sabato 25 settembre 2010

Newman e Lefebvre

Che cosa accomuna il cardinale Newman e il grande critico del Vaticano II

CONTRORIFORME
di Francesco Agnoli



















Ho tra le mani due biografie della stessa autrice, la nota scrittrice piemontese Cristina Siccardi. La prima “Nello specchio del Cardinale J.H Newman” (Fede & Cultura), è incentrata sul nuovo beato inglese, ed è una ottima sintesi della sua vita e del suo pensiero.

La seconda “Mons. M. Lefebvre. Nel nome della Verità” (Sugarco) è invece un testo dedicato al famoso Vescovo francese, che si oppose nel post concilio a molte delle derive di quegli anni. Nel secondo di questi volumi trovo un passo interessante per capire i tempi che vive i tempi della chiesa di oggi. Jean Guitton, intimo amico di Paolo VI, ma anche estimatore dell’opera del vescovo francese, parlando col Papa l’8 settembre 1976, ebbe a dirgli: “Santo Padre, io confronto monsignor Lefebvre con Newman nella prima parte della sua vita, quando considerava che i cambiamenti introdotti da Roma fossero corruzioni, perché la Chiesa deve rimanere identica a se stessa: la Fede ‘è ciò che è ammesso da tutti, ovunque e sempre’ secondo la bella definizione di Vincent de Lèrins”. Non è qui il luogo per analizzare la vita di mons. Lefebvre, il suo pensiero, le sue amicizie (da Guitton, al cardinal Siri, al protestante Albert Schweitzer), né per discutere le varie posizioni da lui prese nell’arco della sua vita. Neppure è il luogo per esporre il suo pensiero sul Concilio Vaticano II, di cui mons. Lefebvre firmò tutti gli atti salvo poi affermare che dove essi risultassero ambigui o controversi, andavano interpretati alla luce della “Tradizione”.

Chi vuole approfondire, può farlo leggendo l’ottimo libro citato. E’ però interessante capire il crescente interesse attuale per le due figure, Lefebvre e Newman e il parallelo tra loro istituito da Guitton e, implicitamente, dalla Siccardi.

Ebbene a me sembra che la “concordanza” tra i due personaggi stia nella loro posizione di fronte al liberalismo. La mattina del 12 maggio 1879, padre Newman parlò in occasione della nomina a cardinale da parte di Papa Leone XIII ed ebbe a ribadire un concetto a lui caro: disse che il grande pericolo per la Fede risiedeva nello “spirito del liberalismo nella religione”. Con la espressione suddetta Newman intendeva “la dottrina secondo cui non c’è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro”. Newman condannava cioè l’indifferentismo religioso, in forte contrasto con la sua caratteristica umana più profonda che lo aveva portato alla conversione: l’idea che l’uomo non può fare a meno di credere nella verità e quindi di cercarla incessantemente, pronto a lasciare tutto per quell’unico tesoro. Il mondo moderno, argomentava Newman, è antireligioso, perché nega la Verità stessa e parla di “tolleranza” di tutte le religioni per dire, in verità, che nessuna vale qualcosa. Tutte uguali, cioè, perché nessuna è vera e tutte ugualmente inutili. Il liberalismo nella religione riduce la fede a un fatto personale, a “proprietà privata” da tener nascosta con vergogna a “un sentimento”, una “preferenza personale”, soggettiva, senza ripercussioni nella vita sociale.

Lo stesso liberalismo

Se questa era la posizione di Newman, alla fine dell’Ottocento, si può dire che a partire dagli anni Sessanta del Novecento Lefebvre, come molti altri, ebbe a combattere proprio contro lo stesso liberalismo, o relativismo religioso, introdottisi, questa è la novità, nella chiesa stessa. Parlando del gesuita Rahaner, di Suenens (il cardinale che insieme a Danneels ha azzerato la chiesa belga), e di altri teologi in voga, Lefebvre che vedeva le chiese di Francia svuotarsi, insieme ai seminari, denunciava una visione liberale trionfante all’interno della stessa cristianità. Non aveva tutti i torti, se è vero che per anni abbiamo sentito dire che un Dio vale l’altro, perché in fondo “c’è un solo Dio”. Come se Cristo, Manitù o Maometto fossero la stessa persona e insegnassero la medesima “buona novella”. A tale riguardo Lefebvre si dichiarava avverso alle adunanze ecumeniche in cui le statue di Budda e quelle di divinità di altre religioni venivano poste sugli altari cattolici, ingenerando così nei fedeli una equiparazione sincretista. Contro queste manifestazioni, che oggi Benedetto XVI sta archiviando, in nome del dialogo tra gli uomini e non tra le religioni, Lefebvre citava il pontefice Pio XI che nella sua “Mortalium animos” aveva condannato le prime adunate ecumeniche basate sul “falso presupposto che tutte le religioni siano buone e lodevoli in quanto tutte, pur nella diversità dei modi, manifestato e significano ugualmente quel sentimento, a chiunque congenito, che ci rivolge a Dio…”. Queste adunanze, concludeva il Papa dimenticano che la Verità è una sola, e quindi conducono, “insensibilmente”, “al naturalismo e all’ateismo”. Il cardinal Newman, ricorda sempre Cristina Siccardi, visse in un’epoca in cui era improponibile un “ecumenismo delle religioni”. Se lo avesse conosciuto “lo avrebbe visto come una pericoloso teoria sincretista”, convinto com’era di aver lasciato la Chiesa anglicana e tanti cari amici, non per un capriccio, ma perché obbligato dalla sua coscienza riconoscere nella Chiesa di Roma, e non in quelle di Enrico VIII la vera e unica Chiesa di Cristo. Anche per questo Newman piaceva anche al Papa avversario del modernismo: il troppo dimenticato san Pio X.

da Il Foglio 16 settembre 2010



per la verità di Cristo in questo mondo

Il Papa nella terra di Enrico VIII e della Chiesa di Stato
di Francesco Agnoli

Benedetto XVI è un pontefice che preferisce ridurre al minimo i suoi viaggi, per poter governare meglio la barca di Pietro, senza essere costretto a delegare troppo.

La Curia romana infatti è un po’ il motore della Chiesa, e come tale occorre curarla e governarla. Ciononostante il papa compirà, a breve, un viaggio delicatissimo in Inghilterra. Non sarà un’esperienza facile. Da mesi e mesi i suoi nemici gli preparano una accoglienza burrascosa. Il fatto è che l’Inghilterra, per un successore di Pietro, è una terra di leoni. Dall’epoca dello scisma di Enrico VIII, infatti, il papa è identificato col nemico del paese e i cattolici sono gli odiati “papisti”. Fu proprio Enrico ad inaugurare la politica della calunnia come arma principale per difendere la sua decisione di umiliare Caterina d’Aragona. Il popolo infatti era contrario sia al ripudio della sposa, sia allo scisma. Occorreva convincerlo, in un modo o nell’altro. Molti nobili e borghesi furono comperati dal sovrano che cedette loro, per pochi soldi, tutte le proprietà della Chiesa cattolica confiscate. Ma la gente fu più difficile da persuadere.

La politica adottata fu allora quella di obbligare teologi, sacerdoti, dignitari vari, a prendere posizione per il re, scrivendo libri, saggi, drammi teatrali, in cui il papa veniva presentato come un avido monarca desideroso di impadronirsi dell’Inghilterra e come un nemico del Vangelo, tirato a destra e a sinistra perché risultasse filo-Enrico VIII. Da allora in poi, complici le guerre con la cattolica Spagna, il papa nemico del paese divenne un dogma della chiesa di stato anglicana.

Per capire come possano essere cresciute generazioni di inglesi, basta leggere “La Chiesa cattolica” di G.K. Chesterton, recentemente ripubblicato da Lindau. Per spiegare la sua conversine al cattolicesimo, il celebre giornalista mette in luce due aspetti. Il primo: la difficoltà per un inglese di vincere gli infiniti pregiudizi contro i cattolici disseminati qua e là, in sermoni, romanzi, riviste, che li portano ad un vero e proprio “terrore del papismo”. La seconda: la difficoltà per un anglicano di essere nel contempo patriota e aperto ad una fratellanza universale. Proprio analizzando lo strettissimo legame tra patriottismo inglese, corona e chiesa anglicana, Chesterton conclude: “in questo senso il protestantesimo è patriottismo, ma per sfortuna non è nient’altro. Parte da lì e non va mai oltre”.

Al contrario il cattolico universalista considera l’amore per la patria un dovere dell’uomo, ma “non il suo unico dovere, come avveniva invece nella teoria prussiana dello Stato e, troppo spesso, in quella britannica dell’impero”. Detto questo, bisogna ricordare che verso la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, la Gran Bretagna ha conosciuto moltissime conversioni alla Chiesa di Roma: da Newman, a Chesterton, allo scrittore Bruce Marshall, autore dello splendido “Ad ogni uomo un soldo”, sino a R.H. Benson ed Evelyn Waugh…

Tutti questi personaggi hanno sentito il fascino di Roma, della sua universalità, evidente nei suoi dogmi e soprattutto nella sua liturgia latina. Tutti costoro hanno amato nella Chiesa cattolica la sua libertà da un particolare potere politico, insita nella sua universalità, così lontana dal pregiudizio velatamente razzista presente nella cultura britannica. Nei loro libri compaiono spesso preghiere in latino, formule antichissime della fede cattolica, che stanno al di fuori del tempo e dello spazio, unendo ogni singolo fedele con i suoi fratelli, di ogni luogo e di ogni tempo.

