano sottratte da ogni autorità dall'influenza moderatrice o dall'ingerenza della Chiesa, e vengano assoggettate al pieno arbitrio dell'autorità civile e politica, a piacimento dei sovrani e a seconda delle comuni opinioni del tempo.
Epist. ad Archiep. Friburg. Quum non sine, 14 luglio 1864.

48. Ai cattolici può essere accetto quel sistema di educare la gioventù, il quale sia separato dalla fede cattolica e dalla podestà della Chiesa, e che riguardi soltanto la scienza delle cose naturali e i soli confini della terrena vita sociale, o almeno se li proponga per iscopo principale.
Epist. ad Archiep. Friburg. Quum non sine, 14 luglio 1864.

49. La civile autorità può impedire che i Vescovi e i popoli fedeli abbiano libera e reciproca comunicazione col Romano Pontefice.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

50. L'autorità laica ha per se stessa il diritto di presentare i Vescovi, e può da essi esigere che assumano l'amministrazione delle Diocesi prima di ricevere dalla Santa Sede l'istituzione canonica e le Lettere Apostoliche.
Alloc. Numquam fore, 15 dicembre 1856.

51. Anzi il governo laico ha diritto di deporre i Vescovi dall'esercizio del pastorale ministero, e non è tenuto ad obbedire il Romano Pontefice nelle cose concernenti l'Episcopato e l'istituzione dei Vescovi.
Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.
Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852,

52. I1 governo può di suo diritto commutare l'età stabilita dalla Chiesa per la professione religiosa degli uomini e delle donne, e può intimare a tutte le religiose famiglie di non ammettere veruno senza il di lui permesso alla solenne professione dei voti.
Alloc. Numquam fore, 15 dicembre 1856.

53. Debbonsi abrogare le leggi spettanti alla sicurezza dello stato delle famiglie religiose, non che ai loro diritti e doveri; anzi il governo civile può prestar mano a tutti quelli che volessero abbandonare l'intrapresa vita religiosa, e infrangere i voti solenni; può eziandio sopprimere le stesse religiose famiglie del pari che le Chiese collegiate e i benefizi semplici, anche di giuspatronato, e i loro beni o redditi sottoporre ed assegnare all'amministrazione e all'arbitrio della civile potestà.
Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.
Alloc. Probe memineritis, 22 gennaio 1855.
Alloc. Cum sæpe, 26 luglio 1855.

54. I Re e i Principi non solo sono esenti dalla giurisdizione della Chiesa, ma di più, nello sciogliere le questioni di giurisdizione sono superiori alla Chiesa.
Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1551.

55. Si deve separare la Chiesa dallo Stato, e lo Stato dalla Chiesa.
Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.

VII.
ERRORI INTORNO ALL'ETICA
NATURALE E CRISTIANA.
56. Le leggi dei costumi non abbisognano di sanzione divina, né punto è mestieri che le leggi umane si conformino al diritto di natura, e ricevano da Dio la forza obbligatoria.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

57. La scienza delle materie filosofiche, e dei costumi, del pari che le leggi civili, possono e debbono declinare dalla divina ed ecclesiastica autorità.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

58. Altre forze non debbonsi ammettere fuori di quelle, che sono riposte nella materia, ed ogni regola ed onestà dei costumi collocar si deve nell'accumulare e nell'accrescere per qualsiasi materia le ricchezze, nonché nel contentare la voluttà.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.
Lett. Apost. Q&uanto conficiamur, 17 agosto 1863.

59. Il diritto consiste nel fatto materiale; tutti i doveri degli uomini sono un vuoto nome e tutti i fatti umani hanno forza di diritto.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1882.

60. L'autorità non è altro se non la somma del numero e delle forze materiali.
Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

61. La fortuita ingiustizia di un fatto non reca verun detrimento alla santità del diritto.
Alloc. Jamdudum cernimus, 18 marzo 1861.

62. Devesi proclamare ed osservare il principio denominato del "Non intervento".
Alloc. Novos et ante, 28 settembre 1860.

