venerdì 8 giugno 2012

Mons. Fellay: "Un giorno tutto sarà armoniosamente tradizionale, ma quanto tempo ci vorrà solo Dio lo sa"


DICI: È preoccupato per il ritardo della risposta di Roma, che potrebbe permettere a coloro che sono contro un riconoscimento canonico, di allontanare dei sacerdoti e dei fedeli dalla Fraternità San Pio X?
 
Mons. Fellay: Tutto è nelle mani del Buon Dio. Io ho fiducia nel Buon Dio e nella sua Divina Provvidenza, Egli sa come condurre ogni cosa, anche i ritardi, per il bene di quelli che Lo amano.
 
DICI: La decisione del Papa è rimandata come dicono certi giornali? La Santa Sede le ha fatto sapere di prevedere del ritardo?
 
Mons. Fellay: No, non ho saputo di un qualche calendario. Vi è anche chi dice che il Papa si occuperà di questo dossier a Castel Gandolfo, nel mese di luglio.

Una soluzione canonica prima di una soluzione dottrinale?
 
DICI: La maggior parte di coloro che sono contrari all’accettazione da parte della Fraternità di un eventuale riconoscimento canonico, avanzano la considerazione che i colloqui dottrinali avrebbero potuto portare a tale accettazione solo se avessero condotto prima ad una soluzione dottrinale, cioè ad una «conversione» di Roma. La sua posizione è cambiata su questo punto?
 
Mons. Fellay: Bisogna riconoscere che questi colloqui hanno permesso di esporre chiaramente i diversi problemi che noi riscontriamo a proposito del Vaticano II. Ciò che è cambiato è che Roma non fa più dell’accettazione totale del Vaticano II una condizione per la soluzione canonica. Oggi, a Roma, certuni ritengono che una diversa comprensione del Concilio non è determinante per l’avvenire della Chiesa, poiché la Chiesa è più del Concilio. Infatti la Chiesa non si riduce al Concilio, essa è molto più grande. Occorre dunque dedicarsi a risolvere i problemi più vasti. Questa presa di coscienza può aiutarci a comprendere ciò che accade realmente: noi siamo chiamati ad aiutare a portare agli altri il tesoro della Tradizione che abbiamo potuto conservare.
 
Sta di fatto che è l’atteggiamento della Chiesa ufficiale che è cambiato, non noi. Non siamo noi ad aver chiesto un accordo, è il Papa che ci vuole riconoscere. Ci si può chiedere il perché di questo cambiamento. Noi continuiamo a non essere d’accordo dottrinalmente, eppure il Papa ci vuole riconoscere! Perché? La risposta è: oggi vi sono dei problemi terribilmente importanti nella Chiesa. Occorre trattare questi problemi. Bisogna lasciare da parte i problemi secondari e occuparsi dei problemi più grandi. Ecco la risposta dell’uno o dell’altro prelato romano che non verrà mai espressa apertamente; occorre leggere tra le righe per comprendere.
 
Le autorità ufficiali non vogliono riconoscere gli errori del Concilio. Esse non lo diranno mai esplicitamente. Tuttavia, se si legge tra le righe si può vedere che desiderano rimediare ad alcuni di questi errori. Ecco un esempio interessante a proposito del sacerdozio. Si sa che a partire dal Concilio si è avuta una nuova concezione del sacerdozio, che ha demolito la figura del sacerdote. Oggi si vede molto chiaramente che le autorità romane cercano di ristabilire la vera concezione del sacerdote. Lo si è già constatato nell’Anno sacerdotale del 2010-2011. Adesso, la festa del Sacro Cuore diventa il giorno dedicato alla santificazione dei sacerdoti. In questa occasione è stata pubblicata una lettera ed è stato redatto un esame di coscienza per i sacerdoti. Si direbbe che si sia andati a cercare a Ecône tale esame di coscienza, talmente esso si colloca nella linea della spiritualità pre-conciliare. Questo esame offre l’immagine tradizionale del sacerdote ed anche del suo ruolo nella Chiesa. È questo ruolo che Mons. Lefebvre afferma quando descrive la missione della Fraternità: restaurare la Chiesa per mezzo della restaurazione del sacerdote.
 
Nella lettera si dice: «La Chiesa e il mondo possono essere santificati solo dalla santificazione del sacerdote». Si mette veramente il sacerdote al centro. L’esame di coscienza comincia con questa domanda: «Mi propongo seriamente la santità nel mio Sacerdozio?». Seconda domanda: «Il Santo Sacrificio della Messa - è questa l’espressione utilizzata, non l’eucarestia, la sinassi o che so io - è il centro della vita mia [del sacerdote] vita interiore?». In seguito si ricordano i fini della Messa: la lode di Dio, la preghiera, la riparazione per i peccati… tutto è detto. Il sacerdote deve immolarsi – non è usato il termine “immolare”, ma “darsi”, sacrificarsi per salvare le anime. Lo si dice. Poi viene il richiamo ai fini ultimi: « Sono sollecito nell’assistere ed amministrare i sacramenti ai moribondi? Considero nella mia meditazione personale, nella catechesi e nella ordinaria predicazione la dottrina della Chiesa sui Novissimi? Chiedo la grazia della perseveranza finale ed invito i fedeli a fare altrettanto?». Si può vedere come, abilmente, questo documento romano richiami chiaramente l’idea tradizionale del sacerdote.
 
Certo, questo non annulla tutti i problemi, vi sono ancora della gravi difficoltà nella Chiesa: l’ecumenismo, Assisi, la libertà religiosa… ma il contesto sta cambiando e non solo il contesto, la situazione stessa… Io distinguerei tra le relazioni esterne e la situazione interna. Le relazioni con l’esterno non sono ancora cambiate, ma per ciò che accade nella Chiesa le autorità romane cercano di cambiarlo un po’ la volta. Evidentemente, oggi permane ancora un gran disastro, bisogna esserne coscienti, e noi non diciamo il contrario, ma bisogna anche vedere ciò che si sta facendo. Questo esame di coscienza per i sacerdoti ne è un esempio significativo.
 
