sabato 1 maggio 2010

Quando la Tradizione aiutava i Papi a far piazza pulita dei falsi carismi (e carrierismi)

«AMERICANISMO: è il termine invalso alla fine del secolo scorso nel movimento destato dalle idee e dai metodi del Padre P. Hecker, fondatore della Società americana dei Missionari Paolisti. Questo sacerdote americano, consapevole delle esigenze psicologiche, della mentalità, dell’indole del suo popolo esuberante, avido di assoluta libertà individuale, insensibile all’astrattismo teorico e amante invece del Prammatismo, portato dalle ricchezze naturali del paese a un senso edonistico della vita, aveva cercato di adattare, senza troppe preoccupazioni dogmatiche, la religione cattolica allo spirito della sua gente. Il suo tentativo fece rumore anche in Europa e si determinò così quella corrente che ebbe il nome di Americanismo. Più che di un sistema si tratta di una tendenza concretata in alcuni princìpi d’indole pratica, senza organicità. Leone XIII, avvistato il pericolo, inviò la Lettera Apostolica Testem benevolentiae al Card. Gibbons (1889) e per mezzo di lui a tutto l’Episcopato degli Stati Uniti. Da questo documento pontificio si rilevano i principali errori dell’ Americanismo: necessità di un adattamento della Chiesa alle esigenze della civiltà moderna, sacrificando qualche vecchio canone, mitigando l’antica severità, orientandosi verso un metodo più democratico; dare più larghezza alla libertà individuale nel pensiero e nell’azione, tenendo conto che più che l’organizzazione gerarchica agisce sulla coscienza dell’individuo direttamente lo Spirito Santo (influsso del Protestantesimo); abbandonare e non curare le virtù passive (mortificazione, penitenze, obbedienza, contemplazione), ma attaccarsi alle virtù attive (azione, apostolato, organizzazione): tra le Congregazioni religiose favorire quelle di vita attiva. Il Papa dopo questa serena disanima conclude con queste gravi parole: “Noi non possiamo approvare quelle opinioni che costituiscono il così detto Americanismo”. A prescindere dalle intenzioni degli Americanisti, certo la loro posizione dottrinale e pratica non si accorda facilmente con la dottrina e lo spirito tradizionale della Chiesa, anzi, per non dire di più, apre la via ad errori teoretici e pratici [l’americanismo, infatti, fu il terreno di cultura del modernismo]» (P. Parente – A. Piolanti – S. Garofalo, Dizionario di Teologia dogmatica, Roma Studium, 4a ed.).


Leone XIII
Lettera Apostolica al Card. Gibbons,
Testem benevolentiae
 22 gennaio 1899

Pegno di Nostra benevolenza inviare a te questa lettera, di quella benevolenza cioè, che, per il lungo corso del Nostro pontificato, mai non tralasciammo di professare a te e ai vescovi tuoi colleghi e a tutto il vostro popolo, prendendone volentieri occasione sia dai felici incrementi della chiesa cattolica in America, sia dalle cose utilmente e saggiamente da voi operate a tutela e accrescimento del cattolicesimo. Anzi più d'una volta Ci avvenne di ammirare e lodare l'indole egregia del vostro popolo, pronta ad ogni nobile impresa e al conseguimento di quanto giova al civile benessere e allo splendore della nazione. Benché poi questa Nostra lettera non abbia come scopo di rinnovare la lode, che già altre volte vi tributammo, ma piuttosto di additare alcuni punti da evitarsi e correggersi, nondimeno, poiché è dettata dalla stessa carità apostolica, con cui sempre vi amammo e più volte vi abbiamo parlato, a buon diritto Ci ripromettiamo che la riterrete quale nuovo argomento del Nostro amore; e tanto più lo speriamo, perché è fatta e destinata a togliere di mezzo talune contese, che, sorte di recente fra voi, turbano gli animi, se non di tutti, certamente però di molti, con danno non piccolo della pace.

Ti è ben noto, diletto figlio Nostro, che il libro intorno alla vita di Isacco-Tommaso Hecker, specialmente per opera di coloro che lo tradussero in altra lingua o lo commentarono, suscitò non poche controversie per talune opinioni espresse intorno al vivere cristiano. Or Noi, volendo provvedere, per il supremo ufficio dell'apostolato, sia all'integrità della fede sia alla sicurezza dei fedeli, siamo venuti nella determinazione di scrivere a te diffusamente intorno a tutta questa materia.

II fondamento dunque delle nuove opinioni accennate a questo si può ridurre: perché coloro che dissentono possano più facilmente essere condotti alla dottrina cattolica, la chiesa deve avvicinarsi maggiormente alla civiltà del mondo progredito, e, allentata l'antica severità, deve accondiscendere alle recenti teorie e alle esigenze dei popoli. E molti pensano che ciò debba intendersi, non solo della disciplina del vivere, ma anche delle dottrine che costituiscono il "deposito della fede". Pretendono perciò che sia opportuno, per accattivarsi gli animi dei dissidenti, che alcuni capitoli di dottrina, per così dire di minore importanza, vengano messi da parte o siano attenuati, così da non mantenere più il medesimo senso che la chiesa ha tenuto costantemente per fermo. Ora, diletto figlio Nostro, per dimostrare con quale riprovevole intenzione ciò sia stato immaginato, non c'è bisogno di un lungo discorso; basta non dimenticare la natura e l'origine della dottrina, che la Chiesa insegna. Su questo punto così afferma il concilio Vaticano: "La dottrina della fede, che Dio rivelò, non fu, quasi un'invenzione di filosofi, proposta da perfezionare alla umana ragione, ma come un deposito divino fu data alla sposa di Cristo da custodire fedelmente e dichiarare infallibilmente... Quel senso dei sacri dogmi si deve sempre ritenere, che una volta dichiarò la santa madre chiesa, ne mai da tal senso si dovrà recedere sotto colore e nome di più elevata intelligenza" (Cost. Dei Filius c. IV).

Né affatto scevro di colpa deve reputarsi il silenzio, con cui, a ragion veduta, si passano inosservati e quasi si pongono in dimenticanza alcuni princìpi della dottrina cattolica. Di tutte le verità, quante ne abbraccia l'insegnamento cattolico, uno solo e uno stesso è infatti l'autore e il maestro, "l'unigenito Figlio che è nel seno del Padre" (Gv 1,18). E che tali verità siano adatte a tutte le età e a tutte le genti, chiaramente si deduce dalle parole che lo stesso Cristo disse agli apostoli: "Andate e ammaestrate tutte le genti, insegnando loro ad osservare tutte le cose che io vi ho prescritto; e io sono con voi tutti i giorni fino alla consumazione dei secoli" (Mt 28,19-21). Perciò, il citato concilio Vaticano dice: "Con fede divina e cattolica sono da credersi tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o tramandata, e che dalla chiesa, sia con solenne giudizio sia con l'ordinario e universale magistero, sono proposte da credersi come rivelate da Dio" (Dei Filius c. III). Non avvenga pertanto che qualche cosa si detragga dalla dottrina ricevuta da Dio, o per qualunque fine si trascuri; poiché chi così facesse, anziché ricondurre alla chiesa i dissidenti, cercherà di strappare dalla chiesa i cattolici. Ritornino, poiché nulla meglio desideriamo, ritornino pur tutti, quanti vagano lungi dall'ovile di Cristo; ma non per altro sentiero se non per quello che lo stesso Cristo additò.