Poi, in seguito al Concilio Vaticano II, il flusso di conversioni in Inghilterra si è arenato, per riprendere solamente, e vigorosamente, dopo l’elezione al soglio pontificio di Benedetto XVI, il motu proprio sulla messa antica e una nuova concezione dell’ecumenismo. Così abbiamo assistito ad un fenomeno che per un cattolico è provvidenziale: moltissimi anglicani, dopo secoli e secoli, hanno chiesto di rientrare nella Chiesa di Roma!

Questo ritorno in massa è stato favorito senza dubbio da più elementi. Anzitutto dal graduale dissolversi della vecchia mentalità britannica. L’Inghilterra non è più, da tempo, un impero che governa sui mari, né il paese che afferma di prendersi sulle spalle “il fardello” della civilizzazione degli altri popoli. Una religione patriottica, come quella anglicana, oggi, nel mondo anglosassone, è sempre più improponibile. In secondo luogo è la società inglese che sta dissolvendosi. Uno straordinario osservatore del mondo anglosassone, Gianfranco Amato, autore di “Un anno alla finestra”, ricorda per esempio che oggi in Inghilterra il nome più diffuso tra i neonati maschi di Londra è Mohamed, mentre gli aborti sono ben 500 al giorno! Numeri che dicono della graduale sparizione di un popolo. Che avviene mentre le gerarchie anglicane non sanno opporre nulla al nichilismo imperante, ma anzi si mettono al traino. Inevitabile dunque che mentre l’odio contro Benedetto XVI, fustigatore del relativismo, monta, cresca anche il numero dei britannici che cercano una fede solida, vera, che non ceda al mondo e alle sue lusinghe.

“La Chiesa cattolica, scriveva Chesterton, è l’unica in grado di salvare l’uomo da una schiavitù degradante, quella di essere figlio del suo tempo”. Per questo lotta e sopravvive. Cambiati i tempi, qualcuno inizierà ad accorgersi che i vecchi dogmi di un’epoca, erano fasulli e transitori, mentre il Vangelo rimane sempre “nuovo”, ed attuale.

da Il Foglio del 9/9/2010

venerdì 24 settembre 2010

il carattere perfido dei metodi e delle manovre rivoluzionarie

Una riflessione sulle caratteristiche distintive della Rivoluzione.
del P. R.-Th. Calmel O.P.
(Titolo originale: Della civiltà cristiana. Appendice a Per una teologia della storia, Borla 1967).

Riflettendo sulla rivoluzione nelle sue improvvise esplosioni o nelle sue ramificazioni nascoste, possiamo agevolmente notare tre caratteristiche distintive: non rimedia agli abusi, ma colpisce la natura stessa delle cose; non realizza le nobili, generose e oneste aspirazioni al rinnovamento, ma le mette in disparte a profitto della distruzione, giungendo persino a corromperle; non domina per mezzo di un'autorità visibile, magari tirannica, ma riduce in schiavitù tramite un'autorità occulta, contro la quale ogni intervento è pressoché impossibile, poiché è come un veleno iniettato nei tessuti del corpo sociale.

Esaminiamo queste tre caratteristiche una alla volta.

Aver decretato che la legge civile sarebbe legittima unicamente in base alla maggioranza dei voti e non perché conforme a un ordine naturale venutoci da Dio, tenendo conto delle giuste tradizioni di un paese; aver privato i genitori e i corpi costituiti degli insegnanti - le università - del diritto di educazione e di insegnamento per farne un monopolio di stato; aver dichiarato che lo stato non riconosce alcuna religione e non si inchina di fronte a nessuna di esse; mirare insidiosamente alla statalizzazione del commercio, dell'agricoltura e della sanità, tutte queste piaghe politiche e molte altre ancora rivelano una sinistra volontà di colpire le radici stesse della società con un movimento sacrilego e veramente satanico. E non è certo per il fatto che molti uomini vi ci siano ormai abituati, o che siano condizionati dalla propaganda, che la rivoluzione ha smesso di essere abominevole. Un cancro smette forse di essere mortale perché l'organismo vi si è in qualche modo adattato?

Il riformatore degno di questo nome comincia col rispettare la natura: che si tratti di una persona o di una istituzione, non lotta contro i vizi, le deformazioni, le incrostazioni, se non per favorire il compiersi della natura in ciò che essa ha di autentico e di originale. Il rivoluzionario invece se la prende con la natura in se stessa, spinto da chissà quale febbre o gelosia, più che le consuetudini o gli abusi, e la natura stessa degli esseri e delle cose che egli intende abbattere per trasformarla. E’ cosi che il rivoluzionario attacca non solo gli ingiusti privilegi ma ogni sana gerarchia e le prerogative inevitabilmente collegato; parimenti, non vuole soltanto correggere gli abusi della proprietà, ma distruggere quest'ultima; non vuole mettere soltanto un freno all'invadenza clericale nella vita pubblica ma pretende di laicizzare la vita pubblica, interdire alla Chiesa di far valere il diritto; o, ancor peggio, vorrebbe che il magistero ecclesiastico decretasse "motu proprio" il laicismo delle leggi e dei costumi. Non finiremmo mai di citare degli esempi. Da parte mia, anche se comprendo, pur disapprovandola con tutte le mie forze, la disperazione di fronte allo spettacolo di uno scandalo a volte enorme nella società o fra la gente di Chiesa, mi riesce mollo più difficile capire che si possa avere coscienza della condizione di creatura e tuttavia consacrare la propria vita a quello sconvolgimento essenziale in cui consiste la rivoluzione. Ma questa è la realtà. La gratuità e la mostruosità del male raggiungono una simile profondità. Per essere giusti, guardiamoci tuttavia dal dimenticare la responsabilità di certe persone per bene, che non sono per nulla rivoluzionarie nella genesi dell'atteggiamento rivoluzionario. Forse vi è capitato d'incontrare degli ex allievi della scuola laica, che non sono affatto degli esseri volgari, e che custodiscono nel cuore un odio inesauribile e attivo nei confronti della scuola libera; oppure avrete potuto notare dei preti che pur non essendo né mediocri né eretici, detestano ferocemente la gerarchia ecclesiastica e i suoi organi esecutivi, agendo di conseguenza. Che cosa c'è all'origine di tali atteggiamenti rivoluzionari? A volte un orribile scandalo in seno alla scuola religiosa o agli organi della gerarchia che li ha colpiti. Non sono riusciti a superarlo. E’ mancato loro un desiderio sufficientemente umile da assomigliare a Cristo crocifisso. "Ne ho viste troppe", dicono. Il guaio è che non hanno saputo vedere l'agonia del Signore e la sofferenza tranquilla dei veri discepoli confessori o martiri (Possiamo leggere su questo tema il capitolo: Réponse integrale aux iniquités del nostro libro; Sur nos routes d'exil, les béatitudes, già citato).

Ma in definitiva ogni sforzo rivoluzionario non avrebbe una vasta portata, se non riuscisse a far entrate nella sua orbita e a utilizzare per la sua opera distruttrice, i sentimenti nobili e coraggiosi. Se la sollevazione dell'89 fosse stata fatta solo da banditi o da tarati, se non avesse affascinato e posto al proprio servizio dei caratteri fieri, degli uomini puri (ma v'erano delle macchie nella loro purezza), questo movimento sarebbe finito ben presto nel nulla, incapace di scuotere la Francia e il mondo.

Per andare in fondo alle cose diremo che, se il demonio non fosse così abile nel fuorviare le nostre migliori aspirazioni, se non avesse imparato a farle entrare nel suo sinistro gioco di falsificazione, non gli servirebbe molto essere puro spirito e totalmente immerso nel male. In realtà tutta la sua astuzia può essere sventata da una fede semplice e fiduciosa. "Haec est victoria quae vincit mundum [et diabolum], fides nostra", insomma, i disegni di Satana sono votati all'insuccesso dall'alba ineffabile dell'Immacolata Concezione: "Ipsa conteret caput tuum".

Conosciamo molto bene il carattere perfido dei metodi e delle manovre rivoluzionarie; captare le più veementi aspirazioni di giustizia e di pace, o quelle, colme di linfa, di necessari rinnovamenti per impiegarle contro la giustizia e la vita. Ad esempio, basta che in un momento della storia della Chiesa si faccia sentire il bisogno di un rinnovamento biblico o liturgico, missionario o "laico", e che questo rinnovamento sia nell'aria, e subito lo spirito rivoluzionario tenterà di circuirlo, captarlo e falsarlo. Si incomincia col mettere in disparte coloro che avrebbero fatto fiorire il rinnovamento rimanendo fedeli alla tradizione, sostituendoli con uomini che vogliono "nuove sorgenti" in antitesi con la costituzione della Chiesa; poco alla volta si insegna al popolo cristiano, odiosamente ingannato, a interpretare la Scrittura in senso contrario alla teologia, a celebrare la liturgia a detrimento dell'adorazione e del raccoglimento, a magnificare il matrimonio in odio alla verginità consacrata, a esaltare la povertà evangelica strumentalizzandola contro la proprietà privata, a divenire apostoli dei miscredenti astraendosi dalla fede e dal battesimo.

