Cerco di leggere il meno possibile notizie e commenti che concernono la Chiesa Cattolica. Cerco, sinceramente, di limitare il senso di pena che sento montare in me, non tristezza o lamento gratuiti, ma pura pena. Ed è pur vero che non sono nessuno e che l’arma rivoluzionaria di questo nuovo-vecchio establishment clericale è un’arma psicologica che mira a spegnere ogni dissenso, facendolo tralignare in superbia o carenza di misericordia. Un geniale metodo per combattere il cattolicesimo con le sue medesime armi. Dunque scrivo queste righe senza alcuna pretesa, semplicemente come una disillusa riflessione sulla storia – presente e futura – della Chiesa.
Povertà, misericordia, carità, tenerezza, tutti validi strumenti per erodere la dottrina, per distruggere la Chiesa, come l’abbiamo conosciuta, trasformandola in una sorta di setta evangelica. Per appiattirla sul mondo e le sue esigenze, per adeguarla alla mentalità dominante fra i fedeli che non amano essere “educati” o “guidati”, che sono assetati non di istanze superiori, ma di analogie dal basso. E’ una strategia vecchia come il cucco, la stessa – per dire – adottata da Giuseppe II d’Austria quando commissionò a Mozart “Le Nozze di Figaro”. Aristocratici e servitori uniti da brame, desideri, bassezze morali capaci di colmare ogni distanza sociale. E’ la medesima strategia di Francesco, Papa di una Chiesa in piena apostasia. Il gesto “popolare” come cavallo di Troia della dottrina, della struttura, dei contenuti etici e teologici del Cattolicesimo. Tutto svuotato attraverso il continuo ricorso a questi quattro principi: povertà, misericordia, carità, tenerezza (e semplicità ossia celebrazione dell’informalità). Non c’è nulla di severo, nessuna condanna. Ieri, ad esempio, il predicatore degli esercizi spirituali quaresimali ha annunciato che l’uomo si è costruito un’immagine erronea di Dio, fondata sul terrore, sulla paura, sulla condanna, in sintesi sul “farisaismo”.
Ecco, la Chiesa si autodemolisce. Resta l’appiccicosa e melensa lagna della misericordia e della tenerezza. Lagna perché alla misericordia si dà il senso di una porta sempre aperta, di una lettura consumistica della pietà e della pazienza divina che annienta il senso stesso del peccato e della redenzione. Si evocano solo il candore e l’assenza di pretese. Concetti che arrestano ogni accusa, perché come fai ad accusare qualcuno che si mostra candido e tenero, indifeso, autentico, veramente cristiano, povero, umile, praticamente un santo… Ma quando un “santo” non è affatto scomodo, non è un punto interrogativo per il mondo, non una pietra d’inciampo per il potere e la sua voce (i media), non un fastidioso pungolo per non credenti e cattolici pigri, non un temibile nemico per vecchi volponi di curia, bensì l’esatto contrario, allora c’è da chiedersi se questa “santità” non sia piuttosto un instrumentum regni funzionale proprio a quel “potere” che dovrebbe essere ostile ad ogni forma di santità, uno strumento strategico, insomma, ben pianificato dal collegio cardinalizio, ma viziato da una vetustà ideologica di fondo.
Come si allontana ogni dissenso, ogni critica, per demolire il Cattolicesimo dall’interno? Semplicemente riproponendo le solite amenità degli anni ’60. Amenità che ritroverete comodamente in uno straordinario Guareschi, quello di “Don Camillo e don Chichì”. Anche in quel caso il prete “innovatore” si chiamava Francesco (la povertà francescana era un must dell’ideologia conciliare).