La disciplina poi del vivere, che si prescrive ai cattolici, non è certamente tale da escludere qualsiasi mitigazione, secondo la diversità dei tempi e dei luoghi. Ha la chiesa, comunicatale dal suo Autore, un'indole clemente e misericordiosa; perciò, fin dal suo nascere, adempì di buon grado ciò che l'Apostolo Paolo di sé professava: "Mi sono fatto tutto a tutti, al fine di salvare tutti" (1 Cor 9,22). - Ed è testimone la storia di tutte le età passate che questa sede apostolica, a cui fu affidato non solo il magistero ma anche il supremo governo di tutta la chiesa, rimase bensì costante "nello stesso dogma, secondo lo stesso senso e la stessa opinione" (Dei Filius c. IV), e fu sempre solita regolare il modo di vivere così che, salvo il diritto divino, non trascurò mai i costumi e le esigenze di tanta diversità di popoli, che essa abbraccia. E, se la salvezza delle anime lo richiede, chi dubiterà che anche ora non farà altrettanto? Vero è che il decidere di questo non spetta all'arbitrio di singoli uomini, che per lo più sono tratti in inganno da un'apparenza di rettitudine; ma spetta alla chiesa giudicarne; e al giudizio della chiesa è necessario che si conformi chiunque non vuole incorrere nella riprensione di Pio VI Nostro predecessore, che qualificò la proposizione 78 del Sinodo di Pistola come "ingiuriosa alla chiesa e allo Spirito di Dio che la regge, in quanto sottopone ad esame la disciplina stabilita e approvata dalla chiesa, quasi che la chiesa possa stabilire una disciplina inutile e più gravosa di quello che comporti la libertà cristiana".

Ma, diletto figlio Nostro, ciò che nella materia di cui parliamo presenta maggiore pericolo, ed è più avverso alla dottrina e alla disciplina cattolica, è il disegno, secondo cui gli amanti di novità pensano che debba introdursi nella chiesa una tal quale libertà, per la quale, diminuita quasi la forza e la vigilanza dell'autorità, sia lecito ai fedeli abbandonarsi alquanto più al proprio arbitrio e alla propria iniziativa. E ciò affermano richiedersi sull'esempio di quella libertà, che, posta in voga di recente, forma quasi unicamente il diritto e la base della convivenza civile. Della quale libertà Noi discorremmo assai diffusamente nella lettera che indirizzammo a tutti i vescovi riguardo alla costituzione degli stati, dove dimostrammo ancora qual divario corra fra la chiesa, che esiste per diritto divino, e le altre società, che debbono la loro esistenza alla libera volontà degli uomini. Sarà dunque ora più utile confutare una opinione, portata quasi come argomento, per porre in buona vista ai cattolici l'anzidetta libertà. Si dice infatti non doversi più oggi preoccupare tanto del magistero infallibile del papa, dopo il giudizio solenne che ne diede il concilio Vaticano; posto questo magistero perciò al sicuro, si può lasciare ad ognuno più largo campo, sia nel pensare, sia nell'operare. Strano modo, a dire il vero, di ragionare: poiché se si vuole essere ragionevoli, e tirare una conclusione dal fatto del magistero infallibile della chiesa, tale conclusione dovrebbe essere quella di proporre di mai allontanarsi dallo stesso magistero, ma di affidarsi interamente ad esso per venire ammaestrati e guidati, e così poter più facilmente serbarsi immuni da qualsivoglia errore privato.

Si aggiunga che coloro che così ragionano molto si allontanano dalla sapienza di Dio provvidente; la quale, se volle asserita con più solenne giudizio l'autorità e il magistero della sede apostolica, lo volle innanzitutto per difendere più efficacemente l'intelligenza dei cattolici dai pericoli dei tempi presenti. La licenza che assai sovente si confonde con la libertà, la smania di parlare e sparlare d'ogni cosa, la facoltà di pensare ciò che si vuole e di manifestarlo con la stampa, portarono così profonde tenebre nelle menti, che, ora più che per l'innanzi, è utile e necessario un magistero, per non andare contro la coscienza e contro il dovere. Non intendiamo Noi certamente ripudiare tutte le conquiste del genio dei nostri tempi; che anzi quanto di vero con lo studio, o di buono con l'operosità, si ottenne, Noi lo vediamo con piacere aggiungersi e accrescere il patrimonio della scienza e dilatare i confini della pubblica prosperità. Ma tutto questo, perché non venga privato di solida utilità, deve esistere e svilupparsi nel rispetto dell'autorità e della sapienza della chiesa.

Dobbiamo ora passare ad esaminare quelle che si possono chiamare come le conseguenze delle opinioni finora esposte. Se in queste, l'intenzione, come Noi crediamo, non è biasimevole, difficilmente invece le cose potranno sfuggire ad ogni sospetto. Innanzitutto, per coloro che vogliono tendere all'acquisto della perfezione cristiana, si rigetta, come superfluo anzi come poco utile, ogni esterno magistero; lo Spirito Santo, dicono, ora, meglio che nei tempi passati, effonde larghi e copiosi i suoi carismi sulle anime dei fedeli, e con un certo misterioso impulso le ammaestra e le conduce, senza alcun intermediario. È certamente non lieve temerità voler definire la misura, con cui Dio si comunica agli uomini; ciò dipende unicamente dalla volontà di lui, ed è egli liberissimo dispensatore dei doni suoi. "Lo Spirito spira dove vuole" (Gv 3,8). "A ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo" (Ef 4,7). E chi poi ripercorrendo la storia degli apostoli, la fede della chiesa nascente, le battaglie e i tormenti dei martiri eroici, di quelle antiche età così feconde di uomini santissimi, chi oserà porre a confronto i tempi passati con i presenti e affermare che quelli sono stati meno favoriti dalle effusioni dello Spirito Santo? Ma, pur tacendo di ciò, nessuno dubita che lo Spirito Santo, con azione misteriosa, agisca nelle anime dei giusti e le stimoli con illuminazioni e impulsi; se così non fosse, vano sarebbe ogni aiuto e magistero esterno. "Se taluno afferma di poter corrispondere alla salutare, cioè evangelica, predicazione, senza la luce dello Spirito Santo, il quale dà a tutti la soavità nel consentire e nel credere alla verità, costui è ingannato dallo spirito ereticale". Ma, lo sappiamo pure per esperienza, questi avvisi e impulsi dello Spirito Santo, il più delle volte, non si sentono senza un certo aiuto e una specie di preparazione del magistero esterno. A questo riguardo dice s. Agostino; "Lo Spirito Santo coopera al frutto dei buoni alberi, esternamente irrigandoli e coltivandoli per mezzo di qualche intermediario, e internamente dando lui stesso l'incremento".

