mercoledì 19 maggio 2010

Michael Davies: cambiare il rito per cambiare la fede (11)

Continuiamo a riferire della rivolta popolare scoppiata in Inghilterra in seguito alla riforma liturgica. M. Davies, uno dei più grandi storici inglesi, nel suo “La riforma liturgica anglicana”, poggiandosi a documenti inoppugnabili, spiega come la rivolta fu popolare, e per motivi puramente religiosi. I fedeli chiedevano che fosse lasciata intatta la loro fede cattolica, che non si procedesse a novità che la snaturavano in campo liturgico, e solo a questa condizione avrebbero rispettato l'autorità stabilita. I rappresentanti della corona, primo fra tutti Cranmer e poi Somerset e altri, non potevano sopportare che una riforma, che a loro dire era stata fatta per “liberare” il popolo da uno stato di inferiorità nel culto, fosse proprio rifiutata dal popolo stesso. Per questo si procedette con la reazione violenta: se il popolo non accetta la riforma liturgica volentieri, dovremo obbligarlo con la minaccia. É uno schema ricorrente in ogni rivoluzione: parlare in nome del popolo, senza il popolo... I fedeli che si opposero a questo regime di terrore capirono bene che era in gioco la fede cattolica e dunque la salvezza eterna... per questo esposero la vita al pericolo... lo capirono prima i fedeli e meglio di molti ecclesiastici e nobili...


La prima reazione del Protettore, Somerset, fu di tentare una soluzione pacifica: nello stesso tempo sia perché era più incline alla conciliazione che al conflitto, sia perché riconosceva che se ci fosse stata una rivolta armata, che costituiva una minaccia per il potere reale, avrebbe portato un colpo severo alla sua credibilità. “Aveva creduto che una insurrezione religiosa era impossibile, spiega J. A. Froude. Era persuaso che, nella loro stragrande maggioranza, le persone sarebbero state favorevoli ai cambiamenti che introduceva” (J.A.Froude, The Reign of Edward VI, Londra 1926, p. 102). Sir Gawen Carew e suo nipote, Sir Peter, che apparteneva ad una delle più antiche famiglie del Devon, furono inviati sul posto, portanti delle istruzioni redatte da Somerset in persona; queste istruzioni davano loro come missione di ricercare la conciliazione. Sir Peter aveva acquisito una grande esperienza nel corso delle sue campagne militari in Europa. In un proclama redatto da Somerset, ma fatto in nome del re, si doveva dire ai ribelli: “Vogliamo ben considerare che ciò che è stato fatto fin qui lo è stato fatto per ignoranza più che per malizia e per l’istigazione di alcune persone irriflessive e indisciplinate più che per una cattiva volontà dei nostri sudditi affezionati a nostro riguardo e nei confronti degli atti che noi abbiamo compiuto. Di conseguenza, alla domanda di diversi gentiluomini, che hanno presentato un’umile richiesta in loro favore e conformemente all’opinione espressa qui sopra, abbiamo perdonato e per il presente perdoniamo tutti i detti spregi ed errori commessi fino ad ora. Così, i detti offensori non saranno mai né infastiditi, né cacciati, in seguito, per le offese già commesse e passate, a condizione che, d’ora in avanti, si comportino a nostro riguardo come conviene a sudditi affezionati e obbedienti, sottomettendosi alle leggi e ordinanze in materia di religione adottate nel nostro Parlamento e, dalla nostra autorità, promulgate e pubblicate. Ciò che noi desideriamo che voi promulghiate e facciate sapere in conseguenza, mandanti e ingiungenti, a tutti e a ciascuno tra voi, che ogni persona che tenterà incontinente di opporsi o di resistere alle nostre disposizioni in materia di religione nelle leggi affermate da noi e dal nostro Parlamento, che sia assembrandosi o riunendosi in compagnie o altrimenti, voi la comunichiate e che vegliate a che le nostre leggi siano debitamente e strettamente eseguite verso e contro tutt igli oppositori, come si deve” (F. Rose-Troup, The Western Rebellion, Londra 1913, pp. 140-141). Il 21 giugno, i ribelli avevano occupato la piccola città di Crediton, situata a circa otto miglia da Exeter; era chiaro che si rafforzavano, nell’intenzione di marciare sulla città. Carew andò loro incontro, a cavallo, accompagnato da circa duecento uomini, “per conferire e parlare con questi plebei … supponendo e convinto, alla volta, che con delle buone parole e degli amabili colloqui avrebbe potuto ammansire e persuadere i detti plebei” (J. Cornwall, Revolt of Peasantry-1549, Londra 1977, p. 74). Ma “buone parole e amabili colloqui” erano contrari all’inclinazione naturale di Carew quando aveva a che fare con dei paesani.
“Protestante di convinzioni estreme, era incapace di rendersi conto della profondità del loro attaccamento alla fede papista e non erano per lui che degli zoticoni” (Ibid, p. 75). Furioso del rifiuto dei ribelli, che non acconsentivano nemmeno ad ascoltarlo, si lanciò su di loro senza più aspettare e, dopo aver cominciato ad indietreggiare, li obbligò ad uscire dalla città dando fuoco alla paglia dei granai da dove avevano aperto il fuoco sulla sua truppa. La vittoria di Carew fu una falsa vittoria. Aveva preso una città; ma era una città deserta, dove non restava che un pugno di anziani.
“Certo, la battaglia era stata vinta, ma poiché non restava più nessuno a cui parlare, non aveva niente d’altro da fare che ritornarsene a Exeter “senza aver guadagnato nulla … lasciando tutto, almeno lui pensava, quasi calmo”. Non si lanciò alcun inseguimento, in parte perché arrivava la notte, in parte anche perché si pensava che dopo quello i paesani sarebbero rientrati nelle loro case tutti mogi e che non avrebbero osato tornare a battersi con i gentlemen. Carew non poteva sbagliarsi più di così. Gli insorti erano stati dispersi; non erano stati calmati o puniti. Le fiamme di Crediton appiccarono il fuoco a tutta la contea. La notizia fu “al gran galoppo, in un istante, si potrebbe dire, propagata e ripercossa in tutta la regione” (Ibid, p. 76.)