Quale atteggiamento di fronte ai problemi dottrinali?
 
DICI: Lei riconosce che permangono delle serie difficoltà con l’ecumenismo, la libertà religiosa… Se sopraggiungesse un riconoscimento canonico, quale sarebbe il suo atteggiamento di fronte a queste difficoltà? Non si sentirebbe tenuto ad una certa riserva?
 
Mons. Fellay: Permettetemi di rispondere a questa domanda con tre interrogativi: Le novità che sono state introdotte col Concilio sono state all’origine di un accresciuto sviluppo della Chiesa, delle vocazioni e della pratica religiosa? Non constatiamo invece una forma di «apostasia silenziosa» in tutti i paesi cristiani? Possiamo tacere di fronte a questi problemi?
 
Se vogliamo far fruttare il tesoro della Tradizione per il bene delle anime, dobbiamo parlare e agire. Noi abbiamo bisogno di questa doppia libertà di parola e di azione. Ma io diffiderei di una denuncia puramente verbale degli errori dottrinali – denuncia tanto più polemica in quanto solo verbale.
 
Con il realismo che lo caratterizzava, Mons. Lefebvre riconosceva che le autorità romane e diocesane saranno più sensibili alle cifre e ai fatti presentati dalla Fraternità San Pio X, che agli argomenti teologici. Così io non esito a dire che, se intervenisse un riconoscimento canonico, le difficoltà dottrinali verrebbero sempre sottolineate da noi, ma col concorso di una lezione data con i fatti stessi, segni tangibili della vitalità della Tradizione. E per questo, come già dicevo nel 2006 a proposito delle tappe del nostro dialogo con Roma, dobbiamo avere «fede nella Messa tradizionale, questa Messa che reclama da se stessa l’integrità della dottrina e dei sacramenti, pegno di ogni fecondità spirituale per le anime».
 
DICI: Il 2012 non è il 1988, l’anno della sua consacrazione episcopale. Nel 2009 sono state ritirate le scomuniche, nel 2007 è stato riconosciuto ufficialmente che la Messa tridentina non era «mai stata abrogata», ma adesso certuni nella Fraternità deplorano che la Chiesa non si sia ancora convertita. Il loro rifiuto a priori di un riconoscimento canonico è dovuto a 40 anni di situazione eccezionale che hanno comportato una certa incomprensione della sottomissione all’autorità?
 
Mons. Fellay: Ciò che accade adesso mostra chiaramente alcune delle nostre debolezze di fronte ai pericoli creati dalla situazione in cui ci troviamo. Uno dei pericoli maggiori è di finire con l’inventarsi un’idea di Chiesa che parrebbe ideale, ma che in effetti non trova riscontro nella storia reale della Chiesa. Certuni pretendono che per lavorare «in sicurezza» nella Chiesa occorra che essa sia preliminarmente ripulita da ogni errore. È questo che si dice quando si afferma che prima di ogni accordo Roma deve convertirsi, o che perché si possa lavorare gli errori devono prima essere stati eliminati. Ma questa non è la realtà. Basta guardare al passato della Chiesa, spesso e perfino quasi sempre, si vede che nella Chiesa sono disseminati degli errori. Ora, i santi riformatori, per combattere questi errori, non l’hanno lasciata. Nostro Signore ci ha insegnato che ci sarà sempre della mala erba fino alla fine di tempi. Non solo la buona erba, non solo del grano.
 
Al tempo degli Ariani, i Vescovi hanno operato in mezzo agli errori per convincere della verità coloro che si sbagliavano. Non dicevano di voler rimanere fuori, come dicono oggi certuni. Certo, bisogna sempre fare molta attenzione a queste parole ‘fuori’, dentro’, perché noi siamo della Chiesa, noi siamo cattolici. Ma possiamo per questo rifiutarci di convincere quelli che sono nella Chiesa, col pretesto che sono pieni di errori? Guardiamo ciò che hanno fatto i santi! Se il Buon Dio ci permette di trovarci in una situazione nuova, in una battaglia ravvicinata al servizio della verità… Ecco la realtà che ci presenta la storia della Chiesa. Il Vangelo paragona il cristiano al lievito, e noi vorremmo che la pasta lievitasse senza trovarci all’interno della pasta?
 
In questa situazione, attualmente presentata da certuni come una situazione impossibile, ci si chiede di venire a lavorare come hanno fatto tutti i santi riformatori di tutti i tempi. Certamente, questo non elimina il pericolo. Ma se noi abbiamo sufficiente libertà per agire, per vivere e per svilupparci, questo si deve fare. Penso davvero che questo si debba fare, a condizione che noi si abbia la protezione sufficiente.

DICI: Crede che vi siano dei membri della Fraternità che, coscienti o no, sposino le tesi sedevacantiste? Ha paura della loro influenza?
 
Mons. Fellay: Alcuni possono certo essere influenzati da tali idee, non è una novità. Io non penso che siano tanto numerosi, ma essi possono fare del male, specialmente diffondendo delle false dicerie. Ma penso realmente che la preoccupazione principale tra noi sia piuttosto quella della fiducia nelle autorità romane, col timore che quello che potrebbe succedere sia una trappola. Personalmente sono convinto che non sia così.
 
Da noi non ci si fida di Roma, perché si sono subiti troppi rovesci, è per questo che si pensa che si possa trattare di una trappola. Vero è che i nostri nemici possono pensare di utilizzare questa offerta come una trappola, ma il Papa, che vuole veramente questo riconoscimento canonico, non ce lo propone come una trappola.
 
Valutare cosa permetterà la proposta romana in linea di diritto e di fatto
 
DICI: Lei ha ripetuto più volte che il Papa vuole personalmente il riconoscimento canonico della Fraternità. Ha avuto l’assicurazione personale e recente dal Papa stesso, che si tratta veramente della sua volontà?
 
