sabato 24 aprile 2010

dopo tanti equilibrismi un po' di equilibrio (finalmente)

Pubblichiamo questo articolo di Rodari che fa finalmente chiarezza su una questione che sta facendo soffrire molti per lo scandalo che sta suscitando e che prima di tutto ha già provocato un funestissimo danno spirituale in molte anime a cominciare da quelle delle vittime: per questo bisogna molto pregare e come ci ha esortato il Papa fare penitenza. Nel mistero della Comunione dei Santi la penitenza anche per i peccati altrui per un cristiano è possibile e doverosa.

Siccome il diavolo non fa i coperchi, la pentola è scoperchiata. Ad aprirla è stato il cardinale Darío Castrillón Hoyos, conservatore, capo del clero sotto Giovanni Paolo II. Dopo aver subìto una dura reprimenda pubblica da parte del portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, il cardinale non si è tirato indietro e ai microfoni della Cnn ha detto quello che molti in Vaticano pensano in silenzio: la chiesa non ha niente da rimproverarsi per come ha trattato, con discrezione e riservatezza, i casi di pedofilia tra i preti. Altro che rimorso.

La tesi di Castrillón è diametralmente opposta a quella sostenuta due settimane fa dall’arcivescovo di Vienna, il cardinale Christoph Schönborn, e non collima di certo con la sostanza della lettera pastorale del Papa al clero irlandese. Per Schönborn nella curia romana ai tempi di Wojtyla c’era chi lavorava per coprire i casi riguardanti preti accusati di pedofilia, tra questi quello del suo predecessore Hans Hermann Groër. Per Castrillón nessuno insabbiava. La prassi era quella di trattare ogni caso con discrezione, il più possibile al riparo dai media.

Dice al Foglio un presule che negli ultimi anni di pontificato di Wojtyla ha avuto un ruolo di responsabilità nella curia romana: “Ha ragione Castrillón. Tutti in curia erano convinti, e secondo me lo sono ancora, che la discrezione sia l’arma migliore per affrontare casi delicati. La giustizia della chiesa si muove su un altro livello rispetto alla giustizia ordinaria. E non sempre i due livelli possono combaciare. Anzi, in certi casi, è opportuno lasciarli distinti, anche per il bene delle vittime. I giornali vorrebbero imporre una ‘totale trasparenza’. Vorrebbero obbligare la chiesa a denunciare alle pubbliche autorità ogni reato i suoi preti commettano. E’ una richiesta subdola. Perché presuppone senza provarlo che fino a oggi la chiesa abbia lavorato per occultare chissà che cosa. Ed è ingannevole perché afferma che soltanto la denuncia alle autorità civili sia la strada legittima tramite la quale la chiesa può trattare questi casi. Si dimentica che la chiesa ha verso i suoi preti una paternità spirituale che nessun tribunale può offrire. Certo, se un tribunale decide di indagare su di un prete nessuno nella chiesa lo ostacolerà. Ma obbligare la chiesa a denunciare i suoi sacerdoti ai tribunali non ha senso. E’ un diritto umano (e non ecclesiastico) che un padre decida di non consegnare un suo figlio all’autorità civile nel momento in cui una terza persona muove un’accusa contro di lui. E’ un diritto che soltanto un rozzo furore giustizialista non riesce ad accettare. La chiesa tratta questi casi con criteri diversi da quelli del mondo e sa che esistono la pietà e la misericordia. Che tra un crimine e una debolezza umana c’è un’enorme differenza. E che esistono il pentimento e il proposito di non peccare più. E che, ancora, esiste il processo canonico le cui pene, se il delitto è accertato, sono per la chiesa ben più importanti degli anni di prigione che un tribunale civile può sentenziare nei confronti di un colpevole”.

Ma Ratzinger nel 2003, all’interno delle linee applicative del Motu proprio “Sacramentorum sanctitatis tutela” pubblicato nel 2001, nel quale avocava alla Dottrina della fede la competenza di tutti i casi di abusi su minori commessi da preti, non aveva scritto che “va sempre dato seguito alle disposizioni della legge civile per quanto riguarda il deferimento di crimini alle autorità preposte?”. Risponde il presule: “Certo. Ma un conto è chiedere che si seguano le leggi. Un altro è obbligare i vescovi a denunciare. Questo obbligo non c’è in moltissime leggi civili. Né Benedetto XVI ne ha mai parlato”.

Darío Castrillón Hoyos non è un cardinale qualunque. Ha guidato il clero per otto anni. Per nove è stato a capo dell’Ecclesia Dei mediando con i lefebvriani per un finale rientro nella comunione con Roma. Oggi è un porporato ancora molto attivo: gira il mondo a celebrare messe col rito antico suscitando, anche nella chiesa, sentimenti opposti. Domani, ad esempio, avrebbe dovuto essere al Santuario Nazionale dell’Immacolata Concezione di Washington per celebrare una messa antica. Ma le recenti sue dichiarazioni sulla pedofilia nel clero hanno provocato le proteste di un gruppo di vittime di abusi sessuali da parte di preti e così ha dovuto declinare. Prima del 2001 era Castrillón che fungeva da punto di riferimento per i vescovi che nelle proprie diocesi avevano a che fare con casi di pedofilia del clero. E oggi è lui a sollevare un tema divenuto, nelle ultime settimane, tabù.

Tutto comincia pochi giorni fa. Il sito cattolico-progressista francese Golias pubblica la fotocopia di una lettera scritta l’8 settembre 2001 da Castrillón. La lettera è indirizzata al vescovo francese Pierre Pican, oggi a riposo, il quale è stato poco tempo prima condannato a tre mesi con la condizionale per aver rifiutato di denunciare alle autorità civili un suo sacerdote, René Bissey, condannato nell’ottobre del 2000 per abusi sessuali su minori compiuti tra il 1989 e il 1996. Castrillón si congratula con il vescovo francese e gli scrive: “Lei ha agito bene, mi rallegro di avere un confratello nell’episcopato che, agli occhi della storia e di tutti gli altri vescovi del mondo, ha preferito la prigione piuttosto che denunciare un prete della sua diocesi”. Castrillón ricorda che anche san Paolo fu messo in catene. E comunica che la Congregazione del clero “per incoraggiare i fratelli nell’episcopato in una materia così delicata, trasmetterà copia di questa missiva a tutti i vescovi”.