A questo punto bisognerebbe riflettere sull'evangelismo ambiguo e sui cristiani illusi che ne sono insieme i seguaci e le vittime. Hanno fatto cadere il Vangelo dalla sua altezza soprannaturale per appiattirlo al livello delle aspirazioni impure dell'uomo carnale.

Hanno perfettamente capito, per esempio, che la Chiesa deve essere vicina al mondo per salvarlo ma, non avendo accettato pienamente che tale vicinanza fosse quella della misericordia divina anziché la prossimità miserabilmente umana della debolezza e della connivenza, finiscono con l'abbandonare la Chiesa proprio quando pretendono di avvicinarla al mondo. Sanno anche che il Vangelo è mistico e che trascende le società umane; ma, non avendo accettato totalmente il concetto che questa mistica porti a compimento la legge naturale, finiscono col predicare il Vangelo contro il diritto naturale e persino contro le istituzioni naturali della società. Sanno che i ministri di Cristo, per il loro stato, sono i servitori dei loro fratelli in vista del regno di Dio ma, non avendo accettato pienamente che questo servizio fosse quello di un cristiano riconosciuto anche formalmente nella sua dignità che proviene dall'alto, che non si ha il diritto di disprezzare, essi finiscono col reclamare una Chiesa povera che si sbarazzi della dignità dei suoi ministri. Se ne avessero la possibilità (ma la cosa non si avvererà), edificherebbero una pseudo-Chiesa, impegnandosi a promuovere ciò che chiamano una "Chiesa povera". Costituirebbero una Chiesa svuotata dai poteri gerarchici, immaginandosi così di renderla più viva nella fede e nell'amore.

Ma se i rimproveri pieni di sospetto che investono la Chiesa libera e svincolata da compromessi, o la Chiesa serva e povera o ancora la Chiesa apostolica e presente nel mondo, sono tanto numerosi, se tante dottrine equivoche esercitano un enorme fascino, è perché vengono predicate da apostoli fuorviati. Una grazia apostolica deviata: ecco che cosa si indovina nei loro propositi. Da qui deriva il loro strano magnetismo, la loro particolare attitudine a sedurre le anime generose ma troppo deboli e non abbastanza pure. Questi falsi apostoli, questi apostoli dell'illusione, ci colpiscono nelle regioni mistiche dell'anima senza contraddire ciò che d'impuro e di troppo umano vi si trova celato. Ci farebbero credere che tutto in noi può egualmente venir soddisfatto dal Vangelo del Signore: lo spirito servile e la vigliaccheria a sostegno della nostra dignità; l'amore della giustizia ma anche il risentimento; lo zelo delle anime come il consenso del mondo. I danni che ne derivano sono incalcolabili; niente mi appare tanto devastatore per il popolo cristiano come una grazia apostolica, non dico rinnegata e calpestata, ma fuorviata. Forse, la rivoluzione non ha migliori alleati all'interno della Chiesa di Cristo (e persino nel mondo in generale) degli apostoli fuorviati, e tanti cristiani illusi che si sono schierati con loro.

Di questa illusione mortale una delle maggiori fonti è la mediocrità, il consenso alla tiepidezza. E il rimedio non verrà trovato in una lucidità dura e senza compassione, ma in una lucidità permeata d'amore, tenera e forte.

È per ciò che chiediamo con l'Apostolo (Et. 1,17-18) che "Iddio di Nostro Signore Gesù Cristo, il Padre della gloria, ci dia lo spirito di sapienza e... illumini gli occhi del vostro cuore".

San Tommaso Moro: buon servitor del re perché miglior servitor di Dio

Dio, il re e il processo a Tommaso Moro
Benedetto XVI parla davanti al Parlamento britannico
di William Newton

TRUMAU (Austria), mercoledì, 22 settembre 2010 (ZENIT.org).- Secondo una celebre frase di Mark Twain, “la storia non si ripete, ma fa rima”. Lo scorso venerdì 17, nella Westminster Hall di Londra, si è verificata una di queste “rime”.

Nella stessa sala, il 1° luglio del 1535, San Tommaso Moro fu condannato a morte per tradimento, perché non aveva riconosciuto la supremazia dell’autorità temporale, il re, sull’autorità ecclesiastica e sul Papa. Ci sono voluti quasi 500 anni, ma lo scorso venerdì sera, John Bercow, il successore di Tommaso Moro alla presidenza della Camera dei comuni, ha invitato il successore di Papa Clemente VII a rivolgersi all’intero Parlamento britannico.

Benedetto XVI ha dimostrato di essere pienamente consapevole del significato di quell’occasione, non avendo avuto timore di ricordare ai parlamentari presenti ciò che era in ballo nel processo contro San Tommaso Moro. Il Papa ha notato che “il dilemma con cui Tommaso Moro si confrontava, in quei tempi difficili” era “la perenne questione del rapporto tra ciò che è dovuto a Cesare e ciò che è dovuto a Dio”. Lo scopo dell’intervento di Benedetto XVI – e in un certo senso dell’intera sua visita nel Regno Unito – è stato quello di “riflettere ... sul giusto posto che il credo religioso mantiene nel processo politico”.

Benedetto XVI ha proseguito sottolineando che “le questioni di fondo che furono in gioco nel processo contro Tommaso Moro continuano a presentarsi” ancora oggi e tra le più importanti vi è questa: “A quale autorità ci si può appellare per risolvere i dilemmi morali?”.

Tommaso Moro e tutti gli uomini e donne del suo tempo, in Inghilterra, erano costretti – pena la morte – a rispondere a questa domanda: su che basi va decisa la questione del divorzio e della possibilità di risposarsi? Doveva essere sulla base dell’opinione di colui che deteneva il potere politico (Enrico VIII), o sulla base dei perenni principi morali: i principi sostenuti dalla Chiesa?

Fondamenti

Molte cose sono cambiate politicamente in Inghilterra negli ultimi 500 anni, ma la questione rimane: esistono fondamenti etici della società civile e politica che semplicemente non sono nella disponibilità di chi detiene il potere, anche se il potere è democratico?

La risposta di Benedetto XVI naturalmente è sì, perché “se i principi morali che sostengono il processo democratico non si fondano, a loro volta, su nient’altro di più solido che sul consenso sociale, allora la fragilità del processo si mostra in tutta la sua evidenza”. Con queste parole, il Santo Padre, pensava sicuramente anche alle leggi contrarie alla vita, approvate dal Parlamento britannico e da altre democrazie avanzate, negli ultimi decenni, in ossequio al “consenso sociale”, ma in contrasto con il vero bene della società.

Benedetto XVI non ha espressamente menzionato l’aborto, l’eutanasia e la sperimentazione sugli embrioni umani, ma ha dato un altro esempio di come vengono sacrificati i fondamenti morali della società. Con riferimento all’attuale crisi finanziaria globale, ha ricordato che questa dimostra alla società cosa ci si può aspettare quando i sani fondamenti etici vengono sacrificati nel nome dell’interesse personale e del pragmatismo. Ha affermato che “vi è un vasto consenso sul fatto che la mancanza di un solido fondamento etico dell’attività economica abbia contribuito a creare la situazione di grave difficoltà [economica] nella quale si trovano ora milioni di persone nel mondo”.

Per arrivare al dunque del suo discorso, ha ricordato ai parlamentari “una delle conquiste particolarmente rimarchevoli del Parlamento britannico: l’abolizione del commercio degli schiavi”. Il Santo Padre ha osservato che “la campagna che portò a questa legislazione epocale, si basò”, non sulla spinta dell’opinione pubblica (che anzi esprimeva quanto meno ambiguità), ma “su principi morali solidi, fondati sulla legge naturale”, e, si potrebbe aggiungere, sostenuti da cristiani convinti come William Wilberforce.

Avendo ricordato agli onorevoli la necessità che la società politica sia fondata in definitiva su solidi fondamenti etici e non sui capricci del “consenso sociale”, Benedetto XVI ha proseguito l’intervento con l’ovvia domanda: “dove può essere trovato il fondamento etico per le scelte politiche?”. Il Papa ha risposto a questa domanda sottolineando che “le norme obiettive che governano il retto agire sono accessibili alla ragione, prescindendo dal contenuto della rivelazione”. Contrariamente a quando sostiene il relativismo, la ragione umana è in grado di capire ciò che è vero e ciò che è giusto. Egli quindi non fa altro che ricorrere alla legge naturale.

Gettare luce

Se dunque le norme morali oggettive possono essere conosciute dalla ragione umana anche senza la rivelazione, qual è il ruolo della religione e in particolare della fede cristiana nella società? Non è – ha affermato Benedetto XVI – quello di impartire queste norme morali e certamente non è quello di proporre un piano dettagliato per la riforma della vita politica ed economica di una nazione. È invece quello di “aiutare nel purificare e gettare luce sull’applicazione della ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi”.

Pertanto, si tratta in molti casi di un ruolo “correttivo”, nel senso di aiutare a guidare la ragione nella sua ricerca delle norme morali e della loro concreta applicazione. Una guida che è necessaria, perché il peccato spesso ostacola la ragione nella sua ricerca della verità. Il Santo Padre ha anche avvertito che “senza il correttivo fornito dalla religione ... la ragione può cadere preda di distorsioni, come avviene quando essa è manipolata dall’ideologia, o applicata in un modo parziale, che non tiene conto pienamente della dignità della persona umana”.