Mons. Fellay: Si, è il Papa che lo vuole e l’ho detto a più riprese. Sono in possesso di sufficienti elementi precisi per affermare che ciò che dico è vero, benché io non abbia avuto delle relazioni dirette col Papa, ma con i suoi stretti collaboratori.
 
DICI: La lettera del 14 aprile, firmata dagli altri tre Vescovi della Fraternità, è stata sfortunatamente diffusa su internet, l’analisi che essa presenta corrisponde alla situazione della Chiesa?
 
Mons. Fellay: Circa la loro posizione, io non escludo la possibilità di un’evoluzione. La prima questione, per noi che siamo stati consacrati da Mons. Lefebvre, era quella della sopravvivenza della Tradizione. Io penso che se i miei confratelli vedono e comprendono che in linea di diritto e di fatto nella proposta romana vi è una vera possibilità per la Fraternità di «restaurare tutto in Cristo», malgrado tutti i problemi che sussistono oggi nella Chiesa, allora potranno correggere il loro giudizio, - allora, significa con lo statuto canonico in mano e i fatti sotto gli occhi. Sì, io lo penso. Lo spero. E noi dobbiamo pregare con questa intenzione.
 
DICI: Alcuni nel mondo, compresi dei membri della Fraternità, hanno utilizzato dei passi di un’intervista che lei ha concessa a Catholic News Services; questi passi sembrano indicare che ai suoi occhi Dignitatis Humanae non fa più difficoltà. È il modo con cui è stata realizzata questa intervista che ha modificato il senso di ciò che voleva dire? Qual è la sua posizione su questo argomento rispetto a ciò che insegnava Mons. Lefebvre?
 
Mons. Fellay: La mia posizione è quella della Fraternità e di Mons. Lefebvre. Come sempre, in una materia così delicata dobbiamo stabilire delle distinzioni, e una parte di queste distinzioni è sparita nell’intervista televisiva che è stata ridotta a meno di 6 minuti. Ma la relazione scritta che CNS ha fatto delle mie dichiarazioni ristabilisce ciò che ho detto e che non è stato compreso nella versione diffusa: «Benché Mons. Fellay rifiuti di avallare l’interpretazione (della libertà religiosa) di Benedetto XVI, secondo la quale essa sarebbe in continuità con la Tradizione della Chiesa – una posizione che molti nella Chiesa hanno discusso con vigore – Mons. Fellay ha parlato dell’idea in termini sorprendentemente comprensivi». In effetti, io ho solo ricordato che vi è già una soluzione tradizionale del problema che pone la libertà religiosa, e si chiama tolleranza. A proposito del Concilio, quando mi è stata posta la domanda: «Il Vaticano II appartiene alla Tradizione?», io ho risposto: «Mi piacerebbe sperare che fosse così» (cosa che una scorretta traduzione francese ha trasformato in «Spero di sì»). Questo si colloca esattamente in linea con le distinzioni operate da Mons. Lefebvre per leggere il Concilio alla luce della Tradizione: ciò che è in accordo con la Tradizione, noi l’accettiamo; ciò che è dubbio, lo comprendiamo come l’ha sempre insegnato la Tradizione; ciò che è opposto noi lo rifiutiamo.
 
I rapporti della Fraternità San Pio X con i Vescovi diocesani
 
DICI: Una prelatura personale è la struttura canonica che lei ha indicato in recenti dichiarazioni. Ora, nel Codice, il Canone 297 chiede, non solo d’informare, ma di ottenere l’autorizzazione dei Vescovi diocesani per fondare un’opera sul loro territorio. Se è chiaro che ogni riconoscimento canonico preserverà il nostro apostolato nel suo stato attuale, è disposto ad accettare che le opere future siano possibili solo con il permesso del Vescovo nelle diocesi in cui la Fraternità non è attualmente presente?
 
Mons. Fellay: Vi è molta confusione su questa questione, ed è causata principalmente da una cattiva interpretazione della natura della prelatura personale, come dalla non conoscenza della normale relazione tra l’ordinario del luogo e la prelatura. A questo si aggiunga il fatto che l’unico riferimento oggi disponibile per una prelatura personale è quello dell’Opus Dei. Tuttavia, diciamolo chiaramente, se ci venisse accordata una prelatura personale, la nostra situazione non sarebbe la stessa. Per meglio comprendere ciò che accadrebbe, bisogna pensare che il nostro statuto sarebbe molto più simile a quello dell’ordinariato militare, perché avremmo una giurisdizione ordinaria sui fedeli. Saremmo così una sorta di diocesi la cui giurisdizione si estende a tutti i suoi fedeli indipendentemente dal loro collocamento territoriale.
 
Tutte le cappelle, chiese, priorati, scuole, opere della Fraternità e delle Congregazioni religiose amiche sarebbero riconosciute con una reale autonomia per il loro ministero.
 
Resta vero – secondo il diritto della Chiesa – che per aprire una nuova cappella o fondare un’opera, sarà necessario avere il permesso dell’ordinario del luogo. Evidentemente, noi abbiamo rappresentato a Roma quanto sia difficile la nostra attuale situazione nelle diocesi, e Roma ci sta ancora lavorando. Qui o là, questa difficoltà sarà reale, ma quando mai la vita è senza difficoltà? Molto probabilmente avremo anche il problema contrario, che cioè non saremo in grado di rispondere alle richieste che ci verranno dai Vescovi amici. Penso a quel tal Vescovo che ci potrebbe chiedere di farci carico della formazione dei futuri sacerdoti nella sua diocesi.
 
In nessun modo le nostre relazioni saranno quelle di una congregazione religiosa con un Vescovo, ma quelle di un Vescovo con un altro Vescovo, esattamente come avviene con gli Ucraini, gli Armeni nella diaspora. E quindi se una difficoltà non sarà risolta si andrà a Roma, e vi sarà allora un intervento romano per dirimere la questione.
 