63. È lecito negare obbedienza ai legittimi Principi, anzi ribellarsi a loro.
Epist. Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846.
Alloc. Q&uisque Vestrum, 4 ottobre 1847.
Epist. Encicl. Noscitis et Nobiscum, 8 dicembre 1849.
Lett. Apost. Cum catholica, 26 marzo 1847.

64. Tanto la violazione di qualsiasi santissimo giuramento, quanto qualunque scellerata e criminosa azione ripugnante alla legge eterna, non solamente non è da condannare, ma sibbene torna lecita del tutto, e degna di essere celebrata con comune lode, quando ciò si faccia per l'amore della patria.
Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849.

VIII.
ERRORI CIRCA IL MATRIMONIO CRISTIANO.
65. In verun modo si può sostenere che Cristo abbia sollevato il Matrimonio alla dignità di Sacramento.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

66. Il Sacramento del Matrimonio non è se non un che d'accessorio al contratto e da esso separabile, e il Sacramento medesimo è riposto nella sola benedizione nuziale.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

67. Per diritto di natura il vincolo del Matrimonio non è indissolubile, e in vari casi il divorzio, propriamente detto, può essere sancito dalla civile autorità.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.
Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.

68. La Chiesa non ha potestà di stabilire impedimenti dirimenti del Matrimonio, ma tale potestà spetta all'autorità civile, per mezzo della quale si hanno da rimuovere gli impedimenti esistenti.
Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.

69. La Chiesa cominciò a creare gli impedimenti dirimenti nei secoli di mezzo, non per diritto proprio, ma usando di quel diritto che aveva ricevuto dal potere civile.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

70. I Canoni Tridentini, fulminanti la scomunica a coloro che osano negare alla Chiesa la facoltà di stabilire gli impedimenti dirimenti, o non sono canoni dogmatici, o si debbono intendere nel senso di questa sola ricevuta potestà.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

71. La forma del Tridentino non obbliga sotto pena di annullamento, quando la legge civile prescriva un'altra forma e voglia, con l'intervento di questa nuova forma, render valido il Matrimonio.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

72. Bonifazio VIII fu il primo ad asserire che il voto di castità emesso nell'Ordinazione rende nulle le nozze.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

73. In virtù del semplice contratto civile può sussistere fra cristiani un vero Matrimonio; ed è falso che o il contratto di Matrimonio fra cristiani sia sempre Sacramento, o che nullo sia il contratto, se il Sacramento si escluda.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.
Lettera di S. S. Pio Pp. IX al Re di Sardegna, 9 settembre 1852.
Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.
Alloc. Multis gravibusque, 17 dicembre 1860.

74. Le cause matrimoniali o degli sponsali spettano di loro natura al foro civile.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.
Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.
N.B. Qui possono richiamarsi due altri errori intorno all'abolizione del celibato clericale, e alla preferenza dello stato di Matrimonio sopra lo stato di verginità. Il primo fu condannato nella Lettera Enciclica Qui pluribus, 9 novembre 1846, e il secondo nella Lettera Apostolica Multiplices inter, 10 giugno 1851.

IX.
ERRORI INTORNO AL PRINCIPATO CIVILE
DEL ROMANO PONTEFICE.
75. Sulla compatibilità del regno temporale con lo spirituale disputano fra di loro i figli della cristiana e cattolica Chiesa.
Lett. Apost. Ad Apostolicæ, 22 agosto 1851.

76. L'annullamento del principato civile che possiede la Sede Apostolica gioverebbe assaissimo alla libertà e felicità della Chiesa.
Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849.
N.B. Oltre questi errori espressamente notati, altri moltissimi implicitamente se ne condannano nella proposta e difesa dottrina, che tutti i Cattolici debbono fermissimamente ritenere intorno al civile principato del Romano Pontefice. Tale dottrina è splendidamente sviluppata nell'Allocuzione Quibus quantisque, 20 aprile 1849; nell'Allocuzione Si semper antea, 20 maggio 1850; nella Lettera Apostolica Cum Catholica Ecclesia, 26 marzo 1S60; nell'Allocuzione Jamdudum, 18 marzo 1861; nell'Allocuzione Maxima Quidem, 9 giugno 1862.