Benedetto XVI ha ricordato all’assemblea che “fu questo uso distorto della ragione, in fin dei conti, che diede origine al commercio degli schiavi”, in quanto tale commercio era fondato sulla negazione di principi morali che anche la sola ragione avrebbe dovuto affermare, ovvero quello dell’eguaglianza di tutti gli uomini e della loro intrinseca dignità.

Il Pontefice ha osservato che questa funzione “correttiva” della fede e della rivelazione non sempre è gradita nelle società democratiche moderne. Ha ammesso che talvolta vi sono buoni motivi in questo senso, riferendosi ai fenomeni di settarismo e fondamentalismo, che sono forme di fede religiosa prive della ragione. Stando così le cose, Benedetto XVI ha invitato i suoi ascoltatori – gli uomini e le donne che detengono il potere politico nel Regno Unito – a fare il possibile per assicurare “un profondo e continuo dialogo”, tra “il mondo della razionalità secolare e il mondo del credo religioso”, per “il bene della nostra civiltà”.

Alla luce della decisiva importanza di questo dialogo tra ragione e fede, Benedetto XVI ha detto: “non posso che esprimere la mia preoccupazione di fronte alla crescente marginalizzazione della religione, in particolare del Cristianesimo, che sta prendendo piede in alcuni ambienti, anche in nazioni che attribuiscono alla tolleranza un grande valore”, come il Regno Unito.

Egli ha anche parlato dei “segni preoccupanti dell’incapacità di tenere nel giusto conto ... i diritti dei credenti alla libertà di coscienza e di religione”. In questo, il Papa pensava certamente alle recenti leggi cosiddette antidisciminazione, approvate dal Parlamento britannico, che tra l’altro conferiscono diritti inappropriati alle persone omosessuali (come il diritto all’adozione) a detrimento della libertà religiosa. Le organizzazioni cattoliche per l’adozione sono state obbligate ad adeguarsi o a chiudere l’attività.

Tacitare

Il Papa ha anche osservato che “vi sono alcuni che sostengono che la voce della religione andrebbe messa a tacere, o tutt’al più relegata alla sfera puramente privata”.

Parlando, il giorno dopo, durante la vigilia della beatificazione del cardinale John Henry Newman, Benedetto XVI ha detto che “Newman avrebbe descritto il proprio lavoro come una lotta contro la tendenza crescente a considerare la religione come un fatto puramente privato e soggettivo”.

È alla luce di questa tendenza alla “privatizzazione” che il Papa è stato invitato dalla regina e dal suo governo (e non dai vescovi) a visitare il Regno Unito. Il fatto che si è trattato di una visita di Stato è di enorme importanza. Benedetto XVI, nelle parole e nei fatti, sta cercando di far passare la verità che le società moderne e le democrazie moderne non possono fare a meno della “religione nella sfera pubblica”.

San Tommaso Moro dopo tutto non era solo un buon servitore del re, e un migliore servitore di Dio; ma egli era un buon servitore del re proprio perché era un ancor migliore servitore di Dio. La comunità politica ha bisogno dell’influenza del Cristianesimo per raggiungere i suoi obiettivi.

Da questo invito al Santo Padre a rivolgersi al Parlamento britannico, un invito senza precedenti e semplicemente inconcepibile anche solo qualche anno fa, emana un raggio di speranza che il Cristianesimo possa continuare ad essere il faro della società.
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*William Newton è assistant professor (MMF) presso l’International Theological Institute di Trumau, in Austria, e membro del corpo docente del Maryvale Institute, Birmingham, U.K.



mercoledì 22 settembre 2010

meglio il turbante del turco che la berretta del cardinale

S. Em. il Card. Tarcisio Bertone: Roma capitale, verità indiscussa (ma non indiscutibile, diciamolo!)

Il segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone ha detto oggi, in occasione della celebrazione del 140esimo anniversario della presa di Roma da parte dello stato italiano, che la Chiesa riconosce “la verità indiscussa” di Roma capitale d’Italia. “Un gesto d’onore e altamente simbolico… per raccogliere il messaggio che viene dalla Breccia di Porta Pia”, ha definito Bertone l’inedita presenza vaticana alla celebrazione, di fatto, della fine del potere temporale della Chiesa, che oggi governa solo su una piccolissima porzione della città. “Da decenni Roma è l’indiscussa capitale dello stato italiano”, ha detto il cardinale davanti al presidente della Repubblica e al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. Il prelato, sottolineando comunque il ruolo di “centro del cristianesimo” di Roma, ha detto che “la comunità civile e quella ecclesiale desiderano praticare una vasta collaborazione a vantaggio della persona umana.

Breccia di Porta Pia, una guerra sacrilega
e osannata oggi da una gerarchia modernista...

zuavi pontifici

Pio IX: "Signor generale , ora che si va a compiere un gran sacrilegio e la più enorme ingiustizia, e la truppa d'un Re cattolico, senza provocazioni, anzi senza nemmeno l'apparenza di qualunque motivo, cinge d'assedio la capitale dell'Orbe cattolico, sento in primo luogo il bisogno di ringraziare Lei e tutta la truppa nostra della generosa condotta finora tenuta, dell'affezione mostrata alla Santa Sede e della volontà di consacrarsi interamente alla difesa di questa metropoli. Siano queste parole un documento solenne che certifichi la disciplina, la lealtà, il valore della truppa al servizio di questa Santa Sede. In quanto poi alla durata della difesa, sono in dovere di ordinare che questa debba unicamente consistere in una protesta, atta a contrastare la violenza e nulla più, cioè di aprire trattative della resa ai primi colpi di cannone. In un momento in cui l'Europa intera deplora le vittime numerosissime, conseguenza di una guerra fra ...

... due grandi nazioni , non si dica mai che il Vicario di Gesù Cristo, qantunque ingiustamente assalito, abbia ad acconsentire a qualunque spargimento di sangue. La nostra causa è Dio, e noi rimettiamo nelle sue mani la nostra difesa.Benedico di cuore Lei, signor generale, e tutte le nostre truppe" ...

I fatti:

Il giorno 10 settembre 1870, ricevuto l'immotivato ed esilarante ultimatum del Savoia di abbandonare Roma, il Papa Pio IX chiamò a se il Ministro della Guerra, Generale Hermann Kanzler e serenamente gli ordinò: "Ebbene a questo esercito io debbo dare un grande dolore: esso dovrà cedere".

Infatti l'ordine fu che le truppe pontificie si dovevano via via ritirare senza combattere, effettuando una semplice, ma non accanita resistenza e ciò solo ed esclusivamente per non avallare l'illegittimità dell'azione del Savoia e mostrare al mondo quanto la Chiesa di Cristo stava patendo.

Il giorno 19 settembre 1870 il Papa invia al suo generale una nota:"Signor generale, ora che si va a compiere un gran sacrilegio e la più enorme ingiustizia, e la trupa di un Re cattolico, senza provocazioni, anzi senza nemmeno l'apparenza di qualunque motivo, cinge d'assedio la capitale dell'Orbe cattolico, sento in primo luogo il bisogno di ringraziare Lei e tutta la truppa nostra della generosa condotta finora tenuta, dell'affezione mostrata alla Santa Sede e della volontà di consacrarsi interamente alla difesa di questa metropoli. Siano queste parole un documento solenne che certifichi la disciplina, la lealtà, il valore della truppa al servizio di questa Santa Sede. In quanto poi alla durata della difesa, sono in dovere di ordinare che questa debba unicamente consistere in una protesta, atta a contrastare la violenza e nulla più, cioè di aprire trattative della resa ai primi colpi di cannone.In un momento in cui l'Europa intera deplora le vittime numerosissime, conseguenza di una guerra fra due grandi nazioni, non si dica mai che il Vicario di Gesù Cristo, qantunque ingiustamente assalito, abbia ad acconsentire a qualunque spargimento di sangue. La nostra causa è Dio, e noi rimettiamo nelle sue mani la nostra difesa.Benedico di cuore Lei, signor generale, e tutte le nostre truppe".

L'aggressione

Alle 5.10 del 20 settembre 1870, le prime cannonate piemontesi riecheggiano nel cielo di Roma. Vengono colpiti gli archi ed i merli di Porta Pia e Porta Maggiore; le mura ed i contrafforti del colle Vaticano e della cinta leonina.

Alle 6.35 aprono il fuoco le batterie del generale Bixio che dirigono il tiro contro Porta San Pancrazio. I proiettili sfiorano la Cupola di San Pietro e finiscono nel Borgo e nei giardini vaticani. Altri cadono a Trastevere dove scoppia un furioso incendio.

Il Papa convoca il corpo diplomatico. Si presentano i rappresentanti di 17 nazioni ai quali espone la sua viva protesta per quanto stava facendo il Governo Italiano identificando nel verso giusto quell'impresa che aveva un significato più diabolico che politico.

Egli, infatti, tra l'altro affermò: "Bixio, il famoso Bixio, è là coll'esercito italiano. Oggi è generale! Bixio, fin dal tempo nel quale era repubblicano, aveva formato il progetto di annegare nel Tevere il papa e i suoi cardinali quando sarebbe entrato in Roma.