Detto per inciso, ciò che è stato riportato su internet sulle mie dichiarazioni in Austria sull’argomento, il mese scorso, è interamente falso.

DICI: Se vi è riconoscimento canonico, cosa accadrà alle cappelle amiche della Fraternità e indipendenti dalla diocesi? I Vescovi della Fraternità continueranno ad amministrare la cresima, a fornire gli Olii Santi?
 
Mons. Fellay: Se esse operano con noi, non vi saranno problemi: sarà esattamente come adesso. Se no, tutto dipenderà da ciò che queste cappelle intendono per indipendenza.
 
DICI: Vi sarà una differenza nelle sue relazioni con le comunità Ecclesia Dei?
 
Mons. Fellay: La prima differenza sarà che saranno obbligate a smetterla di trattarci da scismatici. Per lo sviluppo futuro, è chiaro che alcune si avvicineranno a noi, poiché ci approvano già con discrezione; altre no. È il tempo che ci dirà come si svilupperà la Tradizione in questa nuova situazione. Noi abbiamo delle grandi attese per l’apostolato tradizionale, al pari di certe importanti personalità a Roma e allo stesso Santo Padre. Nutriamo grande speranza che col nostro arrivo la Tradizione si svilupperà.
 
DICI: Sempre se vi sarà un riconoscimento canonico, darà la possibilità a dei Cardinali di Curia o a dei Vescovi, di visitare le nostre cappelle, di celebrare la Messa, di amministrare le cresime, forse anche di conferire le ordinazioni nei nostri seminari?
 
Mons. Fellay: I Vescovi favorevoli alla Tradizione, i Cardinali conservatori si avvicineranno. È da prevedere tutto uno sviluppo, senza che se ne conoscano i dettagli. Certo vi saranno anche delle difficoltà, cosa che è del tutto normale. Non v’è dubbio che si verrà a visitarci, ma per una collaborazione più precisa, come la celebrazione della Messa o le ordinazioni, questo dipenderà dalle circostanze. Come ci auguriamo che la Tradizione si svilupperà, così speriamo di vedere la Tradizione svilupparsi nei Vescovi e nei Cardinali.
 
DICI: Nell’attesa della decisione romana, quali sono le sue disposizioni interiori’ Quali sono quelle che si augura per i sacerdoti e i fedeli legati alla Tradizione?
 
Mons. Fellay: Quando nel 1988 Mons. Lefebvre annunciò che avrebbe consacrato quattro Vescovi, alcuni lo incoraggiarono a farlo e altri tentarono di dissuaderlo. Ma il nostro Fondatore conservava la pace, poiché aveva in vista solo la volontà di Dio e il bene della Chiesa. Oggi, bisogna avere le stesse disposizioni interiori. Come il suo santo Patrono, la Fraternità San Pio X ha la volontà di «restaurare tutto in Cristo», certuni dicono che non è il momento, altri al contrario che è il momento opportuno. Da parte mia so solo una cosa: è sempre il momento di fare la volontà di Dio ed Egli ce la fa conoscere al tempo opportuno, a condizione che noi ci dimostriamo ricettivi alle sue ispirazioni. Per questo ho chiesto ai sacerdoti di rinnovare la consacrazione della Fraternità San Pio X al Sacro Cuore di Gesù, per la sua festa, il prossimo 15 giugno, e di prepararvisi con una novena nel corso della quale saranno recitate le litanie del Sacro Cuore in tutte le nostre case. Tutti vi si possono associare chiedendo la grazia di diventare docili strumenti della restaurazione di tutte le cose in Gesù Cristo.
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[Fonte: DICI n°256 del 08/06/12]


Ed ecco l'Esame di Coscienza per Sacerdoti cui fa riferimento Mons. Fellay nella sua intervista

ESAME DI COSCIENZA PER I SACERDOTI
1. «Per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità» (Gv 17,
19)
Mi propongo seriamente la santità ne l mio sacerdozio? Sono convinto che la fecondità del mio ministero sacerdotale viene da Dio e che, con la grazia dello Spirito Santo, devo
identificarmi con Cristo e dare la mia vita per la salvezza del mondo?
2. «Questo è il mio corpo» (Mt 26,26)
Il Santo Sacrificio della Messa è il centro della mia vita interiore? Mi preparo bene,
celebro devotamente e dopo, mi raccolgo in ringraziamento? La Messa costituisce il
punto di riferimento abituale nella mia giornata per lodare Dio, ringraziarlo dei suoi
benefici, ricorrere alla sua benevolenza e riparare per i miei peccati e per quelli di tutti
gli uomini?
3. «Lo zelo per la tua casa mi divora» (Gv 2, 17)
Celebro la Messa secondo i riti e le norme stabilite, con autentica motivazione, con i
libri liturgici approvati? Sono attento alle sacre specie conservate nel tabernacolo,
rinnovandole periodicamente? Conservo con cura i vasi sacri? Porto con dignità tutte le
vesti sacre prescritte dalla Chiesa, tenendo presente che agisco in persona Christi
Capitis?
4. «Rimanete nel mio amore» (Gv 15, 9)
Mi procura gioia rimanere davanti a Gesù Cristo presente nel Santissimo Sacramento,
nella mia meditazione e silenziosa adorazione? Sono fedele alla visita quotidiana al
Santissimo Sacramento? Il mio tesoro è nel tabernacolo?
5. «Spiegaci la parabola» (Mt 13, 36)
Faccio ogni giorno la mia meditazione con attenzione, cercando di superare qualsiasi
tipo di distrazione che mi separi da Dio, cercando la luce del Signore che servo? Medito
assiduamente la Sacra Scrittura? Recito con attenzione le mie preghiere abituali?
6. È necessario «pregare sempre, senza stancarsi» (Lc 18, 1)
Celebro quotidianamente la Liturgia delle Ore integralmente, degnamente, attentamente
e devotamente? Sono fedele al mio impegno con Cristo in questa dimensione
importante del mio ministero, pregando a nome di tutta la Chiesa?
7. «Vieni e seguimi» (Mt 19, 21)
È, nostro Signore Gesù Cristo, il vero amore della mia vita? Osservo con gioia
l’impegno del mio amore verso Dio nella continenza celibataria? Mi sono soffermato
coscientemente su pensieri, desideri o atti impuri; ho tenuto conversazioni sconvenienti?
Mi sono messo nell’occasione prossima di peccare contro la castità? Ho custodito il mio
sguardo? Sono stato prudente nel trattare con le varie categorie di persone? La mia vita
rappresenta, per i fedeli, una testimonianza del fatto che la purezza è qualcosa di
possibile, di fecondo e di lieto?