Grazie a Castrillón, Pican viene indicato come esempio per tutti. Pican, il vescovo che non denunciò alle autorità civili un prete accusato di aver abusato di minorenni, viene lodato da uno dei principali collaboratori di Wojtyla. E viene lodato tramite l’invio di una lettera a tutti i vescovi e, dunque, con il placet di Giovanni Paolo II. Il 15 aprile scorso, alla lettera inviata da Castrillón a Pican e pubblicata dal sito Golias, risponde padre Federico Lombardi. In un comunicato sconfessa l’operato di Castrillón: “Questo documento è una riprova di quanto fosse opportuna l’unificazione della trattazione dei casi di abusi sessuali di minori da parte di membri del clero sotto la competenza della Congregazione per la dottrina della fede, per garantirne una conduzione rigorosa e coerente, come avvenne infatti con i documenti approvati dal Papa nel 2001”. Ma Castrillón reagisce. E poche ore dopo ai microfoni della Cnn rivendica la giustezza del proprio agire. E insieme porta alla luce un tema che in queste settimane nessuno nella chiesa osa toccare: la trasparenza come il mondo la intende non fa parte del dna della chiesa. Questa non vuole nascondere nulla. Ma nello stesso non dimentica che l’uomo è peccatore. E che il peccato si combatte in modi diversi.

Dice Castrillón: “Se un vescovo sposta un prete responsabile di abusi su minori da una parrocchia a un’altra, non significa che lo sta coprendo ma semmai che gli sta comminando una giusta punizione”. E, pur rilevando che se il prete è colpevole di abusi occorre procedere immediatamente col processo canonico e la sospensione da ogni incarico, spiega: “Quando una persona commette un errore, che molte volte è stato un errore minimo, e questa persona viene accusata e confessa il suo delitto, il vescovo la punisce secondo quanto può fare per il diritto, la sospende o la manda in un’altra parrocchia. Questo significa punirla, non significa che la si vuole lasciare impunita. Questa non è copertura, ma è rispettare la legge, come fa la società civile, come fanno medici e avvocati, che non perdono per sempre il diritto di esercitare la propria professione”.

Benny Lai scrive di cose vaticane dai tempi di Pio XII. Dice: “I vescovi hanno sempre trattato i preti come dei loro figli. Il loro atteggiamento è sempre stato paterno, di correzione ma anche di comprensione e per questo motivo guardano ancora oggi con un certo sospetto la chiamata alla trasparenza totale fatta dai giornali e dall’intellighenzia laica del mondo. Il loro è un rapporto filiale e non giustizialista verso i sacerdoti. Se necessario puniscono i propri preti, li sospendono o nei casi più gravi tolgono loro l’abito, ma senza mai dimenticarsi di aver pietà di loro e dei loro errori. Sanno, insomma, che il peccato è di ogni uomo e diffidano di quelli che, pur criticando quotidianamente la chiesa, la vogliono immacolata esigendo che siano dei tribunali civili a certificarne il grado. Certo, se un prete ha davvero commesso abusi su minori deve essere punito dalla chiesa come anche dall’autorità civile. Ma ciò non cambia la sostanza: la trasparenza non è il modo con cui la chiesa agisce”.

Gabriella Sartori, storica, biblista, già vicepresidente del Movimento per la Vita del Friuli Venezia Giulia, sorride quando le si parla delle richieste di maggiore trasparenza fatte in questi giorni alla chiesa. Dice: “Sento in continuazione personalità del mondo laico chiedere alla chiesa di fare pulizia, di essere più trasparente. Non credo che la chiesa possa prendere lezioni da questa gente che mentre non fa nulla per tutelare i minori decide di stracciarsi le vesti contro la chiesa”. Tonino Cantelmi è presidente dell’Associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici (Aippc) e insegna psicopatologia presso la Pontificia università gregoriana. Racconta: “Quando si chiede più trasparenza si chiede una cosa giusta, sebbene nessuno nella chiesa intenda nascondere nulla. Però occorre sapere bene di cosa si parla. I casi di pedofilia nel clero sono pochissimi. La maggior parte degli abusi sono casi di efebofilia e cioè riguardano minori post puberali. La pedofilia è l’attrazione verso bambini pre puberali. Questa si divide in due tipologie. Quella segnata da profondi sensi di colpa. In questi casi il soggetto rivolge le sue attenzioni, spesso soltanto a livello di fantasia, verso gli adolescenti e una corretta terapia può portare dei risultati nel tempo. L’altra è la pedofilia antisociale, priva di sensi di colpa, caratterizzata da un narcisismo maligno. Questo secondo tipo di pedofilia ritengo non possa essere curato. Per questo secondo tipo di patologia occorre puntare al contenimento sociale. E così la chiesa ha sempre cercato di agire. Tra l’altro, in tutta Italia ci sono centri dove queste persone, se davvero hanno problemi, vengono curate”.