X.
ERRORI RIGUARDANTI
IL LIBERALISMO ODIERNO.
77. Ai tempi nostri non giova più tenere la religione cattolica per unica religione dello Stato, escluso qualunque sia altro culto.
Alloc. Nemo vestrum, 26 luglio 1855.

78. Quindi lodevolmente in parecchie regioni cattoliche fu stabilito per legge, esser lecito a tutti gli uomini ivi convenuti il pubblico esercizio del proprio qualsiasi culto.
Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1552.

79. Infatti è falso che la civile libertà di qualsiasi culto o la piena potestà a tutti indistintamente concessa di manifestare in pubblico e all'aperto qualunque pensiero ed opinione influisca più facilmente a corrompere i costumi e gli animi dei popoli e a propagare la peste dell'indifferentismo.
Alloc. Numquam fore, 15 dicembre 1856.

80. Il Romano Pontefice può e deve col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà venire a patti e conciliazione.
Alloc. Jamdudum cernimus, 18 marzo 1861.

lunedì 18 novembre 2013

gauleiter e gregari



 
ECCO COME SI STA AFFONDANDO IL PROMETTENTE ORDINE DEI FRANCESCANI DELL'IMMACOLATA
 
Dopo le ingiustizie subite dal ramo maschile, padre Fidenzio Volpi sta tentando di estendere la sua competenza anche alle Francescane dell'Immacolata
di Luisella Scrosati
Fa sempre un po' pena dover scrivere certe cose, ma mi sembra importante per aiutare i lettori a capire meglio alcune dinamiche "troppo umane".
Il 29 settembre, il sito mediatrice.net, diretto da padre Alfonso Bruno, nuovo Segretario generale dei Francescani dell'Immacolata all'epoca del commissario Fidenzio Volpi, riporta un intervento dal titolo "Corsi e ricorsi storici: dalla violenza verbale alla violenza fisica", che si snoda a mostrare come spesso la violenza verbale delle ideologie, in particolare negli anni Settanta, che videro l'esplodere del terrorismo, si sia poi tradotta in azioni violente. Considerazioni interessanti e condivisibili, senonché ad un certo punto si trova scritto: "Oggi, le tendenze ideologiche più radicali sono state sostituite da quelle identitarie, altrettanto – se non più ancora – estreme. C'è l'identitarismo razziale...; c'è però – soprattutto – l'identitarismo religioso. Qui, si è portati a pensare ai Musulmani: ci sono indubbiamente gli islamisti fanatici, ma in fatto di fanatismo non scherzano nemmeno certi estremisti cattolici". E si prosegue tratteggiando l'identikit di tali "estremisti": fanatici vandeani, desiderosi di bruciare gli eretici, e pronti a breve a passare alla violenza; "per adesso, il loro rogo è ancora subliminale, e riguarda le idee, ma – continuando su questa strada – si passerà prima o poi alle vie di fatto. Lo slogan e l'insulto hanno soppiantato, sugli attuali mezzi di comunicazione ogni ragionamento".
Non sono particolarmente perspicace, ma riesco ugualmente a capire che per l'autore dell'articolo, postato su un sito dedicato alla Madonna, questi "fanatici cattolici" siano quelli che in questi giorni si stanno opponendo all'interpretazione "alfonsiana" dei fatti (Bertocchi, Agnoli, Siccardi, svariati laici della M.I.M... tutti generosamente finiti dentro la categoria indistinta dei "tradizionalisti", che è come dire "fascisti" in politica). Oppure stanno parlando di se stessi?