8. «Chi sei Tu?» (Gv 1, 20)
Nella mia condotta abituale, trovo elementi di debolezza, di pigrizia, di fiacchezza? Le
mie conversazioni sono conformi al senso umano e soprannaturale che un sacerdote
deve avere? Sono attento a far sì che nella mia vita non si introducano particolari
superficiali o frivoli? In tutte le mie azioni sono coerente con la mia condizione di
sacerdote?
9. «Il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Mt 8, 20)
Amo la povertà cristiana? Ripongo il mio cuore in Dio e sono distaccato, interiormente,
da tutto il resto? Sono disposto a rinunciare, per servire meglio Dio, alle mie comodità
attuali, ai miei progetti personali, ai miei legittimi affetti? Possiedo cose superflue, ho
fatto spese non necessarie o mi lascio prendere dall’ansia del consumismo? Faccio il
possibile per vivere i momenti di riposo e di vacanza alla presenza di Dio, ricordando
che sono sempre e in ogni luogo sacerdote, anche in quei momenti?
10. «Hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli»
(Mt 11, 25)
Ci sono nella mia vita peccati di superbia: difficoltà interiori, suscettibilità, irritazione,
resistenza a perdonare, tendenza allo scoraggiamento, ecc.? Chiedo a Dio la virtù
dell’umiltà?
11. «E subito ne uscì sangue e acqua» (Gv 19, 34)
Ho la convinzione che, nell’agire «nella persona di Cristo», sono direttamente coinvolto
nel medesimo Corpo di Cristo, la Chiesa? Posso dire sinceramente che amo la Chiesa e
che servo con gioia la sua crescita, le sue cause, ciascuno dei suoi membri, tutta
l’umanità?
12. «Tu sei Pietro» (Mt 16, 18)
Nihil sine Episcopo – niente senza il Vescovo – diceva Sant’Ignazio di Antiochia:
queste parole sono alla base del mio ministero sacerdotale? Ho ricevuto docilmente
comandi, consigli o correzioni dal mio Ordinario? Prego specialmente per il Santo
Padre, in piena unione con i suoi insegnamenti e intenzioni?
13. «Che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13, 34)
Ho vissuto con diligenza la carità nel trattar e con i miei fratelli sacerdoti o, al contrario,
mi sono disinteressato di loro per egoismo, apatia o noncuranza? Ho criticato i miei
fratelli nel sacerdozio? Sono stato accanto a quanti soffrono per la malattia fisica o il
dolore morale? Vivo la fraternità affinché nessuno sia solo? Tratto tutti i miei fratelli
sacerdoti e anche i fedeli laici con la stessa carità e pazienza di Cristo?
14. «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6)
Conosco in profondità gli insegnamenti della Chiesa? Li assimilo e li trasmetto
fedelmente? Sono consapevole del fatto che insegnare ciò che non corrisponde al
Magistero, sia solenne che ordinario, costituisce un grave abuso, che reca danno alle
anime?
15. «Va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8, 11)
L’annuncio della Parola di Dio porta i fedeli ai sacramenti. Mi confesso con regolarità e
con frequenza, conformemente al mio stato e alle cose sante che tratto? Celebro con
generosità il sacramento della riconciliazione? Sono ampiamente disponibile alla
direzione spirituale dei fedeli dedicandovi un tempo specifico? Preparo con cura la
predicazione e la catechesi? Predico con zelo e con amore di Dio?
16. «Chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui» (Mc 3, 13)
Sono attento a scorgere i germi di vocazione al sacerdozio e alla vita consacrata? Mi
preoccupo di diffondere tra tutti i fedeli una maggiore coscienza della chiamata
universale alla santità? Chiedo ai fedeli di pregare per le vocazioni e per la
santificazione del clero?
17. «Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito ma per servire» (Mt 20, 28)
Ho cercato di donarmi agli altri nel quotidiano, servendo evangelicamente? Manifesto la
carità del Signore anche attraverso le opere? Vedo nella Croce la presenza di Gesù
Cristo e il trionfo dell’amore? Impronto la mia quotidianità allo spirito di servizio?
Considero anche l’esercizio dell’autorità legata all’ufficio una forma imprescindibile di
servizio?
18. «Ho sete» (Gv 19, 28)
Ho pregato e mi sono sacrificato veramente e con generosità per le anime che Dio mi ha
affidato? Compio i miei doveri pastorali? Ho sollecitudine anche per le anime dei fedeli
defunti?
19. «Ecco il tuo figlio! Ecco la tua madre!» (Gv 19, 26-27)
Ricorro pieno di speranza alla Santa Vergine, Madre dei sacerdoti, per amare e far
amare di più suo Figlio Gesù? Coltivo la pietà mariana? Riservo uno spazio in ogni
giornata per il Santo Rosario? Ricorro alla Sua materna intercessione nella lotta contro
il demonio, la concupiscenza e la mondanità?
20. «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23, 44)
Sono sollecito nell’assistere ed amministrare i sacramenti ai moribondi? Considero nella
mia meditazione personale, nella catechesi e nella ordinaria predicazione la dottrina
della Chiesa sui Novissimi? Chiedo la grazia della perseveranza finale ed invito i fedeli
a fare altrettanto? Offro frequentemente e con devozione i suffragi per le anime dei defunti?

giovedì 7 giugno 2012

"Bisogna riformare Roma con Roma" anche nel senso giusto

Padre Juan-Carlos Iscara, professore nel Seminario San Tommaso d'Aquino, a Winona (Stati Uniti), ha redatto rivolgendole ai suoi colleghi ed amici, alcune riflessioni personali sulle relazioni attuali tra il Fraternità San Pio X e Roma. Le riproponiamo, condividendole, con i nostri lettori.

