sabato 22 maggio 2010

il tassello mancante

Il Santo Papa Pio X aveva visto giusto: i modernisti non si accontenteranno finché non avranno completato la loro agenda con l'ultimo tassello che oggi con  falsi pretesti reclamano a gran voce al fine di distruggere la Fede e la Chiesa. Ma "non prevalebunt!".

"Per ultimo restano da dire poche cose del modernista in quanto si pretende riformatore. Già le cose esposte finora provano abbondantemente da quale smania di innovazione siano presi questi uomini. e tale smania ha per oggetto quanto vi è nel cattolicesimo. Vogliono riformata la filosofia specialmente nei seminari: cosicché, relegata la filosofia scolastica alla storia della filosofia in combutta con gli altri sistemi ormai superati, si insegni ai giovani la filosofia moderna, unica, vera e rispondente ai nostri tempi. A riformare la teologia, vogliono che quella, che diciamo teologia razionale abbia per fondamento la moderna filosofia. Chiedono inoltre che la teologia positiva si basi principalmente sulla storia dei dogmi. Anche la storia chiedono che si scriva e si insegni con metodi loro e precetti nuovi. Dicono che i dogmi e la loro evoluzione debbano accordarsi colla scienza e la storia. Per il catechismo esigono che nei libri catechistici si inseriscano solo quei dogmi, che siano stati riformati e che siano a portata dell'intelligenza del volgo. Circa il culto, gridano che si debbano diminuire le devozioni esterne e proibire che si aumentino, benché, a dir vero, altri più favorevoli al simbolismo si mostrino in questa parte più indulgenti. Strepitano a gran voce perché il regime ecclesiastico debba essere rinnovato per ogni verso, ma specialmente in campo disciplinare e dogmatico. Perciò pretendono che dentro e fuori si debba accordare colla coscienza moderna, che tutta è volta a democrazia; perché, dicono, doversi nel governo dar la sua parte al clero inferiore e perfino al laicato, e decentrare l'autorità troppo riunita e ristretta nel centro. Le congregazioni romane si devono svecchiare: e, in capo a tutte, quella del Santo Offizio e dell'Indice. Deve cambiarsi l'atteggiamento dell'autorità ecclesiastica nelle questioni politiche e sociali, talché si tenga essa estranea dai civili ordinamenti, ma pur vi si acconci per penetrarli del suo spirito. In fatto di morale, danno voga al principio degli americanisti, che le virtù attive debbano anteporsi alle passive, e di quelle promuovere l'esercizio, con prevalenza su queste. Chiedono che il clero ritorni all'antica umiltà e povertà; ma lo vogliono di mente e di opere consenziente coi precetti del modernismo. Infine non mancano coloro che, obbedendo volentierissimo ai cenni dei loro maestri protestanti, desiderano soppresso nel sacerdozio lo stesso sacro celibato. Che si lascia dunque d'intatto nella Chiesa, che non si debba da costoro e secondo i loro princìpi riformare?"

SAN PIO X, Enciclica «Pascendi dominici gregis» sulle dottrine moderniste, 8 settembre 1907, in Enchiridion delle Encicliche, vol. 4, Pio X, Benedetto XV (1903-1922), ed. bilingue, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 1998, pp. 273/275.

venerdì 21 maggio 2010

Il segreto di Fatima: l'apostasia nella Chiesa?

Segreti papali
di Francesco Agnoli

Fatima è un luogo che mi è caro: un luogo di preghiera, in cui si respira un’aria particolare e si avverte la presenza del Mistero. Qui, nel 1917 la Madonna apparve a tre pastorelli mentre il paese era sotto un governo fieramente nemico di Cristo. Pochi mesi dopo, in Russia, sarebbe scoppiata la Rivoluzione Bolscevica. Tra le cose che la Madonna predisse ai tre veggenti c’era anche questa: la Russia spargerà i suoi errori nel mondo. Per Lucia la Russia era una signora da convertire; per il mondo un paese poco interessante, marginale, in cui tutto sembrava scorrere lentamente, da secoli, senza novità. Ma la Madonna non sbagliava…

Oltre a parlare della Russia, del rosario, dell’inferno, Ella diede un terzo segreto, scritto da Lucia nel 1944 e consegnato nel 1957 al sant’Ufficio. Pio XII non lo lesse. Il primo papa a farlo fu Giovanni XXIII, che però ritenne di non rivelarlo; come avrebbe fatto anche Paolo VI, che lo lesse nel 1965. Da allora in tanti si sono chiesti: perché ciò che la Madonna ha rivelato, la gerarchia ecclesiastica nasconde?

Di qui una illazione dominante: che il segreto riguardasse una imminente crisi della Chiesa, l’apostasia predetta da san Paolo. Come si sa, il segreto avrebbe dovuto essere rivelato dopo il 1960, perché allora sarebbe stato più chiaro. Il cardinal Silvio Oddi, che era stato segretario di Giovanni XXIII, un giorno gli disse: “Beatissimo padre, c’è una cosa che non le posso perdonare”. “Che cosa?”, rispose il papa. “Di aver tenuto il mondo in sospeso durante tanti anni” e di non aver rivelato, nel 1960, il segreto che tutti aspettavano. Il papa gli rispose due volte: “Non parlarmene”.

Perché? L’idea che si fece allora Oddi, come tanti altri importanti uomini di curia, tra cui il cardinal Ottaviani, era che il segreto riguardasse proprio una grande crisi della Chiesa.

Credo, disse Oddi, che “preannunciasse un qualcosa di grave che la Chiesa avrebbe fatto…Forse il segreto dice che negli anni Sessanta, nonostante le migliori intenzioni, la Chiesa avrebbe fatto qualcosa le cui conseguenze sarebbero state molto dolorose…”. Ma “se fosse davvero così - concludeva-, questo segreto è già noto perché la crisi della Chiesa è sotto gli occhi di tutti” (30 Giorni, n.4, 1991).