In effetti, chi sovrabbonda di slogan ed insulti? A ben vedere, in un altro articolo che si trova sullo stesso sito (I detrattori replicanti, del 26/09), riportato anche sul profilo Facebook dei Francescani dell'Immacolata, si trova un florilegio di fantasiosi insulti. I "tradizionalisti" (anche qui un termine generico con cui si racchiudono posizioni ben diverse tra loro) sono considerati "piccoli esseri maligni", "giornalisti mancati, cui la fatidica rete offre l'occasione per vendicarsi delle loro frustrazioni professionali", "esemplari della fauna"... Il primo di questi è, secondo il catalogo dei reprobi, Lorenzo Bertocchi, reo di "aver fatto di conto" sul sito Libertà e persona (un conto che ha convinto, sia detto tra parentesi, svariate persone), e di aver dimostrato che i dati proposti da padre Bruno sui frati favorevoli al commissariamento sono manipolati. Di lui si dice: "In prima fila, fa spicco per il suo acume (si fa per dire) tale Lorenzo Bertocchi, che si presenta quale studioso di Scienze Agrarie: disciplina per definizione non certo arida, ma dal momento che "la terra è troppo bassa" e costringe dunque il coltivatore a chinarsi – come solgono giustificarsi quanti abbandonano la zappa e il badile per dedicarsi al lavoro intellettuale – ecco l'insigne agrarista scegliere il suo "violon d'Ingres" ed invadere il terreno (è il caso di dirlo) delle scienze religiose".
Chi conosce Lorenzo Bertocchi, sa non solo che, oltre alla laurea in scienze agrarie, possiede anche diplomi ottenuti presso Università pontificie e che collabora con quotidiani e riviste di prestigio (cattoliche e laiche), ma sa altresì molto bene che è persona di grande equilibrio e moderazione. A lui bisognerebbe rispondere, come a tutti, non solo con garbo, ma soprattutto nel merito: ha ragione Bertocchi quando sostiene che accorpare in un'unica percentuale i Frati francescani dell'Immacolata favorevoli ad un Capitolo straordinario (cioè ad una risoluzione comunque interna alla congregazione) con quelli invece favorevoli al commissariamento (cioè ad un intervento, pesante, dall'esterno) sia una manipolazione? Ha ragione o torto quando chiede, dal momento che si è a lungo dibattuto sui numeri, proprio per giustificare il commissariamento, che sarebbe opportuno darli, questi numeri, in modo onesto, indicando con precisione quanti Frati hanno espresso esplicitamente il loro parere favorevole al commissariamento?
Invece sembra che l'insulto sia l'unica strada percorribile, saltando del tutto il punto in questione. Si arriva addirittura a scrivere: "L'asserzione del Bertocchi si riferisce al fatto che il Visitatore Apostolico, la cui indagine è stata alla base del successivo commissariamento, ha svolto una indagine conoscitiva tra i religiosi. Qui non entriamo nel merito dei risultati, che i nostri lettori possono trovare in dettaglio sul sito degli stessi Francescani dell'Immacolata...". Come? Tutto il pezzo di Bertocchi mette in discussione i numeri dati da padre Bruno sul sito dei Francescani e rilanciati presso varie agenzie, e qui gli si risponde che non si vuole entrare nel "merito dei risultati" numerici? C'è dunque qualcosa da nascondere, dietro gli insulti?
Poi è il momento della dott.sa Cristina Siccardi, non prima di aver regalato l'ultimo complimento a Bertocchi: "Uscito ingloriosamente di scena il Bertocchi, subissato dai fischi e dai lanci di ortaggi degli spettatori, occupa il proscenio una autentica primadonna, la Dottoressa Cristina Siccardi, che sta al giornalismo tradizionalista come la grande Eleonora Duse stava ai drammi di Gabriele D'Annunzio".
Nell'articolo c'è spazio anche per il direttore de La Nuova Bussola, come parte di un' "idra dalle molte teste": "Padre Bruno ha inviato una dettagliata smentita dell'articolo di Agnoli, indirizzata al Direttore de "La Nuova Bussola", Riccardo Cascioli, invocando, a norma delle Leggi sulla Stampa, il proprio diritto alla rettifica. Il Dottor Cascioli ha risposto penosamente, menando il can per l'aia...". Il giorno dopo, invece, il direttore Cascioli pubblicava la smentita di padre Bruno, all'articolo di Agnoli. Smentita, per il vero, curiosa: mentre Agnoli fondava la sua testimonianza sull'opposizione calunniosa di padre Bruno alla marcia per la vita, padre Bruno risponde... al dossier pubblicato su Libertà e persona, senza dire neppure una parola sulla marcia stessa. Chi mena il can per l'aia?
