Far rivivere sulle pagine di un libro personaggi del passato richiede pazienti lavori d’archivio, ricerche e talento. Tutte qualità che alla torinese Cristina Siccardi, classe 1966, non mancano affatto; così, dopo essersi occupata delle donne di casa Savoia e di Paolo VI, si è imbattuta, attratta dal campo religioso, nel ritratto del Cardinale John Henry Newman (“Nello specchio del Cardinale John Henry Newman”, Fede & Cultura, pp. 205) , indubbiamente una delle figure più affascinanti della storia della Chiesa. Basti dire che, nel corso della sua vita, da posizioni anglicane, che lo convinsero che il Papa fosse nientemeno che l'Anticristo – tesi che ribadì pure in pubblico - non solo si convertì al cattolicesimo, ma fondò il primo Oratorio di San Filippo Neri in Inghilterra, fu per quattro anni Rettore dell'Università Cattolica di Dublino per poi, dulcis in fundo, esser fatto Cardinale da Papa Leone XIII, che gli riconobbe "genio e dottrina". Una vita straordinaria, insomma. Che si interruppe serenamente l’11 Agosto 1890, quando il Cardinale, ormai ottantanovenne e consapevole, condotta la buona battaglia, di esser giunto alla fine della sua corsa, si spense. Sulla sua tomba, a memoria della sua incredibile avventura spirituale, è scolpito un epitaffio da lui stesso voluto: « Ex umbris et imaginibus in veritatem » ,«Dall'ombra e dai simboli alla verità». Il giorno successivo alla sua morte, il londinese Times pubblicò un elogio funebre che si concludeva con una piccola profezia:”il santo che è in sui sopravvivrà”.Ci ha lasciato un’Opera omnia imponente, un epistolario di oltre diecimila lettere e, soprattutto, la testimonianza di chi ha vissuto nella convinzione che sia la santità «il grande fine». Così, dopo averlo reso venerabile nel gennaio del ’91, la Chiesa si prepara, il prossimo 19 settembre, a beatificarlo. Non c’era davvero momento migliore, dunque, per incontrare l’autrice di una biografia, peraltro fresca di stampa e redatta sulla base di una robusta bibliografia, del celebre Cardinale.
Dottoressa Siccardi, che cosa l’ha spinta ad accostarsi alla figura del convertito e “dottore” della Chiesa, il Cardinale John Henry Newman? Com’è nata la sua curiosità verso questo straordinario cristiano?
Da sempre ho visto nel grande convertito inglese una delle immagini più plastiche della irrinunciabilità della Fede e dei dogmi cattolici. Quando ho notato che, in prossimità della beatificazione, stava uscendo un florilegio di biografie che, invece, avevano il preciso scopo di descriverlo, nella linea Tyrrell-Buonaiuti, come un antesignano del modernismo e del relativismo, ho sentito il dovere etico di cercare di ribadire la verità storica, poiché questa stessa beatificazione è un segnale forte di riaffermazione, da parte della Chiesa, del suo monopolio della Verità.
Newman, a ben vedere, fu un caso di “pluri-convertito”: da piccolo era, come lui stesso ebbe a definirsi, “molto superstizioso”, poi divenne calvinista, anglicano e infine cattolico. Come si spiega questa continua metamorfosi?
Questo cammino spirituale è, potremmo dire, la logica conseguenza della ricerca di Dio e della Verità, ricerca che fu, per tutta la sua vita, l’essenza della sua spiritualità. Newman ebbe sempre chiarissimo il principio cattolico che la Verità non può contraddire la ragione e che, quindi, la vera Fede può essere spiegata e, soprattutto, capita. Si pensi, a questo riguardo alla splendida lectio magistralis di Benedetto XVI a Ratisbona. Newman fu educato dalla madre nel credo calvinista e la superstizione lo accompagnò in questa Fede, almeno fino a quando, soprattutto per merito dell’incontro con il pastore Walter Mayers, purificò l’etica evangelica, in quanto ad essa non contraria: il Calvinismo elimina dalla religione l’aspetto razionale a favore di un’eticizzazione neofarisaica del Credo: il ripetere delle azioni per il fatto che sono comandate, indipendentemente dalla loro razionalità aiuta ad essere schiavi della superstizione. Non appena il futuro Cardinale iniziò a sottoporre a critica razionale la sua Fede, critica razionale cui sottoporrà tutta la vita ogni suo credo, si rese pressoché immediatamente conto della insostenibilità della dottrina del riformatore ginevrino. Ecco che la sua sete di razionalità lo portò alla Chiesa alta d’Inghilterra, vale a dire all’adesione a tutti i dogmi cattolici, sia pure in un contesto scismatico ed in una cornice di sentimenti ostili a Roma ed al Papa. Ancora una volta, però, è la sottoposizione ad analisi razionale dell’Anglicanesimo che lo conduce alla pienezza della verità cattolica. La razionalità gli impone il principio dell’immutabilità della Fede: se Dio ha rivelato la religione, essa è eternamente vera, come eternamente vero è Dio. Ogni evoluzione, mutamento o nuova interpretazione della dottrina è, dunque, dimostrazione di falsità della medesima. In base a questo principio Newman inizia a studiare i Padri della Chiesa, sicuro di ritrovare in loro la stessa Fede e validi motivi per permanere nella sua ostilità antiromana. Ma i Padri della Chiesa, come tutta la storia della Chiesa, testimoniano che solo la cattolicità romana, con tutte le sue pretese, primato petrino incluso, è rimasta immutata dalle origini ad oggi. Diviene, pertanto, esigenza etica imprescindibile l’adesione alla Sposa di Cristo. Quando Newman afferma che la sua spiritualità non è mai mutata, nonostante le conversioni, intende dire che da sempre lo guidò unicamente la sete di Verità e che tale sete si è placata solo con l’adesione alla vera Fede.
Di tutti i numerosi personaggi incontrati nella vita e negli studi, quale fu, secondo lei, la figura che esercitò maggior influenza su Newman? il compagno di studi John William Bowden? Il confidente Ambrose St. John, il grande amico Hurrell Froude oppure Papa Gregorio XVI?
Newman fu sempre profondamente grato alle persone e ai tanti amici che conobbe e frequentò, perché da ciascuno di loro seppe trarre insegnamenti ed ammaestramenti. Tuttavia nessuno ebbe su di lui un’influenza totalizzante: rifuggì sempre l’eccessiva adesione all’altrui pensiero, come una vera e propria idolatria. Ecco che anche gli influssi che altri esercitarono su di lui divennero, nella sua mente e nella sua anima, pensieri e sentimenti assolutamente suoi, di cui è riconoscibile l’origine, ma è ancor più evidente la trasformazione e l’inserimento in un sistema di pensiero ed in una spiritualità armonici. Tutto ciò premesso possiamo ritenere che ci siano state delle persone da cui Newman trasse di più, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Il pastore evangelico della Chiesa d’Inghilterra Walter Mayers, ad esempio, insegnò al giovane Newman a coltivare la serietà religiosa, senza indulgere a facili concessioni al mondo: fu il passaggio da un Calvinismo superstizioso ad una interiorizzazione, sia pur non ancora razionale, dell’etica evangelica. Inoltre il ventunenne Newman imparò dal professor Richard Whately di Oxford ad utilizzare l’autonomia di pensiero. Confesserà nell’ Apologia pro vita sua: «Nel 1822, quando ero ancora timido e impacciato, egli mi prese per mano e si assunse nei miei riguardi la parte del maestro gentile e incoraggiante. Mi aprì, per così dire, la mente, mi insegnò a pensare, ad usare la ragione […] mi aveva insegnato a vedere con i miei occhi e a camminare con le mie gambe. Non che non avessi ancora da imparare molte cose da altre persone, ma queste le influenzai anch’io quanto loro influenzarono me, e fu una cooperazione piuttosto che un semplice incontro». Stima e profonda amicizia stabilì con Hurrell Froude, il quale gli diede la spinta decisiva ad innescare quel processo razionale che lo condurrà ad abbracciare il Cattolicesimo. Fu il tirare le estreme conseguenze dall’Anglicanesimo rigido del Tract 90: dalla liberazione dalle scorie evangeliche della Chiesa alta d’Inghilterra non poteva che conseguire la sua confluenza nel Cattolicesimo, alveo naturale per tutti coloro che hanno un Cristianesimo razionale. Delle altre persone citate nella sua cortese domanda nessuna ebbe particolare influenza sul pensiero e la spiritualità di Newman. Un cenno merita la concordanza antiliberale e antimodernista di Newman con Gregorio XVI (si pensi all’enciclica Mirari vos ed al Biglietto Speech del Cardinale inglese); ma fu una concordanza cui l’oratoriano giunse autonomamente.
In una lettera del 1830 il futuro Cardinale confessò il suo desiderio “di non fare mai carriera nella Chiesa”, ma l’Onnipotente, almeno su questo, non lo accontentò. Ed oggi è pure Beato. Ma come seppe fronteggiare, lui che sin da ragazzo era estremamente riservato e talora pure irriso per questo, l’impegno della carriera ecclesiastica?
Newman non svolse nessun ruolo nella gerarchia ecclesiastica, fatto salvo, ovviamente, il suo impegno sacerdotale e l’organizzazione del primo oratorio inglese. Fu creato Cardinale, che lo ricordiamo, non è una funzione ed un grado all’interno della gerarchia, ma un titolo ed un riconoscimento, tanto è vero che prima della riforma di Giovanni XXIII per divenirlo non era necessario essere nemmeno sacerdoti e tantomeno vescovi: e Newman non fu Vescovo.
Impressiona molto leggere di come, nonostante l’isolamento anche universitario che gli procurò la sua conversione al Cattolicesimo, Newman non sia mai indietreggiato di un millimetro dalle sue posizioni. Anzi, attaccò frontalmente l’Anglicanesimo, credo che definì, con parole assai pesanti, “infelice e penoso”. Non andò meglio al Protestantesimo, che definì “nel migliore dei casi […] una bella statua di cera”. Questo spirito da apologeta maturò in lui tardivamente oppure gli apparteneva già prima?
L’assoluta e totale intolleranza per qualunque dottrina si distanzi, anche minimamente, dalla Verità, fu sempre la faccia militante ed apologetica dell’amore per la Verità di Newman, in ogni fase della sua vita. Parole di fuoco ebbe, da anglicano, contro il Protestantesimo, tanto da sognare una Chiesa d’Inghilterra liberata dalle tossine della Chiesa Bassa e, di fatto, cattolica. Si può quasi affermare che, non essendo riuscito a far confluire tutto l’Anglicanesimo nella Cattolicità, si arrese a convertirsi da solo, anche se fu, poi, seguito da molti discepoli.
Tra i numerosissimi ammiratori di Newman ci fu anche Francesco Cossiga, da poco scomparso. Il presidente emerito, in un articolo scritto per la rivista "Vita e Pensiero”, riprese un intervento del Cardinale nel quale il futuro Beato ebbe a sostenere che vi sarebbero dei casi “nei quali la coscienza può entrare in conflitto con la parola del Papa e che, nonostante questa parola, debba essere seguita”. Letta così, si direbbe una legittimazione dei “cattolici-adulti”, non crede?