Appartiene ciò infatti a quella legge ordinaria, con la quale Dio provvidentissimo, come decretò di salvare comunemente gli uomini per mezzo degli uomini, così stabilì di non condurre ad un grado più alto di santità coloro, che da lui vi sono chiamati, se non per mezzo degli uomini, "affinchè, come dice il Crisostomo, l'insegnamento di Dio ci giunga mediante gli uomini". Di ciò abbiamo un esempio illustre negli stessi inizi della chiesa: quantunque Saulo, "spirante minacce e stragi" (At 9,1), avesse udita la voce dello stesso Cristo e gli avesse domandato: "Signore, che vuoi che io faccia?", fu mandato in Damasco ad Anania; "Entra nella città, e quivi ti sarà detto ciò che tu debba fare" (At 9,6), Si aggiunga, inoltre, che coloro i quali tendono a cose più perfette, per il fatto stesso che si pongono per una via ai più sconosciuta, sono più soggetti ad errore, e hanno perciò più bisogno degli altri di un maestro e di una guida. E questa regola di operare fu sempre in vigore nella chiesa; questa dottrina tutti, senza eccezione, professarono quanti lungo il corso dei secoli fiorirono per sapienza e per santità; né alcuno può disconoscerla senza temerità e pericolo.

Ma chi consideri la cosa più in profondità, tolta di mezzo ogni esterna direzione, non si scorge chiaramente a che debba servire, secondo la sentenza dei novatori, questo più ampio influsso dello Spirito Santo, che essi tanto esaltano. In verità, se è necessario l'aiuto dello Spirito Santo, ciò è innanzitutto necessario nell'esercizio delle virtù; ma questi amanti di novità lodano oltre misura le virtù naturali, quasi che queste rispondano meglio ai costumi e alle esigenze dell'età presente, e più giovi il possederle, perché rendono l'uomo più disposto e più alacre all'operare. Veramente è cosa difficile ad intendersi, come uomini cristiani possano anteporre le virtù naturali alle soprannaturali, e attribuire alle prime maggior efficacia e fecondità! Ma, dunque, la natura, aiutata dalla grazia, diverrà più debole, che se fosse lasciata con le sole sue forze? Forse che gli uomini santissimi, che la chiesa onora e venera pubblicamente, si dimostrarono nell'ordine naturale deboli e inetti, per essersi distinti nelle cristiane virtù? Ma chi fra gli uomini (benché talora non manchino insigni atti di virtù naturale da ammirare) possiede veramente "l'abito" delle virtù naturali? Chi infatti, non prova in sé le passioni, e ben veementi? Per superare le quali, costantemente, come pure per osservare tutta intera la legge naturale, abbisogna l'uomo di un aiuto divino. E quegli stessi atti singolari, ai quali ora abbiamo accennato, spesso, se meglio si osservano, hanno piuttosto l'apparenza che non la realtà della virtù, Ma ammettiamo pure che siano atti virtuosi. Se non si vuole "correre invano", e dimenticare la beatitudine eterna, a cui Dio per sua benignità ci destina, quale utilità presentano le virtù naturali, senza la ricchezza e la forza che ad esse dona la grazia divina? Bene dice s, Agostino: "Sono grandi sforzi, un correre velocissimo, ma fuori di strada". Infatti, come, con l'aiuto della grazia, la natura umana, che per il peccato originale era caduta nel vizio e nella degradazione, viene risollevata e a nuova nobiltà innalzata e corroborata, così le virtù, che si esercitano non con le sole forze naturali, ma con il sussidio della stessa grazia, diventano feconde per la beatitudine eterna, e nello stesso tempo più forti e più costanti.

Con questa opinione circa le virtù naturali molto concorda l'altra, che classifica tutte le virtù cristiane in due classi, in "passive", come dicono, e "attive". E soggiungono, che le prime furono più convenienti nelle età trascorse, e le altre si confanno meglio nell'età presente. Di questa divisione delle virtù è troppo ovvio quale giudizio si debba dare; infatti una virtù veramente passiva non vi è, ne vi può essere. "Virtù, così san Tommaso, dice una certa perfezione di potenza, il fine poi della potenza è l'atto; e l'atto della virtù altro non è che il buon uso del libero arbitrio" (Summa teol. I-II n.1), concorrendovi senza dubbio la grazia divina, se l'atto della virtù è soprannaturale. Per asserire poi che vi siano virtù cristiane più adatte ad alcuni tempi e altre ad altri, bisogna aver dimenticato le parole dell'apostolo; "Coloro che Dio ha preveduti, li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo" (Rm 8,29). Maestro ed esemplare di ogni santità è Cristo; su di lui si devono modellare quanti desiderano entrare in cielo. Ora Cristo non muta col passare dei secoli; ma è "lo stesso ieri, e oggi e nei secoli" (Eb 13,8), È perciò agli uomini di ogni età che si dirigono quelle parole; "Imparate da me che sono mite e umile di cuore" (Mt 11,29); in ogni tempo Cristo ci si presenta "fatto obbediente fino alla morte" (Fil 2,8); e vale per ogni età l'affermazione dell'apostolo: "Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la loro carne con i vizi e le concupiscenze" (Gal 5,24). Piacesse a Dio che queste virtù fossero oggi praticate da molti, come le praticarono i santi uomini dei tempi passati! Quelli, con 1'umiltà, con l'obbedienza, con l'abnegazione di sé furono potenti in opere e in parole, con vantaggio sommo della religione e della società civile!