Io l'aspetto il liberatore insieme al sue re, novello Attila (...). Poi, scuro in viso e dopo aver parlamentato con il Colonnello Carpegna dichiara: "Io ho dato in questo istante l'ordine della resa totale.

Non si potrebbe più difendere se non spargendo molto sangue ed io mi rifiuto di ciò. Io non vi parlo di me: non è per me che io piango, ma per quei poveri figli che sono venuti a difendermi come loro Padre.

Voi vi occuperete per quelli dei vostri paesi: ve ne sono di tutte le nazioni; pensate anche, io ve ne prego, agli inglesi, ai canadesi, i quali non hanno qui rappresentanti".Nello stesso tempo veniva issata sulla Cupola di S. Pietro la bandiera bianca.

Nonostante il chiaro segno di resa, i colpi delle cannonate continuavano a solcare rabbiose il cielo di Roma. Il reparto comandato dal Generale Bixio, attestato di fronte a Porta San Pancrazio, continuava un tiro teso ed all'impazzata in direzione di San Pietro.

Alcuni ufficiali sabaudi chiesero conto di un tale comportamento fuori da ogni regola ed in violazione di chiari ordini.

Lo stesso generale Cadorna in seguito dichiarò: " (..) sul compianto generale Bixio diremo bravo, ma impetuoso e teatrale per natura, mal sofferendo di avere per compito una semplice dimostrazione, qui sotto Roma fece tirare all'impazzata (..)".

Avendo le truppe papaline di fatto smesso di difendersi per ordine del Papa, i bersaglieri si accostarono alla cinta muraria più debole, nei pressi di Porta Pia, per sistemare di fianco alcune cariche esplosive ad alto potenziale e ciò nonostante la porta fosse ormai libera da militi e da ostruzioni.

A seguito dell'esplosione si aprì una stretta breccia larga poco più di un paio di metri. Quindi la spaccatura venne enormemente allargata a colpi di cannone e piccone dagli uomini del genio sabaudo.

Nonostante le bandiere bianche di resa, la fanteria sabauda si dispose su tre colonne di attacco. Uno schieramento formidabile per assaltare una porta "spalancata".

Alla vista di quanto si stavano preparando a fare i "valorosi" bersaglieri, il capitano zuavo Berger, avuto anch’egli l'ordine di non combattere, si eresse piangendo sulle rovine delle mura tenendo per la lama la sua spada ed alzando verso il cielo l'elsa intonò l'inno dei crociati zuavi.

Quando fu suonata la carica una calca indescrivibile di soldati italiani formata dalle tre colonne si avventò sulle postazioni papaline che già da molto tempo avevano cessato il fuoco ed avevano issato la bandiera bianca.

Emblematica appare la probabilità in via di verifica che i feriti sabaudi della famosa carica siano solo il frutto del cosiddetto fuoco amico casuale che, oltre ad abbattere i bersaglieri, “(...) li espose al calpestio dei loro compagni intenti a conquistare Roma di corsa”.

Su questo squallido episodio militare, la mitologia risorgimentale si è sbizzarrita ad imbastire incredibili episodi di valore, costruendo eroi e vicende su stampe e foto raffiguranti cariche, scontri e luoghi esistiti solo nell'immaginario di una disonorevole e piratesca conquista.

Una volta dilagate in Roma, le truppe di conquista si preoccuparono di attestarsi nei punti chiave della città e di occupare i ministeri, le caserme ed i tribunali.Puntarono i loro cannoni su S. Pietro dal Gianicolo e da Castel Sant'Angelo e predisposero la cavalleria e la fanteria pronta ad attaccare il Vaticano.

Mancava solo un ordine e la città di Cristo sarebbe stata ridotta a poco più di un colle di rovine.Un ordine che tardò ad arrivare e mai arrivò.

Ancora una volta “Attila” era stato fermato da un Sommo Pontefice.Importante e significativo il resoconto di Ugo Pesci, un giornalista a seguito dei piemontesi: "Noto prima di ogni altra cosa la mancanza assoluta di qualunque entusiasmo (...)

Sette o otto reggimenti di fanteria traversano le strette vie della città colla musica. Nessun saluto, nessun sorriso, pianti si, molti".Ma allora, da dove è stato rilevato l'entusiasmo del popolo romano festoso raccontato dalla storiografia risorgimentale? Altrettanto interessante appare il fatto che l'ambasciata Inglese fu poi realizzata a pochi metri dalla famosa "breccia".

Un caso? Una necessità? Oppure un segnale importante, se non addirittura un monito, trasmesso a tutti coloro che ancora dubitano su chi sono stati i veri artefici di un risorgimento anticattolico e crudele che non fu altro che "una fase importante dell'imperialismo inglese"?

Don Bosco nell’ammonire "Chi ruba alla Chiesa ruba a Dio", coraggiosamente sentenziò a quella "maledetta dinastia" che aveva comandato l’aggressione alla Chiesa, che non avrebbe visto la 3^ generazione da regnanti.

E così fu.

A completamento dell'intera vicenda c'è la curiosa ma significativa decisione del generale Raffele Cadorna quando al decimo anniversario della "storica" breccia di Porta Pia si rifiutò categoricamente di prender parte ai festeggiamenti in ricordo di una "(...) battaglia disonorevole, inutile e sacrilega ".

Una curiosità molto importante.

Per la massoneria le date sono fondamentali, infatti le truppe sabaude, attestate da una settimana alle porte di Roma, attesero il 20 settembre 1870 per scatenare l’aggressione che si sarebbe dovuta concludere il 21, anniversario della fondazione della prima repubblica giacobina.

Con la resa immediata e, quindi, con l’amore verso la sua gente, il Sommo Pontefice ruppe l’incantesimo dei numeri dell’odio di Satana. [Tratto dal web] [Francesca Romano]

Bibliografia e fonti di archivio:De Cesare – Roma e lo Stato del Papa – Dal ritorno di Pio IX al XX settembre 1870 – Forzani – Roma;Hercule De Sauclières - Il Risorgimento contro la Chiesa e il Sud – Controcorrente – Napoli;Cesare Bartoletti – Il Risorgimento visto dall’altra sponda – Arturo Berisio – Napoli;Ivanoe Bonomi – la politica italiana da Porta Pia a Vittorio Veneto – 1870 – 1918 – Einaudi;Gerlandino Lentini – La bugia risorgimentale – Edizioni il Cerchio – Città di Castello – PG;Vincenzo Del Giudice e altri – I patti Lateranensi – Quaderno n. 12 – Ed. Aldo Cricca – Tivoli:Antonmaria Bonetti – La liberazione di Roma del 1870 – Osservazioni critiche – Tip. Arciv. Siena;Massimo Brandani ed altri – L’Esercito Pontificio da Castelfidardo a Porta Pia – Intergest – Milano;Gigi Di fiore – i Vinto del Risorgimento – Utet – Torino;Domenico De Marco – Il Tramonto dello Stato Pontificio – Edizioni Scientifiche Italiane – Napoli.Archivi di Stato di Roma,Archivi di Stato di Napoli;Archivio S.C.V.;Archivio Borbone Roma;Ufficio Storico Esercito Italiano. [Tratto dal web] [Francesca Romano]

Carlo Di Pietro


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Un principe turco crociato di Pio IX



Riproponiamo un articolo diffuso nel settembre 2006 relativo alla straordinaria vicenda di un giovane principe turco che si convertì alla Fede Cattolica e che si arruolò nell’esercito papalino per difendere la Chiesa dall’assalto della Massoneria. Ebbe la grazia di nascere prima dell’ecumenismo filo-islamico promosso dal Concilio Vaticano II...

Il libro da cui è tratto il brano è stato ristampato: Antonmaria Bonetti, Il volontario di Pio IX, Racconto storico di un volontario di Pio IX dal 1867 al 1870, Centro Librario Sodalitium, pagg. 130, euro 10,00:

Due mercenari

… Questa volta fra i convitati vi erano due soldati di linea che non conosceva. Chi erano? “Due mercenari del Papa”, direbbe il “vincitore” di Castelfidardo (il gen. Cialdini, ndr); io invece dico che erano due veri tipi del Crociato moderno.

Il primo di oltre quarant’anni era un nobile gentiluomo dell’Emilia (il conte Sormani Moretti) che, capo di battaglione sotto il Duca di Modena, suo Sovrano, aveva seguito questo Principe nell’impero, dopo che la rivoluzione gli ebbe rovesciato il trono. Dopo qualche anno per l’avvenuto scioglimento della Brigata del Duca, passò col suo grado e il suo servizio nelle file dell’esercito austriaco. Si trovava già presso al giorno che poteva chiedere la giubilazione, e chiudere così in pace l’onorata sua carriera, quando non potendo più resistere alla voce interna del cuore, rinunzia al grado e ad ogni diritto di avanzamento e di pensione, e vola a Roma ad arruolarsi semplice soldato, nonostante gli inviti del Ministro e di Sua Santità di entrare come Maggiore, o almeno come Ufficiale subalterno, nello Stato Maggiore Generale. Quanto diversamente la pensava questo personaggio dai corifei della rivoluzione. In quanta stima aveva la divisa ancora del semplice soldato di Pio IX, sì da anteporla agli spallini di Maggiore Austriaco!


Più lunga e piena di avventure è la storia dell’altro, giovane sui vent’anni, di statura gigantesca e di erculee forme. Egli nacque in Gerusalemme dalla nobilissima famiglia Alamy, una delle primarie dell’Impero Turco, il cui capo occupava una delle più elevate cariche del Governo, a fianco del Sultano.