Una cosa è la malattia. Un’altra è il peccato. Quest’ultimo la chiesa l’ha “gestito” sempre in forma comunionale. Coi suoi metodi e i suoi mezzi. Perché ogni situazione è diversa dall’altra. E anche perché, per lei, il peccato è una cosa seria. Dice Giorgio Carbone, domenicano, docente di Bioetica e teologia morale presso la facoltà di Teologia di Bologna: “Esiste il sacramento della riconciliazione, volgarmente chiamato confessione. Il sacramento prende il nome dall’azione che Dio compie. Il penitente si confessa e si pente. Dio, invece, riconcilia. Ovvero risana, guarisce. E’ una ‘terapia’ che nessun tribunale civile può dare”. Una terapia sulla quale la chiesa ha sempre imposto il segreto. Perché? “Confessarsi è già di per sé una penitenza. E’ un sacrificio. Il segreto è stato imposto per non rendere ulteriormente odioso questo sacramento. Il confessore non può dire nulla, assolutamente nulla, di quanto viene a sapere nel confessionale. Nemmeno può svelare particolari irrilevanti e che nulla hanno a che fare con i peccati confessati se questi particolari vengono esposti durante il sacramento. E nessun giornale, nessun giudice, potrà esigere la violazione di questo segreto. La pena, del resto, è terribile: per il confessore scatta la scomunica latae sententiae. Nella chiesa Dio agisce. E il mondo non accetta, o probabilmente non capisce, questa azione”.

In fin dei conti questo sembra volere il mondo quando esige una chiesa luogo dell’assoluta trasparenza: il tribunale civile al posto del confessionale. La sentenza al posto della remissione dei peccati. La condanna al posto della penitenza e del perdono. Fu Joseph Ratzinger a scrivere in proposito una pagina memorabile nel 1990. Tenne una conferenza intitolata “Una chiesa sempre riformanda”. Un capitolo lo dedicò alla morale, al perdono e all’espiazione: categorie spesso non comprese dal mondo, non accettate. Categorie che invece Ratzinger ha indicate come l’unico vero centro di effettiva riforma della chiesa: la chiesa che si rigenera grazie alla misericordia e al perdono concessi a chi sbaglia. Nessuna trasparenza. Nessuna democraticità. Solo l’azione di Dio che dall’alto rifà la sua chiesa rigenerandola quando questa si riconosce peccatrice.

“Penitenza”, non a caso, è una parola spesso ripetuta da Benedetto XVI in questi giorni difficili. Disse Ratzinger nel 1990: “Là dove il perdono, il vero perdono pieno di efficacia, non viene riconosciuto o non vi si crede, la morale deve venir tratteggiata in modo tale che le condizioni del peccare per il singolo uomo non possano mai propriamente verificarsi. A grandi linee si può dire che l’odierna discussione morale tende a liberare gli uomini dalla colpa, facendo sì che non subentrino mai le condizioni della sua possibilità. Viene in mente la mordace frase di Pascal: ‘Ecce patres, qui tollunt peccata mundi!’. Ecco i padri, che tolgono i peccati del mondo. Secondo questi ‘moralisti’, non c’è semplicemente più alcuna colpa. Naturalmente, tuttavia, questa maniera di liberare il mondo dalla colpa è troppo a buon mercato. Dentro di loro, gli uomini così liberati sanno assai bene che tutto questo non è vero, che il peccato c’è, che essi stessi sono peccatori e che deve pur esserci una maniera effettiva di superare il peccato. Anche Gesù stesso non chiama infatti coloro che si sono già liberati da sé e che perciò, come essi ritengono, non hanno bisogno di lui, ma chiama invece coloro che si sanno peccatori e che perciò hanno bisogno di lui. La morale conserva la sua serietà solamente se c’è il perdono, un perdono reale, efficace; altrimenti essa ricade nel puro e vuoto condizionale. Ma il vero perdono c’è solo se c’è il ‘prezzo d’acquisto’, l’‘equivalente nello scambio’, se la colpa è stata espiata, se esiste l’espiazione. La circolarità che esiste tra ‘morale – perdono – espiazione’ non può essere spezzata; se manca un elemento cade anche tutto il resto”. Morale, perdono, espiazione: tre fasi per rinascere davanti a Dio e lontano dagli occhi del mondo. E’ questa la giustizia della chiesa.

di Paolo Rodari

pubblicato sul Foglio di venerdì 23 aprile 2010

giovedì 22 aprile 2010

Michael Davies: cambiare il rito per cambiare la fede (9)

Da tempo, guidati da Michael Davies e dalla sua opera “La riforma liturgica anglicana”, stiamo considerando come siano pericolosissime tutte quelle operazioni che, volendo semplificare la Messa Cattolica, di fatto la trasformano in qualcosa di diverso: la cena protestante non è più la vera Messa. Questo è avvenuto nella riforma anglicana attraverso una serie di omissioni pericolose.
Ma è giunto il momento di considerare come “toccare la Messa” voglia dire “toccare il Sacerdozio”. Sacrificio della Messa e Sacerdozio cattolico sono intimamente uniti. Alla protestantizzazione della Messa corrisponde la protestantizzazione del sacerdozio: non pìù il prete cattolico che ha come scopo principale l'offrire il Santo Sacrificio della Messa, ma il pastore protestante, ministro designato per predicare e dirigere il culto.
La protestantizzazione invadente della Chiesa ha toccato ormai a livello popolare anche le nostre parrocchie. Provate a chiedere alla gente chi è il prete, quale è il suo compito, e dovrete constatare che si è più vicini alla nozione anglicana protestante di pastore che a quella cattolica di sacerdote. Come non pensare che l'attuale crisi di vocazioni sacerdotali – drammaticamente gli anni che verranno vedranno la scomparsa dei preti dai nostri paesi – sia dovuta a un spaventoso allontanamento dalla fede cattolica: Dio non manderà vocazioni per un culto protestante impregnato di preoccupazioni sociologiche, Dio darà vocazioni a un popolo che domanda la grazia della Messa e dei Sacramenti.