Da questo per cosi’ dire disprezzo delle virtù evangeliche, che a torto sono chiamate "passive", era naturale che penetrasse, a poco a poco, negli animi anche il disprezzo della stessa vita religiosa, E che ciò sia comune nei fautori delle nuove opinioni, lo cogliamo da certe loro affermazioni intorno ai voti che vengono emessi negli ordini religiosi. Infatti essi dicono che questi voti si allontanano moltissimo dall'indole dell'età nostra, perché restringono i confini dell'umana libertà; e sono più adatti per gli animi deboli che per i forti; ne molto giovano alla cristiana perfezione e al bene della società umana: anzi ad entrambi si oppongono e sono d'impedimento. Ma quanto di falso vi sia in tali affermazioni, si deduce dalla pratica e dalla dottrina della chiesa, che sempre altamente approvò la vita religiosa. Né senza ragione; poiché coloro che, chiamati da Dio, abbracciano spontaneamente tale vita, perché non sono paghi dei comuni obblighi dei precetti, e perciò si legano ai consigli evangelici, si dimostrano soldati strenui e generosi dell'esercito di Cristo. Ora questo si dirà che sia da animi fiacchi? O inutile? O dannoso alla perfezione della vita? Coloro, che in tal modo si legano con la santità dei voti, sono tanto lungi dal perdere la propria libertà, che anzi ne godono una assai più piena e più nobile, quella cioè "con cui Cristo ci ha liberati" (Gal 4,31).
Ciò che poi si aggiunge, che la vita religiosa è poco o nulla giovevole alla chiesa, oltre che essere un'affermazione ingiuriosa agli ordini religiosi, non può essere condivisa da quelli, i quali hanno conoscenza della storia della chiesa. Le stesse vostre città confederate non ricevettero forse dai membri delle famiglie religiose i princìpi della fede e della civiltà? Ad uno di questi religiosi, con atto lodevole, voi stessi testé decretaste che fosse pubblicamente innalzata una statua. E ora, nei tempi in cui siamo, come alacre e fruttuosa prestano la loro opera al cattolicesimo i religiosi, dovunque essi sono! Tanti di loro vanno a portare l'evangelo in nuove terre e ad estendere i confini della civiltà; e ciò con sommo ardore di volontà e fra grandissimi pericoli! Tra essi, non meno che tra il rimanente clero, il popolo cristiano ha i banditori della divina parola e i moderatori delle coscienze; la gioventù ha gli educatori, la chiesa, infine, esempi di ogni santità. Questa lode va tanto ai religiosi di vita attiva quanto a coloro che, amanti di solitudine, attendono alla preghiera e alla penitenza. Quanto questi altresi’ abbiano meritato e meritino egregiamente dalla società umana, ben lo sanno coloro che non ignorano quel che valga a placare e a conciliare Dio "la preghiera assidua del giusto" (Gc 5,16), quella specialmente che è congiunta con la mortificazione corporale.

Se vi sono di quelli che preferiscono unirsi in società senza vincolo di voti, lo facciano pure, secondo che loro aggrada; un tale istituto di vita non è nuovo nella chiesa, né riprovevole. Si guardino però dall’anteporlo agli Ordini religiosi; che anzi, essendo ora gli uomini più che per il passato proclivi al godimento, assai maggiore stima è dovuta a quelli che "abbandonando tutto, hanno seguito Cristo" (cf. Lc 5,11).

Da ultimo, per non dilungarci troppo, perfino il modo e il metodo, che fino ad ora adoperarono i cattolici per richiamare i dissidenti, pretendono che debba abbandonarsi e usarne quindi innanzi un altro. Nel che, diletto figlio Nostro, basterà che avvertiamo, che non è saggio disprezzare ciò che l'antichità con lunga esperienza approvò, seguendo pure gli apostolici insegnamenti, Dalle Scritture abbiamo (cf. Eccli 16, 4), esser dovere di tutti l'adoperarsi per la salute dei prossimi, secondo l'ordine però e il grado che ciascuno ottiene. I fedeli del laicato molto utilmente adempiranno quest'obbligo imposto da Dio con l'integrità dei costumi, con le opere di cristiana carità, con la fervida e costante preghiera al Signore. Coloro però che appartengono al clero devono adempierlo con la sapiente predicazione dell'evangelo, con la gravita e splendore delle sacre cerimonie, e soprattutto incarnando in sé medesimi gli insegnamenti, che l'apostolo diede a Tito e a Timoteo, Che se fra le diverse forme di predicazione, sembri talora da preferirsi quella in cui si parli ai dissidenti, non già nei sacri templi, ma in un qualunque privato decente luogo, né a maniera di disputa ma di familiare colloquio, non è da riprendere siffatto metodo; purché però a tale officio di ragionare siano dall'autorità dei vescovi destinati quei soli, dalla cui scienza e integrità abbiano già per innanzi fatto esperimento. Infatti siamo dell'avviso che moltissimi presso di voi dissentono dai cattolici più per ignoranza che per proposito di volontà; e questi più agevolmente forse si ricondurranno all'unico ovile di Cristo, se si proponga loro la verità con discorso amichevole e familiare.

Da quanto dunque finora abbiamo esposto appare chiaro, diletto Figlio Nostro, che Noi non possiamo approvare le opinioni, il cui complesso alcuni chiamano col nome di "americanismo". Con tale nome se si vogliono significare le doti speciali d'animo, che, come ogni nazione le proprie, ornano i popoli americani; ovvero lo stato delle vostre città, le leggi e i costumi di cui usate; non v'è ragione perché stimiamo di rigettarlo. Ma se tal nome si debba adoperare, non solo per indicare, ma anche per coonestare le dottrine sopra esposte, qual dubbio v'è che i venerabili Nostri fratelli vescovi dell'America saranno essi i primi a ripudiarlo e condannarlo come altamente ingiurioso a loro e a tutta la loro nazione? Sarebbe davvero quello sospettare esservi presso voi chi si immagini e voglia una chiesa in America, diversa da quella che abbraccia tutti gli altri paesi. Una, per unità di dottrina come per unità di regime, è la chiesa, e questa è cattolica: il cui centro e fondamento avendo Dio stabilito nella cattedra del beato Pietro, a buon diritto ha il titolo di romana, infatti "dove è Pietro ivi è la chiesa". Perciò chiunque voglia essere ritenuto cattolico, deve con sincerità ripetere le parole di Girolamo al papa Damaso; "Io nessun altro seguendo come capo se non Cristo, mi unisco alla tua beatitudine, cioè alla cattedra di Pietro; su quella pietra so che è edificata la chiesa; chi non raccoglie con te, dissipa".

Queste cose, diletto figlio Nostro, che, con lettera personale, in ragione del nostro ufficio a te scriviamo, comunicheremo altresi’ a tutti gli altri vescovi degli Stati Uniti; attestando nuovamente l'affetto con cui abbracciamo tutto il vostro popolo; il quale, come nei tempi andati molte cose operò per la religione, così promette di compierne ancor maggiori per l'avvenire, aiutandolo felicemente Iddio, A te poi e a tutti i fedeli d'America, auspice delle grazie divine, impartiamo con grande affetto l'apostolica benedizione,

Roma, presso S. Pietro, 22 gennaio 1899, anno XXI del nostro pontificato.