Il nostro giovane, benché allevato nella religione e nei costumi maomettani, venuto in età di discernimento, col sussidio dei profondi e vasti studi fatti, e di un’acutezza di mente e di un candore di vita non comune, venne ben presto in dubbio sulla verità e sulla santità del culto dei suoi padri, e finì per concludere che era una superstizione.

Ma quale era dunque la vera religione? Aveva letto molte storie di Maometto, e lo aveva trovato un ardito cerretano e un fortunato e feroce avventuriere. Aveva studiato le origini delle molteplici credenze delle varie regioni dell’Asia e dell’Africa e le aveva viste perdersi o nella favola, o nel dubbio, o nell’assurdo.

La genesi pietosa della Fede Cattolica, il meraviglioso crescere e propagarsi di essa con nessun mezzo materiale, osteggiata anzi e combattuta da popoli, da filosofi e da monarchi, l’aveva colpito! Che fare?

Voglio frequentare le prediche cattoliche, esclama, e vedremo di riuscire all’ergo. Vacci una volta, vacci due, vacci tre, il suo criterio, aiutato dalla divina grazia, che lo voleva nel grembo della vera Chiesa, finì per pensare che la cattolica fosse la vera religione.

Poche settimane prima, il giovane Alamy usciva in gran treno, in abito di seta a ricami d’oro e di perle, preceduto e scortato da dodici scudieri a cavallo, come alla dignità del padre e al lustro di sua famiglia si conveniva, ed al suo passaggio si prostravano i cittadini. Ora in abito dimesso, avvolto in ampio e modesto mantello di panno, pedone e soletto usciva dall’avito palazzo e si recava sulle rive del Cedron o del Giordano, o sulle vette del Calvario.

Quivi giunto apriva una Bibbia, procuratasi furtivamente, e meditava sulle riposte ragioni della verità col confronto delle bellezze eloquenti della natura, che accennano a un Ente Creatore, a un Ente superiore a tutti, quindi necessariamente a un Ente o Dio unico e onnipotente, buono, provvidente, misericordioso.

Era già, si può dire, convertito nell’interno, quando gli venne la felice idea (suggeritagli certo dal suo buon angelo) di convitare i primari saggi del Corano, e proporre loro tutte le questioni, i dubbi possibili sulle più celebri religioni del mondo. Le risposte ottenute non lo soddisfecero per nulla, anzi gli crebbero l’opinione favorevole per quella di Cristo, e la disistima, il disprezzo per tutte le altre. Levate le tavole e licenziati gli ospiti, senza dir nulla, esce in stretto incognito e si reca dal Patriarca Cattolico della città. Annunziato per chi era, fu subito introdotto e ricevuto dall’esimio prelato, che si fece un vanto di circondarlo di tutte le distinzioni dovute alla sua posizione sociale, inferiore di poco a quella del sovrano.

Non si conoscono i particolari del colloquio fra il giovane turco e il venerando Pastore, fatto è che dopo alcune altre visite egli fu pienamente cattolico di mente e di cuore, deciso di esserlo quanto prima anche, esteriormente, ben persuaso che sì l’uno e sì l’altro culto è dovuto in omaggio a Colui cui tutto dobbiamo e l’essere e le potenze intellettuali e i sensi del corpo.

La madre, dal fare reciso e dal carattere taciturno e pensieroso, assunto dal figlio dopo la disputa tenutasi in sua presenza, era entrata in sospetto circa i divisamenti che ravvolgeva il giovane in secreto. E siccome era tenacissima nella credenza dei suoi maggiori, dubitando di un’apostasia dell’unico erede della sua casa, e temendo, come conseguenza necessaria, la perdita di tutti i favori, il credito e l’influenza presso la corte, scrisse di tratto al marito, consigliandolo a proporre il figlio al Sultano per suo successore, come il mezzo più potente per fargli dimenticare le sue nuove utopie religiose, come ella le chiamava.

Fu un colpo di fulmine per il vecchio magistrato questa lettera della moglie; però accettando il consiglio di lei, si recò tosto dal Principe per presentargli le sue dimissioni, e per proporgli il figlio. Il Sultano che conosceva i rari pregi del giovine Alamy, accettò subito e fece stendere il decreto di nomina, anche per rendere un meritato omaggio e guiderdone ai molti ed importanti servigi resi dal padre e dagli avi suoi in ogni tempo allo Stato.

Questa novella recata per telegrafo a Gerusalemme innondò il cuore di gioia alla vecchia madre, e (parrà strano il crederlo) al giovane Alamy, perché l’una credeva di stringere in pugno il lauro della sua vittoria, e l’altro vedeva in questa disposizione della Porta (riferimento alla Sublime Porta, termine usato per indicare l’impero ottomano, NdR), il più sicuro mezzo per condurre a termine i suoi progetti. Ricevute con la solennità prescritta le varie autorità e deputazioni cittadine che andarono a congratularsi con lui, e forse anche a mendicare la protezione del novello ministro, venuto il giorno della partenza per la capitale, abbracciò non senza grande commozione la madre che certo più non avrebbe riveduta, e si mise in cammino con grandissimo corteo di servi, di scudieri e di guardie.

Già a Costantinopoli si disponeva per il suo ricevimento, e il canuto genitore gongolava dalla gioia al pensiero che presto avrebbe riabbracciato il diletto figliuolo, e trionfato dei trionfi che certo avrebbe raccolto col suo senno, col suo ingegno, colla sua coltura alla Corte. Si sapeva essere egli a poche leghe dalla città, ma nessuna staffetta, nessun avviso, anzi nessun benché minimo indizio, veniva al governo dell’ora del suo ingresso. Si telegrafò, si spedirono corrieri, si trovarono le persone del seguito, si domandò loro del padrone, ma nessuno ne sapeva nulla. Tutti rispondevano che da circa tre giorni non lo si era più visto, che era scomparso di nottetempo, lasciando ordine preciso che nessuno si movesse e che si attendesse il suo ritorno. Si stette così vario tempo al buio di ogni cosa, finché una lettera datata da Roma spiegò al padre ed al governo l’arcano.

Non è stato possibile l’avere copia di quella lettera, ma se ne conosce il contenuto. Eccone il sunto, imitante il meglio possibile il testo nella sua orientale magnificenza:

“La grazia di Dio aveva squarciato e, tolto dai miei occhi il velo della secolare ignoranza che offusca i popoli dell’Oriente, quando mi giunse la nomina del gran Signore dell’Impero Ottomano a tuo successore, diletto Genitore. Io ti ringrazio, e ti prego ancora di far parte della mia riconoscenza al Principe generoso, cui la Provvidenza affidò il regime delle sorti degli abitanti del Bosforo e del Giordano, perché così ho trovata aperta la via al compimento dei miei desideri.

Io venni incognito a Costantinopoli e in una casa religiosa cattolica ebbi il battesimo della Fede di Cristo, e la Cresima e la Comunione; quindi noleggiato un posto in un legno francese che partiva alla volta d’Italia, venni a Roma, e mi arruolai fra i campioni del Gran Sacerdote della nuova mia Religione. Compito questo voto, l’unico che lui rimane e che depongo quotidianamente ai piedi dell’altare dell’altissimo Iddio, è la conversione tua, amato padre, di mia madre e di tutti i miei amici e infine di tutto codesto vasto e infelice impero, sepolto nel letargo dell’ignoranza e dell’errore. Voglia l’onnipotente e misericordiosissimo Arbitro di tutto il mondo, esaudirmi, a prezzo ancora del mio sangue.”

Seguiva quindi il magnanimo giovane inviando le più cordiali e vive proteste d’amor figliale ai suoi genitori, loro facendo i più caldi auguri di felicità. Aggiungeremo ancora qualche particolare per meglio chiarire per quali vie meravigliose conducesse questo giovane avventurato al porto di salute, la bontà del Signore. Giunto in Roma trovò il Patriarca di Gerusalemme, qua convenuto per l’apertura del Concilio Ecumenico. Fu per venir meno dalla gioia il veglio venerando nel riabbracciare quella cara pecorella dell’ovile di Pietro, e nell’udire la storia della sua rigenerazione.

Lo presentò subito al Santo Padre, il quale esclamò nell’eccesso della consolazione: Non inveni tantam fidem in Israel, e se lo strinse con paterna benevolenza al cuore. Diede subito ordine all’autorità militare perché accogliesse e tenesse il giovane crociato con le più eccezionali distinzioni, e perché gli venisse elargito a suo conto, fino a che avesse potuto meritarsi gli spallini, un soprassoldo di sessanta franchi al mese. Quindi lo licenziò, regalandolo di una magnifica medaglia d’argento, che il giovane Gabriele (tale era il nome impostogli nel battesimo) terrà sempre più cara della vita. Né ciò bastò: l’augusto Gerarca nell’inesausta sua munificenza non cessò mai fino alla data fatale del 20 settembre di accoglierlo spesso nelle sue stanze, e di dargli frequenti attestati della sua paterna tenerezza.

Giornalisti, romanzieri, filosofi, poeti, legislatori del secolo XIX! Che ne dite di questo racconto? È una favola, sento rispondermi; è un parto di un’immaginazione esaltata e nulla più. No, è la verità!