A questo punto si possono fare alcune ipotesi: Giovanni XXIII era il papa dell’ottimismo. Non voleva sentire parlare “profeti di sventura” e immaginò più volte che la modernità avrebbe visto una “nuova primavera” della Chiesa, grazie al Concilio. Si può capire che il terzo segreto, se è quello previsto da Oddi, non doveva fargli piacere. Lo stesso si può dire di Paolo VI, che però arrivò a dire, nel 1969: “La Chiesa si trova in un’ora di inquietudine, di autocritica; si direbbe anche di autodistruzione…”.

Non aveva dichiarato, s. Pio X nella Pascendi, dieci anni prima di Fatima, che i nemici della Chiesa “si celano nel seno stesso della Chiesa”? E Pio XII non aveva detto di temere i “novatori”, che volevano smantellare la liturgia e la teologia bimillenaria della Chiesa? Alla morte di Paolo VI, diventò papa Albino Luciani, col nome di Giovanni Paolo I.

Il patriarca di Venezia aveva avuto un colloquio con Lucia, su richiesta esplicita di quest’ultima, l’11 luglio 1977. Dopo quell’incontro, come sappiamo da molte testimonianze, Luciani uscì sconvolto, cambiato. Il papa del catechismo ai piccoli e della possibile riforma dello Ior di Marcinkus e poi di De Bonis, sarebbe morto dopo 33 giorni di pontificato, in circostanze non proprio chiarissime.

Arriviamo così all’anno 2000, quando il terzo segreto viene “rivelato”. Il cardinal Sodano spiega che si riferirebbe a fatti già avvenuti, conclusi, passati. Giovanni Paolo II afferma che la profezia della Madonna riguarderebbe il suo attentato del 1981. Eppure qualcosa non torna: il testo pubblicato dal Vaticano parla di un papa ucciso, non ferito. E poi che relazione ci sarebbe tra la richiesta della Madonna di rivelare il segreto dopo il 1960 e i fatti del 1981? Che risonanza ha avuto, nella storia della Chiesa, quel singolo fatto? E perché aspettare, dopo il 1981, altri 19 anni?

Infine è arrivata la rivelazione di Benedetto XVI in Portogallo: il papa ha legato il segreto di Fatima e l’attuale “passione della Chiesa”, insistendo sul fatto che i peggiori nemici della Chiesa sono al suo “interno”. Ha poi alluso alla pedofilia, ma, quale che sia il segreto, è inevitabile riconoscere che essa non è una causa, ma un effetto: della perdita di fede, di devozione, di senso della liturgia, che infesta la Chiesa dagli anni Sessanta. Gli anni del Concilio e del post Concilio.

Ha dichiarato Martin Mosebach, autore di uno splendido testo, L’eresia dell’informe (Cantagalli), a difesa della liturgia di sempre: “Dobbiamo chiederci come mai nei collegi cattolici siano avvenuti reati sessuali ad opera di sacerdoti proprio negli anni immediatamente successivi al Concilio Vaticano II. Non si può allora non giungere all’amara conclusione che l’esperimento di “aggiornamento”, di adeguamento della Chiesa al mondo è clamorosamente fallito. Dopo quel Concilio la maggior parte dei preti si tolse l’abito sacerdotale, smise di celebrare quotidianamente la Messa e di leggere il breviario. La teologia post-conciliare fece di tutto per dimenticare l’immagine del sacerdote trasmessa dalla tradizione”.

La strada allora non è un Vaticano III, come vorrebbero i nemici interni della Chiesa, sempre sponsorizzati dai nemici esterni (vedi preti come Kung, Mancuso, Gallo, o cardinali come Martini, onnipresenti sulla stampa), ma una Trento II. Non aggiornamento ma ritorno alle radici.

da "Il Foglio" del 20 maggio 2010

mercoledì 19 maggio 2010

Michael Davies: cambiare il rito per cambiare la fede (11)

Continuiamo a riferire della rivolta popolare scoppiata in Inghilterra in seguito alla riforma liturgica. M. Davies, uno dei più grandi storici inglesi, nel suo “La riforma liturgica anglicana”, poggiandosi a documenti inoppugnabili, spiega come la rivolta fu popolare, e per motivi puramente religiosi. I fedeli chiedevano che fosse lasciata intatta la loro fede cattolica, che non si procedesse a novità che la snaturavano in campo liturgico, e solo a questa condizione avrebbero rispettato l'autorità stabilita. I rappresentanti della corona, primo fra tutti Cranmer e poi Somerset e altri, non potevano sopportare che una riforma, che a loro dire era stata fatta per “liberare” il popolo da uno stato di inferiorità nel culto, fosse proprio rifiutata dal popolo stesso. Per questo si procedette con la reazione violenta: se il popolo non accetta la riforma liturgica volentieri, dovremo obbligarlo con la minaccia. É uno schema ricorrente in ogni rivoluzione: parlare in nome del popolo, senza il popolo... I fedeli che si opposero a questo regime di terrore capirono bene che era in gioco la fede cattolica e dunque la salvezza eterna... per questo esposero la vita al pericolo... lo capirono prima i fedeli e meglio di molti ecclesiastici e nobili...