                                                                                                                        Leone XIII

19.266.033 i santi rosari recitati!


I risultati finali
della Crociata del Rosario:
oltre 19 milioni di corone!

 L'Assemblea Generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X ha ora ricevuto i risultati definitivi della Crociata del Rosario lanciata dal vescovo Bernard Fellay. Si tratta di oltre 19 milioni di rosari che sono stati recitati in tutto il mondo, tra il 1 ° maggio 2009 e 25 marzo 2010, per la consacrazione della Russia al Cuore Immacolato di Maria, secondo la richiesta di Nostra Signora Fatima.
I dettagli dei risultati completi sono disponibili sul sito web della Fraternità San Pio X. Questo "bouquet" di rosari sarà presto consegnato a Papa Benedetto XVI dal vescovo Fellay.

venerdì 30 aprile 2010

Visita del Santo Padre alla Pontificia Commissione "Ecclesia Dei" e pio transito del Card. Mayer

Il Card. Paul Augustin Mayer primo Presidente
della Pontificia Commissione "Ecclesia Dei"

VISITA DEL SANTO PADRE ALLA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE E ALLA PONTIFICIA COMMISSIONE "ECCLESIA DEI"

Alle ore 18 di questo pomeriggio, il Santo Padre Benedetto XVI si è recato in visita alla Congregazione per la Dottrina della Fede.
Al suo arrivo nel Cortile interno del Palazzo del Santo Uffizio, il Papa è stato accolto dall’Em.mo Card. William Joseph Levada, Prefetto della Congregazione, da S.E. Mons. Luis Francisco Ladaria Ferrer, Segretario, e da Mons. Damiano Marzotto Caotorta, Sotto-Segretario.
Quindi il Santo Padre ha raggiunto la Cappella, dove è sostato in adorazione del Santissimo Sacramento. Dopo le parole di benvenuto del Card. William Joseph Levada, è seguita la Liturgia di Benedizione della Cappella, al termine dei lavori di restauro.
Accompagnato dai Superiori della Congregazione il Papa ha poi visitato i nuovi locali dell’Archivio e della Pontificia Commissione "Ecclesia Dei". Infine nella Sala delle Conferenze, l'incontro con gli Officiali della Congregazione.
Oggi inoltre è giunta la notizia della morte di Sua Eminenza il Cardinal Paul Agustin Mayer, Prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Presidente emerito della Pontificia Commissione "Ecclesia Dei" (1988-1991).

La Chiesa è immacolata e indefettibile

Vi segnaliamo sulla prova che la Chiesa sta attraversando l'ottimo articolo di Mons. João Scognamiglio Clá Dias, E.P. In questi ultimi tempi abbiamo sentito il ruggito del leone che cercava qualcuno da divorare, l'ululato dei lupi che avevano sentito l'odore del sangue, lo squittio di molti topi che cercavano di abbandonare una nave che sembra affondare, i belati di molte pecore spaventate, ora ci pare un sogno riascoltare la voce umana della ragione. Sì, la ragione, l'avanguardia della fede. In retroguardia invece ci  sta davvero solo un furore cieco e irrazionale. Anzi cieco perché irrazionale.
Abbiamo sofferto tutti, molti buoni preti e vescovi cattolici hanno sofferto, il Papa ha sofferto, ma tutto questo non può essere avvenuto invano; come ci hanno rammentato le splendide parole dedicate da un Vescovo a delinerare quale sia il cuore della Santa Messa così come è messo in luce dalla Liturgia tradizionale, non c'è Messa né Chiesa né Santità senza sofferenza e sacrificio: "La sofferenza, la vostra, la mia, quella dei Pontefici, è al centro della santità personale, perché è la nostra partecipazione all'obbedienza di Gesù che rivela la sua gloria. È il mezzo attraverso il quale siamo fatti testimoni della sua sofferenza e partecipi della gloria futura. Non vi preoccupate se molti nella Chiesa non hanno ancora afferrato questo punto, e meno ancora che nel mondo non sarà nemmeno preso in considerazione. Voi sapete che questo è vero e dieci uomini che sussurrano la verità sono più eloquenti di cento milioni di persone che mentono" (Omelia di Mons. Edward James Slattery per la Solenne Messa Pontificale in occasione del 5° anniversario dell'insediamento di Papa Benedetto XVI, Basilica dell'Immacolata Concezione, Washington DC, 24 aprile 2010). 

giovedì 29 aprile 2010

Non ha senso parlare di abusi liturgici, quando il vero grande abuso é stata la riforma

Intervista di Bruno Volpe a Don Davide Pagliarani

La chiesa cattolica ricorda la memoria di San Pio V, un Papa che ha lasciato il segno nella storia, un glorioso e luminoso Pontefice che la saggezza della Chiesa ha elevato alla gloria degli altari. Ricordiamo la figura di questo Papa e Santo con don Davide Pagliarani, Superiore della Fraternità Sacerdotale San Pio X. Don Davide, che cosa risalta maggiormente in San Pio V?: " ebbe molti meriti anche storici, ma quello che maggiormente mi preme evidenziare, fu la sua saggezza liturgica". In che cosa si concretizza?: " in verità lui non creò alcun messale,perché la messa non si scrive dal nulla, ma riordinò con cura anni di tradizione dando molta disciplina, ragion per cui sarebbe meglio definire il messale antico non come di San Pio V, ma gregoriano". Una messa che ha forgiato intere generazioni di fedeli: " il suo fu un bel libro liturgico che ha sfidato i secoli, ed é la messa di sempre, di ieri, di oggi e di domani. Lui non crea, ma restaura la tradizione, di questa resturazione abbiamo bisogno oggi, in tempi di assoluta anarchia teologica e liturgica".

Ritiene compatibile il vecchio messale con quello del Novus Ordo?: " le due liturgie sono del tutto incompatibili e non possono convivere nella stessa chiesa per una diversa concezione ecclesiologica che ne é alla base. La messa antica rispetta la fedeltà alla tradizione, quella del Novus Ordo, che ha fallito, é una messa creata chirugicamente a tavolino, con i dosaggi degli esperti, per non scontentare nessuno e la si può definire una messa protestante, non accettabile dal punto di vista cattolico. Per noi la sola messa valida é quella antica e su questo non esistono vie di mezzo".

Chi fu storicamente San Pio V?: " in tempi di relativismo e di finto dialogo, egli rappresentò il Papa della fermezza della fede, del Rosario. Il Papa di Lepanto che con la sua preghiera seppe salvare l ' Europa e il mondo occidentale, dalla catastrofe turca e quindi dall' Islam. Dobbiamo essere sempre grati a San Pio V".