La negazione del carattere sacrificale della messa, che era esplicitamente formulato nell’insegnamento dei riformatori e contenuto implicitamente nel Prayer Book del 1549, ebbe per conseguenza logica come spiega il padre Messenger, “l’abolizione dell’antica nozione cattolica di sacerdozio con i suoi sette gradi e la sua sostituzione con un ministero protestante comprendente tre gradi”: vescovi, preti e diaconi (E. C. Messenger, The Reformation, The Mass, and The Priesthood, tomo I, Londra, 1936, pag. 564). (...) Secondo i protestanti, non esiste un vero stato sacerdotale al quale si accederebbe con il sacramento dell’ordine. Nei loro scritti, la fede non ci è comunicata da una società visibile che ha il compito di insegnare; la Chiesa non è governata da un’autorità istituita dal Cristo e la grazia non è trasmessa all’uomo per mezzo di segni esteriori, ma attraverso la fede fiduciale.
Di conseguenza, i riformatori non riconoscevano uno stato particolare istituito dal Cristo per il ministero di questa grazia. Poiché non riconoscevano il sacrificio della messa, non avevano nessun bisogno, nemmeno, di un sacerdozio legato al sacrificio. Tutti gli attacchi diretti contro il sacerdozio cattolico hanno dunque per origine il rifiuto di riconoscere nella messa un vero sacrificio, affidato dal Cristo alla sua Chiesa e, in ultima conseguenza, il rifiuto puro e semplice di una Chiesa visibile alla quale il Cristo avrebbe affidato la sua missione di Mediatore e di redentore.
Contro i Riformatori, il concilio di Trento insegna, nella sua XXIII sessione, che... “sacrificio e sacerdozio sono stati così legati insieme dalla disposizione di Dio che l’uno e l’altro sono esistiti sotto le due Leggi. Come, nel Nuovo Testamento, la Chiesa cattolica ha ricevuto dall’istituzione del Signore il santo sacrificio visibile dell’Eucaristia, si deve anche riconoscere che vi è in essa un sacerdozio nuovo, visibile ed esteriore, nel quale il sacerdozio antico è stato “cambiato”. (Denzinger-Schonmetzer, Enchiridion symbolorum 1764). L’anatema era pronunciato contro chiunque rigettava questa dottrina (ibidem 1771).
Il rifiuto della concezione cattolica del sacerdozio fu chiaramente manifesto con la sostituzione del pontificale cattolico “con un nuovo ordinale, costruito dal rito luterano in Germania e impregnato pezzo dopo pezzo dello spirito del protestantesimo” (E.C. Messenger, The Reformation, The Mass, and The Priesthood, tomo I, Londra, 1936, pp. 564-565). Martin Bucer influenzò profondamente la composizione di numerose parti di questo ordinale (The Oxford Dictionary of the Christian Church, Oxford, 1977, pag. 206).

All’esame delle testimonianze, nessun lettore imparziale potrebbe dubitare un istante che il nuovo ordinale non avesse certamente per intenzione l’ordinazione di preti destinati a offrire un sacrificio e investiti del potere di consacrare e di offrire il corpo e sangue di Cristo nel sacrificio della messa. Ancora oggi, la più parte dei ministri anglicani ne convengono senza esitare: non si considerano come preti ordinati per offrire un sacrificio nel senso cattolico di questo termine; essi affermano che non esiste alcun fondamento scritturistico a una tale concezione del sacerdozio. I limiti di questo studio non ci permettono di intraprendere l’esame, anche superficiale, degli errori e delle lacune dell’ordinale anglicano. Dobbiamo accontentarci di citare qualcuno dei giudizi che sono stati formulati a suo riguardo. Al lettore desideroso di intraprendere uno studio più approfondito di questa questione, suggeriamo di cominciare con la lettura della Apostolicae curae di Papa Leone XIII. Si troverà anche uno studio dettagliato di questa questione nella nostra opera The Order of Melchisedech. Ecco in che termini lo storico protestante S.T. Bindoff giudica l’ordinale di Cranmer: “Il cambiamento più marcante fu la trasformazione del prete, investito dalla grazia divina del potere di offrire il sacrificio, in un ministro designato per predicare, insegnare e dirigere il culto.
Ben inteso, fu la conseguenza della trasformazione della messa in un servizio di comunione, o santa cena” (S.T. Bindoff, Tudor England, Londra, 1952, pag. 162).
Ecco a questo proposito ciò che dichiarano i vescovi cattolici nella loro apologia della Apostolicae Curae: “Poiché gli autori di questo ordinale non hanno mai menzionato chiaramente il sacerdozio, ma al contrario si sono premurati grandemente di far scomparire delle preghiere che avevano ripreso dall’antico rito ogni riferimento concernente; poiché, inoltre, sappiamo dai loro scritti, e da quelli di una serie ininterrotta dei vostri principali teologi (anglicani), fino alla seconda parte di questo secolo, che queste soppressioni e queste omissioni furono effettuate secondo un disegno, in ragione dell’odio caratterizzato da queste dottrine che è stata la caratteristica costante della vostra Chiesa, cosa possiamo rimproverare alla conclusione di Leone XIII , secondo la quale il vostro ordinale non può essere considerato come un rito che implica nettamente la trasmissione del sacerdozio ordinato al sacrificio e che non si possa dunque trattare di un rito istituito per attendere validamente a questo scopo?” (Il Cardinal arcivescovo e i Vescovi della Provincia di Westminster, A Vindication of the Bull Apostolicae Curae, Londra, 1898, pag. 78).