La prima reazione del Protettore, Somerset, fu di tentare una soluzione pacifica: nello stesso tempo sia perché era più incline alla conciliazione che al conflitto, sia perché riconosceva che se ci fosse stata una rivolta armata, che costituiva una minaccia per il potere reale, avrebbe portato un colpo severo alla sua credibilità. “Aveva creduto che una insurrezione religiosa era impossibile, spiega J. A. Froude. Era persuaso che, nella loro stragrande maggioranza, le persone sarebbero state favorevoli ai cambiamenti che introduceva” (J.A.Froude, The Reign of Edward VI, Londra 1926, p. 102). Sir Gawen Carew e suo nipote, Sir Peter, che apparteneva ad una delle più antiche famiglie del Devon, furono inviati sul posto, portanti delle istruzioni redatte da Somerset in persona; queste istruzioni davano loro come missione di ricercare la conciliazione. Sir Peter aveva acquisito una grande esperienza nel corso delle sue campagne militari in Europa. In un proclama redatto da Somerset, ma fatto in nome del re, si doveva dire ai ribelli: “Vogliamo ben considerare che ciò che è stato fatto fin qui lo è stato fatto per ignoranza più che per malizia e per l’istigazione di alcune persone irriflessive e indisciplinate più che per una cattiva volontà dei nostri sudditi affezionati a nostro riguardo e nei confronti degli atti che noi abbiamo compiuto. Di conseguenza, alla domanda di diversi gentiluomini, che hanno presentato un’umile richiesta in loro favore e conformemente all’opinione espressa qui sopra, abbiamo perdonato e per il presente perdoniamo tutti i detti spregi ed errori commessi fino ad ora. Così, i detti offensori non saranno mai né infastiditi, né cacciati, in seguito, per le offese già commesse e passate, a condizione che, d’ora in avanti, si comportino a nostro riguardo come conviene a sudditi affezionati e obbedienti, sottomettendosi alle leggi e ordinanze in materia di religione adottate nel nostro Parlamento e, dalla nostra autorità, promulgate e pubblicate. Ciò che noi desideriamo che voi promulghiate e facciate sapere in conseguenza, mandanti e ingiungenti, a tutti e a ciascuno tra voi, che ogni persona che tenterà incontinente di opporsi o di resistere alle nostre disposizioni in materia di religione nelle leggi affermate da noi e dal nostro Parlamento, che sia assembrandosi o riunendosi in compagnie o altrimenti, voi la comunichiate e che vegliate a che le nostre leggi siano debitamente e strettamente eseguite verso e contro tutt igli oppositori, come si deve” (F. Rose-Troup, The Western Rebellion, Londra 1913, pp. 140-141). Il 21 giugno, i ribelli avevano occupato la piccola città di Crediton, situata a circa otto miglia da Exeter; era chiaro che si rafforzavano, nell’intenzione di marciare sulla città. Carew andò loro incontro, a cavallo, accompagnato da circa duecento uomini, “per conferire e parlare con questi plebei … supponendo e convinto, alla volta, che con delle buone parole e degli amabili colloqui avrebbe potuto ammansire e persuadere i detti plebei” (J. Cornwall, Revolt of Peasantry-1549, Londra 1977, p. 74). Ma “buone parole e amabili colloqui” erano contrari all’inclinazione naturale di Carew quando aveva a che fare con dei paesani.
“Protestante di convinzioni estreme, era incapace di rendersi conto della profondità del loro attaccamento alla fede papista e non erano per lui che degli zoticoni” (Ibid, p. 75). Furioso del rifiuto dei ribelli, che non acconsentivano nemmeno ad ascoltarlo, si lanciò su di loro senza più aspettare e, dopo aver cominciato ad indietreggiare, li obbligò ad uscire dalla città dando fuoco alla paglia dei granai da dove avevano aperto il fuoco sulla sua truppa. La vittoria di Carew fu una falsa vittoria. Aveva preso una città; ma era una città deserta, dove non restava che un pugno di anziani.
“Certo, la battaglia era stata vinta, ma poiché non restava più nessuno a cui parlare, non aveva niente d’altro da fare che ritornarsene a Exeter “senza aver guadagnato nulla … lasciando tutto, almeno lui pensava, quasi calmo”. Non si lanciò alcun inseguimento, in parte perché arrivava la notte, in parte anche perché si pensava che dopo quello i paesani sarebbero rientrati nelle loro case tutti mogi e che non avrebbero osato tornare a battersi con i gentlemen. Carew non poteva sbagliarsi più di così. Gli insorti erano stati dispersi; non erano stati calmati o puniti. Le fiamme di Crediton appiccarono il fuoco a tutta la contea. La notizia fu “al gran galoppo, in un istante, si potrebbe dire, propagata e ripercossa in tutta la regione” (Ibid, p. 76.)