La storia ci indica, non ciò che sarebbe dovuto accadere se fossimo vissuti nel migliore dei mondi, ma esattamente ciò che si è prodotto di fatto: la realtà e non le costruzioni dello spirito.
Apprendendo dalla storia come le crisi della chiesa sono state risolte nel passato, l'attesa e/o l'esigenza di un'inversione totale delle posizioni attuali di Roma come condizione preliminare alla nostra « ri-unione » sembra essere utopica ed illusoria. Certi sembrano aspettare che il papa cada in ginocchio, piangendo il suo mea culpa, scusandosi davanti al mondo intero e rinnegando tutto ciò che è stato fatto dal Vaticano II. In effetti, nel passato nessuna delle crisi della chiesa si è risolta in modo tanto chiaro. Roma non ha mai ritrattato nulla esplicitamente, né ha mai ammesso di aver commesso degli errori.
Qualche anno fa siamo stati giustamente sconcertati proprio quando Giovanni Paolo II ha chiesto scusa per le malefatte commesse dagli ecclesiastici nel passato. Perché dovrei adesso, come ciò mi conviene, così esigere o anche aspettare simili pentimenti per mettere un termine a questa crisi?

Nel passato certamente sono stati commessi errori di diverso genere, ma la storia insegna che il modo romano di trattarli è stato il silenzio e l'oblio. Roma ha spesso agito anche come se ciò che era confutabile, non fosse stato mai detto né fatto. Ad esempio, sotto Paolo VI, ci si è detto che la messa tradizionale era stata abrogata. Ciò sembrava essere la fine. Ma, alcuni anni, dopo, Giovanni Paolo II ha accordato un indulto per celebrarla, un « favore » probabilmente, ma che implicava - senza affermarla - la sua abrogazione precedente. Adesso Benedetto XVI ci dice che non è stata mai abrogata. Qualcuno ha sentito delle scuse per le affermazioni fallaci del passato?
La storia ci mostra anche dei grandi santi che agiscono con una moderazione prudente e paziente, anche in materia dottrinale.
Ad esempio, abbiamo l'atteggiamento di San Basilio di Cesarea, ai tempi delle eresie degli ariani e degli pneumatomachi. La chiesa era in un grande sconforto dovuto all'esilio dei vescovi ortodossi ed alle persecuzioni. Per custodire la sua libertà e quella della sua chiesa, ed anche per riportare gradatamente all'ortodossia gli eretici e coloro che esitavano, san Basilio, pur rimanendo perfettamente ortodosso, ha evitato di utilizzare le formule che avrebbero provocato immediatamente l'opposizione e anche per questo, fu accusato di menzogna e di adulazione, in particolare quando, in riferimento allo Spirito Santo, adoperò l'espressione « conglorificatur » senza dire esplicitamente « consubstantialis » o « Theos » (Dio), appoggiandosi sul fatto che il concilio di Nicea non aveva detto niente sulla divinità dello Spirito Santo. San Basilio si è accontentato di esprimere l'homotimia (uguaglianza di onore e di culto) e di affermare che la Spirito Santo non è una creatura. È ciò che Sant'Atanasio e S. Gregorio di Nazanzio hanno chiamato l’« economia » di San Basilio, ma finalmente. le sue espressioni sono state recepite dal secondo concilio di Costantinopoli.
La chiesa è uscita dalle crisi, guidata da Dio che utilizza gli uomini ed i giudizi della prudenza politica.
Un esempio notorio è la fine della terribile crisi del grande scisma di occidente, risolta, e ahimè rinnovata, dal concilio di Costanza-Basilea. Già la stessa convocazione di questo concilio si fece in circostanze senza precedenti. Lo scisma fu risolto con l'elezione di Martino V, ma il concilio rimase in sessione per riformare la chiesa e scivolò velocemente verso la proclamazione della supremazia del concilio sul papa, alterando di fatto la costituzione divina della chiesa. Martino V protestò debolmente, ed il problema riapparve con una nuova intensità sotto il suo successore, Eugenio IV. Messo a confronto con l'alternativa di provocare di nuovo uno scisma o di sottoporvisi, il papa, molto suo malgrado, siglò il decreto conciliarista, ma nello stesso tempo formulò un documento segreto, la famosa Bulla Salvatoria, nel quale sottolineò che aveva firmato pressato dalle circostanze ma che non aveva avuto l'intenzione di opporsi alla dottrina cattolica o di ridurre i diritti ed i privilegi della Santa Sede. Venuto il momento, rese la Bolla pubblica, chiuse il concilio e riaffermò la sua autorità.
È bene considerare che, alla fine di quasi ogni crisi, c'è sempre un piccolo gruppo inflessibile e più rigoroso che rigetta la soluzione provvidenziale. Questi gruppi sono scivolati abitualmente nello scisma e son finiti nell'eresia prima di sparire. Notiamo, ad esempio, gli intransigenti nell'Africa del terzo secolo caduti nello scisma a causa del loro rifiuto di ricevere nella comunione quelli che si erano indeboliti e che erano caduti durante la persecuzione di Decio. I Lucifériani - [dal nome del loro capo Lucifero, vescovo di Cagliari in Sardegna ndT]- che verso la fine dell'eresia ariana nel IV secolo, hanno aderito alla definizione di Nicea, ma hanno criticato aspramente le precisazioni supplementari sancite dal 2° concilio di Costantinopoli. E, nel diciannovesimo secolo, i vescovi francesi che hanno finito per costituire la « piccola Chiesa » , scandalizzati per il « tradimento » di Roma che li privava delle loro sedi episcopali per preparare la via al concordato con Napoleone, sono caduti nello scisma ed hanno finito per negare il primato di giurisdizione del Papa.
Per i veri nemici della chiesa, tali gruppi estremisti non sono sembrati costituire un vero pericolo.
Per esempio, ad Antiochia nel quarto secolo, Euozios, vescovo ariano, ha accordato l'utilizzazione di una chiesa a Paulinos, vescovo niceno estremista consacrato da Lucifero di Cagliari, ancor più esaltato ed estremista di questi, mentre oppose più amaramente a Meletius, vescovo cattolico che, prudente e forse anche troppo moderato, è stato considerato pericoloso proprio perché affermava le dottrine di Nicea e di Costantinopoli.