Brano tratto da: Il volontario di Pio IX. Racconto storico dal 1867 al 1870, di Antonmaria Bonetti, Tipografia Arciv. S. Paolino, Lucca 1890, pagg. 93-100.


Bonetti era un universitario bolognese che si arruolò volontario nell’esercito di Pio IX, nel Corpo dei Cacciatori. Il 20 settembre 1870 prese parte alla difesa di Roma, fu fatto prigioniero e subì la deportazione nel campo di Alessandria, dove rifiutò di entrare a far parte dell’esercito italiano, come la maggioranza dei suoi commilitoni. In seguito scrisse numerosi libri per rispondere alle menzogne della propaganda risorgimentale.

martedì 21 settembre 2010

un altro mito modernistico: l'actuosa partecipatio

La partecipazione dei fedeli nella forma straordinaria: i 4 gradi dimenticati.

La "partecipazione attiva" dei fedeli non è certo una scoperta post-conciliare poichè è una premura che appartiene alla natura stessa della liturgia cristiana. Tuttavia c'è ancora chi contesta alla forma straordinaria una scarsità di coinvolgimento dei fedeli nell'azione liturgica. In realtà "'actuosa partecipatio" è un concetto riproposto dal movimento liturgico fin dai tempi di S.Pio X e rimarcato con convinzione anche nella "Mediator Dei" di Pio XII. Un breve documento della S.C.R, datato 3 Settembre 1958, dimostra che nei dettagli della rubrica si possono trovare occasioni inaspettate, ma spesso trascurate, per mettere a frutto la presenza del popolo.


Della partecipazione dei fedeli nelle Messe in canto
[...]

24. La forma più nobile della celebrazione eucaristica la si ha nella Messa solenne, nella quale la congiunta solennità delle cerimonie, dei ministri e della Musica sacra rende manifesta la magnificenza dei divini misteri e conduce la mente dei presenti alla pia contemplazione degli stessi misteri. Ci si dovrà preoccupare perciò che i fedeli abbiano una adeguata stima di questa forma di celebrazione, partecipandovi in modo opportuno, come viene in appresso indicato.

25. Nella Messa solenne dunque, l’attiva partecipazione dei fedeli può essere di tre gradi:

a) Il primo grado si ha, quando tutti i fedeli danno cantando le risposte liturgiche: Amen; Et cum spiritu tuo; Gloria tibi, Domine; Habemus ad Dominum; Dignum et iustum est; Sed libera nos a malo; Deo gratias. Si deve cercare con ogni cura che tutti i fedeli, di ogni parte del mondo, possano dare cantando queste risposte liturgiche.

b) Il secondo grado si ha quando tutti i fedeli cantano anche le parti dell’Ordinario della Messa: Kyrie, eleison; Gloria in excelsis Deo; Credo; Sanctus-Benedictus; Agnus Dei. Si deve poi cercare di far sì che i fedeli imparino a cantare queste stesse parti dell’Ordinario della Messa, soprattutto con le melodie gregoriane più semplici. Se d’altra parte non sapessero cantare tutte le singole parti, nulla vieta che i fedeli ne cantino alcune delle più facili, come il Kyrie, eleison; Sanctus-Benedictus; Agnus Dei, riservando il Gloria e il Credo (...) alla «schola cantorum».

c) Il terzo grado finalmente si ha quando tutti i presenti siano talmente preparati nel canto gregoriano da poter cantare anche le parti del Proprio della Messa. Questa piena partecipazione alla Messa in canto si deve sollecitare soprattutto nelle comunità religiose e nei seminari.

26. È da tenersi in gran conto anche la Messa cantata, la quale, sebbene sia priva dei ministri sacri e della piena magnificenza delle cerimonie, è adornata però della bellezza del canto e della Musica sacra. È desiderabile che nelle domeniche e giorni festivi la Messa parrocchiale o quella principale siano in canto. Tutto ciò poi che è stato detto intorno alla partecipazione dei fedeli nella Messa solenne vale anche pienamente per la Messa cantata.

Della partecipazione dei fedeli nelle Messe lette

31 (...)

a) Primo grado, quando i fedeli danno al sacerdote celebrante le risposte liturgiche più facili: Amen; Et cum spiritu tuo; Deo gratias; Gloria tibi, Domine; Laus tibi, Christe; Habemus ad Dominum; Dignum et iustum est; Sed libera nos a malo.

b) Secondo grado, quando i fedeli recitano inoltre quelle parti che secondo le rubriche sono da dirsi dal ministrante; e, se la Comunione è distribuita durante la Messa, recitano anche il Confiteor e il triplice Domine, non sum dignus.

c) Terzo grado, se i fedeli recitano insieme al sacerdote celebrante anche le parti dell’Ordinario della Messa, cioè: Gloria in excelsis Deo; Credo; Sanctus-Benedictus; Agnus Dei.

d) Quarto grado, finalmente, se i fedeli recitano insieme al sacerdote anche le parti appartenenti al Proprio della Messa: Introito; Graduale; Offertorio; Comunione. Questo ultimo grado può essere usato degnamente, come si conviene, solo da scelte collettività più colte e ben preparate.

32. Nelle Messe lette tutto il Pater noster, dato che è una preghiera adatta e usata fin dall’antichità come preparazione alla Comunione, può essere recitato dai fedeli insieme al sacerdote, ma solo in lingua latina, e coll’aggiunta da parte di tutti dell’Amen, esclusa ogni recitazione in lingua volgare.
[...]

Tratto dalla "Instructio de Musica Sacra et de Sacra Liturgia" della Congregazione dei Riti, 3 Settembre 1958. Per il testo integrale vedi http://www.maranatha.it/MissaleRomanum/00bpage.htm

Da un libretto del 1906 che riporta nelle prime pagine la spiegazione di cosa è la Messa si legge:

La struttura della Santa Messa nei suoi elementi es­senziali è così composta ed assemblata magistralmente, una volta per tutte, dal Concilio di Trento e con san Pio V:

1) Il popolo viene convocato: Gesù, sono qui per assistere al Tuo Santo Sacrificio nella Messa, voglio essere devoto e seguirti nei gesti che il Sacerdote compie anche per me. Invoco Maria Santissima e gli Angeli con i Santi a pregare per me, perchè questa Messa mi faccia diventare santo/a.

2) Liturgia della Parola nella quale Dio fa la sua proposta: il popolo accetta. Gesù, sono qui ad ascoltare la Tua parola, rendimi un cuore docile per mettere in pratica i consigli e i suggerimenti che il Sacerdote in tua vece mi darà. Fa che la Tua Parola venga accolta anche da coloro che non credono e che non conoscono la sana dottrina. Gesù, le tre croci che faccio imitando il Sacerdote sulla fronte, sulle labbra e sul cuore, voglio che imprimano in me la Tua Parola nella mia mente, dalle mie labbra, dentro il mio cuore.

3) Liturgia della offerta. Gesù, ciò che sta facendo ora il Sacerdote, voglio anch'io unire la mia povera offerta. Ti offro il mio cuore perchè sia tuo per sempre. Ti offro i miei studi, la mia malattia, la mia salute, i miei divertimenti, le mie gioie così come anche ogni pena che soffrirò per tuo amore. Mi dispongo con Maria ai piedi della Croce per accogliere i tuoi sospiri dalla Croce e con Lei non voglio fuggire dal Calvario, ma attendere il compimento di ogni tua parola. Infine mi dispongo affinchè questa offerta produca frutti di conversione e i peccatori siano salvati dalla tua misericordia.

4) Liturgia del Sacrificio. Gesù è giunto il momento di fare silenzio e di adorarti. Ti adoro nell'Ostia candida, adoro il Tuo Corpo che fu per me crocifisso sul Calvario, abbi pietà di me. Gesù ti adoro nel Mistero di questo Sangue preziosissimo che hai sparso sulla Croce per la mia salvezza, abbi pietà di me e delle anime dei peccatori.

5) Liturgia della Comunione. Gesù è giunto il momento che tanto aspettavo, unirmi a Te nella Santa Eucarestia. Fa che mi tenga sempre in grazia per goderti un giorno per sempre. Non permettere che mi accosti a Te in stato di grave peccato, donami la perfetta contrizione e fa che la Santa Comunione che sto per ricevere, preservi il mio corpo e la mia anima da ogni pericolo di eterna perdizione, perchè questo anelo dalla tua somma bontà.

(postilla: se per qualche motivo non fai la Comunione sacramentale, non distogliere la tua attenzione dal fare la comunione spirituale impegnandoti di confessarti al più presto per poter ricevere degnamente Gesù-Ostia, pronuncia con tutto il tuo cuore queste parole: "Gesù, io ti credo realmente presente sull'altare e desidero ardentemente riceverti, ma come sai in questo momento mi è impossibile riceverti sacramentalmente, vieni in me spiritualmente e trasforma la mia anima come vuoi Tu (si faccia silenzio). Ti adoro e ti amo, liberami o Gesù da ogni peccato, accresci in me la vita della Grazia e rendimi forte nella volontà, puro nei desideri. Amen" )

6) Liturgia di «Missione» con l'ite Missae est. Gesù, la tua benedizione mi accompagni ora nella giornata e mi aiuti a mantenere i propositi che mi hai suggerito in questa Santa Messa. Fammi missionario della Tua Parola, apostolo della Tua dottrina, fedele della Santa Eucarestia. Tornando a casa ti porto dentro di me, fa che diventi testimone della dignità che hai riversato in me. Vergine Santa, mi accompagni la tua benedizione. San Michele Arcangelo mi sostenga la tua spada. San Giuseppe mi protegga la grazia con la quale proteggesti una volta il Bambin Gesù dalle minacce di Erode, fammi custode di questa Santa Messa perchè possa conservarmi come vero amico di Gesù.

leggendo queste due paginette descritte ed insegnate nel 1906 e che racchiudono pertanto L'INSEGNAMENTO DELLA CHIESA DI TUTTI I TEMPI, mi chiedo cosa ci fosse da correggere...e di cosa si insegna oggi della Messa...
 