Ultimamente un quotidiano nazionale ha pubblicato le finte confessioni di una giornalista che é andata in giro per Roma, dichiarandosi lesbica. Poi ha pubblicato le varie risposte dei preti: " un atto sacrilego, disdicevole e da condannare. Una vergogna e spero che i responsabili della Chiesa protestino e prendano una posizione chiara contro questa infamia". Detto questo, sorprendono le diversità dei sacerdoti nelle risposte: " la risposta era una sola: tu sei in peccato, perché la omosessualità al maschie o al femminile é un peccato che grida vendetta davanti a Dio. La assoluzione si può amministrare solo dietro la presenza di un reale e concreto pentimento, consistente nella volontà di cambiare vita".

Come spiega la posizioni diverse dei vari ministri?: " non mi meravigliano. Fa parte del relativismo della Chiesa di oggi nella quale manca una teologia ufficiale ed uniforme ed ognuno dice la sua. In questo clima rilassato e protestante, la forza del magistero unico e decretato dal papa, é svanita, stessa cosa che accade nella liturgia. Non ha senso parlare di abusi liturgici, quando il vero grande abuso é stata la riforma".

Le piace la cripta dove hanno traslato le spoglie mortali di Padre Pio?: " attenzione. La Chiesa ha sempre deicato alla glroria di Dio elegenza e decoro, anche solennità e ha fatto bene, anche se le chiese moderne non sempre rispecchiano questo concetto.Ma la cripta di Padre Pio mi pare di cattivo gusto,pacchiana e ricorda un tempio islamico od orientale".

martedì 27 aprile 2010

meminisse iuvabit


Concilio di Trento
SESSIONE XII (10 settembre 1551)

Capitolo VII.
Della preparazione necessaria per ricevere degnamente la santa eucarestia.

Se non è lecito ad alcuno partecipare a qualsiasi sacra funzione, se non santamente, certo, quanto più il cristiano percepisce la santità e la divinità di questo celeste sacramento, tanto più diligentemente deve guardarsi dall’avvicinarsi a riceverlo senza una grande riverenza e santità, specie quando leggiamo presso l’apostolo quelle parole, piene di timore: Chi mangia e beve indegnamente, mangia e beve il proprio giudizio, non distinguendo il corpo del Signore (221).

Chi, quindi, intende comunicarsi, deve richiamare alla memoria il suo precetto: L’uomo esamini se stesso (225). E la consuetudine della chiesa dichiara che quell’esame è necessario così che nessuno, consapevole di peccato mortale, per quanto possa credere di esser contrito, debba accostarsi alla santa eucarestia senza aver premesso la confessione sacramentale.

Il santo sinodo stabilisce che questa norma si debba sempre osservare da tutti i cristiani, anche da quei sacerdoti che sono tenuti per il loro ufficio a celebrare, a meno che non manchino di un confessore. Se poi, per necessità, il sacerdote celebrasse senza essersi prima confessato, si confessi al più presto.

Capitolo VIII.
Dell’uso di questo ammirabile sacramento.

Quanto al retto e sapiente uso, i nostri padri distinsero tre modi di ricevere questo santo sacramento. Dissero, infatti, che alcuni lo ricevono solo sacramentalmente, come i peccatori. Altri solo spiritualmente, quelli, cioè che desiderando di mangiare quel pane celeste, loro proposto, con fede viva, che agisce per mezzo dell’amore (226), ne sentono il frutto e l’utilità. Gli altri lo ricevono sacramentalmente e spiritualmente insieme, e sono quelli che si esaminano e si preparano talmente prima, da avvicinarsi a questa divina mensa vestiti della veste nuziale (227).

Nel ricevere la comunione sacramentale fu sempre uso, nella chiesa di Dio, che i laici la ricevessero dai sacerdoti; e che i sacerdoti che celebrano si comunicassero da sé. Quest’uso, che deriva dalla tradizione apostolica, deve a buon diritto esser osservato.

Finalmente questo santo sinodo con affetto paterno esorta, prega e supplica, per la misericordia del nostro Dio (228), che tutti e singoli i cristiani convengano una buona volta e siano concordi in questo segno di unità, in questo legame di amore, in questo simbolo di concordia; e che, memori di tanta maestà e di così meraviglioso amore di Gesù Cristo, nostro signore, che sacrificò la sua vita diletta come prezzo della nostra salvezza, e ci diede la sua carne da mangiare (229), credano e venerino questi sacri misteri del suo corpo e del suo sangue con tale costanza e fermezza di fede, con tale devozione dell’anima, con tale pietà ed ossequio, da poter ricevere frequentemente quel pane supersostanziale (230), ed esso sia davvero per essi vita dell’anima e perpetua sanità della mente, cosicché, rafforzati dal suo vigore, da questo triste pellegrinaggio possano giungere alla patria celeste, dove potranno mangiare, senza alcun velo, quello stesso pane degli angeli (231), che ora mangiano sotto sacre specie.

Ma poiché non basta dire la verità, se non si scoprono e non si ribattono gli errori, è piaciuto al santo sinodo aggiungere questi canoni, di modo che tutti, conosciuta ormai la dottrina cattolica, sappiano anche da quali eresie devono guardarsi e devono evitare.

CANONI SUL SANTISSIMO SACRAMENTO DELL’EUCARESTIA

1. Se qualcuno negherà che nel santissimo sacramento dell’eucarestia è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il corpo e il sangue di nostro signore Gesù Cristo, con l’anima e la divinità, e, quindi, tutto il Cristo, ma dirà che esso vi è solo come in un simbolo o una figura, o solo con la sua potenza, sia anatema.

2. Se qualcuno dirà che nel santissimo sacramento dell’eucarestia assieme col corpo e col sangue di nostro signore Gesù Cristo rimane la sostanza del pane e del vino e negherà quella meravigliosa e singolare trasformazione di tutta la sostanza del pane nel corpo, e di tutta la sostanza del vino nel sangue, e che rimangono solamente le specie del pane e del vino, - trasformazione che la chiesa cattolica con termine appropriatissimo chiama transustanziazione, - sia anatema.

3. Se qualcuno dirà che nel venerabile sacramento dell’eucarestia, fatta la separazione, Cristo non è contenuto in ognuna delle due specie e in ognuna delle parti di ciascuna specie, sia anatema.

4. Se qualcuno dirà che, fatta la consacrazione, nel mirabile sacramento dell’eucarestia non vi è il corpo e il sangue del signore nostro Gesù Cristo, ma solo nell’uso, mentre si riceve, e non prima o dopo; e che nelle ostie o parti consacrate, che dopo la comunione vengono conservate e rimangono, non rimane il vero corpo del Signore, sia anatema.

5. Se qualcuno dirà che il frutto principale della santissima eucarestia è la remissione dei peccati, o che da essa non provengono altri effetti, sia anatema.