Quel giorno era giorno di festa e Sir Walter Raleigh, di Budleigh Salterton, il padre del celebre cavaliere con lo stesso nome, andava a cavallo attraverso il piccolo villaggio di Clyst Saint Mary, a due miglia da Exeter, quando incontrò una donna anziana che recitava il suo rosario recandosi alla messa. La ammonì severamente, dicendole che non doveva più lasciarsi andare a simili scemenze;i tempi cambiavano; la legge era cambiata, ella doveva vivere come una cristiana, se no se ne sarebbe potuta pentire. La povera vecchia fu atterrita e, quando arrivò alla chiesa, interruppe la messa, urlando che il rosario e tutte le altre tradizioni antiche dovevano essere ora abbandonate: “Tutto questo, è finito per noi, o bisogna che finisca, oppure questi signori verranno a bruciare le vostre case al di sopra delle vostre teste” (J.A.Froude, p.105). La notizia dei granai bruciati di Crediton donò alla sua storia tutta la voluta credibilità.
I paesani si precipitarono fuori della Chiesa. Alcuni tagliarono degli alberi e drizzarono una barricata sulla strada di Exeter; altri corsero fino a Topsham per andare a cercare dei cannoni sui vascelli che erano ormeggiati. In cammino, incontrarono Raleigh, lo catturarono, lo picchiarono a sangue e, se non fosse stato per l’intervento di alcuni marinai lo avrebbero messo a morte.
La notizia di ciò che era accaduto a Clyst giunse rapidamente ai Carew a Exeter; il giorno dopo, che era una domenica, si recarono sul posto con una loro truppa e trovarono il ponte occupato da un cannone che sarebbe stato “sparato su Sir Peter in rappresaglia per la religione e per i granai di Crediton”, se l’addetto al pezzo non fosse stato trattenuto dai suoi compagni. I paesani non avevano alcuna fiducia nei Carew, ma autorizzarono un magistrato municipale di Exeter ad entrare nel villaggio per ascoltare le loro lamentele.
Questi spiegò loro la proposta di grazia, concessa con la sola condizione che accettassero di utilizzare il Prayer Book; le negoziazioni proseguirono tutto il giorno, senza che i ribelli facessero una sola concessione. I paesani promisero di mettere fine alla loro ribellione a condizione che “il re e il Consiglio non modifichino la loro religione, ma la lascino esistere, immodificata, nello stato in cui l’aveva lasciata il re Enrico e fino a quando il re stesso sia giunto alla sua maggiore età” (F. Rose-Troup, p.150), significando così chiaramente che il solo motivo della loro ribellione era la difesa della fede tradizionale. A Exeter, Sir Peter attese tutta la giornata, soffocando l’indignazione e pestando i piedi per l’impazienza; la sera, raddoppiò di furore quando si venne ad informarlo che non ci sarebbe stata pace nel Devon se la religione non fosse stata lasciata nello stato in cui si trovava alla morte di Enrico VIII.
“Folle dalla rabbia, Sir Peter trattò gli abitanti della città da traditori e vigliacchi. Sarebbe andato a prendere l’esercito della contea, diceva, a chiamare a combattere con lui ogni gentiluomo leale e a correggere questi cani di ribelli per ricondurli alla ragione. Venuta la mattina, si rese conto che la cosa era più facile a dirsi che a farsi. Dal Tamar arrivarono diecimila convogli schierati in ordine di marcia. Le strade intorno a Exeter erano interrotte, Walter Raleigh era di nuovo prigioniero e dappertutto i membri della gentry, temendo per la loro vita, correvano a nascondersi “nei boschi o nelle grotte”. Non gli restava altro che fuggirsene e avvisare Russell. Il Sindaco e i suoi magistrati municipali,pur detestando vivamente quanto i ribelli i cambiamenti che colpivano la religione, promisero di conservare la città al re fino a quando avessero di che assicurare la sopravvivenza degli abitanti. Prendendo dei cammini nascosti e dei sentieri, Carew guadagnò il Somerset” ( J.A. Froude, p. 105).

continua...