Ed infine...
 
Uno dei punti di confronto più acceso quando si confrontano le due forme del rito romano è la cosidetta “partecipazione attiva alla Santa Messa da parte dei Fedeli”. I detrattori della forma straordinaria sostengono che nel Novus Ordo, introdotto da Paolo VI, la partecipazione sarebbe nettamente più cospicua e la famosa immagine dell’anziana signora che, mentre il sacerdote celebra, recita il S.Rosario è il costante stereotipo della forma straordinaria.

Andremo, passo passo, a confrontare il numero di risposte dell’una e dell’altra forma per verificare la veridicità di tali affermazioni, fermo restando che, per entrambe le forme del rito romano, la vera partecipazione del fedele non è solo quella vocale ma è anche e soprattutto la partecipazione del cuore, la preghiera unita al sacerdote, la consapevolezza del Santo Sacrificio a cui si assiste.

Si premette che, le risposte di entrambre le forme del rito, non sono state riportate per intero per risparmio di spazio. In internet sono facilmente reperibili i testi per intero dell’Ordinario di entrambe le forme liturgiche.

Esamineremo, per entrambe le forme, una normale celebrazione domenicale senza canti.

Forma Straordinaria

RITO DELL’ASPERSIONE

1. Asperges me, Domine, hyssopo…

2. Sicut erat in princípio…

3. Asperges me, Domine, hyssopo…

4. Et salutare tuum da nobis.

5. Et clamor meus ad te veniat.

6. Et cum spiritu tuo.

7. Amen.

Forma ordinaria

RITO DELL’ASPERSIONE

0. (Rito non previsto)


Forma straordinaria

PREGHIERA AI PIEDI DELL’ALTARE

8. Ad Deum qui laetificat…

Forma ordinaria

RITO D’INTRODUZIONE

1. Amen.

Forma straordinaria

SALMO 42

9. Quia tu est Deus…

10. Et introìbo ad altare Dei…

11. Spera in Deo, quoniam…

12. Sicut erat in princípio…

13. Ad Deum qui laetificat…

14. Qui fecit coelum et terram.

Forma ordinaria

SALUTO

2. E con il tuo spirito.

Forma straordinaria

ATTO DI CONFESSIONE

15. Misereatur tui omnipotens…

16. Confiteor Deo omnipotenti…

17. Amen.

18. Amen.

19. Et plebs tua laetabitur in te.

20. Et salutare tuum da nobis.

21. Et clamor meus ad te veniat.

22. Et cum spiritu tuo.

Forma ordinaria

ATTO DI CONFESSIONE

3. Confesso a Dio onnipotente…

4. Amen.

Forma straordinaria

KYRIE

23. Kyrie, eleison.

24. Christe, eleison.

25. Christe, eleison.

26. Kyrie, eleison.

Forma ordinaria

KYRIE

5. Signore, pietà.

6. Cristo, pietà.

7. Signore, pietà.

Forma straordinaria.

GLORIA

27. Et in terra pax hominibus…

Forma ordinaria

GLORIA

8. E pace in terra agli uomini di buona volontà…

Forma straordinaria

COLLETTA

28. Amen.

Forma ordinaria

COLLETTA

9. Amen.

Forma straordinaria

EPISTOLA

29. Deo Gratias.

GRADUALE, TRATTO, SEQUENZA E/O ALLELUIA

29. (Nessuna risposta)

Forma ordinaria

PRIMA LETTURA

10. Rendiamo grazie a Dio.

SALMO RESPONSORIALE

11-15 (Generalmente 5 risposte)

SECONDA LETTURA

16. Rendiamo grazie a Dio.

Forma straordinaria

VANGELO

30. Et cum spiritu tuo.

31. Gloria tibi Domine.

32. Laus tibi Christe.

Forma ordinaria

VANGELO

17. E con il tuo spirito.

18. Gloria a te, o Signore.

19. Lode a te, o Cristo.

Forma straordinaria

CREDO

33. Credo, in unum Deum…

Forma ordinaria

CREDO

20. Credo in un solo Dio…

Forma straordinaria

ANTIFONA ALL’OFFERTORIO

34. Et cum spiritu tuo.

Forma ordinaria

PREGHIERA DEI FEDELI
21-27 (Contando 7 risposte)

28. Amen.

Forma straordinaria

OFFERTORIO

34. (Nessuna risposta)

Forma ordinaria

OFFERTORIO

29. Benedetto nei secoli il Signore

30. Benedetto nei secoli il Signore

Forma straordinaria

ORATE FRATRES

35. Suscipiat Dominum Sacrificium…

Forma ordinaria

PREGATE FRATELLI

31. Il Signore riceva dalle tue mani…

Forma straordinaria

SEGRETA

36. Amen.

Forma ordinaria

PREGHIERA SULLE OFFERTE

32. Amen.

Forma straordinaria

PREFAZIO

37. Et cum spiritu tuo.

38. Habemus ad Dominum.

39. Dignum et iustum est.

Forma ordinaria

PREFAZIO

33. E con il tuo spirito.

34. Sono rivolti al Signore.

35. E’ cosa buona e giusta.

Forma straordinaria

SANTO

40. Sanctus, Sanctus, Sanctus…

Forma ordinaria

36. Santo, Santo, Santo…

Forma straordinaria

CANONE DELLA MESSA

40. (Nessuna risposta)

Forma ordinaria

PREGHIERA EUCARISTICA

37. Annunciamo la tua morte o Signore…(o altre consentite)

Forma straordinaria

PATER NOSTER

41. Sed libera nos a malo.

42. Amen.

43. Et cum spiritu tuo.

Forma ordinaria

PADRE NOSTRO

38. Padre Nostro che sei…

39. Tuo è il regno…

40. Amen.

41. E con il tuo spirito.

Forma straordinaria

AGNUS DEI

44. Agnus Dei…

Forma ordinaria

AGNELLO DI DIO

42. Agnello di Dio…

Forma straordinaria

PREGHIERA PRIMA DELLA SANTA COMUNIONE

45. Domine, non sum dignus…(3 volte)

Forma ordinaria

PREGHIERA PRIMA DELLA SANTA COMUNIONE

43. O Signore non son degno…(1 volta)

Forma straordinaria

DURANTE LA COMUNIONE

45. (Nessuna risposta)

Forma ordinaria

DURANTE LA COMUNIONE

44. Amen.

Forma straordinaria

PREGHIERA DOPO LA COMUNIONE

46. Et cum spiritu tuo.

47. Amen.

Forma ordinaria

PREGHIERA DOPO LA COMUNIONE

45. Amen.

Forma straordinaria

BENEDIZIONE E SALUTO

48. Et cum spiritu tuo.

49. Deo gratias.

50. Amen.

Forma ordinaria

BENEDIZIONE E SALUTO

46. E con il tuo spirito.

47. Amen.

48. Rendiamo grazie a Dio.

Forma straordinaria

VANGELO FINALE

51. Et cum spiritu tuo.

52. Gloria tibi, Domine.

53. Deo Gratias.

Forma ordinaria

VANGELO FINALE

48. (non presente)

Conclusione

Il numero di risposte nella forma straordinaria, essendo anche stati indulgenti nella valutazione delle risposte al Salmo Responsoriale (5 risposte) e alla Preghiera dei fedeli (7 risposte), sono sostanzialmente identiche (per non dire superiori) alle risposte nella forma ordinaria.

Coloro che la pensano diversamente, o non hanno mai tentato un esercizio simile o hanno una diversa percezione di ciò che debba essere la partecipazione dell’Assemblea durante la Santa Messa.

Si dice: “Chi canta prega due volte”. Bene, durante le messe domenicali, nella forma straordinaria, vengono cantate l’Aspersione, il Kyrie, il Gloria, il Credo, il Sanctus e l’Agnus Dei mentre, nella forma ordinaria, vengono cantati (visto che l’Aspersione viene raramente effettuata e il Credo cantato molto raramente) il Gloria, il Santo e l’Agnello di Dio. A questi si aggiunge, nella forma ordinaria, il canto alla Comunione a cui l’assemblea riesce a partecipare solo in parte. Entrambe le forme hanno canti all’inizio della celebrazione, durante l’offertorio e alla termine della Messa. Insomma, anche sul canto, la forma straordinaria fornisce una uguale, se non maggiore, partecipazione da parte dei fedeli.

In sintesi, se credi che la “partecipazione attiva” sia importante per una Messa, e lo sia soprattutto la partecipazione vocale, e se desideri che questo sia accompagnato da una migliore forma liturgica, allora è arrivato il momento di partecipare ad una Santa Messa nella forma straordinaria.