6. Se qualcuno dirà che nel santo sacramento dell’eucarestia Cristo, unigenito figlio di Dio, non debba essere adorato con culto di latria, anche esterno; e, quindi, che non debba neppure esser venerato con qualche particolare festività; ed esser portato solennemente nelle processioni, secondo il lodevole ed universale rito e consuetudine della santa chiesa; o che non debba essere esposto alla pubblica venerazione del popolo, perché sia adorato; e che i suoi adoratori sono degli idolatri, sia anatema.

7. Se qualcuno dirà che non è lecito conservare la santa eucarestia nel tabernacolo; ma che essa subito dopo la consacrazione debba distribuirsi agli astanti; o non esser lecita che essa venga portata solennemente agli ammalati, sia anatema.

8. Se qualcuno dirà che Cristo, dato nell’eucarestia, si mangia solo spiritualmente, e non anche sacramentalmente e realmente, sia anatema.

9. Se qualcuno negherà che tutti e singoli i fedeli cristiani dell’uno e dell’altro sesso, giunti all’età della ragione, sono tenuti ogni anno, almeno a Pasqua, a comunicarsi, secondo il precetto della santa madre chiesa, sia anatema.

10. Se qualcuno dirà che non è lecito al sacerdote che celebra comunicare se stesso, sia anatema.

11. Se qualcuno dirà che la fede è preparazione sufficiente per ricevere il sacramento della santissima eucarestia, sia anatema.

E perché un così grande sacramento non sia ricevuto indegnamente e, quindi, a morte e a condanna, lo stesso santo sinodo stabilisce e dichiara che quelli che hanno la consapevolezza di essere in peccato mortale, per quanto essi credano di essere contriti, se vi è un confessore, devono necessariamente premettere la confessione sacramentale.

Se poi qualcuno crederà di poter insegnare, predicare o affermare pertinacemente il contrario, o anche difenderlo in pubblica disputa, perciò stesso sia scomunicato.

lunedì 26 aprile 2010

il male presente

Emanuel Andrè
Abate O.S.B.
SACERDOZIO E MINISTERO

LIBRO TERZO
Il campo del ministero

CAPITOLO I
DONDE LA NECESSITA DEL MINISTERO ECCLESIASTICO

L'autorità ecclesiastica come l'autorità civile, e, conseguentemente tutta l'economia del santo ministero, hanno la loro ragione di essere dopo la caduta originale.
Se Adamo non fosse caduto, l'umanità fedele a Dio avrebbe goduto di una felicità così grande che avrebbe avuto al di sopra di se stessa soltanto la felicità della vita eterna.
L'uomo sottomesso a Dio avrebbe attinto direttamente la vita dalla grazia; non avrebbe avuto bisogno di una guida per trovare Dio, e con la santa e divina grazia sarebbe andato a Lui senza inciampare e senza venir meno.
Ma l'umanità non è più così; il peccato è entrato nel mondo e ha mutato in un modo sorprendente tutte le condizioni di questa terra. Per difenderci contro gli iniqui, Dio volle che nella società vi fosse l'autorità dei re e per ricondurci al bene e alla vita eterna volle che ci fosse un'autorità ecclesiastica e un ministero ecclesiastico e infine volle che le sue grazie giungessero agli uomini attraverso mezzi proporzionati ai bisogni degli uomini decaduti.
Adamo, dimentico di ciò che doveva a Dio, considerò cosa buona piacere ad Eva, come Eva aveva considerato cosa buona ubbidire a Satana; e Dio volendo che il rimedio rispondesse alla natura della colpa, da parte sua considerò cosa buona che l'uomo fosse assoggettato all'uomo, sottomesso ai sacramenti, sottomesso a un minuzzolo di pane, a una goccia d'acqua.
Cioè Dio umiliò la sua creatura orgogliosa e qui il nostro ministero ha la sua ragione di essere; per essere i ministri della salvezza degli uomini, noi siamo i ministri dell'umiliazione degli uomini.
Quanto queste prospettive devono umiliarci se abbiamo gli occhi per vedere la profondità dell'umana caduta, la vera natura dei rimedi dei quali siamo ministri e, per conseguenza, la vera natura del nostro ministero!
Oh! Non abbiamo certamente nulla per gloriaci dell'autorità che Dio ci ha dato, dal momento che questa autorità è essa stessa una prova sempre parlante, una testimonianza sempre irrevocabile della caduta dell'umanità, della nostra caduta in essa e con essa. Ora che siamo caduti abbiamo il duplice obbligo di rialzarci e di lavorare a rialzare gli altri.
Il primo sta al di sopra delle forze dell'uomo; che diremo dunque, che faremo noi che con questo primo obbligo dobbiamo rispondere anche al secondo?
Siamo dei caduti: è qui, nell'attuale condizione dell'umanità, la ragione del ministero ecclesiastico.

CAPITOLO II
LA NATURA DEL MALE PRESENTE

Il male presente è semplicemente il peccato originale e le sue conseguenze. Qualunque sia il nome col quale si chiama, il male presente non è, non può essere un'altra cosa. Il peccato è entrato nel mondo per mezzo di Adamo; il peccato di Adamo è diventato il peccato dell'intero genere umano: è da quest'unica sorgente, ma fecondissima, troppo feconda, da dove sono venute tutte le sventure delle anime.
Il peccato originale, anche là dov'è stato cassato dal battesimo, ha lasciato la triplice concupiscenza: l'orgoglio, l'avarizia, la voluttà.
La nostra maggior disgrazia sta nel fatto che queste infelici concupiscenze hanno ripreso il sopravvento nei battezzati; e in questo modo vi regnano così potentemente che il battesimo, la cresima e la comunione sembrano aver perduto la loro efficacia sulle anime d'oggi.
Molti cristiani ahimè! sembrano battezzati soltanto per diventare degli apostati; molti sembrano stati cresimati per rinunciare allo Spirito Santo piuttosto che per riceverlo; non ci sono quelli che partecipano all'Eucarestia solo per calpestare più autenticamente il Figlio d'Iddio?
Perciò i rimedi che dovevano salvare si mutano in veleno mortifero: i sacramenti, che sono i canali della grazia, troppo spesso diventano i sigilli del peccato.
In troppi luoghi l'apostasia è lo stato generale delle anime, un'apostasia sovente più stupida che voluta: si vive fuori di Dio, di nostro Signore, dello Spirito Santo, fuori da tutto ciò che è soprannaturale.
E nonostante ciò si è dei battezzati! Quale oltraggio alla grazia divina! Quale oltraggio allo Spirito Santo! Quale ingratitudine verso Dio, verso l'adorabile persona del Salvatore, verso lo Spirito Santo!