Un anno fa fummo in molti a restare basiti dinanzi all’elezione di Francesco. Io forse più di altri. In un mio romanzo rimasto incompiuto proseguivo una sorta di “visione geopolitica” della Chiesa avviata ne “La serpe fra gli ulivi”. Nel mio primo romanzo, in una breve digressione, ricostruivo – era il 2009 – quel che sarebbe accaduto dopo Ratzinger. Una cordata di Cardinali (espressione della imponente quanto parassitaria massa di diplomatici vaticani), mossi dalla volontà di adeguare la Chiesa al nuovo paradigma unipolare sintetizzato dal relativismo e dall’anti-etica della società dei consumi promossa da Stati Uniti ed Europa, avrebbe continuato ad affondare la nave di Pietro nel fango degli scandali, con uno scopo ben preciso:
“In realtà questi furfanti travestiti da uomini di Chiesa, le cui bocche stillavan miele ma i cui cuori erano anneriti dalla perfidia, preparavano il loro pontificato: quello in cui sarebbe stato eletto il vero Apostata, l’autentico Antipapa. Lo coltivavano blandendolo attentamente. Ne soddisfacevano ogni possibile desiderio, ogni ambizione, purché egli restasse nel silenzio: un cardinale tra i tanti.  Al momento opportuno, quando la Chiesa sarebbe stata screditata, maltrattata, umiliata dalle Nazioni e dai loro statisti massoni ed illuminati, quando il Papa santo e retto sarebbe stato cancellato dal cuore dei cristiani assieme al suo altissimo magistero, soltanto allora avrebbero attuato il loro piano. Il nuovo papa sarebbe stato latinoamericano [...]“
Nel nuovo romanzo che cominciai a scrivere nell’agosto del 2010 prevedevo l’elezione proprio di Bergoglio, nell’anno 2013. E prevedevo che questo nuovo pontefice avrebbe pian piano demolito la Chiesa dall’interno, cominciando dagli elementi di contesa con il “mondo”: vita, morte, sessualità. Prevedevo – non ci voleva certo una gran fantasia – che la demolizione sarebbe iniziata a partire dalla morale sessuale. Mi sbagliavo! E il mio errore è imputabile ad un certo candore, questa volta tutto mio. Solo oggi comprendo che gli strateghi dell’adattamento della Chiesa al mondo non potevano certo partire dal tema della “sessualità”, questo perché il mondo non tollera ingerenze in questo campo, né divieti, né concessioni. Non riconosce affatto in merito a tale aspetto della vita umana l’autorità della Chiesa. La riconosce invece laddove si parla di matrimonio, ossia di organizzazione della società. E’ dunque dal matrimonio, dal sacramento del matrimonio, che parte oggi la demolizione o l’adeguamento della Chiesa al mondo. Tutto il resto seguirà. Lo si attua a partire dall’introduzione della regola della società dei consumi: la possibilità di tornare indietro, la sostituzione del “per sempre” con il provvisorio. E la “pretesa democratica” dell’accesso al sacramento dell’Eucaristia. Il tutto introdotto attraverso la “misericodia” e la “cura pastorale”, come se la “dottrina” non fosse già pastorale.
La famiglia è il centro dell’attacco che parte dall’esterno della Chiesa ed oggi viene ampiamente condiviso dalla Chiesa stessa. Sarà questo uno degli elementi centrali del breve pontificato di Francesco. Il prossimo, ad esempio, potrà occuparsi del celibato dei sacerdoti. Ma perché – vi domanderete – parlo di un pontificato “breve”? Perché è ormai una voce sempre più fondata quella che pone la scadenza del pontificato di Francesco nell’anno 2017, nel corso dell’ottantesimo compleanno di Bergoglio. D’altro canto non fu il Cardinal Hummes ad annunciare a Tornielli poco prima del Conclave dello scorso anno: “basterebbero quattro anni di Bergoglio per cambiare le cose”? E non è stato lo stesso Bergoglio ad annunciare a De Bortoli che di “papi emeriti” ce ne saranno altri nel futuro?
Ebbene, il primo anno è già passato. Non sappiamo cosa accadrà nei prossimi tre, possiamo tuttavia con adeguata certezza affermare che la Chiesa cambierà volto. O più semplicemente imploderà. Le forze centrifughe di Bergoglio e compagni non hanno infatti fatto ancora i conti con l’episcopato mondiale e con i sacerdoti, ossia con l’oggetto principale degli strali quotidiani del Papa. Un Papa che ogni giorno demolisce la Chiesa invece di proteggerla, che pone se stesso come unico modello cui conformarsi – implicitamente – mentre il resto della cattolicità sarebbe più opportunamente da revisionare se non proprio da rottamare. Che sostiene di non essere nessuno per giudicare un peccatore, ma nella realtà tuona ogni giorno contro certi suoi fantasmi di vita cattolica che si sente pienamente autorizzato a disprezzare o condannare. E le progressive aperture ai divorziati risposati, ai conviventi, e a tutte le categorie che vanno sotto il nome di “periferie esistenziali”, finiranno per accrescere lo iato fra un Papa amato dalla gente perché dice ciò che la gente vuol sentirsi dire (“fate quel che vi pare, tanto io non vi giudico, non vi condanno, non vi ordino nulla!”), e un clero sempre più sull’orlo di una crisi di nervi, perché lasciato scoperto dinanzi ad un aggiornamento che sembra denunciare la presunta “ipocrisia” e il presunto “farisaismo” della Chiesa di ieri. Questa implosione che tecnicamente definirei apostasia si esplicherà in tempi forse neppure così lunghi. Non coinciderà certo con la fine della Chiesa, perché basteranno anche poche fiammelle a mantenere acceso e vivo il Corpo Mistico, tuttavia verranno minati tutti gli elementi chiave del Cattolicesimo: dal ministero petrino alla morale sessuale, ai sacramenti. Tutto è destinato a trascolorare in un vago quanto provvisorio miscuglio.
Questa, si badi, non è una analisi disfattista, ma una semplice constatazione dei fatti. A noi non resta che pregare e continuare a vivere quanto più possibile da cattolici, cercando sempre più di disinteressarci ai fatti papali o vaticani in genere. Ne va della nostra fede!