L’affermazione che la coscienza è il supremo tribunale dell’individuo è corretta solo se interpretata nella sua lettura tomista, vale a dire solo se la coscienza non è corrotta, anche ex ante, da colpevoli pregiudiziali. La persona ha il dovere morale di aderire alla Verità e di formare la propria coscienza alla luce di questa. Una coscienza formata alla luce della Verità diviene, almeno nel lungo periodo, pressoché infallibile, perché la Verità la plasma e la abitua a non lasciarsi sedurre dal mondo. Ecco che è vero che la coscienza così formata deve guidare la persona più delle stesse parole del Papa, perché essa porta alla Verità. Si pensi, ad esempio, alla strenua battaglia di sant’Atanasio contro le influenze ariane tollerate, quando non favorite dal Pontefice. Egli, per Cristo e la Verità, patì persino la scomunica. Se si vuole un esempio più recente si pensi alla strenua difesa della Verità cattolica di Monsignor Marcel Lefebvre, che con il grande santo del IV secolo, condivise zelo, determinazione e dedizione assoluta del dogma. Ogni legittimazione dei cattolici adulti in base al principio dell’ossequio ai dettami della propria coscienza è viziata ab origine dall’accettazione delle influenze mondane contro il dogma e la Tradizione. Dogma e Tradizione sono sinonimi, come molto bene ha espresso san Vincenzo di Lérins quando ha definito il primo come ciò che tutti, sempre e dovunque hanno creduto nella Chiesa. In conclusione, si può affermare che la coscienza rettamente formata può essere invocata solo dai difensori della Verità di sempre e mai dai novatori, cui ben si addicono le parole di san Paolo: «Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole» (2Tim 4, 3-4).
A parer suo qual è l’elemento oggi più attuale del pensiero di Newman?
L’attualità di Newman è la sua inattualità, vale a dire la capacità, che egli condivide con ogni cattolico di essere eternamente attuale ed eternamente fuori tempo, perché legato indissolubilmente alla Verità eterna e, quindi, irrimediabilmente nemico di ogni adeguamento ai tempi, che, in fondo, non è altro che resa al Principe di questo mondo. Tanto come dire che la persona pervasa dalla Verità trasuda eternità.
A proposito, com’è possibile che un convertito di razza, per giunta stimatissimo anche da Benedetto XVI, sia stato talora additato come una sorta di precursore del modernismo e di propiziatore della nouvelle theologie?
«Datemi una frase e vi condannerò un uomo» recita un antico adagio popolare. È esattamente ciò che hanno fatto, a partire da Tyrrell e Buonaiuti, tutti i modernisti, nouvelles theoligistes compresi, nei confronti di Newman. Prendendo alcune frasi, soprattutto della Grammatica dell’assenso, ed estrapolandole dal contesto e, soprattutto, non applicando quell’altro splendido proverbio che dovrebbe guidare l’esegesi di ogni testo, vale a dire «prendete le parole dalla bocca da cui vengono», hanno attribuito a Newman una lettura soggettivistica della gnoseologia, dimenticando che egli dava per scontata l’oggettività del reale e si concentrava sulla capacità del soggetto di adeguarsi all’oggetto. Hanno scambiato un’introiezione e spiritualizzazione, quasi ascetica, del già conosciuto come lo strumento stesso del conoscere. Tyrrell, ad esempio, era convinto di trovare nelle dottrine sul «senso illativo» della Fede del Cardinale Newman l’anello di congiunzione tra il Cattolicesimo e il pensiero moderno, fraintendendo il concetto di evoluzione del dogma del grande convertito inglese dell’Ottocento, che era sempre il cattolico sviluppo endogeno del dogma, vale a dire la possibilità e capacità della Chiesa di dire in modo sempre nuovo e più ricco ciò che ha sempre detto e solo quello: nove et non nova. Newman si è scagliato contro l’antidogmatismo protestante già quando era anglicano, potremmo dire, almeno in parte, già quando subiva le suggestioni calviniste della Chiesa Bassa d’Inghilterra. Attribuirgli queste posizioni, da cattolico, è ribaltare completamente il suo pensiero. Spesso il Cardinale inglese viene usato dagli assertori dell’ ecumenismo come un anticipatore dei temi a loro congeniali, affermando che è un precursore della comunione fra i diversi cristiani, ma Newman non ebbe mai a porsi di fronte ad un inverosimile ecumenismo delle religioni, lo avrebbe visto come una pericolosa teoria sincretista: la Chiesa di Cristo è unicamente quella romana e cattolica e l’obbedienza è la prova della Fede. L’ortodossia di Newman fu del resto difesa dallo stesso san Pio X nella lettera al Vescovo di Limerick del 10 marzo 1908.
Passiamo al gossip storico. Maligni internauti insinuano, sottolineando la sua lunga convivenza col già citato Ambrose St. John, da lei definito “grande amico d’anima” (p.40) del Cardinale, che Newman fosse gay. Scomoda verità o bufala?
Ella ha, giustamente, ascritto questa questione al genus del pettegolezzo; e, per questa ragione, in sede di biografia storica abbiamo deciso di non occuparcene, ma, in sede giornalistica ella ha fatto molto bene a sollevare la questione, perché mi permette di spiegare la genesi di questa vera e propria calunnia, scientificamente diffusa. Le lobbies omosessuali, in cerca di legittimazione nel mondo cattolico, appoggiate, purtroppo, anche dai loro amici all’interno della Chiesa, hanno diffuso questa calunnia, che trova facile terreno di coltura in una sedicente civiltà che, riducendo tutto a materia e l’uomo a corpo, quasi freudianamente a sesso, non comprende più che cosa sia un’amicizia d’anima. Per questi moralisti di Satana, non può esistere un rapporto unicamente spirituale, una comunione tra due anime, che si sorreggono reciprocamente nel duro cammino ascetico per giungere a Dio. Possiamo immaginare che cosa le loro blasfeme menti penserebbero, se si dovessero soffermare sul rapporto fra santa Scolastica e san Benedetto, su quello fra san Francesco e santa Chiara, su quello fra santa Teresa d’Avila e san Giovanni della Croce o su quello fra san Francesco di Sales e santa Giovanna di Chantal, per citare solo alcuni esempi di amicizia d’anima. Si tratta dell’espressione più mefistofelicamente perversa del vizio, siamo al vizioso che fa il moralista, al fine di giustificare il proprio vizio.
Se Newman vedesse i giovani d’oggi, così sovente sconfortati ma al tempo stesso incapaci di accostarsi alla Fede e di ammettere la loro nostalgia d’infinito, secondo Lei che farebbe?
Esattamente ciò che fece allora: affermare con assoluta, totale e rigidissima nettezza la Verità dogmatica, da cui discende, tramite la retta ragione, la morale. Solo la contemplazione di Dio e la sequela di Nostro Signore Gesù Cristo, anche nel comportamento, possono eliminare il tedio della vita e dare, a tutte le età, la gioia dell’Infinito.
Per concludere, un parere personale: che cosa ha imparato scrivendo questo libro? Anche lei deve un ringraziamento al venerabile Cardinale?
Ciò che mi è risultato molto più chiaro e, soprattutto, ha acquisito un sapore particolare, una sua fragranza spirituale è la strumentalità della ragione e, quindi, della teologia, alla Fede. Studiando il Cardinale Newman, si vede come questo principio non abbia solo una valenza negativa, ma, soprattutto, ne abbia una positiva. Non è solo vero che, staccando la ragione dalla Fede ed orientandola contro di essa, si uccide la stessa ragione; tale principio mi è sempre stato chiaro e gli esempi di molti pensatori, soprattutto contemporanei (si pensi a Kant, Voltaire, Marx, Freud…), stanno lì statuariamente a dimostrarlo. Ma, con il santo oratoriano inglese, si può valutare quanto la ragione possa, con la sua azione incessante, sostenuta dalla volontà, implorare la Fede a Dio; come il lavoro intellettuale possa assurgere al rango di preghiera e possa, con la sua fatica ed il suo dolore, muovere Dio a compassione ed indurLo a concederci il dono della vera Fede… È questo il motivo di maggiore gratitudine che conservo per questo grande santo, dopo, ovviamente, la riconoscenza che mi unisce a tutta la Chiesa per il gran numero di conversioni dallo scisma da lui prodotte ed agevolate
Da oggi nella patria di Newman, parlerà del ruolo pubblico della religione
di Paolo Rodari
Benedetto XVI parte oggi per il suo diciassettesimo viaggio. Ventotto anni dopo la visita pastorale di Giovanni Paolo II (fu invitato dalla comunità cattolica), questa volta un Pontefice romano sbarca in Scozia e Inghilterra (da oggi fino a domenica) invitato direttamente dalla Regina, capo di stato e della comunità anglicana, e dal governo del paese. “E’ forse il viaggio più difficile per papa Ratzinger”, dicono in Vaticano, e ne spiegano il motivo: Benedetto XVI deve proporre a un paese secolarizzato e da secoli ostile al cattolicesimo e al Papa la ragionevolezza del credere cattolico e, dunque, degli insegnamenti cristiani. E lo deve fare in un paese che se sulla carta vuole garantire pari opportunità a tutti, nella pratica spesso osteggia chi crede ledendo così il concetto stesso di libertà religiosa.
Papa Ratzinger non deve convincere soltanto i critici più radicali alla Richard Dawkins e Christopher Hitchens – i due atei dichiarati hanno chiesto pubblicamente l’arresto del Pontefice per crimini contro l’umanità non appena quest’ultimo atterri in Gran Bretagna – ma anche la maggioranza del paese che i sondaggi dicono indifferente a Dio e a ogni forma di credo e, insieme, i cristiani stessi, cattolici e protestanti, che qui come non sempre avviene in altri paesi europei arretrano, col beneplacito delle gerarchie e dei propri pastori, di fronte alle sfide del secolo.
Luigi Accattoli, vaticanista, era sul volo che portò Giovanni Paolo II nel Regno Unito nel 1982. Dice: “La sfida per Ratzinger non è semplice. Ma così fu anche per Wojtyla quasi trenta anni fa. Giovanni Paolo II arrivò in Gran Bretagna mentre il paese era in guerra con l’Argentina per le Falkland. Parlò di pace e ne spiegò le ragioni alla luce della fede. Parlò della necessità di vivere la fede dentro le scelte pubbliche di tutti i giorni. Parlò chiaramente e sorprendentemente ricevette consensi. L’antipapismo era vivo anche allora. Ma la fede e il credere annunciati senza paure colpiscono e così credo possa essere per Benedetto XVI”.
Prima in Scozia per l’incontro con la Regina e la comunità cattolica del paese, poi a Londra per gli incontri più istituzionali, infine a Birmingham per la beatificazione del cardinale John Henry Newman, la quattro giorni del Papa nel Regno Unito è un tour de force con due appuntamenti più attesi degli altri: il discorso di venerdì pomeriggio alla società civile, al mondo accademico e culturale, ai diplomatici e ai leader religiosi nella Westminster Hall di Londra, e l’omelia per la beatificazione di Newman domenica mattina.