Quel giorno era giorno di festa e Sir Walter Raleigh, di Budleigh Salterton, il padre del celebre cavaliere con lo stesso nome, andava a cavallo attraverso il piccolo villaggio di Clyst Saint Mary, a due miglia da Exeter, quando incontrò una donna anziana che recitava il suo rosario recandosi alla messa. La ammonì severamente, dicendole che non doveva più lasciarsi andare a simili scemenze;i tempi cambiavano; la legge era cambiata, ella doveva vivere come una cristiana, se no se ne sarebbe potuta pentire. La povera vecchia fu atterrita e, quando arrivò alla chiesa, interruppe la messa, urlando che il rosario e tutte le altre tradizioni antiche dovevano essere ora abbandonate: “Tutto questo, è finito per noi, o bisogna che finisca, oppure questi signori verranno a bruciare le vostre case al di sopra delle vostre teste” (J.A.Froude, p.105). La notizia dei granai bruciati di Crediton donò alla sua storia tutta la voluta credibilità.
I paesani si precipitarono fuori della Chiesa. Alcuni tagliarono degli alberi e drizzarono una barricata sulla strada di Exeter; altri corsero fino a Topsham per andare a cercare dei cannoni sui vascelli che erano ormeggiati. In cammino, incontrarono Raleigh, lo catturarono, lo picchiarono a sangue e, se non fosse stato per l’intervento di alcuni marinai lo avrebbero messo a morte.
La notizia di ciò che era accaduto a Clyst giunse rapidamente ai Carew a Exeter; il giorno dopo, che era una domenica, si recarono sul posto con una loro truppa e trovarono il ponte occupato da un cannone che sarebbe stato “sparato su Sir Peter in rappresaglia per la religione e per i granai di Crediton”, se l’addetto al pezzo non fosse stato trattenuto dai suoi compagni. I paesani non avevano alcuna fiducia nei Carew, ma autorizzarono un magistrato municipale di Exeter ad entrare nel villaggio per ascoltare le loro lamentele.
Questi spiegò loro la proposta di grazia, concessa con la sola condizione che accettassero di utilizzare il Prayer Book; le negoziazioni proseguirono tutto il giorno, senza che i ribelli facessero una sola concessione. I paesani promisero di mettere fine alla loro ribellione a condizione che “il re e il Consiglio non modifichino la loro religione, ma la lascino esistere, immodificata, nello stato in cui l’aveva lasciata il re Enrico e fino a quando il re stesso sia giunto alla sua maggiore età” (F. Rose-Troup, p.150), significando così chiaramente che il solo motivo della loro ribellione era la difesa della fede tradizionale. A Exeter, Sir Peter attese tutta la giornata, soffocando l’indignazione e pestando i piedi per l’impazienza; la sera, raddoppiò di furore quando si venne ad informarlo che non ci sarebbe stata pace nel Devon se la religione non fosse stata lasciata nello stato in cui si trovava alla morte di Enrico VIII.
“Folle dalla rabbia, Sir Peter trattò gli abitanti della città da traditori e vigliacchi. Sarebbe andato a prendere l’esercito della contea, diceva, a chiamare a combattere con lui ogni gentiluomo leale e a correggere questi cani di ribelli per ricondurli alla ragione. Venuta la mattina, si rese conto che la cosa era più facile a dirsi che a farsi. Dal Tamar arrivarono diecimila convogli schierati in ordine di marcia. Le strade intorno a Exeter erano interrotte, Walter Raleigh era di nuovo prigioniero e dappertutto i membri della gentry, temendo per la loro vita, correvano a nascondersi “nei boschi o nelle grotte”. Non gli restava altro che fuggirsene e avvisare Russell. Il Sindaco e i suoi magistrati municipali,pur detestando vivamente quanto i ribelli i cambiamenti che colpivano la religione, promisero di conservare la città al re fino a quando avessero di che assicurare la sopravvivenza degli abitanti. Prendendo dei cammini nascosti e dei sentieri, Carew guadagnò il Somerset” ( J.A. Froude, p. 105).

continua...

martedì 18 maggio 2010

Fatima - Non disprezzate le profezie

FATIMA E IL SUO TERZO SEGRETO

Testo della conferenza tenuta ad Ancona il 27 maggio del 2006 dal dott. Solideo Paolini, autore del libro: Fatima - Non disprezzate le profezie, Edizioni Segno, 2005


Reverendi padri, cari amici,

vi ringrazio per la presenza attenta, ringrazio il professor Matteo D’Amico per l’impegno nell’organizzare quest’incontro, ed esprimo di cuore la mia gratitudine alla Fraternità sacerdotale san Pio X per l’appoggio, deciso e solidale, che ha dato a questo libro.
La mia presentazione si articolerà in due punti: la prima parte è lo “status questionis”, il punto della situazione in oggetto; la seconda è quella operativa: stando così le cose, che fare?
Vorrei introdurle con due citazioni di suor Lucia, la veggente di Fatima che, lungamente superstite, è morta l’anno scorso; entrambi gli spunti sono presi dall’ultima intervista libera che potè fare, nel 1957 a padre Fuentes, prima che su di lei ? il libro ne parla bene ? calasse il bavaglio, o peggio ancora il filtro.

* * *

“Padre, la Madonna è molto triste, perché nessuno ha dato importanza al Suo messaggio. Né i buoni né i cattivi.”

Nessuno. Evidentemente è un’iperbole, qualcuno che ha preso sul serio il messaggio di Fatima c’era e c’è; ma il senso è chiarissimo: ciò che tale passo esprime, con giusta forza, è la triste realtà di fondo d’una sordità che non riguarda solamente “i lontani”, per la quale non c’è da pensare soltanto a dove è più evidente…Nessuno, né i cattivi né i buoni.

Proprio questo è il filo rosso del libro, già nel titolo, “Non disprezzate le profezie”: davanti a un evento così grande ? prodigiosamente grande nei segni che l’hanno accreditato, pensiamo al miracolo del sole; tragicamente grande nelle sue profetiche ammonizioni, “se…intere nazioni saranno annientate” (per non parlare degli avvertimenti apocalittici del terzo segreto); meravigliosamente grande nella misericordia offerta, ai figli in procinto d’essere minacciati dai pericoli più grandi, da Colei che è la “Mater misericordiae” ? ebbene, davanti a questo, la grettezza della mancata accoglienza.

Un dramma che parte da lontano, variamente modulato, e giunto sino al punto ? ma, a dispetto del superficialismo imperante, la punta dell’iceberg non è l’iceberg, bensì rimanda alla totalità dell’iceberg ? giunto sino al punto di realizzare, nell’Anno Santo 2000, una pubblicazione nascostamente incompleta dell’ammonizione del Cielo.

Dopo un ritardo di quarant’anni: perché da una parte, la Madonna ne aveva ordinato la pubblicazione nel 1960; ma dall’altra, i Papi (Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II) ? per dirla coi cardinali Ratzinger e Oddi ? l’avevano giudicata inutile, anzi pericolosa.

Padre Malachi Martin, purtroppo morto da alcuni anni, era il segretario del cardinale Bea, intimo collaboratore di papa Giovanni XXIII. In tale veste, egli lesse il Segreto, così ha dichiarato. Intervistato, dichiarò di non poterlo rivelare, tra l’altro prima di leggerlo gli avevano fatto promettere il silenzio, ma che avrebbe voluto rivelarlo, “perché una cosa del genere, secondo calcoli umani, darebbe una grande scossa, spaventerebbe le persone, riempirebbe i confessionali il sabato sera, riempirebbe le cattedrali, le basiliche e le chiese di credenti che si inginocchiano, battendosi il petto”.

Nel maggio-giugno 2000, al tempo dello svelamento ufficiale, chi di noi ha visto questo?