(Fonte: DICI n°255 del 25/05/12)

mercoledì 6 giugno 2012

non si trova un cuore saldo

Siamo circondati da eretici


Non riflettiamo che il mondo è oggi infestato da eretici; combattiamo contro quelli che sono organizzati in sette, contro i protestanti, e non combattiamo contro quelli che infestano la vita pubblica. Per es., noi parliamo di Benedetto Croce, di Giovanni Gentile, di Antonio Aliotta e di tanti altri; li consideriamo come filosofi, che hanno magari teorie strampalate e spessissimo cretine, ma non pensiamo che questi sono eretici, nel più stretto senso della parola, propagatori di errori banali contro la fede, contro la morale, contro la Chiesa. Spesso le Università e le scuole pullulano di eretici che seminano il male, avvelenano le generazioni, e nessuno li disturba; eppure sono i peggiori eretici, perché sotto l'orpello della scienza diffondono l'errore. Vi sono eretici fra gli storici, fra i letterati, fra i medici, fra i naturalisti, che insegnano, stampano, discutono e raccolgono gli applausi e gli allori anche da tanti cristiani da strapazzo, ignoranti delle verità della loro Fede che è profondissima scienza. Non parliamo della diffusione dell'immoralità sotto l'orpello letterario; eretico è chi insegna errori [anche] contro i costumi, poiché i costumi non sono che la fede in pratica; or quanti demoralizzatori ci sono nelle scuole, nelle famiglie, nei circoli mondani! […] Noi ci nutriamo di paganesimo pur avendo tanti autori cristiani […] e non si trova un cuore saldo che sappia bollare questi orribili attentati che si fanno nelle scuole alla morale e alla fede.

[Brano tratto da “La Sacra Scrittura”, volume V, di don Dolindo Ruotolo, Apostolato Stampa].

martedì 5 giugno 2012

un libro da tenere aperto


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Un discorso da tenere aperto e da sviluppare. La Chiesa e la sua continuità. Ermeneutica e istanza dogmatica dopo il Vaticano II

Ho il piacere di condividere con voi l'uscita del mio libro, che sarà distribuito tra giorni:
La Chiesa e la sua continuità. Ermeneutica e istanza dogmatica dopo il Vaticano II, Editrice DEUI, Rieti 2012, pag. 240, Euro 21.
Nel frattempo, può essere richiesto anche a maria.guarini@gmail.com fornendo i dati per riceverlo e ottenere le indicazioni per versare il corrispettivo (Euro 21 comprese le spese di spedizione).

Il lavoro, partendo da una presentazione dei testi di Romano Amerio, Iota Unum e Stat Veritas, di cui pubblica gli Atti, analizza sul piano filosofico e teologico lo status questionis della crisi che ha investito la Chiesa postconciliare, sviluppando in termini essenziali alcuni dei punti più controversi.(1)

L'intento: contribuire ad alimentare un dibattito allargato, al fine di promuovere azioni concrete mirate al ripareggiamento della verità e a colmare lo iato generazionale che si è creato a livello dottrinale negli ultimi 50 anni. Anche sulla base dei documenti propositivi pubblicati in Appendice, si vuole promuovere un’azione che potrà essere sviluppata congiungendo a livello internazionale associazioni e congregazioni religiose di sentimento tradizionista per intensificare nella Chiesa l’atmosfera dogmatica di cui essa necessita.
Inserisco il link all'introduzione di mons. Gherardini

(1) Li elenco brevemente. Si tratta dei seguenti, sviluppati nel cap. IV.

È sotto gli occhi di tutti l'attentato alla continuità perpetrato attraverso innovazioni dottrinali e/o ambiguità uscite dal concilio e sviluppate nel post-concilio:
  1. Nuova ecclesiologia e insidie della collegialità;
  2. Libertà religiosa;
  3. Fusione delle fonti della Rivelazione con l’assorbimento della Tradizione nella Sacra Scrittura;
  4. Ecumenismo. Definizione evoluzione
  5. Il dialogo ad ogni costo. Chiesa dialogante e non più docente
  6. Nuovo linguaggio fluido e mai definitorio: parole nuove che velano l’antica Sapienza;
  7. Affermazione del medesimo Dio adorato da cristiani, ebrei e islamici;
  8. Tendenze giudaizzanti e modifica della “Dottrina della sostituzione” della Sinagoga con la Chiesa in “dottrina delle due salvezze parallele”;
  9. Antroprocentrismo ed equivocità tra chiesa storica e chiesa metafisica;
  10. Sostituzione del Rito: Novus Ordo Missæ in luogo del Rito usus Antiquior, oggi riesumato ma purtroppo in subordine;
  11. Sincretismo diffuso: Assisi ed eventi consimili.

lunedì 4 giugno 2012

P. Calmel: «la Chiesa apparente ben presto sarà smascherata. Tosto cadrà in polvere, perché la sua forza principale nasce dal fatto che la sua intrinseca menzogna passa per la verità, non venendo mai efficacemente sconfessata dall’alto».