Il tema del discorso alla società civile ha avuto una sua anticipazione il 2 febbraio scorso quando il Papa ricevette in Vaticano i vescovi inglesi. Benedetto XVI non usò un linguaggio politically correct e, infatti, le critiche piovvero copiose da oltre la Manica. Davanti a sé il Pontefice aveva i vescovi inglesi, ma il vero obiettivo erano coloro che portavano avanti nel paese una legislazione fortemente restrittiva per le ragioni di chi crede. Tutto fu incentrato attorno al tema del ruolo pubblico della fede e alla necessità di garantire a tutti la libertà religiosa. Il Papa alluse all’Equality Bill, cioè alla legislazione britannica che, in nome della non discriminazione, costringe le agenzie cattoliche a concedere l’adozione di bambini anche a coppie di omosessuali. Con un rimprovero implicito ai vescovi inglesi sovente troppo accomodanti, Ratzinger disse che se il Regno Unito “è ben noto per il suo saldo impegno nell’assicurare pari opportunità per tutti i membri della società”, tuttavia “l’effetto di una certa legislazione per raggiungere questo obiettivo è stato l’imposizione di limitazioni ingiuste alla libertà di agire secondo il proprio credo a comunità religiose”. E ancora: “La fedeltà al Vangelo non limita in alcun modo la libertà di altri. Al contrario, è al servizio di quest’ultima perché offre loro la verità”. Concetti che, trapela dal Vaticano, saranno presenti nelle prossime ore nei discorsi papali.
Instancabilmente al servizio della verità fu John Henry Newman. Convertitosi dall’anglicanesimo al cattolicesimo era convinto che la coscienza portasse sempre l’uomo alla chiesa, ovvero a riconoscere ciò che la chiesa insegna come vero. Per questo Newman è una spina nel cuore della società inglese. Una società che anche quando crede subisce fortemente l’influenza di una visione relativista. Fu nell’“Apologia” che Newman scrisse che “non c’è via di mezzo tra l’ateismo e il cattolicesimo”. Occorre abbracciare o l’uno o l’altro. E abbracciare il cattolicesimo significa ammettere che un credo non vale l’altro, che, come disse lui stesso, “la religione non è un affare personale o una proprietà privata”. E’ stato l’Osservatore Romano a dedicare a questo tema un lungo pezzo firmato da Hermann Geissler, esperto di Newman e officiale dell’ex Sant’Uffizio. Dice Geissler che l’insegnamento di Newman è attuale soprattutto laddove spiega che “senza la luce della verità l’uomo è privo di un sicuro punto di riferimento, la morale si riduce a soggettivismo, la vita pubblica si deforma a giochi di potere”. Un Newman diverso dalla vulgata “soggettivista” e “neoprotestante” diffusa nel dopo Concilio.
Benedetto XVI, com’è ormai abitudine consolidata, incontrerà durante il viaggio – ormai la cosa è certa – alcune vittime dei peccati carnali del clero. Sarà un gesto importante e servirà anch’esso per dire che la fede, nonostante le cadute, può ragionevolmente essere abbracciata da tutti. Non sono i peccati dei preti che devono far retrocedere i credenti. La fede, nonostante il peccato, deve ancora oggi pretendere il proprio spazio nella vita pubblica.
Abate benedettino a Roma, fu invitato da San Gregorio Magno ad evangelizzare l'Inghilterra, ricaduta nell'idolatria sotto i Sassoni. Qui fu ricevuto da Etelberto, re di Kent che aveva sposato la cattolica Berta, di origine franca. Etelberto si convertì, aiutò Agostino e gli permise di predicare in piena libertà. Nel Natale successivo al suo arrivo in Inghilterra, più di diecimila Sassoni ricevettero il battesimo. Il Papa inviò altri missionari e nominò arcivescovo e primate d'Inghilterra Agostino, che cercò di riunire la Chiesa bretone a quella sassone senza riuscirci perché troppo forte era il rancore dei bretoni contro gli invasori sassoni. Suo merito però è stato quello di aver convertito quasi tutto il regno di Kent.www.santiebeati.it/dettaglio/27500
OGGI
E DOMANI?
Maria di Moerle, estatica (1868):
"Uno dei trionfi della Chiesa sarà il ritorno di quasi tutta l'Inghilterra alla fede cattolica".
Sul sito francese Perepiscopus si può leggere l'ultimo numero della newsletter della diocesi di Evreux (Eglise d'Evreux), che rende conto dei recenti viaggi del proprio vescovo Monsignor Nourrichard, lo stesso che vuole cacciare dalla propria parrocchia un parroco che osa celebrare la messa in rito romano straordinario secondo i dettami del Summrum Pontificum.
Sembra che il vescovo di Evreux sia stato presente durante una cerimonia d'"ordinazione" accanto al "vescovo" anglicano di Salisbury; durante tale cerimonia il "vescovo" anglicano ha tentato anche l'ordinazione di alcune donne. Nella foto il vescovo Nourrichard sorride accanto al "vescovo ordinante" al termine della cerimonia.
Ebbene sì: è proprio lui il vescovo di Evreux il quale ora si appella alle decisioni di Roma contro un parroco tradizionalista ora partecipa ad una "ordinazione" di alcune donne a Salysbury in Inghilterra dimostrando almeno grande imprudenza nel mostrare chiaramente che di tenere in nessun conto i pronunciamenti romani sull'invalidità delle ordinazioni anglicane (Apostolicae curae di Leone XIII) e sull'invalidità delle ordinazioni di donne (Ordinatio sacerdotalis di Giovanni Paolo II). Che un vescovo cattolico non si avveda che partecipare ad una ordinazione doppiamente invalida perché anglicana e perchè di donne è motivo di scandalo, è doppiamente scadaloso. Ma se è vero che è stato detto che in Francia oggi solo gli incoscienti e i vanesii aspirano all'episcopato qualcuno in queste categorie dovrà pur rientrarci. Ciò che rattrista è che tale vescovo è stato scelto sotto l'attuale Ponteficato: speriamo che la nuova cucina dei vescovi non faccia più bruciare gli arrosti!
ecco altre foto dell'evento
e per chi sa il francese
Dans le dernier numéro d’Eglise d’Evreux, on voit Mgr Christian Nourrichard, invité au départ de «l’évêque» anglican de Salisbury. Jusque là rien d’anormal, pourrait-on dire. Sauf que… La suite est plus acadabrante : lors des cérémonies, le prélat anglican a « ordonné » des femmes. Et Mgr Nourrichard a assisté tout souriant à la cérémonie !
Et rien n’indique dans l’article que tout ceci n’est pas valide (cliquer sur les images pour pouvoir les agrandir). Non seulement la succession épiscopale chez les Anglicans n’est pas reconnue par l’Eglise, mais en outre, les « ordinations » de femmes créent des remous au sein même de la communion anglicane.
Mais Mgr Nourrichard semble préférer la fréquentation de ces personnes à ses propres prêtres, comme l’abbé Francis Michel !
Già da tempo abbiamo segnalato le somiglianze tra la liturgia anglica cranmeriana e quelle adottate in ambito cattolico con il cosiddetto Novus Ordo Missae: ora pubblichiamo traendolo dal sito http://nullapossiamocontrolaverita.blogspot.com questo contributo che conferma, se mai ce ne fosse bisogno, il tentativo in atto di «protestantizzazione» dell'unica Chiesa di Cristo.
Prefazione del traduttore
Spesso, gli autori cattolici hanno trattato il tema dell'instaurazione del protestantesimo in Inghilterra, ponendolo come paradigma tipico di ogni rivolta eretica, anche se esso ripetè, nelle strutture, i mezzi impiegati da sempre nello smantellamento ricorrente della cattolicità. Nello studio che segue del Williamson, si vedrà chiaramente come tali mezzi siano stati sostanzialmente tre:
1º) L’abolizione del latino e l'uso della lingua volgare;
2º) La sostituzione dell'altare con una tavola;
3º) I cambiamenti nel Canone della Messa.
Da questi tre principali sovvertimenti derivarono altre non meno gravi distruzioni e scardinamenti, come la graduale scomparsa dei libri sacri, ritirati a poco a poco dalle librerie e quindi mandati silenziosamente al macero; la Comunione in piedi, primo passo per poi riceverla da seduti e nella mano; la trascuratezza per il culto mariano; il rapido declino dell’autorità papale; l’aperta opposizione dei Vescovi ed il sorgere di nuove sette sempre più numerose. II lettore troverà tutti questi fenomeni nelle pagine che seguono, e che descrivono, appunto, come ad un certo momento della sua storia, l’lnghilterra si trovò con una nuova religione al posto di quella tradizionale; e si fa cenno del sangue, dei patimenti e delle torture atroci che tale cambiamento costò al paese, attraverso la persecuzione crudele di quei Martiri inglesi che furono riconosciuti e solennizzati dal vertice romano, in curiosa concomitanza con l'imposizione dei nuovi Canoni della Messa, il cui testo attuale, secondo l’Autore di questo studio, assomiglia moltissimo al Canone della Messa riformato da Thomas Cranmer, crudele persecutore dei cattolici, moltissimi dei quali subirono il glorioso martirio per averlo respinto. Il dato impressionante rimane la ripetizione esatta e puntuale nella storia dei fenomeni che spingono avanti l’eresia. Sono sempre identici. I lettori di questo studio potranno facilmente constatare come le interpretazioni del Cranmer siano state ormai in buona parte accettate e adottate dalla Chiesa cattolica attraverso il Novus Ordo Missæ, e le relative disposizioni, autorevolmente suggerite, più che ufficialmente date, come l’abolizione del latino, la Comunione in piedi e nella mano, la distruzione dei testi sacri, ecc...; mentre la sostituzione dell'altare (praticamente una tavola, anche quando la Messa viene celebrata versus populum) e lo sconvolgimento del Canone, tradotto e recitato ad alta voce, sono contemplati nel corpo delle disposizioni chiaramente emanate dal vertice, senza sussulto, con lentezza, seguendo la tecnica della «sorpresa» e del «fatto compiuto», e con le periodiche riaffermazioni di fede cattolica. Esattamente ciò che avvenne in Inghilterra, nel bel mezzo del XVI secolo.
Roma, Pentecoste 1971
HUGH ROSS WILLIAMSON, autore di questo opuscolo, s’interessò per cinquant’anni al problema dell’unità cristiana, e nel 1955, da anglicano si fece cattolico, nella convinzione ben maturata che le 290 sette protestanti fossero eretiche. Egli vide nella chiesa anglicana la distruzione del Canone della Messa che in Inghilterra era stato recitato da tutti i sacerdoti dal tempo di Sant’Agostino fino all'avvento del protestantesimo. Autore di molte opere importanti, il Williamson è un’autorità ben conosciuta nel campo degli studi teologici e teoretici. Il suo ultimo lavoro è uno studio sul Cardinale Pole (di cui parla anche in questo libretto), d’importanza fondamentale per la documentazione storica e religiosa del XVI secolo.