Quanto ora affermo, il libro lo dimostra.
Uscito per le Edizioni Segno nell’ottobre 2005 e formato da 300 pagine con un migliaio di note, redatto tra il 2000 e il 2004 sulla base di un’ampia raccolta di documentazione, esso dimostra ? testimonianze e dati alla mano ? che nell’Anno Santo il famoso terzo segreto di Fatima non è stato svelato, ma, di per sè, velato. Cerca quindi di ricostruire le 25 righe formate dalle parole della Madonna, ovvero il seguito della frase tronca alla fine del secondo segreto: “In Portogallo, il dogma della fede sarà sempre conservato, etc.”: ricostruisce appunto, sostanzialmente, quell’eccetera.

Non si tratta di scandalismo, né di curiosità fine a sé stessa, né di polemica passionale: non è questo l’intento del libro o il suo tenore.
Si tratta di mettere in luce questioni che meritano di essere affrontate, e che interpellano ciascuno.
Certo, è uno studio che pubblicamente pone una questione scomoda e muove una critica (rivolta, più che alle persone, alla linea che ha condotto a tenere ostinatamente sotto il moggio tanta luce in tempi tanto bui): ma è giusto scansare a priori tale obiezione come illegittima?

La Madonna voleva che il terzo segreto fosse pubblicato nel 1960 (e magari anche al Cielo bisognerà ubbidire); il papa Paolo VI ha abolito la riserva della preventiva approvazione ecclesiastica su tali scritti ; dopo la quantità di “mea culpa” non mi sembrerebbe peraltro coerente l’arma del “Inaudito! Voi criticate la Chiesa”, “Tacete perché date scandalo”; e infine, anche uno degli ultimi Pontefici, Giovanni Paolo II, ha ribadito nella Fides et Ratio quanto già detto dal dogmatico Concilio Vaticano I, la vera fede non è in contrasto con la sana ragione: sicchè non si ubbidisce neppure ai “Papi di oggi” dicendo di non pensare, non interessarsi…

E quindi: la questione, importante ? sempre Giovanni Paolo II ha detto che Fatima è molto importante, nel suo primo pellegrinaggio il 13 maggio 1982, addirittura specificamente che pone un obbligo sulla Chiesa ? , è una questione che va affrontata nel merito, e non evitata con abusi o paraventi d’autorità, oggettivamente farisaici. E che, alleati con l’opportunismo e il torpore, vediamo generare una sorta di cappa di ferro.

Ma qual è il vero contenuto del terzo segreto, nel foglio tuttora non pubblicato?
Per affrontare in maniera conveniente la questione rimando a una lettura attenta e riflessiva del libro, limitandomi ora a qualche cenno.

L’elemento centrale della profezia, che poi scatena sciagure e cataclismi della più ampia portata, il perno del segreto, è la predizione d’una crisi dottrinale all’interno della Chiesa. Devastante.

Una crisi che parte dall’alto, dal vertice umano della Chiesa; che parte negli anni ‘60 e finisce con il trionfo del Cuore Immacolato di Maria Santissima (quindi riguarda il nostro tempo); che sembra collegata alle profezie degli ultimi tempi, anche della Sacra Scrittura e soprattutto dell’Apocalisse, e che forse prepara la via all’Anticristo (come misteriosamente sapevano i mandanti di Agca).

Qui bastino tre citazioni, tanto gravi quanto autorevoli.
Padre Joaquin Alonso è stato per molti anni, fino alla morte nel dicembre 1981, l’archivista ufficiale di Fatima. In tale veste ha potuto parlare più volte con suor Lucia. Ha quindi un grande peso questa sua testimonianza; e non traggano in inganno le formule ipotetiche cui egli ricorre: si tratta soltanto di linguaggio diplomaticamente cauto, non potendone parlare liberamente; tant’è che conclude con questo sigillo: “[…]niente di tutto ciò è estraneo ad altre comunicazioni che suor Lucia ha avuto a questo soggetto”, cioè: sono cose dette da suor Lucia. Eccole:

“[…]questi dogmi si oscureranno, o perderanno del tutto. […]Il testo non pubblicato parla di circostanze concrete? È possibile che parli non solo di una reale crisi della Chiesa durante questo periodo intermedio, ma come nel segreto di La Salette, per esempio, ci sono riferimenti concreti a lotte interne fra cattolici o alla caduta di sacerdoti e religiosi. Forse si riferisce persino alle mancanze della gerarchia superiore della Chiesa”.

E se il card. Oddi, che ebbe un colloquio con suor Lucia, ne trasse la convinzione “che il terzo segreto predicesse qualcosa di terribile che la Chiesa aveva fatto”, ovviamente nel senso improprio degli uomini di Chiesa, il cardinale Ciappi, per decenni e sotto più Pontefici “teologo del Papa”, è stato assolutamente lapidario, scrivendo poco prima di morire: “Nel terzo segreto si profetizza, tra le altre cose, che la grande apostasia nella Chiesa partirà dalla sua sommità!”.

L’apostasia è il rigetto, il rinnegamento, la perdita della fede cattolica (non necessariamente per non credere più a niente: magari, ed è la cosa più insidiosa, per sostituirla con una falsa fede). È il monito più grave che la Madre del Verbo Incarnato potesse rivolgere.

Dicevamo, che fare? Proprio per il carattere costruttivo di questo sasso nello stagno.
Ad una risposta giusta e concreta direi possa ben introdurci quest’altro passo dell’intervista di suor Lucia al padre Fuentes: “Padre, non stiamo ad aspettare un appello dal Santo Padre, né dal nostro vescovo, o dai superiori delle congregazioni religiose…”.
Lo disse nel 1957, Pio XII regnante; ma quanto calza!
Capita di sentirsi dire: ho letto sui giornali (fonti molto attendibili!) che il Papa adesso farà questo e quest’altro…e allora, quando la situazione sarà favorevole, sarò contento e ne prenderò parte, perché non posso vedere questo, non posso vedere quest’altro…E dell’uno o dell’altro frutto cattivo all’interno della Chiesa ci si lamenta, ci si lamenta, ci si lamenta…sterilmente. Ci si rende impopolari a dire queste cose, e certamente i casi non sono tutti uguali, ma il fenomeno è reale.