Un gesuita, il padre Francis Woodlock, porta sul nuovo ordinale e il servizio di comunione del 1552 un giudizio che riassume eccellentemente ciò che fu il fine ultimo del processo rivoluzionario di cui abbiamo schizzato le grandi linee nel corso dei capitoli precedenti: “Comparate la messa e l’ordinale cattolico con il servizio di comunione e l’ordinale anglicano e voi vi troverete quaranta passaggi comportanti una soppressione; queste soppressioni concernenti sempre la presenza reale o il sacrificio della messa. Prendeteli tutti e due e comparateli voi stessi: non potrete non vedere ciò che è accaduto. La dottrina cattolica della presenza reale e del sacrificio è stata eliminata con un’attenzione grande come quella con cui nel corso di una operazione chirurgica il chirurgo estirpa un tessuto canceroso. Cranmer compie cosi’ bene il suo dovere che il suo ordinale si presenta, nel suo contesto storico, come un ordinale mutilato con uno scopo preciso: eliminare dalla Chiesa riformata d’Inghilterra il sacerdozio istituito per il sacrificio. Eliminandolo, era la funzione prima del sacerdozio che sopprimeva in questa Chiesa; di conseguenza, a giudizio della Chiesa cattolica, i ministri anglicani di oggi non sono dei veri preti.
“Il vescovo Ryle, vescovo (anglicano) di Liverpool, esprimeva l’esatta verità quando dichiarava: “Nella nostra Chiesa, i riformatori trovarono il sacrificio della messa. Lo rigettarono come favola blasfema e pericolosa superstizione, e diedero alla cena del Signore il nome di servizio di comunione. Nella nostra Chiesa i riformatori trovarono gli altari; ne ordinarono la distruzione, fecero scomparire completamente la parola altare dal nostro Prayer Book e non parlarono più che della tavola del Signore e della cena del Signore.
“Nel nostro clero, i riformatori trovarono dei preti che offrivano il sacrificio; ne fecero dei ministri incaricati della preghiera e della predicazione, dei ministri della parola di Dio e dei sacramenti.
Nella nostra Chiesa, i riformatori trovarono la dottrina di una presenza reale e corporale di Cristo nella cena del Signore sotto le apparenze del pane e del vino; diedero la loro vita per opporvisi. Non lasciarono nemmeno sussistere nel nostro Prayer Book l’espressione di presenza reale” (F. Woodlock, The Reformation and the Eucharist, Londra, 1927, pp. 50-51).

Ecco ciò che scriveva il vescovo anglicano Knox: “Alla lettura dell’ordinale romano, nessuno può dubitare che sia impregnato dell’intenzione di ordinare dei preti destinati ad offrire un sacrificio.
Nessuno, alla lettura dell’ordinale anglicano, può immaginare di avere un simile obiettivo.
Dalla prima all’ultima riga, non contiene una sola parola che evochi il sacrificio. Allo stesso modo, nel rito della consacrazione di un vescovo, non si trova una sola parola che lasci intendere che i vescovi debbano ordinare dei preti incaricati di offrire un sacrificio” (ibid., pag. 51).
Quando l’Inghilterra si trovò di nuovo unita alla Santa Sede sotto il regno di Maria Tudor e che il cardinal Pole venne in questo paese in qualità di legato del papa, dovette occuparsi del problema pastorale urgente che ponevano i vescovi e i preti ordinati nello scisma e che desideravano esserne assolti ed esercitare il loro ministero in qualità di vescovi o preti cattolici. Il problema cruciale era sapere se gli ordini che avevano ricevuto fossero o no validi. Il papa Paolo IV regolò la questione nella sua bolla Preclara carissimi (1555) e in un breve pubblicato nello stesso anno. Il papa decise che coloro che erano stati ordinati preti o vescovi con il pontificale di Sarum, fosse ciò da vescovi scismatici, lo erano stati validamente e che bastava assolverli dallo scisma. Coloro che erano stati ordinati con l’ordinale di Cranmer erano sempre dei laici e se, dopo averi assolti dallo scisma, si doveva permettere loro di esercitare un ministero sacerdotale o episcopale bisognava conferire loro l’ordinazione. Il giudizio del papa Paolo IV fu confermato dal papa Leone XIII nel 1896, dopo un’indagine prolungata e imparziale nel corso della quale gli anglicani che credevano alla validità dei loro ordini intesi nel senso cattolico del termine ebbero tutta la possibilità di esporre il loro punto di vista presso la commissione pontificia.
Il giudizio del papa secondo cui “le ordinazioni conferite secondo il rito anglicano sono state e sono assolutamente vane e veramente nulle”, è irrevocabile, così come il papa fece sapere in una lettera indirizzata al cardinal Richard, arcivescovo di Parigi, lettera nella quale diceva che la questione era stata “definitivamente regolata e che la conclusione era senza appello”. Questo giudizio possiede la qualità di fatto dogmatico, ed è dunque infallibile.

continua...

L'illusione del liberalismo

IL LIBERALISMO

1. Il liberalismo ha avuto una preparazione remota nel rinascimento, nell' umanesimo, nell'illuminismo, nel razionalismo ed infine nell'individualismo, di cui non è che la pratica applicazione. L' individualismo infatti tende ad esaltare il valore del singolo, la sua individuale libertà contro l'autorità esteriore, la sua propria attività contro l'attività sociale, attribuendo alla persona attributi che essa non ha. [.]. Nei suoi risultati fu un movimento di disintegrazione, atomizzazione, proclamando gli individui sufficienti a se stessi (autarchia) e responsabili solo a se stessi (autonomia) La propria coscienza dovrebbe esser l'unico criterio del bene e del male. L'individualismo si manifesta principalmente nella religione, nell'etica, nella politica, nell'economia. L' individualismo religioso rifiuta qualsiasi "credo" definitivo e qualsiasi sottomissione ad una autorità religiosa esterna, rivendicando la autonomia della voce della coscienza. [...]

2. Il liberalismo sostiene quindi anch'esso l'autonomia della ragione che viene elevata ad arbitra della rivelazione e della dottrina della Chiesa. Essa ha una fede illimitata nella potenza dell'intelletto (inseparabile dal razionalismo dei secoli XVII, XVIII) e nega tutto quello che non si può comprendere con l'intelletto; significa quindi la secolarizzazione di tutta la vita pubblica. Lo Stato è neutrale: esso afferma la tolleranza per tutte le correnti di idee, per tutti i culti; libertà massima nella scienza, nell'arte, nella letteratura, nel teatro, nell'economia etc. La Chiesa sostenitrice del principio d'autorità viene espulsa dalla scuola, dall'ingerenza nel matrimonio ecc. Il liberalismo crede nell'essenziale bontà della natura umana e nella sua infinita facoltà di evoluzione, nonché nell'armonia tra i liberi individui e i loro interessi. Quanto più è ampia la libertà, tanto più è forte il progresso e l'ordine. Di qui si arriva all'illimitata autonomia dell'economia, scienza, politica e via dicendo. Il liberalismo è dunque antropocentrico: pone l'uomo come centro e fine, mentre la libera evoluzione delle sue facoltà naturali viene considerata come il senso della vita.