I. Obiettivi di Cranmer
Lo storico inglese diffida istintivamente dei cambiamenti liturgici. Sa che questi sono già avvenuti nel suo paese e che hanno avuto per conseguenza lo scardinamento del precedente sistema religioso. Non sempre ci si rende conto, però, che, se si escludono gli specialisti, solo pochi si interessano di un argomento così particolare, e che la generale indulgenza verso certi atti è originata dall’ignoranza più che dalla malafede. La riforma liturgica compiuta in Inghilterra nel secolo XVI fu opera, in gran parte, di Thomas Cranmer, Arcivescovo di Canterbury, che dal 1547 al 1553 fece il bello e il cattivo tempo in campo religioso. Egli non faceva mistero delle sue intenzioni e non cercava affatto di celare il suo pensiero, e cioè, che la potenza della «grande prostituta, vale a dire della pestifera sede di Roma», risiedeva nella «dottrina papista della Transustanziazione, della Presenza Reale del Corpo e del Sangue di Cristo nel SS.mo Sacramento dell’altare (come essi dicono), e del Sacrificio e dell’oblazione di Cristo offerti, mediante il ministero sacerdotale, per la redenzione dei vivi e dei morti» 2. Ecco quello che occorreva distruggere. Era necessario che il popolo apprendesse che Cristo non era presente nel SS.mo Sacramento, ma soltanto in coloro che lo ricevono degnamente. «Mangiare e bere la Carne e il Sangue di Cristo non deve essere preso nel significato letterale di mangiare con la bocca e con i denti una cosa reale, ma in quello di assimilare, mediante una fede viva, con il cuore e con lo spirito una cosa in realtà assente» 3. Il nuovo rito escogitato da Cranmer per giustificare il suo atteggiamento, «la celebrazione della Santa Cena», non doveva contenere nulla che si prestasse a qualche somiglianza con la Messa, «mai abbastanza odiata». La Messa nella quale «è offerto a Dio Padre un sacrificio, cioè il Corpo ed il Sangue di Nostro Signore, vero e reale, per ottenere il perdono dei peccati e la salvezza dei morti e dei vivi» 4 fu definita un’eresia meritevole della pena di morte. Tale era l’obiettivo di Cranmer. I tre principali mezzi per raggiungerlo dovevano essere l’uso della lingua volgare, la sostituzione dell’altare con una santa tavola e i cambiamenti operati nel Canone della Messa.
II. La lingua volgare
La traduzione della Bibbia in lingua volgare esisteva in Inghilterra fin dall’epoca sassone. Molto prima che Wyclif 5, nel 1380, proponesse la sua nuova traduzione «con intenti perfidi», vi erano state, come aveva fatto osservare San Tommaso Moro (1478-1535), altre traduzioni in inglese ad opera di «uomini virtuosi ed eruditi, buoni ed onesti». E il Santo insisteva sul fatto che non vedeva la ragione per cui la Bibbia non dovesse essere tradotta in inglese, dal momento che «non c'è alcun passaggio della Scrittura tanto ostico da non offrire spunti per gioire e per accrescere la propria devozione sia ad un uomo virtuoso e onesto che ad una donna». Ciò a cui si doveva resistere era la traduzione della Bibbia deliberatamente orientata «secondo un perfido intento». Ecco la principale ragione dell’insistenza dei riformatori del XVI secolo nel chiedere la lingua del popolo 6. La traduzione di William Tyndale 7, uno dei seguaci di Cranmer, fu fatta bruciare dalle autorità religiose. Interrogato in proposito, San Tommaso Moro rispose: «Mi meraviglio assai che qualche buon cristiano, con appena un briciolo di cervello, si stupisca o si lamenti che questo libro sia stato bruciato, sapendo di che si tratta. Se qualcuno lo chiama il «Nuovo Testamento», lo chiama con un falso nome, a meno che non lo chiami il Testamento di Tyndale o il Testamento di Lutero. Perché Tyndale, dietro consiglio di Lutero, ha corrotto e cambiato la buona e salvifica dottrina di Cristo nelle loro diaboliche eresie al punto tale da renderla cosa nettamente contraria». Pregato di dare alcuni esempi, scelse tre parole: «Una è la parola «sacerdote». La seconda è «Chiesa». La terza è «carità». Al posto di «sacerdoti», Tyndale usa sempre la parola «anziani». Chiama la «Chiesa» «Assemblea», e invece di «carità», dice «amore». Poiché tali termini non sono affatto sinonimi nella lingua inglese, a ben considerare le cose è chiaro che un'intenzione malvagia ha ispirato questi cambiamenti» 8. D’altra parte, Tyndale corredava la sua traduzione di note; come quella, per esempio, che diceva essere la Messa una questione di «scuotimenti, dondolamenti e miagolii come un gioco di scimmie». Coloro che ancora credevano alla fede tradizionale e la praticavano, erano considerati «bestie senza il suggello dello Spirito di Dio, bollati dal Segno della Bestia, coscienze cancerose». Ma molto più dannose delle note - come San Tommaso Moro aveva sottolineato - erano le traduzioni deliberatamente falsate che Tyndale (seguito da Cranmer in una versione pubblicata sei anni dopo) aveva fatte allo scopo di estirpare la dottrina cattolica tradizionale. Tradusse la parola «immagini» con «idoli», creando così un mezzo efficace contro il culto dei Santi e della Santa Umanità di Gesù Cristo. La parola «confessare», che potrebbe ricordare il sacramento della penitenza, divenne «riconoscere». Le grandi parole chiave del Vangelo «grazia» e «salvezza» divennero «favore» e «salute». La parola «sacerdote», come si è detto, divenne «anziano», e «Chiesa» divenne «Assemblea». Tyndale spiegava in una nota che «con la parola «sacerdote», il Nuovo Testamento intende parlare di un «anziano» che deve insegnare ai giovani». Spiegava ancora che i due sacramenti istituiti da Gesù Cristo, il Battesimo e la Santa Comunione, erano «nient'altro che la predicazione delle promesse di Cristo». Così, per non citare che un esempio, il consiglio apostolico contenuto nella lettera di San Giacomo, «Qualcuno fra voi è malato? Chiami i sacerdoti della Chiesa ed essi preghino su di lui dopo averlo unto con olio nel nome del Signore» (Gc. V, 14), fu epurata per il suo evidente riferimento al sacramento dell’Estrema Unzione. Lo stesso Wyclif, nella versione precedente, traducendo correttamente «i sacerdoti della Chiesa», non aveva operato nessun cambiamento. Ma nella versione di Tyndale e in quella di Cranmer, essi divennero «gli anziani dell’Assemblea». Così i protestanti potevano esibire la Bibbia in lingua volgare per provare che il Nuovo Testamento non conteneva alcun riferimento che giustificasse l’insegnamento e la pratica cattolica contemporanea delle dottrine discusse; per di più, quando simili traduzioni tendenziose della Bibbia furono giustamente sequestrate dalle autorità cattoliche, queste poterono essere accusate «di impedire al popolo di leggere la Bibbia». Era così semplice... E l’efficacia di questa doppia menzogna era tale che ancora oggi se ne conserva l'eco. La parte centrale della Messa in lingua volgare conteneva la narrazione dell’istituzione dell’Eucarestia, ugualmente in volgare. Non solo si doveva rinunciare al Canone recitato a bassa voce 9, come era stata la regola dall’VIII secolo; anche le parole in inglese «Fate questo in memoria di me» dovevano essere distintamente intese. La parola greca anamnesis, che viene tradotta «in memoria di», è difficile da tradurre correttamente in inglese. Espressioni come «ricordo», «memoria», «memoriale», implicano l’esistenza di una cosa in sé stessa assente, mentre anamnesis ha il significato di ri-chiamare e ri-presentare un avvenimento passato in modo che questo divenga attivamente presente. Anche la parola latina «memoria» non rende adeguatamente questo significato. Le parole inglesi «ricordare» (recall) e «ripresentare» (represent), anche se scritte «re-call» e «re-present», sono insufficienti senza spiegazioni supplementari, e «remembrance» (memoria), «memory» (ricordo) e «memorial» (memoriale), per il loro uso e significato convenzionale, sono effettivamente equivoche 10. «In tutta la tradizione della Chiesa primitiva, appare chiaramente - come ha rilevato un teologo - che l’Eucarestia è considerata, per il significato del termine «anamnesis di me», come la ri-presentazione davanti a Dio dell’unico Sacrificio di Gesù Cristo in tutta la sua efficace e completa pienezza, che dà i suoi frutti nel momento attuale. Così San Giovanni Crisostomo: «Noi offriamo ancora oggi ciò che fu offerto allora ed è inesauribile. Questo viene fatto per un'anamnesis di ciò che fu fatto allora, poiché Egli disse: «Fate questo per l’anamnesis di me». Non offriamo un altro sacrificio, come un tempo il gran sacerdote, ma offriamo il medesimo sacrificio. O meglio, offriamo l’anamnesis del sacrificio» 11. Cranmer, volendo distruggere ogni idea di Messa-sacrificio, e sostituirle la teoria di una semplice cena commemorativa in cui Cristo è presente solo nel cuore dei fedeli, non avrebbe potuto trovare arma più efficace della sostituzione del Canone recitato a bassa voce con il racconto dell’istituzione, in inglese. Racconto che si faceva ripetendo: «Fate questo in memoria di me». Nel silenzio assoluto, il fedele, istruito sul significato di quel momento, sapeva ciò che accadeva, anche se non era in grado di formularlo. Ora, invece, poteva ascoltare con le proprie orecchie, per quel che ne poteva capire, che quella era una cena commemorativa. La Bibbia lo diceva. Era invitato al ricordo di qualcosa accaduto in un remoto passato. E questa interpretazione veniva sottolineata dalle parole del pastore che, dandogli la comunione, diceva: «Prendi e mangia questo per ricordare che Cristo è morto per te, e nutrisciti di Lui nel cuore per mezzo della fede, con azione di grazie». Il nuovo Libro di preghiera (Prayer Book) in volgare fu imposto al paese la domenica di Pentecoste, ossia il 9 giugno 1549. Il 10 giugno, una folla di paesani del Devonshire, dopo aver assistito al nuovo rito, obbligò il curato a ridire la Messa. In meno di dieci giorni, un'armata popolare di circa seimila persone - è difficile avere le cifre esatte - aveva occupato Crediton e minacciava Exeter. Le loro rivendicazioni erano semplici e precise e non riguardavano che la fede. Chiedevano che fosse loro restituita la Messa «come prima» e che il SS.mo Sacramento fosse di nuovo conservato in un posto preminente. «Non accetteremo - dicevano - il nuovo servizio, perché non è che un gioco. Vogliamo le nostre antiche funzioni del Mattutino, della Messa, di Compieta, della Processione e delle Litanie della Madonna, il tutto in latino, e che ogni predicatore nell’omelia ed ogni sacerdote nella Messa preghi specialmente per le anime del Purgatorio come facevano i nostri avi». Il battesimo doveva essere amministrato «durante la settimana come nei giorni festivi». Chiedevano inoltre che fosse ristabilita la benedizione degli oggetti semplici, che l'olivo e le ceneri fossero distribuite nel tempo dovuto e con «tutte le antiche cerimonie in uso fino ad ora nella Santa Madre Chiesa», cose che Cranmer aveva abolito come «superstizioni»12. Cranmer fu irritato non solo da queste rivendicazioni in sé stesse, ma, ancor più, dal fatto che contadini ignoranti, «Hob, Will e Dick», avessero avuto l’audacia di giudicare la sua teologia. Scrisse loro:
«Oh, ignoranti del Devonshire e Cornwall, non appena ho letto i vostri articoli ho pensato che eravate stati spinti dai papisti, esperti nel chiedervi quel che voi non capite. Voi mostrate quale spirito guidi coloro che vi hanno convinti che la Parola di Dio non è che un gioco. Non è forse ancor più un gioco ed uno scherzo ascoltare il sacerdote che parla al popolo ad alta voce in latino? Nel servizio inglese c’è solo la Parola eterna di Dio. Se ai vostri occhi questo è solo un gioco, penso che non si debba biasimare tanto voi, quanto invece i preti papisti che hanno abusato della vostra sincerità. Preferite essere come le gazze o i pappagalli che vengono addestrati a parlare senza capire una parola di ciò che dicono, piuttosto che essere veri cristiani che pregano Dio nella fede»? 13 I ribelli, nella semplicità della loro fede, non si lasciarono intimorire dal loro dotto Arcivescovo. Cranmer dovette allora ricorrere al braccio secolare, ossia all’autorità civile e militare. Mercenari stranieri, principalmente luterani tedeschi, furono impiegati sul suolo inglese, per la prima volta dopo 300 anni, e l’ultimo baluardo della fede fu battuto dalle armi. «Il massacro fu eseguito alla cieca»; sono le memorabili parole di Hilaire Belloc. «Quattromila di loro furono uccisi, schiacciati dai cavalli o impiccati, prima che gli uomini di Devon accettassero, sia pure freddamente, l'eletta prosa di Cranmer» 14. Si dice che i mercenari italiani e spagnoli, impiegati come rinforzo alle truppe tedesche, resisi conto di come stessero le cose, siano andati dal Nunzio Imperiale per essere assolti dalla colpa di aver partecipato a quel massacro. Quando giunse a Londra la notizia della sua vittoria, Cranmer la fece celebrare con una cerimonia solenne nel coro della cattedrale di San Paolo e, in un sermone pronunciato alla presenza del sindaco e dei consiglieri, l’Arcivescovo si rivolse al suo uditorio con queste parole: «Il flagello delle divisioni, quale non si era mai più visto dopo la passione di Cristo, è giunto fra noi per istigazione del demonio, perché non siamo stati diligenti ascoltatori della Parola di Dio diffusa dai suoi fedeli predicatori, ma siamo stati traviati dai preti papisti». In realtà, era completamente falso dire che il popolo non capisse la Messa in latino. Lo si può giudicare dal gran numero di libri di devozione che circolavano fra una popolazione di tre milioni; infatti, soltanto nell’olocausto della scienza e della pietà cattolica che faceva parte della politica protestante, 250.000 libri liturgici furono distrutti. Nel 1550, l’anno dopo l’entrata in vigore del primo Prayer Book, Cranmer inviò dei commissari nelle università. Ad Oxford, furono distrutti migliaia di libri. Cambridge subì una devastazione più lenta, ma ancora più completa, di modo che, all’inizio del regno della regina Elisabetta I, rimanevano appena 177 volumi «tagliuzzati e lacerati»! Il risultato fu inevitabile. Un predicatore protestante, in un sermone pronunciato alla presenza del re nel 1552, non esitò a dichiarare: «Ecco invadere l’Inghilterra più cieca ignoranza e più superstizione ed infedeltà di quanta mai ve ne fosse sotto i Vescovi di Roma. Il vostro regno (mi dispiace dirlo) sta per divenire più barbaro della Scozia» 15. Un altro predicatore, deplorando il moltiplicarsi delle sette che sorgevano, come conseguenza inevitabile della politica di Cranmer, lamentò: «Ecco gli Ariani, i Marcionisti, i Libertini, i Davisti e molte altre simili mostruosità; occorrono ripari contro i settari, contro gli Epicurei e contro gli pseudo-evangelici, che cominciano a scuotere le nostre chiese con una violenza mai vista» 16. Una delle ragioni per cui Cranmer aveva ordinato la distruzione dei libri sacri, era la voce che correva all’estero secondo cui i fedeli avrebbero avuto di nuovo l’antico servizio in latino. Occorreva dunque vigilare affinché il popolo «abbandonasse questa vana attesa di avere di nuovo le pubbliche funzioni e la somministrazione dei Sacramenti in lingua latina». L’Atto stesso del Cranmer, prescriveva la consegna di tutti i libri liturgici latini alle autorità allo scopo di «manometterli e ridurli in stato tale che mai più potessero servire all’uso previsto». Vi fu un’eccezione. Furono permesse alcune copie in latino e in inglese del Primer di Enrico VIII, purché vi si cancellasse ogni menzione dei santi. Infatti, Cranmer detestava i santi quasi quanto la Messa, ed uno dei vantaggi della lingua volgare fu che egli potè così pubblicare nuove litanie dalle quali tutti i nomi dei santi - perfino quello della Madonna - poterono essere radiati e rimpiazzati da questa preghiera: «Dalla tirannia del Vescovo di Roma e da tutti i suoi detestabili errori, liberaci, o buon Dio»; cosa che il popolo poteva comprendere facilmente e recitarla ogni mercoledì e venerdì.
III. La santa tavola
L’anno seguente l’ascensione di Cranmer all’apogeo del potere ecclesiastico, uno dei protestanti stranieri in Inghilterra, scrisse trionfante a Bullinger 17, successore di Zwingli 18 a Zurigo: «Aræ factæ sunt haræ» («Gli altari sono divenuti porcili») 19. Questo non era ancora del tutto vero perché, in vari luoghi, gli altari furono conservati da sacerdoti e da comunità devote. Ma nel novembre del 1550, Cranmer fece pubblicare dal Consiglio privato un editto che stabiliva la distruzione di tutti gli altari nel regno. Ormai, dove si celebrava il rito della Santa Eucarestia, era di rigore una tavola di legno. Nel decreto era incluso un chiarimento di Cranmer che, come ha detto Philip Hughes nella sua opera definitiva sulla Riforma in Inghilterra, «non lasciava alcun dubbio sul fatto che una religione era stata sostituita da un’altra religione». Secondo alcune considerazioni 20, «[...] la forma di tavola è prescritta per portare la gente semplice dall’idea superstiziosa della Messa papista al buon uso della Cena del Signore. Infatti, per offrire un sacrificio occorre un altare; al contrario, per servire da mangiare agli uomini occorre una tavola. Se veniamo per nutrirci di Lui, per mangiare il suo corpo spiritualmente e per bere il suo sangue spiritualmente, secondo il buon uso della Cena del Signore, nessuno può negare che la forma di tavola si addica meglio di un altare al Banchetto del Signore». In seguito, Cranmer spiegò che, quando aveva conservato la parola «altare» nel suo nuovo Prayer Book, questo significava «la tavola su cui viene distribuita la santa comunione, e che potrebbe quindi essere chiamata altare perché vi si offre il nostro sacrificio di lode e rendimento di grazie». L’editto fu applicato rigorosamente. Uno dei Vescovi 21 che si era rifiutato di togliere gli altari nella sua diocesi, venne imprigionato e destituito. A Londra, i cambiamenti furono immediati e totali. Il Vescovo della città, che era stato cappellano di Cranmer, decise di installare la nuova tavola in modo che solo i comunicandi potessero accedervi. Una cronaca del tempo riferisce che nella cattedrale di San Paolo «la tavola fu portata, per ordine del Vescovo, nel mezzo del coro superiore, con le estremità poste ad est e ad ovest. Dopo il «Credo», veniva tirato un velo in modo che potessero esser visti solo coloro che ricevevano la comunione; le grate del coro a nord e a sud furono murate affinché nessuno potesse rimanervi» 22. Poiché non c’era Presenza Reale, né Sacrificio, era logico che si cercasse di impedire che quelli che non si comunicavano assistessero all’Eucarestia. Quindi Cranmer stabilì: «Non ci sarà celebrazione della Cena del Signore a meno che un discreto numero di persone non si comunichi insieme al prete secondo il giudizio di questi; e se non si raggiungerà il numero di venti persone in una parrocchia, non ci sarà comunione, a meno che quattro o, come minimo, tre non si comunichino insieme al prete. E, per eliminare ogni superstizione riguardo al pane e al vino, basterà che il pane sia come quello che si mangia di solito con altri cibi, purché sia il migliore ed il più puro pane di frumento che si possa avere. E se resta del pane e del vino, il pastore se ne serva per le sue necessità» 23. «L’ultima pietra da aggiungere al tumulo sotto cui giaceva l’antica credenza nell’Eucarestia - scrive testualmente Philip Hughes - fu l’attacco contro l’uso di ricevere la Comunione in ginocchio. Che cos’era codesto inginocchiarsi, se non idolatria? Venne quindi inserita una rubrica nel nuovo Prayer Book 24, la quale spiegava che «ciò non significava fare o dover fare un atto di adorazione, sia del pane o del vino sacramentali ricevuti corporalmente, sia di una qualche presenza reale o essenziale della Carne e del Sangue di Cristo». Col passare del tempo, la tavola divenne sempre più una semplice tavola che veniva spostata a seconda delle necessità pratiche. Esplicite istruzioni prescrivevano che, in ogni chiesa, la santa tavola dovesse essere messa dove prima si trovava l’altare, eccetto al momento in cui si distribuiva la comunione: «Allora la si metta all'interno del coro, di modo che sia la preghiera, che il servizio del pastore possano essere seguiti più comodamente dai comunicandi e il ministro possa farsi meglio udire da questi, ed essi possano più agevolmente e in maggior numero comunicarsi insieme al pastore. Dopo la comunione, la santa tavola sia rimessa dov'era prima». Un secolo dopo toccò ai puritani di portare l’opera di Cranmer fino alla logica conclusione, non solo ricevendo la comunione seduti, ma anche utilizzando la tavola come il posto più indicato per deporre il cappello.