Queste nostre Marche, che mi sono profondamente care, sono una terra piuttosto sana, ma anche tiepidamente stagnante; poco allergica al conformismo, poco allergica talvolta a scorciatoie voltagabbana, e molto allergica all’odor d’incomodi: sicchè ? talvolta addirittura nobilitandosi dietro bei paraventi ? meglio sparlare che andare avanti in questioni scomode.
Non stiamo ad aspettare che facciano qualcosa gli altri, diceva la veggente da parte della Madonna, è l’ora in cui è necessario che ciascuno inizi da se stesso.
Si obietta: “Ma quanto possiamo riuscire…” (ma quanta miopia!), “Ma così saremmo in pochi…”: eppure ? vedendo le cose nell’ottica della fede, anziché nella mentalità del mondo ? quanta folla c’era nell’ora suprema, sotto la Croce?
E la parte pubblicata del terzo segreto non ci mostra forse che proprio la via della croce e del martirio è quella, infine, realmente vittoriosa, come un cristiano dovrebbe ben sapere?

Chi ricorda cosa dice il Vangelo sul segno distintivo dei veri e dei falsi profeti, per gli uni il rifiuto denigratorio e persecutorio, per gli altri la lode di tutti?
Se a Sodoma, la grande città, Dio ne avesse trovato dieci che avevano conservato la fedeltà, dieci in una città così grande, per riguardo a loro avrebbe risparmiato dalla distruzione tutta la città.
Non è completamente falso che debba esserci un’attesa; e, aggiungo, bisogna attestarsi su tale attesa con paziente perseveranza, senza né illudersi né disperarsi. Io sono assolutamente convinto che la risoluzione finale _ forse a prezzo di atti eroici, da quanto la situazione è grave _ è nelle mani del Santo Padre; che sarà per via soprannaturale e, plausibilmente, traumatica: ma, intanto, possiamo e dobbiamo fare, con ordinato zelo, la nostra parte. Al riguardo, mi permetto di sottoporre alla vostra attenzione quattro punti.

1 - La lettura attenta e la diffusione sollecita del libro.

Infatti può essere uno strumento, per mostrare ad alcuni l’esistenza di un problema, ad altri per farlo comprendere meglio.
Mi ha confortato e rallegrato sentire che qualcuno, dopo la lettura del libro, evidentemente una lettura non superficiale e fatta in buone disposizioni, aveva piuttosto cambiato idea su qualche punto importante, che qualcun altro ne aveva donato delle copie…
Può essere richiesto direttamente all’editore, oppure tramite libreria (non è difficile, avendo le edizioni Segno una buona catena di distribuzione).
Attualmente l’autore ne ha finito tutte le copie e attende la ristampa ? soltanto con la correzione di alcuni refusi e l’aggiunta di qualche testimonianza; con quale editore e in quante lingue è attualmente in valutazione ? , ma Segno qualche copia ancora ce l’ha, quindi non c’è neppure da attendere.
Anche questo, molto semplicemente, può rientrare nella testimonianza della Fede con tutte le sue implicazioni, che siamo tenuti a dare, nella buona battaglia della Fede, che siamo tenuti a combattere.

2 - Il Santo Rosario.

La Madonna lo ha raccomandato con insistenza: di recitarlo tutti i giorni. E la veggente ci ha detto che Ella, in considerazione dei tempi difficili, ne ha rinforzato l’efficacia, sicchè è una difesa e un’arma potentissima.
Non è un caso che il testo riporti in appendice una guida per la sua recita, giacchè il favorire la crescita della devozione alla Madonna è uno degli intenti, principalissimo, di questo lavoro.
Vediamo che qui le devozioni del mese di maggio un po’ reggono, del che mi rallegro (purchè non ci si tranquillizzi a sproposito): sarebbe bello se, ad esempio, più famiglie riprendessero la consuetudine di dire insieme, quotidianamente e per tutto l’anno, il Santo Rosario (almeno qualche decina, magari per iniziare; sono pochi minuti, basta avere almeno un familiare un po’ disponibile).
Quella corona attorno alla quale, anziché attorno alla televisione, si riuniva ogni sera la famiglia, i nostri nonni si ricordano bene…

3 - I cinque primi sabati del mese, in onore del Cuore Immacolato di Maria Santissima.

È una pratica riparatrice che la Madonna di Fatima ha chiesto, promettendo che in risposta ci sarebbero stati risparmiati dei flagelli incombenti, attirandosi anche il Suo materno soccorso per la grazia suprema di una buona morte. Frequentando i nostri ambienti non è difficile informarsi su come farli.
Ora mi preme rispondere brevemente a una domanda che si potrebbe porre: che nesso c’è tra queste devozioni (il Santo Rosario, i primi sabati) e il tema primario del terzo segreto (gravissimi problemi interni alla Chiesa)?
Bisognerebbe approfondire la comprensione del terzo segreto, ovvero della crisi nella Chiesa, le sue dinamiche, il suo terreno, la sua natura di castigo; qui mi limito a esplicitare: davanti a tanti e tali mali, davanti a Satana lasciato libero, davanti al buio, quant’è saggio e confortante far ricorso alla Madonna, umilmente coi mezzi che Lei stessa ci ha indicato, guardando e affidandosi a questa Stella nella buia notte!

4 - Infine, un punto che bisognerà illustrare: la giusta attitudine da tenere nella situazione profetizzata dal terzo segreto. Quale pratica davanti a questa situazione.