3. Essendo la libertà dell'individuo il principio fondamentale del liberalismo, tutta la compagine sociale poggia su questo principio. La società non è più un organismo con le sue molteplici, interne, morali e vitali relazioni; ma un automatismo, un meccanismo che non persegue il bene comune come fine, ma è piuttosto una somma di liberi individui che regolano i loro interessi per motivi egoistici. Un altro principio del liberalismo è che le singole attività umane (politica, economia, scienza, lettere, arte ecc.) devono essere governate da proprie leggi interne, escluso ogni intervento esterno, anche delle norme etiche e religiose: da ciò consegue la separazione della vita dalla religione, della cultura dalla Chiesa.

(F. Roberti, Dizionario di teologia morale)

martedì 20 aprile 2010

La Sindone è un dono della Tradizione

La Sindone è un dono della Tradizione che di mano in mano, a partire da quelle purissime della B. Vergine Maria, l'ha trasmessa fino a noi. La Sindone è, come la Liturgia, testimone della fede per la forza che la Tradizione le attribuisce. Noi prima che l’immagine veneriamo la reliquia che la Tradizione ci ha consegnato come il lenzuolo che ha avvolto il Corpo santissimo di Nostro Signore Gesù Cristo. La Misericordia divina poi ha disposto le cose in modo tale che su tale lenzuolo, la Sacra Sindone, sia rimasta impressa l’immagine del nostro Redentore nel momento supremo del suo abbassamento e del suo innalzamento. È l’immagine del corpo martoriato nella sua rigidità cadaverica che ha impresso tale immagine sulla Sindone nel momento della Sua Risurrezione. È un’immagine unica perché è l’unica immagine possibile di un momento unico nella storia. La Sindone come la Liturgia ci ricorda la centralità della figura di Cristo: proprio in questi giorni il papa Benedetto XVI ha ricordato che “Se nella liturgia non emerge la figura di Cristo, (...) non abbiamo una liturgia cristiana” : ecco l’importanza di un culto come questo che "non può nascere dalla nostra immaginazione, che sarebbe un grido nell'oscurità o una semplice affermazione di sé. La verità liturgica presuppone che Dio risponda e ci mostri come possiamo adorarlo”. Senza la liturgia tradizionale rischiamo di cadere in un culto molto umano e poco divino; la Sindone ci dimostra ogni giorno di più quanto la sua origine sia umana solo nel telo e divina soprannaturale nell’immagine : un’immagine acherotipa (non fatta da mano d’uomo); anche la liturgia tradizionale ci accorgiamo sempre di più essere acherotipa: una realtà non fatta da mani d'uomo, come invece risulta impietosamente essere il novus ordo. Ecco solo un piccolissimo esempio: è di questi ultimi tempi la ricerca storica della prof.ssa Rigato che ha individuato nella stoffa della Sindone un tessuto particolarissimo, unico, eccezionale: quello che solo il Sommo Sacerdote poteva usare e usava per le sue vesti liturgiche. Ebbene ciò che la scienza afferma dopo innumerevoli ricerche la liturgia antica affermava candidamente già da tempo. È l’offertorio della Messa della Sacratissima Sindone: Ingréssus Aaron tabernáculum ut holocáustum offérret super altáre pro peccátis filiórum Israel, túnica línea indútus est. Allelúia. Levit., 16, 2 e 5 - Entrato Aronne nel tabernacolo, per offrire l’olocausto sull’altare per i peccati dei figli di Israele, indossò la tonaca di lino. Allelúia. Aronne è il Sommo Sacerdote per eccellenza e nella Messa della Sacratissima Sindone di N. S. Gesù Cristo si fa già riferimento alla sua tunica di lino.... Ed ora vediamo qualcosa di piu sul Sacro Lino grazie alla straordinaria capacità di sintesi di Antonio Socci...

Sindone: le prove della resurrezione

“Tutta la terra desidera il tuo volto”. In questa frase della liturgia sta il segreto della Sindone che continua ad attrarre milioni di persone. E’ l’attrazione per colui che la Bibbia definiva “il più bello tra i figli dell’uomo”. E che qui è “fotografato” come un uomo macellato con ferocia.

La Sindone non è solo “una” notizia oggi, perché inizia la sua ostensione. E’ “la” notizia sempre. Perché documenta – direi scientificamente – la sola notizia che – dalla notte dei tempi alla fine del mondo – sia veramente importante: la morte del Figlio di Dio e la sua resurrezione cioè la sconfitta della morte stessa.

Sì, avete letto bene. Perché la sindone non illustra soltanto la feroce macellazione che Gesù subì, quel 7 aprile dell’anno 30, con tutti i minimi dettagli perfettamente coincidenti con il resoconto dei vangeli, ma documenta anche la sua resurrezione: il fatto storico più importante di tutti i tempi, avvenuta la mattina del 9 aprile dell’anno 30 in quel sepolcro appena fuori le mura di Gerusalemme.

Che Gesù sia veramente vivo lo si può sperimentare – da duemila anni – nell’esperienza cristiana. Attraverso mille segni e una vita nuova. Ma la sindone porta traccia proprio dell’evento della sua resurrezione.

Ce lo dicono la medicina legale e le scoperte scientifiche fatte con lo studio dettagliato del lenzuolo per mezzo di sofisticate apparecchiature. Cosicché questo misterioso lino diventa una speciale “lettera” inviata soprattutto agli uomini della nostra generazione, perché è per la prima volta oggi, grazie alla moderna tecnologia, che è possibile scoprire le prove di tutto questo.

Cosa hanno potuto appurare infatti gli specialisti? In sintesi tre cose.