IV. Il canone della messa
La lingua volgare e la santa tavola furono il mezzo pratico con cui Cranmer abituò il popolo alle nuove dottrine. La gente poteva ormai comprendere, con l’azione liturgica, che un semplice pasto non era un sacrificio - il Sacrificio - e che esso non implicava nient'altro che la consumazione del pane e del vino comuni. Poteva anche comprendere che ciò veniva fatto in memoria di un avvenimento remoto. Infatti, per coloro che non avevano istruzione religiosa, questi usi erano più suggestivi di ogni insegnamento dottrinale. Nel breve periodo di cinque anni in cui, sotto il regno di Maria la Cattolica, l'Inghilterra tornò per l’ultima volta alla fede tradizionale, il Cardinal Pole insistette non solamente sulla restaurazione degli altari e della Messa, ma anche delle semplici cerimonie abolite da Cranmer (acqua benedetta, ceneri, olivo benedetto, ecc...), «con l’osservanza delle quali inizia l’educazione dei figli di Dio», tanto che la loro abolizione è il «punto iniziale» per gli eretici che tentano di distruggere la Chiesa 25. Ma il punto centrale dell’opera di Cranmer risiedeva evidentemente nell'esposizione teologica delle nuove credenze in una nuova forma liturgica. La versione definitiva di quello che un tempo era stata la Messa, risultava - come ha sottolineato Gregory Dix - non una disordinata offensiva contro un rito cattolico, ma il solo tentativo, per la prima volta compiuto, di dare un'espressione liturgica alla dottrina della «giustificazione per mezzo della sola fede» 26. E, considerata da questo punto di vista, tale versione fu un capolavoro. La logica conseguenza della dottrina protestante fondamentale della «sola fede» era - e resta - l’abolizione dei sacramenti. Le manifestazioni esteriori, ovviamente, non possono essere accettate come cause di grazia. Lutero, naturalmente, lo aveva previsto fin dall’inizio; mentre da una parte aboliva cinque sacramenti «minori», dall’altra attaccava l’uso della Comunione sotto una sola specie, la Transustanziazione, e la dottrina dell’Eucarestia come sacrificio, cominciando così a minare dal di dentro ciò che non poteva negare, visto che il Battesimo, non meno che la Santa Comunione, erano innegabiImente comandati nel Nuovo Testamento. Essendo impossibile sbarazzare il cristianesimo degli atti esteriori del Battesimo e dell’Eucarestia, occorreva assolutamente svuotarli di ogni reale significato. Su questo punto furono unanimi tanto i protestanti seguaci di Zwingli, quanto i calvinisti ed i luterani. Cranmer non poteva non convenire con la logica di Zwingli «che la dottrina «Sola fides justificat» costituisce il fondamento ed il principio per negare che il Corpo di Cristo sia realmente presente nel Sacramento» 27; per questo - come abbiamo visto - attaccava la Messa con la stessa violenza di Lutero, il quale affermava: «Dichiaro che tutti i bordelli (benché Dio li abbia disapprovati severamente), tutti gli omicidi, uccisioni, ladrocinii e adulterii hanno fatto meno danno che l’abominio delIa messa papista» 28. La contraffazione della Messa operata da Cranmer, si trova nei due Prayer Books del 1549 e del 1552. Ma, come i novatori di epoche posteriori, anch’egli pensava che fosse preferibile introdurre le innovazioni gradualmente per non suscitare reazioni immediate 29; pertanto non v’è dubbio che la versione del 1552 fu da lui prevista fin dall’inizio. E poiché «la versione del 1552 fornisce ancora per il 95% la struttura della liturgia (anglicana) attuale» 30, noi non considereremo qui che la liturgia del 1552. Il Canone fu diviso in tre parti: la «Preghiera per la Chiesa militante», la «Preghiera della Consacrazione» e la cosiddetta «Preghiera dell’oblazione». La prima corrisponde, grosso modo, al Te igitur, al Memento Domine e al Communicantes; la seconda all'Hanc igitur, al Quam Oblationem e al Qui pridie; la terza all'Unde et memores, al Supra quæ e al Supplices te rogamus. (Non c'è parallelismo per il Memento etiam, per il Nobis quoque Peccatoribus e per il Per Quem). Per capire esattamente ciò che fece Cranmer, bisogna considerare nei particolari queste tre parti.
V. A) La «preghiera per la chiesa militante»
Eccone il testo: «Dio onnipotente ed eterno, che, per mezzo dei santi Apostoli, ci hai insegnato a pregarTi, a supplicarTi e a ringraziarTi per tutti gli uomini, Ti imploriamo umilmente di accettare con clemenza le nostre offerte e di accogliere queste preghiere che offriamo alla Tua divina maestà, supplicandoTi di ispirare sempre la Chiesa universale con lo spirito di verità, di unità, di concordia e di giustizia. Concedi che tutti coloro che confessano il Tuo santo Nome siano concordi nella verità della Tua santa Parola e vivano nell’unità e nel santo amore. Ti supplichiamo anche di proteggere e di difendere tutti i Re, Principi e Governanti cristiani e, particolarmente, il Tuo servo Edoardo, nostro Re, affinché sotto di lui noi siamo governati santamente ed in pace; accorda al suo intero Consiglio e a tutti coloro che servono sotto la sua autorità di amministrare la giustizia con verità e imparzialità, punendo la malvagità ed il vizio, e conservando la vera religione di Dio e la virtù. Concedi, o Padre celeste, a tutti i Vescovi, Pastori e Vicari la grazia di manifestare, con la loro vita e con il loro insegnamento, la Tua Parola vera e vivente, e di amministrare i Tuoi santi sacramenti correttamente e debitamente; dona la Tua grazia celeste a tutto il Tuo popolo, specialmente a questa assemblea qui riunita,affinché essa ascolti e riceva la Tua santa Parola con cuore umile e con la dovuta riverenza, e Ti serva in vera santità e giustizia per tutta la vita. E Ti imploriamo molto umilmente (o Signore) di consolare e di aiutare, nella Tua bontà, tutti coloro che, in questa vita, sono soggetti al turbamento, alle pene, al bisogno, alla malattia o ad altre avversità. Concedici questo, o Padre, per amor di Gesù Cristo, nostro unico mediatore ed avvocato. Amen». Il cambiamento è abbastanza drammatico. Oltre alle omissioni del Papa e dei Santi, cosa del resto che non meraviglia, è scomparsa del tutto qualsiasi menzione delle oblazioni - hæc dona, hæc munera, hæc sancta sacrificia illibata - parti essenziali del Te igitur. Nell’antica liturgia della Chiesa, le offerte del pane e del vino occupavano un posto preminente. L'immaculatam hostiam ed il calicem salutaris delle preghiere dell’offertorio, come il sancta sacrificia illibata del Te igitur, vengono presentati a Dio con la richiesta di rendere l’offerta in omnibus benedictam, ratam, rationabilem acceptabilemque, per l’imminente miracolo della Transustanziazione. E, come ha dimostrato Jungmann, «è sempre il pensiero della loro imminente Transustanziazione che ha motivato l’insistenza sulla loro santità» 31. Tutto questo per Cranmer era anatema. «Come Lutero, egli credeva che ogni forma di Offertorio puzzasse di oblazione» 32. Abolì, quindi, tutte le preghiere dell’Offertorio, compresa quella che è generalmente considerata la più bella (Deus, qui humanæ), e così pure ogni menzione dell’oblazione del pane e del vino. Restava la difficoltà rappresentata dalla presenza del pane e del vino sull’altare, che per il popolo aveva lo stesso aspetto che aveva avuto l’Offertorio. Occorreva qualcosa che inculcasse nell’assemblea un’idea completamente nuova. Cranmer la trovò decidendo che i sagrestani facessero la questua in quel momento, e che nella preghiera si parlasse solo delle «elemosine». Poiché queste non erano né offerte né toccate dal pastore, non c’era alcun pericolo che fossero considerate un'«oblazione» nell’antico significato. Questa manipolazione liturgica era così ingegnosamente concepita da suscitare ammirazione, come ha detto Gregory Dix. Evidentemente, l’assemblea non sentiva e non comprendeva altro che il riferimento alle «elemosine». Era insito nello spirito della Riforma che il Canone recitato in silenzio in uso dall’ottavo secolo 33 fosse abolito, di modo che il nuovo canone in volgare ottenesse sul popolo tutto l’effetto previsto. Ai cambiamenti effettuati con le omissioni, Cranmer aggiunse un’alterazione importante sostituendo il nome del Sovrano a quello del Papa. Sedici anni prima, re Enrico VIII aveva ordinato delle «Preghiere universali» in lingua volgare, grazie alle quali, sotto forma di petizioni abilmente composte, si presumeva di far esprimere al popolo idee politiche e teologiche corrette. Bisognava anzitutto che la gente si rendesse conto che il Re era il capo supremo della Chiesa d'InghiIterra. Il Papa doveva essere nominato solo con disprezzo. Le preghiere universali rappresentavano un mezzo utile per commentare i diversi aspetti della vita contemporanea, ma la ragione essenziale per cui furono introdotte è che si voleva sottolineare la funzione del Sovrano nella Chiesa. Pur abolendo le preghiere in vigore, Cranmer conservò e mise in risalto il Te igitur, inserendo la preghiera per il Re e per lo Stato (di cui la Chiesa non è altro che una parte), nel punto in cui si trovava la preghiera per il Papa e per la Chiesa 34. Così, la «Preghiera per la Chiesa Militante», omettendo da una parte ogni riferimento all’oblazione, alla Madonna e ai Santi, al Papa e alla Chiesa cattolica di tutto il mondo e, dall’altra, sostituendovi la preghiera per il capo ad un tempo dello Stato e della Chiesa, serviva da introduzione alla preghiera della Consacrazione.