Ricapitoliamo: da dopo il 1960, anno indicato dal Cielo per la divulgazione del terzo segreto, c’è nella Chiesa una crisi. Una crisi di tipo innanzitutto dottrinale, perciò radicale, e universale, provenendo dall’alto. Il che contraddice l’impostazione di un certo filone, che riduce il problema ai pur realissimi abusi ed eccessi “in basso”.
Del mondo non ne parliamo, siamo alla frutta della lunga apostasia moderna: ma quando in un paese le guardie vanno disastrosamente, bisognerà agire lì più che stupirsi e prima di occuparsi dei tanti furti dei ladri…
E che ci sia questa crisi, straordinaria, l’ha detto tante volte lo stesso Santo Padre, allora cardinale Ratzinger (e probabilmente non è un caso che egli già avesse letto il terzo segreto): pensiamo alla nota Via Crucis del Venerdì Santo 2005, la Chiesa sembra una barca che sta sul punto di affondare… Pensiamo a questa frase di Rapporto sulla fede: “questo confuso periodo dove davvero ogni tipo di deviazione ereticale sembra premere alle porte della fede autentica…”
Una strada d’apostasia che viene dalla sommità della Chiesa…l’eresia che preme non qua o là, su questo o quel punto, ma da ogni parte…la Chiesa invasa dal fumo di Satana, che ? l’ha detto il papa Paolo VI, pallida eco di quel che aveva letto nel monito del Cielo ? vi è entrato: cioè come occupata, con il nemico che è anche dentro…è normale questo?
No, non è la situazione normale nella Chiesa. È molto importante, è fondamentale, fissare bene questo punto: oggi c’è nella Chiesa ­ per quanto la sua natura teandrica, divino-umana, lo rende possibile ­ una situazione anormale. Ora, il buonsenso mostra che in una situazione che esce dalla normalità, non sempre ci si comporta nello stesso modo che in quella normale.
Immaginiamoci degli accampati subito dopo un terremoto che ha ridotto la casa in macerie, e un bambino che dica: non vado a letto, perché la mamma mi ha detto che non devo andare a letto se non mi sono lavato i denti (senonchè, spazzolino e dentifricio sono sotto le macerie). Forse che la mamma non mi ha insegnato una cosa buona? Ci si lava i denti prima di andare a letto!
Oppure ? porto sempre questo esempio ? pensiamo a una casa che ha preso fuoco, e da dentro un bambino piccolo piange; i genitori non ci sono, oppure sono svenuti o feriti nell’incendio; che deve fare una persona che vede questo? Deve entrare e cercare di metterlo in salvo, o deve ragionare così: io non sono il padrone di casa, non ho l’autorizzazione a entrare, e la legge vieta la violazione di domicilio? (Mi ricorda quella dell’asino che cade nel pozzo il giorno di sabato…).

Questo principio lo ritroviamo anche nella storia della Chiesa e nella teologia cattolica.

Ha detto san Teodoro Studita dei tempi dell’eresia ariana: “A motivo delle pressanti necessità, in questo momento di crisi in cui predomina l’eresia, non si fa tutto come stabilito in tempo di pace”.
Nel libro cito due passi di un’opera del domenicano Umberto degl’Innocenti, docente alla Pontificia Università Lateranense. Uno è quello dove si nota : “Occorre…distinguere soprattutto uomini e istituzioni, e persuadersi che può essere lecito e talvolta anche doveroso gridare contro i primi senza coinvolgere le seconde”; per dirla con santa Giovanna d’Arco, “gli uomini di Chiesa non sono la Chiesa” e, aggiungo, il sistema postconciliare non è la Chiesa in quanto tale, giacchè anche una stessa realtà può essere considerabile sotto diversi titoli, convivendovi più figure: nel caso, gli orientamenti caduchi del momento, ovvero il nuovo corso ecclesiale, e il suo permanente essere profondo.
L’altro passo è quello in cui appunto osserva: “Non si giudica una situazione eccezionalissima con i criteri d’ordinaria amministrazione”.
Certo, non è che in tali situazioni si possa legittimamente fare tutto e il contrario di tutto: anche se c’è quell’incendio, non posso entrare in quella casa e rubare; non posso entrare, prendere il bambino e automaticamente trattenerlo per sempre con me; ma legittimamente posso e debbo, in coscienza e in carità, entrare per metterlo al sicuro anche senza l’autorizzazione del padrone di casa ? cosa che, in una situazione normale, sarebbe illegale violazione di domicilio, da non farsi.
Ora, il Cielo ? l’Autorità suprema e assoluta ? ci dice: siamo in tempi di crisi straordinaria nella Chiesa: l’ortodossia cattolica è universalmente minacciata e la Chiesa è offuscata, come eclissata, dal fumo di Satana al suo interno.
Il che non vuol dire che noi giudichiamo tutti eretici e apostati nel mondo cattolico ufficiale: chiaramente è una tendenza, ciò che la Madonna a nome di Dio ha denunciato, un processo contrario al depositum fidei, che oggettivamente avrebbe attraversato la cattolicità, dilagando con frutti rovinosi.
Bisognerà dunque chiedersi: la Chiesa ha mai passato, transitoriamente s’intende, situazioni del genere?
Parzialmente sì (la crisi ariana, il grande scisma d’Occidente).
Le ha mai previste, come possibili a realizzarsi?
Andiamo a vedere nella più sicura e avallata teologia cattolica, e troviamo che, in realtà, di certi casi non comuni effettivamente se ne parla.
Qui mi limito a richiamare un’indicazione, tanto semplice quanto pertinente e preziosa. È la “regola per distinguere la verità cattolica dall’errore”, che san Vincenzo di Lerino ci dà nel Commonitorium; si tratta di un’opera e un autore probati, cioè approvati, lodati dalla Chiesa stessa, per tanti secoli.