Primo. Che questo lenzuolo – la cui fattura rimanda al Medio oriente del I secolo e in particolare a tessitori ebrei (perché non c’è commistione del lino con tessuti di origine animale, secondo i dettami del Deuteronomio) – ha sicuramente avvolto il corpo di un trentenne ucciso (morto tramite il supplizio della crocifissione con un supplemento di tormenti che è documentato solo per Gesù di Nazaret).
Che ha avvolto un cadavere ce lo dicono con certezza il “rigor mortis” del corpo, le tracce di sangue del costato (sangue di morto) e la ferita stessa del costato che ha aperto il cuore.

Secondo. Sappiamo con eguale certezza che questo corpo morto non è stato avvolto nel lenzuolo per più di 36-40 ore perché, al microscopio, non risulta vi sia, sulla sindone, alcuna traccia di putrefazione (la quale comincia appunto dopo quel termine): in effetti Gesù – secondo i Vangeli – è rimasto nel sepolcro dalle 18 circa del venerdì, all’aurora della domenica. Circa 35 ore.

Terza acquisizione certa, la più impressionante. Quel corpo – dopo quelle 36 ore – si è sottratto alla fasciatura della sindone, ma questo è avvenuto senza alcun movimento fisico del corpo stesso, che non è stato mosso da alcuno né si è mosso: è come se fosse letteralmente passato attraverso il lenzuolo.

Come fa la sindone a provare questo? Semplice. Lo dice l’osservazione al microscopio dei coaguli di sangue.

Scrive Barbara Frale in un suo libro recente: “enormi fiotti di sangue erano penetrati nelle fibre del lino in vari punti, formando tanti grossi coaguli, e una volta secchi tutti questi coaguli erano diventati grossi grumi di un materiale duro, ma anche molto fragile, che incollava la carne al tessuto proprio come farebbero dei sigilli di ceralacca. Nessuno di questi coaguli risulta spezzato e la loro forma è integra proprio come se la carne incollata al lino fosse rimasta esattamente al suo posto”.

Lo studio dei coaguli al microscopio rivela che quel corpo si è sottratto al lenzuolo senza alcun movimento, come passandogli attraverso. Ma questa non è una qualità fisica dei corpi naturali: corrisponde alle caratteristiche fisiche di un solo caso storico, ancora una volta quello documentato nei Vangeli.

In essi infatti si riferisce che il corpo di Gesù che appare dopo la resurrezione è il suo stesso corpo, che ha ancora le ferite delle mani e dei piedi, è un corpo di carne tanto che Gesù, per convincere i suoi che non è un fantasma, mangia con loro del pesce, solo che il suo corpo ha acquisito qualità fisiche nuove, non più definite dal tempo e dallo spazio.

Può apparire e scomparire quando e dove vuole, può passare attraverso i muri: è il corpo glorificato, come saranno anche i nostri corpi divinizzati dopo la resurrezione.

Si tratta quindi di un caso molto diverso dalla resurrezione di Lazzaro che Gesù semplicemente riportò in vita. La resurrezione di Gesù – com’è riferita dai Vangeli e documentata dalla sindone – è la glorificazione della carne non più sottoposta ai limiti fisici delle tre dimensioni, l’inizio di “cieli nuovi e terra nuova”.

La “prova” sperimentale di questa presenza misteriosa di Gesù è propriamente l’esperienza cristiana: Gesù continua a manifestare la sua presenza fra i suoi continuando a compiere i prodigi che compiva duemila anni fa e facendone pure di più grandi.

Ma la sindone documenta in modo scientificamente accertabile l’unico caso di morto che – anziché andare in putrefazione – torna in vita sottraendosi alla fasciatura senza movimento, grazie all’acquisizione di qualità fisiche nuove e misteriose, che gli permettono di smaterializzarsi improvvisamente e oltrepassare le barriere fisiche (come quella del lenzuolo stesso).

E’ esattamente ciò che si riferisce nel vangelo di Giovanni: quando Pietro e Giovanni entrano nel sepolcro dove erano corsi per le notizie arrivate dalle donne, si rendono conto che è accaduto qualcosa di enorme proprio perché trovano il lenzuolo esattamente com’era, legato attorno al corpo, ma come afflosciato su di sé perché il corpo dentro non c’era più.

Più tardi, aprendo quel lenzuolo, scopriranno un’altra cosa misteriosa: quell’immagine. Ancora oggi, dopo duemila anni, la scienza e la tecnica non sanno dirci come abbia potuto formarsi. E non sanno riprodurla.

Infatti non c’è traccia di colore o pigmento, è la bruciatura superficiale del lino, ma sembra derivare dallo sprigionarsi istantaneo di una formidabile e sconosciuta fonte di luce proveniente dal corpo stesso, in ortogonale rispetto al lenzuolo (fatto anch’esso inspiegabile).

La “non direzionalità” dell’immagine esclude che si siano applicate sostanze con pennelli o altro che implichi un gesto direzionale. E ci svela che l’irradiazione è stata trasmessa da tutto il corpo (tuttavia il volto ha valori più alti di luminanza, come se avesse sprigionato più energia o più luce).

Quello che è successo non è un fenomeno naturale e non è riproducibile. Non deriva dal contatto perché altrimenti non sarebbe tridimensionale e non si sarebbe formata l’immagine anche in zone del corpo che sicuramente non erano in contatto col telo (come la zona fra la guancia e il naso).
Oggi poi i computer hanno permesso di rintracciare altri dettagli racchiusi nella sindone che tutti portano a lui: Gesù di Nazaret.

Dai 77 pollini, alcuni dei quali tipici dell’area di Gerusalemme (quello dello Zygophillum dumosum, si trova esclusivamente nei dintorni di Gerusalemme e al Sinai), alle tracce (sul ginocchio, il calcagno e il naso) di un terriccio tipico anch’esso di Gerusalemme. Ai segni di aloe e mirra usate dagli ebrei per le sepolture.

Infine le tracce di scritte in greco, latino ed ebraico impresse per sovrapposizione sul lenzuolo.