VI. B) La preghiera della consacrazione
Nel Prayer Book del 1549, Cranmer faceva precedere le Parole dell’istituzione da questa preghiera: «Ascoltaci, o Padre Misericordioso; Noi Ti supplichiamo e, per mezzo dello Spirito Santo e della Tua Parola, degnaTi di benedire e di santificare questi doni, Tue creature di pane e di vino, affinché essi siano per noi il corpo ed il sangue del Tuo amatissimo Figlio, Gesù Cristo»! Questa formula fu criticata perché suscettibile di essere interpretata nel senso della Transustanziazione. Al che Cranmer, indignato, rispose: «Noi non preghiamo assolutamente affinché il pane ed il vino siano cambiati nel corpo e nel sangue di Cristo, ma affinché per noi siano così in questo santo mistero; cioè, che noi possiamo riceverli tanto degnamente, da divenire partecipi del corpo e del sangue di Cristo, e che quindi possiamo essere nutritiin spirito e verità» 35. Nondimeno, benché questa formula rendesse esattamente il senso del rito secondo Zwingli, cioè che il fatto di «mangiare la carne e bere il sangue si riferisce alla memoria della passione di Cristo e della Sua morte, e che l’offerta a Cristo delle nostre anime e dei nostri corpi costituisce il solo sacrificio», Cranmer, nel secondo Prayer Book decise di evitare ogni possibilità di malinteso. Ma, prima di procedere, facciamo una digressione. È senz'altro vero che la parola «nobis» esiste nel Quam Oblationem del Canone Romano: «Degnatevi [o Signore] di rendere questa oblazione in tutto bene X detta, as X critta, rati X ficata, ragionevole ed accettabile, affinché essa diventi per noi il Corpo e il Sangue del Vostro dilettissimo Figlio nostro Signore Gesù Cristo». Qui, pertanto, il senso non si presta ad equivoci, perché la Transustanziazione è stata annunciata dai magnifici Te igitur, Memento Dómine e Hanc igitur, in cui «i doni sacrificali santi ed immacolati» vengono descritti in termini appropriati all’imminente trasformazione in Corpo e Sangue, di cui noi siamo gli indegni beneficiari. L’omissione, da parte di Cranmer, di questi riferimenti e cambiamenti circa le oblazioni, giustificò la sua protesta; la sua formula, infatti, non poteva essere compresa nel senso della Transustanziazione. Essa significava semplicemente «per noi», cioé nei nostri spiriti, non oggettivamente. Il Nuovo Canone Anaphora II, imposto oggi alla Chiesa cattolica dalla gerarchia, segue fedelmente Cranmer. Non esiste preparazione alla Consacrazione. Dopo il Benedictus, il celebrante dice semplicemente: «Padre veramente santo, fonte di ogni santità», per chiedere subito che «questi doni diventino per noi il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo...». Nel Canone Romano, è impossibile interpretare il «nobis» nel senso datogli da Cranmer. Nell’Anaphora II è quasi impossibile interpretarlo diversamente. Il peggio è che, secondo l’Istruzione del Consilium ad Exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia (presieduto dal massone Mons. Annibale Bugnini; N.d.R.), questo Canone, Anaphora II, dev'essere detto abitualmente e, oltre a ciò, dev'essere destinato all’istruzione catechistica dei giovani sulla natura della preghiera Eucaristica. Nel luglio 1968, sapendo che molti di coloro che avevano studiato l’opera di Cranmer si preoccupavano seriamente della possibilità che l’Anaphora II fosse redatta e fosse applicata in vista di una falsa «unità» con i protestanti - poiché può chiaramente servire a negare la Transustanziazione - sul Catholic Herald apparve un appello indirizzato alla gerarchia inglese (perfettamente al corrente di tutta la storia di Cranmer), affinché intervenisse presso il Consilium, e, per dimostrare la sua buona fede, sopprimesse il «nobis» (per noi). Non si ottenne nulla e si fu costretti a ricordare che la Riforma anglicana si era affermata in seguito all’apostasia di tutti i Vescovi inglesi, eccetto il solo San Giovanni Fisher 36. Ma torniamo a Cranmer e all’opera da lui compiuta per eliminare ogni possibile falsa interpretazione o ambiguità dalla sua preghiera. Ecco il testo della versione del 1552: «Ascoltaci, Padre misericordioso, Ti supplichiamo e concedici che, ricevendo il pane e il vino, creature Tue, secondo la santa istituzione del Tuo Figlio, il nostro Redentore Gesù Cristo, in memoria della Sua morte e della Sua passione, diveniamo partecipi del Suo corpo e del Suo sangue santissimi». Sopprimendo il passo «per mezzo dello Spirito Santo e della Tua Parola, degnaTi di benedire e santificare questi doni, Tue creature di pane e di vino, affinché essi siano per noi il corpo ed il sangue del Tuo amatissimo Figlio Gesù Cristo», Cranmer escluse ogni possibilità che il dono del Corpo e del Sangue si riferisse al pane e al vino, e che il «santificare» comportasse effettivamente la Presenza divina. La Preghiera della Consacrazione del 1552 comincia con queste parole: «Dio onnipotente, nostro Padre celeste che, nella Tua dolce misericordia hai donato il Tuo unico Figlio Gesù Cristo, affinché patisse la morte sulla Croce per la nostra redenzione, il quale con la Sua morte, offrendo Sé stesso in olocausto, ha offerto un'unica oblazione di completo sacrificio, perfetto e sufficiente per i peccati del mondo intero, ed ha istituito e ci ha comandato nel Suo santo Vangelo di celebrare una memoria perpetua della Sua morte preziosa, fino a che Egli ritorni...». A questo punto, Gregory Dix fa notare che l’accento è stato posto di proposito sull'«unica oblazione di Sé stesso offerta una sola volta, sacrificio, poi oblazione e soddisfacimento completo, perfetto e sufficiente per i peccati del mondo intero», ossia in un lontano passato (sul Calvario). Fa inoltre notare che l'Eucarestia è stata ridotta ad una «memoria perpetua» (la parola è stata scelta abilmente) «della Sua morte preziosa, fino a che Egli ritorni». (il «ri» - assente in San Paolo - è stato aggiunto per dimostrare che la «passione» è un fatto che riguarda il passato, mentre la «venuta» riguarda il futuro, e non l’Eucarestia37.
VII. C) La preghiera di oblazione
La Preghiera di Oblazione, recitata immediatamente dopo la comunione del popolo era la seguente: «O Signore e Padre celeste, noi, Tuoi umilissimi servitori, desideriamo ardentemente che la Tua paterna bontà accetti con clemenza questo sacrificio di lode e di azione di grazie che Ti abbiamo offerto: umilmente, Ti supplichiamo di concedere che, per i meriti e per la morte del Tuo Figlio, Gesù Cristo, e per la fede nel Suo sangue, noi e tutta la nostra Chiesa otteniamo la remissione dei nostri peccati con tutti gli altri benefici della Sua passione. Ecco, Ti presentiamo e Ti offriamo, o Signore, noi stessi, le nostre anime ed i nostri corpi, affinché siano per Te un sacrificio giusto, santo e vivente; supplicandoTi umilmente che noi tutti che siamo partecipi di questa santa comunione, siamo pieni della Tua grazia e celeste benedizione. E, benché indegni a causa dei nostri infiniti peccati di offrirTi un qualsiasi sacrificio, Ti supplichiamo di accettare questo servizio santo e doveroso, non valutando i nostri meriti, ma perdonando le nostre offese per Gesù Cristo, nostro Signore, per il quale e con il quale, in unità con lo Spirito Santo, a Te siano resi ogni onore e gloria, o Padre onnipotente, nei secoli dei secoli. Amen». Si noterà che qui Cranmer tolse ogni dubbio circa sua nuova interpretazione del rito e, nello stesso tempo, con il triplice impiego della parola «sacrificio», trasse in inganno le anime semplici che, ascoltando il testo in volgare, furono portate a pensare che la nuova messa avesse qualche continuità con l’antica. Secondo la concezione cattolica, Gesù Cristo offre al Padre la perfetta oblazione di Sé stesso e la Chiesa, in quanto Suo Corpo, partecipa al Suo eterno atto sacerdotale per mezzo dell'Eucarestia. Cranmer, deliberatamente, sostituì questo concetto con l’idea che noi offriamo a Dio «noi stessi, le nostre anime ed i nostri corpi». Ugualmente, la conclusione «per il quale e con il quale, in unità con lo Spirito Santo, a Voi siano resi ogni onore e gloria, o Padre onnipotente, nei secoli dei secoli», sembra evocare (pur essendo totalmente differente) la più grande dossologia della liturgia: «Per ip X sum, et cum ip X so et in ip X so, est ti X bi, Deo Patri omni X potenti, in unitate Spiritus Sancti, omnis honor et gloria, per omnia sæcula sæculorum». Qui, i cinque segni di Croce, seguiti dalla simultanea elevazione dell’Ostia e del Calice in un gesto d’offerta (ricordo dell’antica cerimonia in cui il celebrante sollevava il Pane consacrato ed il diacono, con le due mani, il grande Calice, per far toccare l’uno all’altro), erano il segno esteriore e visibile dell’offerta a Dio del Sacrificio accettabile. L’atto dell’elevazione, coincidendo con le parole «omnis honor et gloria», compiva la fusione dei simbolismi del linguaggio e dell’azione, presentando in questo modo un'espressione liturgica del significato della Messa. Cranmer vietò i segni di croce e l’elevazione, ma conservò approssimativamente le parole che, pur significando una cosa del tutto diversa, davano l’illusione della continuità. Così, il nuovo rito fu plasmato in modo da esprimere la dottrina della Giustificazione per mezzo della sola Fede, dottrina che non poteva adattarsi al senso che si era sempre attribuito ai Sacramenti.
VIII. La questione della giustificazione e la messa tridentina
Alla base di tutti gli argomenti che il Concilio di Trento (1545-1563) era stato chiamato a trattare, c’era la questione della Giustificazione e si dimentica troppo spesso che il Concilio era stato convocato per appianare le controversie fra cattolici e protestanti. Ma, dopo dibattiti che durarono diciotto anni, ci si rese conto che le divergenze erano insormontabili. Non poteva esserci compromesso tra la dottrina cattolica basata sulla Sacra Scrittura («Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? [...] Così anche la fede: se non ha le opere è morta» [Gc II, 1-14,17]) e la dottrina luterana della sola fede, senza il valore delle opere e la partecipazione della volontà umana. La definizione di Trento fu promulgata nel 1547: «Se qualcuno dice che l’uomo peccatore è giustificato dalla sola fede, come se non fosse richiesto nient'altro per ottenere la grazia della giustificazione, e che non c’è nessun bisogno di essere preparati e disposti dal movimento della volontà, sia scomunicato». Alla fine del Concilio di Trento, durante il quale i protestanti promossero ovunque, come Cranmer, nuovi riti che davano un volto all’eresia, la grande necessità per i cattolici fu quella di unirsi e di serrare le file contro le nuove negazioni. Per questo fine, l’antica liturgia, ovunque nella stessa lingua, era uno strumento troppo prezioso che non bisognava perdere. Ne risultò il Messale Romano riformato di San Pio V (1504-1572), che fu imposto dall’autorità centrale a tutti i cattolici di rito latino con un atto legislativo senza precedenti 38. La Messa Tridentina fu promulgata da San Pio V con la Costituzione Apostolica Quo primum del 19 luglio 1570. Il Santo Papa dichiarava: «Con il nostro presente decreto, valido in perpetuo, Noi determiniamo e ordiniamo che mai niente dovrà essere aggiunto, omesso o cambiato in questo Messale». Al fine di vincolare i posteri, affermò che «mai, in avvenire, un sacerdote, sia regolare che religioso, potrà essere costretto ad usare un altro modo di dire la Messa». E, onde prevenire una volta per tutte ogni scrupolo di coscienza o paura di sanzioni e censure ecclesiastiche, aggiunse: «Noi qui dichiariamo che, in virtù della Nostra Autorità Apostolica, decretiamo e decidiamo che il nostro presente ordine e decreto durerà in perpetuo e non potrà mai essere legalmente revocato o emendato in avvenire». Si può giudicare l’importanza che San Pio V stesso attribuì al suo atto, leggendo queste sue parole: «E se nondimeno qualcuno osasse attentare con un'azione contraria al Nostro presente ordine, dato per sempre, sappia che incorrerà nell’ira di Dio Onnipotente e dei Santi Apostoli Pietro e Paolo». Di questo tenore sono le interdizioni e le censure di San Pio V, oltre le quali è andato Paolo VI (1897-1978) con la sua Costituzione Apostolica Missale Romanum del 3 aprile 1969, decretando forme nuove per la Messa e sostenendole con la seguente dichiarazione: «Noi desideriamo che i Nostri presenti decreti e prescrizioni siano fermi e validi per il presente e per l’avvenire, nonostante, nella misura necessaria, le ordinanze promulgate dai nostri predecessori». La Messa Tridentina, voluta e forgiata come arma indistruttibile contro l’eresia, è stata così sostituita da una nuova liturgia che è fin troppo compatibile con le eresie di Cranmer e seguaci. Alcuni di noi si chiedono il perché.