Lascio ai lettori, infine, il diletto di leggere il resto delle nobili considerazioni, riportate in questi articoli. Fa certamente male, però, vedere che nel sito e nel profilo Facebook ufficiale dei Frati si ritrovino tanti insulti, astiosi e poco ragionevoli. Si fa fatica a capire come possano essere proprio i personaggi che usano in un modo così offensivo il nome dell'intero ordine, dopo aver escluso dalla possibilità di postare alcunché non solo i fondatori, ma tutti gli altri Frati considerati "dissidenti", a condurre l'istituto alla tanto auspicata pacificazione.
Perché vede, caro direttore, nella mia esperienza certamente limitata, mi sono fatta un'idea di quello che sta accadendo all'interno dei Frati. Quando accompagnavo gruppi di ragazzi in montagna, accadeva spesso che si finiva per litigare, perché non riuscivo quasi mai a tenere insieme tutti: c'erano i più veloci e i più lenti, i più intraprendenti e i pusillanimi, gli entusiasti e gli annoiati. E questi finivano immancabilmente, nonostante le raccomandazioni a rispettare tutti, per dirsele di santa ragione, e di ragione ognuno ne aveva almeno un po'... E' accaduto più o meno così: tu sei un "cripto-lefebvriano"! E tu sei un "modernista!". Tu celebri una Messa mediocre... E tu quella contro lo spirito del Concilio!
Quando a casa cominciavamo a "farci i complimenti" tra sorelle, mia mamma – che non è laureata in teologia, anzi non è proprio laureata affatto, ma ha del buon senso – chiudeva la porta della camera, fino a che non avevamo finito di dircele (e ogni tanto di darcele). Ma nel caso dei Francescani dell'Immacolata, anziché chiudersi tutti nella "stanza" del Capitolo generale, qualcuno (secondo i miei calcoli non più di dieci Frati, ma sarò forse smentita dalla pubblicazione dei dati effettivi e ben distinti, come richiesto da Bertocchi...) ha preso la palla al balzo ed ha incominciato a creare un "caso" tale da richiedere l'immediato intervento della Santa Sede, presentando un'unica versione dei fatti.
Appurato dunque chi sia ad usare realmente violenza verbale, mi domando se per caso non accada che questi personaggi passino anche ai fatti.
In effetti, a ben vedere le ultime decisione di governo, sembrerebbe che l'epurazione, tipica dell'ideologia, sia già iniziata.
A partire da P. Stefano Manelli, fondatore della Congregazione, è stato applicato il canone 1337 del Codice di Diritto Canonico: una pena espiatoria che lo confina nella diocesi di Cassino (viene da pensare a padre Pio, maestro di padre Stefano: anche lui fu accusato da vari confratelli e perseguitato dalle gerarchie ecclesiastiche, ma difeso da molti laici coraggiosi e devoti).
E tanti altri spostamenti...
Concludo ricordando un pensiero del compianto Cardinal Tomas Spidlik. Durante gli Esercizi spirituali predicati a Giovanni Paolo II e alla Curia romana, spiegò la differenza tra un povero contadino ubriacone ed un prete con lo stesso vizio. Il contadino, dopo aver bevuto, si recava a confessarsi, dicendo: "Padre, ho peccato. Mi piace il vino ed esagero, sono un poveraccio". Il sacerdote invece cominciava a spiegare durante la predica che perfino San Paolo afferma di prendere vino, la Regola di San Benedetto lo raccomanda e chi non beve lautamente non sa godere delle cose buone che Dio ci ha dato. Chi ha orecchi per intendere, intenda.

tratto dal sito: http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=2991