Vi leggiamo:

“Come, dunque, dovrà comportarsi un cristiano cattolico [notate bene: “un cristiano cattolico”: quindi, non solo la gerarchia ecclesiastica] se qualche piccola frazione della Chiesa…”: ahinoi, non è questo il nostro caso, oggi non è questione di qualche piccola frazione della Chiesa.
“Se, però, si tratta di una novità ereticale che non è limitata a un piccolo gruppo, ma tenta di contagiare e contaminare la Chiesa intera?”: ecco, è questo!
Precisamente questa è la situazione da cui la Madonna Santissima voleva fossimo messi in guardia a partire già dal 1960: un pericolo generale per la dottrina della fede, per la retta fede, con gli annessi e connessi.
Che fare dunque in questi frangenti?
Riprendiamo il Commonitorium dove l’avevamo lasciato:
“In tal caso, il cristiano dovrà darsi da fare [e non dormire, sfogare lagnandosi o lavarsi le mani] per aderire all’antichità, la quale non può evidentemente essere alterata da nessuna nuova menzogna”.
È una misura generale di buonsenso: quando c’è un’epidemia alimentare generale a partire da una data, in attesa che passi ci si orienta già a priori ? cautelativamente, prudenzialmente ? su prodotti confezionati in precedenza, in tempi più sicuri. Quanto sarebbero fuori luogo discorsi tipo: “ma confezionare dei nuovi prodotti è una cosa possibile”, oppure “voi non siete…l’ufficio d’igiene, che è l’organo competente per dare i responsi”: discorsi proprio impostati male!

E come al contrario, nella autorevolissima luce di cui stiamo trattando, si palesa appropriata la posizione detta tradizionalista: in questo quadro, noi ci attacchiamo al Catechismo antico, alla Messa antica e così via, organizzandoci di conseguenza e come la realtà ce lo consente (e non come in astratto si preferirebbe); nell’attesa serena, fedele e militante che, sino in fondo, l’eclissi venga meno.

Atteggiamento certamente controcorrente, di dissenso rispetto a una certa strada e situazione, ma al contempo leale e costruttivo, con tutti: col nostro Santo Padre, Benedetto XVI, cui a ben vedere tale franchezza vuole offrire miglior servizio che tante ipocrisie, con i pastori locali, con la nostra terra e con quanti la buona Provvidenza ha posto sul nostro cammino.

Grazie.

SOLIDEO PAOLINI, Fatima, Non disprezzate le profezie,Edizioni Segno, Tavagnacco, prima ed. 2005, pp. 304, € 15,00
Edizioni Segno, via E. Fermi, 80, 33010 Feletto Umberto, Tavagnacco, Udine. Tel. 0432.57.51.79 - Fax: 0432.575589.


lunedì 17 maggio 2010

Il principio di non contraddizione vale anche in Vaticano: passato e futuro non sono la stessa cosa.

di Antonio Socci


E finalmente il 13 maggio, festa della Madonna di Fatima, tutti hanno capito come stanno le cose del Terzo segreto e del nostro futuro. Il Santo Padre, Benedetto XVI, nella forma più solenne, nell’omelia della Santa Messa, celebrata al Santuario, ha chiarito, apertis verbis, in poche parole, ciò che aveva preannunciato sull’aereo per il Portogallo (come potevo avevo provato ad anticiparlo).

Il Corriere della sera ha sintetizzato così le sue parole: “Profezia Fatima non si è compiuta, ci saranno ancora guerre e terrore”.

Ma l’espressione usata dal Papa è ancora più significativa perché contiene un ammonimento a chi non vuol sentire e non vuol capire. Ha detto testualmente: “Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa”.

Parole di Benedetto XVI che – chiunque ha potuto constatarlo – sono l’esatta antitesi delle balle che da anni, tristemente, il cardinal Bertone va propalando (soprattutto prendendosela con me). Ecco infatti cosa diceva Bertone: “La profezia non è aperta sul futuro, si è realizzata nel passato”.

Così ha scritto a pagina 79 del suo libro, ripetendolo mille volte in quelle pagine e anche in interviste a giornali e tv, dove non ha esitato a insolentire chi semplicemente diceva la verità e chiedeva amore per la Verità e per la S.S. Madre di Dio.

Ora, finalmente, il Papa ha parlato e tutti possono capire. Che Bertone, di fronte all’evidenza (e alla figuraccia), si sia precipitato a contattare i vaticanisti per tentare una tragicomica retromarcia (senza mea culpa), aumenta solo la tristezza. Scrive Andre Tornielli sul Giornale: “ora Bertone ha adeguato le sue parole dicendo che la profezia si può estendere anche al ventunesimo secolo”.

Fra un po’ dirà che lui l’ha sempre detto… Ogni commento è inutile. C’è solo da constatare i tanti problemi che l’attuale Segretario di stato ha provocato al papa che meriterebbe di avere accanto collaboratori all’altezza del compito e del momento storico.

Collaboratori (parlo anche dei vescovi) che aiutano la sua missione. Collaboratori umili e competenti come lui e non arroganti e inadeguati. Collaboratori che evidentemente non trova.

Questo dice la drammaticità della situazione della Chiesa e la solitudine del Papa. Perciò il gesto del 16 maggio a Roma, il Regina coeli con il Papa, può aiutarlo: fargli sentire che il popolo cristiano è con lui. Che la Chiesa è con lui. E che lo ascolta e lo segue.

Ascolta e segue anzitutto il suo appello alla conversione, al pentimento e alla penitenza. Appello che vale anche per prelati e cardinali. Soprattutto per loro….

Bertone compreso che potrebbe utilmente approfittare del raggiunto limite di età per dedicarsi alla preghiera e alla meditazione sugli ammonimenti e la sollecitudine materna della Regina del Cielo.

Infatti le cose di questo mondo passano presto e per sempre (compreso il potere e soprattutto le menzogne). Solo la Verità resta, cioè Gesù Cristo. Che è la Verità fatta carne. E che ha detto: “Non vi è nulla di nascosto che non debba essere rivelato. Né cosa segreta che non venga alla luce” (Mt 10,26, Mc 4, 22, Lc 8, 17).

domenica 16 maggio 2010

soffia forte lo spirito del concilio

siccome per il Parroco è solo una questione di modi diversi di pregare dunque...



Che dire?

Ut nos ab omni haeresi, perfidia ac cordis caecitate liberare digneris,
Te rogamus, audi nos.