Nota bibliografica
Per la storia generale dell’epoca, si consulti P. W. DIXON, History Of The Church Of England From 1529 To 1570, sei volumi dei quali particolarmente il quarto presenta un valore inestimabile. Da leggere è pure P. HUGHES, The Reformation In England, pubblicato più recentemente, e particolarmente il vol. II. Abbondante è la bibliografia sulla personalità di Cranmer. La Parker Society ha pubblicato sull’argomento le seguenti opere:
1) Writings And Disputations Of Thomas Cranmer Relative To The Sacrament Of The Lord’s Supper.
2) Miscellaneous Writings And Letters Of Thomas Cranmer.
Vi è poi il famoso Memorial Of Cranmer di Stryper ed il Remains Of Thomas Cranmer di Jenkyns. Queste ultime opere, insieme con l’edizione Gardiner di Bishop Cranmer’s Recantacyons, possono fornire un indice completo delle idee teologiche deI Cranmer. Un'esposizione moderna di queste, fornita da un teologo anglicano è The Shape Of The Liturgy di Gregory Dix. Per i due Prayer Books di Cranmer, si consulti con profitto l’edizione Everyman: The First And Second Praver Book Of Edward VI, con l'introduzione di Bishop Gibson. Tra le pubblicazioni italiane sull’argomento, va segnalato il bellissimo volume di P. Celestino Testore s.j., intitolato ll primato di Pietro difeso dal sangue dei Martiri Inglesi.
Appendice
Testo completo del canone Anaphora II imposto da Cranmer(**)
È veramente degno e giusto, ed è nostro dovere renderTi grazie sempre e ovunque, Signore, Dio Padre onnipotente ed eterno. Per questo, con gli Angeli e con gli Arcangeli e con tutta la celeste schiera, lodiamo e magnifichiamo il Tuo nome glorioso, osannando sempre e dicendo : santo, santo, santo, Signore Dio degli eserciti. Il cielo e la terra sono pieni della tua gloria! Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto colui che viene nel nome del Signore; Gloria a te, Signore, nell'alto dei cieli. Dio onnipotente ed eterno che, per mezzo dei Tuoi santi Apostoli, ci hai insegnato a pregarTi ed a supplicarTi ed a ringraziarTi per tutta l’umanità, Ti supplichiamo umilmente di accogliere per la Tua grande misericordia queste preghiere che noi offriamo alla Tua maestà divina, supplicandoTi di ispirare sempre la Chiesa universale con lo spirito della verità, unità e concordia; accorda a tutti coloro che confessano il Tuo santo nome di comprendersi nella verità della Tua santa Parola e di vivere nell’unità e nell’amore divino. Specialmente Ti preghiamo di salvare e di difendere il Tuo servo Edoardo nostro Re, di modo che sotto di lui possiamo essere governati nella pietà e nella pace. Concedi a tutto il suo consiglio e a tutti coloro che egli ha investito di autorità di amministrare la vera ed imparziale giustizia, onde punire la malvagità ed il vizio e conservare la divina religione e la virtù. Dona a tutti i Vescovi, pastori e curati, o Padre celeste, la grazia di manifestare, con la loro vita e la loro dottrina, la Tua viva e vera Parola e di amministrare degnamente e fedelmente i Tuoi santi sacramenti; e a tutto il Tuo popolo, dona la Tua grazia celeste affinché, con cuore umile e con la dovuta riverenza, ascolti e riceva la santa Parola, servendoTi veramente nella santità e nella giustizia tutti i giorni della vita; Ti supplichiamo umilmente per la Tua bontà, o Signore, di consolare e di soccorrere tutti coloro che, in questa vita transitoria, sono nelle pene, nel dolore, nel bisogno, nella malattia o in avversità. Raccomandiamo specialmente alla Tua bontà misericordiosa questa comunità qui radunata nel Tuo nome per celebrare la commemorazione della gloriosa morte del Tuo Figlio; e Ti offriamo la più alta lode e il più sincero rendimento di grazie per la grazia e la mirabile virtù che Tu hai manifestato in tutti i santi dal principio del mondo; anzitutto nella gloriosa e Beata Vergine Maria, Madre del Tuo Figlio Gesù Cristo, nostro Signore e Dio, e nei santi Patriarchi, Profeti, Apostoli e Martiri; ci sia dato, o Signore, di seguire il loro esempio, la loro fermezza nella fede, e di osservare i Tuoi santi comandamenti. Raccomandiamo alla Tua misericordia, o Signore, tutti i Tuoi servi che ci hanno lasciato nel segno della fede e riposano ora nel sonno della pace; concedi loro, Ti supplichiamo, la Tua misericordia e la pace eterna, e che nel giorno della resurrezione noi e tutti coloro che appartengono al corpo mistico del Tuo Figlio possiamo insieme essere posti alla Tua destra e ascoltare la Sua gaudiosa parola: «Venite a Me, voi, benedetti da Mio Padre e prendete possesso del Regno che vi è stato preparato dal principio del mondo». Concedici questo, o Padre, per l’amore di Gesù Cristo, nostro solo mediatore ed avvocato. O Dio, Padre celeste, che nella Tua dolce misericordia, hai dato il Tuo unico Figlio Gesù Cristo perché patisse la morte sulla Croce per la nostra redenzione, il quale in essa ha compiuto (con una unica oblazione offerta una volta) un pieno, perfetto e sufficiente sacrificio, oblazione e soddisfazione per i peccati del mondo intero, ed ha istituito e ci ha comandato nel Suo santo Vangelo di celebrare una perpetua memoria della Sua preziosa morte finché Egli non torni. Ascoltaci, o Padre misericordioso, Te ne supplichiamo, di volere, col Tuo Spirito Santo e la Tua parola, benedire e santificare questi doni, queste creature di pane e di vino in modo che siano per noi il corpo e il sangue del Tuo amatissimo Figlio Gesù Cristo, che, la notte in cui fu tradito, prese il pane e, dopo averlo benedetto ed aver reso grazie, lo spezzò e lo diede ai Suoi discepoli, dicendo: «Prendete, mangiate, questo è il mio corpo che è offerto per voi; fate questo in memoria di me». Ugualmente, dopo aver cenato, prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue del Nuovo Testamento, che è sparso per voi e per molti in remissione dei peccati; fate questo, tutte le volte che ne berrete, in memoria di me». (Una rubrica, a questo punto, prescriveva al ministro, mentre prende in mano il pane e il calice, di restare voltato verso l’altare, senza elevazione nè ostensione del sacramento ai fedeli). Per questo, o Signore e Padre celeste, secondo l’istituzione del Tuo amatissimo Figlio, il nostro Salvatore Gesù Cristo, noi, Tuoi umili servi, celebriamo e facciamo, dinanzi alla Tua divina maestà, con questi santi doni che ci vengono da Te, il memoriale che Tuo Figlio ha voluto che noi facessimo, avendo nella memoria la Sua beata passione, la Sua potente resurrezione e la Sua gloriosa ascensione, rendendoTi le nostre più sincere azioni di grazie, per gli innumerevoli benefici che in tal modo ci ha procurato, desiderando solo che la Tua paterna bontà voglia accettare misericordiosamente il nostro presente sacrificio di lode e di azione di grazie; supplicandoTi molto umilmente di concedere, per i meriti e la morte del Tuo Figlio Gesù Cristo e per la fede nel Suo sangue, che noi e tutta la Chiesa, possiamo ottenere la remissione di tutti i nostri peccati e tutti gli altri benefici della Sua passione. E Ti offriamo, o Signore, le nostre anime, i nostri corpi come un sacrificio consapevole, santo e vivo ai Tuoi occhi, supplicandoTi umilmente che tutti coloro che partecipano alla Tua santa comunione possano ricevere degnamente il preziosissimo corpo e sangue di Tuo Figlio Gesù Cristo, essere ripieni della Tua grazia e benedizione celeste, e divenire un sol corpo con il Tuo Figlio Gesù Cristo, in modo che Egli abiti in loro e loro in Lui. E benché noi siamo indegni per i nostri numerosi peccati di offrirTi alcun sacrificio, Ti supplichiamo ciononostante di accettare il nostro presente dovere e servizio e di comandare che queste preghiere e suppliche, col ministero dei Tuoi santi Angeli, siano portate fino nel Tuo santo Tabernacolo, agli occhi della Tua divina maestà, non guardando ai nostri meriti, ma perdonando le nostre offese, per Cristo nostro Signore, col quale e per il quale in unità con lo Spirito Santo, ogni onore e gloria vengano a Te, o Padre Onnipotente, nei secoli dei secoli. Amen».
THOMAS CRANMER, il protagonista di questo scritto, fu il Vescovo riformatore anglicano, nato a Aslacton (contea di Flottinghamshire) il 2 luglio 1439 e morto sul rogo il 21 marzo 1556. Insegnò teologia a Cambridge partecipando attivamente alla vita politica e religiosa del suo tempo, e soprattutto alla formazione della confessione anglicana che volle attuare con ogni mezzo, non esclusi i più efferati. Nominato Arcivescovo di Canterbury da Papa Clemente VII (1478-1534), dopo qualche tempo si ribellò all’autorità di Roma, infrangendo il giuramento di fedeltà. Morto Enrico VIII (1491-1547), fece parte del Consiglio di Reggenza di Edoardo VI (1537-1553), ma quando partecipò al complotto per far salire al trono Jane Gray, al posto di Maria Tudor, fu condannato al rogo come eretico. Le sue famose opere, tra le quali, il Book Of Common Prayer («II Libro della preghiera comune»), scritto nel 1549, culminarono con la versione in volgare della Bibbia, operata con chiara intenzione antipapale. Egli combattè soprattutto la dottrina cattolica della Transustanziazione, della Presenza Reale della Carne e del Sangue di Cristo nell’Ostia e nel calice, e del Sacrificio dell’altare, riducendo la Messa, in armonia con Lutero e con gli altri riformatori, ad una semplice commemorazione storica. Per far ciò, distrusse le basi stesse della dottrina cattolica, perseguitando non solo le sue strutture, ma i suoi testimoni viventi.
e per finire un video che mostra chiaramnte quante somiglianze ci sono con il Novus Ordo (seppur celebrato coram Deo)
“Il portiere della storia non guarda le loro ragioni, ma guarda i loro visi. Per cancellare di colpo tante immagini deprimenti bastano dieci visi di monaci perduti in fondo ad un monastero o quella contadina spagnola che intravidi un giorno nel più fitto segreto di una chiesetta di Toledo con le braccia allargate in un gesto sovrano, eretta come una regina, mentre pregava in ginocchio. Ma bisogna dunque frugare nei monasteri e nelle cappelle castigliane per raccogliere i riflessi morenti di un fuoco che deve incendiare il mondo?”. Léon Bloy
pro Ecclesia Dei sancta
Ut domnum Apostolicum, et omnes gradus Ecclesiae in sancta religione conservare digneris, te rogamus audi nos.
“Basterebbe un giorno senza nessun aborto e Dio concederebbe la pace al mondo fino al termine dei giorni" (San Pio da Pietrelcina)