Esiste un testo molto prezioso, che oggi dovrebbe essere ricuperato per la sua straordinaria attualità. Si tratta della Breve apologia della Chiesa di sempre di Padre Roger Thomas Calmel (1914-1975) dell’ordine dei Predicatori: è la raccolta di alcune meditazioni sull’attuale crisi della Chiesa, causate dalle idee moderniste infiltratesi con il Concilio Vaticano II.
Padre Calmel illustra, con dottrina e pietà, il dovere dei figli della Chiesa (vescovi, sacerdoti e laici), quale sia l’atteggiamento che un buon fedele deve avere nei confronti del Vicario di Cristo. Gli illuminanti insegnamenti di Padre Calmel sono uno strumento efficace per comprendere quale sia veramente la strada del sincero e devoto cattolico, che vuole realmente e sinceramente appartenere alla Chiesa, senza sentimenti di ira o di amaro zelo, che non appartengono, e non hanno mai appartenuto, al sentire cattolico.
Padre Calmel conduce per mano, passo passo, a comprendere che cosa sia la Chiesa e quale ruolo abbia il Papa.
«Come i poteri della Chiesa derivano dai poteri di Cristo, come la santità della Chiesa è la santità di Cristo “diffuso e comunicato” (Bossuet), così il messianismo: quello di Gesù Cristo, Nostro Signore e Re» e il Suo Regno non appartiene a questo mondo. Il Vangelo in tre precisi punti, dice il padre domenicano, esprime il grande disegno messianico della Chiesa: «Cercate innanzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia e il resto vi sarà dato in sovrappiù» (Mt 6,33); «Una sola cosa è necessaria; Maria ha scelto la parte migliore, che non le è stata tolta» (Lc 10,42); «Io sono re, ma il mio regno non è di quaggiù» (Gv 18, 36-37).
Cristo è Re nel Regno di Dio ed è Re della Chiesa. La Chiesa gli appartiene e su di essa imprime la sua regia autorità. Il Papa è il suo vice in terra. A causa della crisi della Chiesa e delle tempeste che si sono abbattute su di Lei, accade che molti fedeli siano talmente sofferenti, talmente angosciati, talmente delusi da essere tentati di affermare «ma questa non è la mia Chiesa!». Ebbene è una tentazione, una satanica tentazione, dalla quale occorre resistere con tutte le proprie forze.
Padre Calmel afferma che, in effetti, «quando accettiamo di guardare in faccia la realtà, siamo obbligati a dire: «Ah! Roma mi ha fatto male» a causa dei novatori e dei negatori dei mezzi di santificazione che sono penetrati nelle mura vaticane… e si è permesso che esse entrassero, senza opporvi debita resistenza. Ma un giorno Roma guarirà dalla sua malattia: «la Chiesa apparente ben presto sarà smascherata. Tosto cadrà in polvere, perché la sua forza principale nasce dal fatto che la sua intrinseca menzogna passa per la verità, non venendo mai efficacemente sconfessata dall’alto».
Gesù governa la sua Chiesa e, d’altro canto non «c’è Chiesa senza Vicario di Cristo, infallibile ed investito del primato». Nessuno può confutare che c’è «un Capo della Chiesa che è sempre infallibile, sempre senza peccato, sempre santo, che ignora intermittenze o arresti nella sua opera di santificazione. È Lui il solo Capo, perché tutti gli altri, compreso il più alto [il Pontefice], non hanno autorità se non da Lui e per Lui».
Da quando Gesù Cristo è asceso al Cielo si è procurato, fino ad oggi, 265 Papi. Spiega padre Calmel: «Alcuni, un piccolo numero soltanto, sono stati dei Vicari così fedeli che noi li invochiamo quali amici di Dio e Santi intercessori; un numero ancora più ridotto è caduto in mancanze gravissime; il maggior numero dei Vicari di Cristo, invece, furono più o meno convenienti; nessuno di loro, essendo ancora Papa, ha tradito e potrà tradire fino ad insegnare esplicitamente l’eresia nella pienezza della sua autorità. Tale essendo il rapporto di ogni Papa e della serie dei Papi col Sommo Sacerdote Gesù Cristo, le debolezze di un Papa non debbono farci dimenticare, sia pure per poco, la saldezza e la santità della signoria del nostro Salvatore, impedendoci di vedere la potenza e la sapienza di Gesù, che tiene in mano anche i Papi insufficienti e contiene la loro insufficienza nei limiti invalicabili».
Pensiero lucidissimo, spiegazioni nette e inequivocabili: si tratta davvero di un magnifico libro da leggersi quando lo sconforto assale nel constatare le ferite inferte alla Chiesa. Si comprenderà, allora, che la Chiesa, amatissima Sposa di Cristo, proprio perché malata deve essere ancora più seguita, soccorsa, difesa, protetta. Quando c’è un ammalato, egli va ancor più amato di quando il suo stato era sano. L’amore di Cristo per la Sua Chiesa non muta mai, è costante, è perseverante, è perfetto. E quando è piagata Egli è dolorante per quelle piaghe. I fedeli, chiamati ad imitarLo in tutto, come il Vangelo insegna, possono sì soffrire per Lei, ma non per questo smettere di amarla, ripudiandola.

Padre CalmelR.T. Calmel, Breve Apologia della Chiesa di sempre, Editrice Ichthys 2007. Disponibile nei Priorati e centri di Messa della Fraternità San Pio X (€ 5,00+spese di spedizione).
Fonte:
http://www.sanpiox.it/public/index.php?option=com_content&view=article&id=654:breve-apologia-della-chiesa-di-sempre&catid=52:libri&Itemid=120