Barbara Frale ha dedicato un libro al loro studio, “La sindone di Gesù Nazareno”. Da quelle lettere emerge il nome di Gesù, la parola Nazareno, l’espressione latina “innecem” relativa ai condannati a morte e pure il mese in cui il corpo poteva essere restituito alla famiglia.

La Frale, dopo accuratissimi esami, mostra che doveva trattarsi dei documenti burocratici dell’esecuzione e della sepoltura di Gesù di Nazaret. Un fatto storico. Un avvenimento accaduto che ha cambiato tutto.

Antonio Socci
su “Libero”, 11 aprile 2010

da http://www.antoniosocci.com/2010/04/sindone-le-prove-della-resurrezione

lunedì 19 aprile 2010

cinque anni fa

19 aprile 2005

Annuntio vobis gaudium magnum;
habemus Papam:

Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum,


Dominum Josephum


Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalem Ratzinger


qui sibi nomen imposuit Benedicti XVI






DEO GRATIAS et AD MULTOS ANNOS
BEATISSIME PATER

Più passa il tempo è più si comprende la grande grazia che il Signore ha concesso alla Sua Chiesa scegliendo per Lei un Papa come Benedetto XVI. Preghiamo per il Papa Benedetto. Preghiamo che il Signore Lo conservi, Gli doni vita e salute, Lo renda felice sulla terra e Lo preservi dalle insidie dei Suoi nemici. “Cari fratelli e sorelle, dopo il grande Papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore. Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare ed agire anche con strumenti insufficienti e soprattutto mi affido alle vostre preghiere. Nella gioia del Signore risorto, fiduciosi nel suo aiuto permanente, andiamo avanti. Il Signore ci aiuterà e Maria sua Santissima Madre starà dalla nostra parte. Grazie”. Così si presentava ai fedeli accorsi in piazza San Pietro il nuovo papa Benedetto XVI, martedì 19 aprile 2005, nel secondo giorno del Conclave chiamato ad eleggere il successore di Giovanni Paolo II. In moltissimi si rallegrarono allora e si rallegrano oggi e chi avuto modo di conoscere, di ammirare e di seguire il Card. Joseph Ratzinger attraverso i suoi scritti a partire dal famoso libro intervista con Vittorio Messori “Rapporto sulla fede” del 1984 non ha saputo trattenere l’emozione e la gioia all’annuncio del Cardinale Protodiacono Jorge Arturo Medina Estévez “Annuntio vobis gaudium magnum; habemus Papam: Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum, Dominum Josephum…”, Josephum, Giuseppe, Joseph…non poteva che essere lui, il grande Cardinale Prefetto della Congregazione per la Dottina della Fede, il Decano del Sacro Collegio, colui che aveva fatto vibrare il cuore di molti durante l’omelia della Messa esequiale del compianto papa Giovanni Paolo II, colui che aveva fatto squillare la tromba della riscossa con l’omelia della S. Messa pro Eligendo Pontifice del giorno prima, colui che era dato come favorito, che era entrato papa in conclave questa volta non ne era uscito cardinale, ma Sommo Pontefice della Chiesa Universale: Benedetto XVI, un nome che richiama il santo abate patrono d’Europa e il pontefice della Grande Guerra e delle Apparizioni di Fatima. “Benedetto, Benedetto, Benedetto” sono stati i giovani ad acclamarlo, un nuovo Padre di una Madre che sorrideva dopo i giorni del lutto. La gioia cristiana e lo stupore che trasparivano dal suo volto nel vedere la folla che lo acclamava gli hanno tenuto alte le mani in un saluto che ha ricordato al mondo la forza e la vitalità della Chiesa. Quanti ricordi si sono intrecciati in pochi minuti. “Un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore” così si è definito il nuovo papa tedesco annullando così l’impronta lasciata da un altro tedesco che fu definito un cinghiale entrato nella vigna del Signore: Martin Lutero; ma quello che più impressiona è la data: Perché? Perché papa Benedetto XVI è stato eletto il giorno di San Leone IX, tedesco anche lui, ultimo papa della Chiesa indivisa prima dello scisma d’Oriente: papa Leone IX morì infatti il 19 aprile del 1054 e il 16 luglio dello stesso anno si verificò la rottura (scisma) tra la Chiesa d’Occidente e quella d’Oriente in seguito allo scontro fra i legati romani, guidati dal cardinale cluniacense Umberto di Silva Candida e il patriarca di Costantinopoli Michele Cerulario. Che Papa Benedetto XVI possa vedere risanata questa ferita ancora sanguinante del Corpo mistico di Cristo?

domenica 18 aprile 2010

l'unico leader europeo...

... in volo

18 Aprile 2010 22:32. CIAMPINO (Roma) - Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, ha accolto il Papa poco fa alla scaletta dell'aereo speciale di AirMalta, che l'ha riportato in Italia dopo la visita nell'isola: Ratzinger e' salito quindi a bordo di un elicottero dell'Aeronautica Militare, che dallo scalo romano di Ciampino l'ha riportato in Vaticano. (RCD)



Fecit potentiam in brachio suo, *
dispersit superbos mente cordis sui,


deposuit potentes de sede, *
et exaltavit humiles;

il Papa ai giovani

 "Nel contesto della società europea, i valori evangelici ancora una volta stanno diventando una contro-cultura, proprio come lo erano al tempo di San Paolo": lo ha detto il Papa incontrando i giovani maltesi durante il suo viaggio apostolico nel 1950° anniversario del naufragio di San Paolo sull'isola. "La cultura odierna, come ogni cultura, promuove idee e valori che sono talvolta in contrasto con quelle vissute e predicate da nostro Signore Gesù Cristo", ha aggiunto. "Spesso sono presentate con un grande potere persuasivo, rinforzato  dai media e dalla pressione sociale di gruppi ostili alla fede cristiana. E' facile, quando si è giovani e impressionabili, essere influenzati dai coetanei ad accettare idee e valori che sappiamo non sono ciò che il Signore davvero vuole da noi. Ecco - ha proseguito il papa - perché dico a voi: non abbiate paura, ma rallegratevi del suo amore per voi"