CAPITOLO III
COME SI PROPAGA IL MALE PRESENTE

La sorgente del male, l'abbiamo detto, è il peccato originale. Questa sorgente, però, è segretissima, e proprio dal segreto che l'avvolge trae maggior facilità per propagare i suoi veleni.
Il peccato originale è poco conosciuto, e spesso mal conosciuto. Poiché ha gettato le anime nell'ignoranza, sembra impegnarsi a nascondere soprattutto la sua malizia che essenzialmente consiste in due cose: la perdita della giustizia originale e il deterioramento della natura: ma oggi, pur ammettendo la perdita della giustizia originale, si vorrebbe tuttavia non riconoscere che la natura è stata deteriorata.
Questa conoscenza così monca del peccato originale lascia campo libero ad una folla di errori, ed è assolutamente impotente nella salvezza di alcunché, seguendo la massima assai conosciuta: «Bonum ex integra causa: malum ex quocunque defectu ».
Da questo non saper e non voler riconoscere il deterioramento della natura causato dal peccato originale derivano conseguenze funestissime.
La natura diventa orgogliosa di sé stessa nonostante la solenne espressione dell'Apostolo: « Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l'avessi ricevuto » (1 Cor. 4,7) .
La natura, essendosi fatta cieca sul suo male, è portata ad abusare del suo proprio bene. Ne abusa col farsene una arma contro Dio e nello stesso tempo per ferire sé stessa con nuove ferite. Possiede la ragione, la libertà e i sensi e ne abusa. La sua insolente rivolta contro Dio l'imprigiona nel naturalismo; e con uno strascico di inevitabili conseguenze la sua ragione sprofonda nel razionalismo, la sua libertà nel liberalismo e i suoi sensi nella sensualità.
Eppure dopo tutte queste spaventose conquiste nel male, la natura, essendo rimasta insoddisfatta, si volta contro il Salvatore; nega la sua divinità, l'umanità, la grazia, la sua Chiesa, per finire col negare tutto. Poi dice a se stessa come l'antica Babilonia: « Io e nessuno fuori di me » (Is. 48,8).
È vero che il male non è grande in tutte le anime; ma negli stessi credenti le verità sono singolarmente diminuite. Esiste per essi un naturalismo addolcito che non si preoccupa di esser elevato a dogma, ma che si contenta perfettamente di esser accettato come dottrina pratica. C'è un razionali; smo mitigato che non condanna la fede, ma che spesso si riserva il diritto di giudicarla; c'è anche un liberalismo cattolico; e benché non si sia ancora osato di pronunciare il nome di un sensualismo cattolico, si deve tuttavia ammettere che il sensualismo ha già invaso molte anime cattoliche nelle quali la vita sensuale è giunta a soffocare la conoscenza della stessa mortificazione cristiana, senza la quale, però, secondo la testimonianza dell'Apostolo non esiste la vita davanti a Dio: « Poiché se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece con l'aiuto dello Spirito voi fate morire le opere del vostro corpo, vivrete » (Rm. 8,13) .
Qui bisogna sottolineare un fatto capitale sul quale il razionalismo ha singolarmente falsificato le idee delle stesse anime buone. Se si studiassero gli autori che hanno trattato della grazia fino al secolo XV o XVI e si confrontassero con essi gli autori dei tempi moderni, si potrebbe osservare che esiste tra loro una differenza considerevole. In quella si riconosce in tutta la sua potenza la grazia medicinale del Redentore, la gratuità e l'efficacia. Nei moderni, invece, l'efficacia della grazia per lo più è attribuita alla volontà della creatura mentre anticamente la si considerava come un dono della stessa grazia. Riteniamo perciò che gli uomini, anche quelli cristiani, del nostro tempo non sono in grado di leggere il trattato di San Bernardo: «De gratia et libero arbitrio» senza smarrirsi, e, forse, senza scandalizzarsi, L'Abate Rohrbacher non ha forse scritto che San Bernardo non seppe fare distinzione della natura e della grazia? Voi pigmei del secolo XIX, voi avete scritto ciò riguardo San Bernardo, voi avete scritto lo stesso di Sant'Agostino.
I piccoli uomini del tempo presente non hanno ricevuto dalla grazia le percezioni che ricevettero gli antichi, perciò non ritengono di aver tanta necessità di pregare per chiedere, ottenere e conservare la grazia. Che cos'è la preghiera oggi? Dove le anime che pregano? Non è forse vero che la maggior parte dei cristiani che ancora pregano fanno consistere la preghiera nella recita di formule? Oh quanto sono lontani dal cristianesimo di nostro Signore e dei suoi Apostoli che è spirito e vita!

CAPITOLO IV
COME PUÒ ESSERE GUARITO IL MALE PRESENTE

Nostro Signore è l'unico Salvatore degli uomini, perciò fuori di Lui non si trova assolutamente alcun rimedio ai mali che ci affliggono: « In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati » (At. 4,12) .
Se la natura è ammalata del male chiamato naturalismo, per essere guarita deve sottomettersi a Gesù, altrimenti conserverà il proprio male che la perderà senza posa e per sempre.
Bisogna però osservare che la sottomissione necessaria per la guarigione dev'essere totale e affettuosa: è necessario abbandonarsi al medico celeste per ricevere l'intera efficacia dei suoi divini rimedi: ogni riserva nella sottomissione non solo compromette la guarigione, ma spesso la fa diventare impossibile: « Io voglio essere battezzato, disse l'eunuco della regina d'Etiopia ». Si, gli rispose Filippo, se tu credi con tutto il tuo cuore; « si credis ex toto corde tuo » (Atti ,8,37). La salvezza si compie a questa condizione.
La ragione ha il suo male che è il razionalismo. Anch'essa per guarire ha bisogno di sottomettersi, di sottomettersi alla fede. Che cosa di più giusto! La ragione creata si deve tutta intera alla ragione increata, la ragione umana alla ragione divina.
Erra la ragione umana quando ,crede di farsi grande studiandosi di mostrare la sua indipendenza da Dio. Proprio come il figlio prodigo nell'abbandonare la casa paterna.. Che cosa trovò egli lontano da suo padre? L'indigenza e la vergogna. La ragione che si scosta dalla fede non può sognare altro. La sua salvezza sta nella parola del figlio prodigo: « Mi alzerò e andrò da mio padre » (Lc. 15,18) .
Qui bisogna sottolineare un'altra illusione grandemente funesta nella quale sono cadute molte persone sebbene di rispetto. Poiché è necessario che la ragione 'umana cammini clan la fede, queste persone reputarono di far bene diminuendo la fede; cioè attenuarono le divine esigenze della fede e diminuirono i suoi diritti imprescrittibili, con lo scopo, dicevano a se stessi, di farla più facilmente accettabile. Ma perché fare per le anime ciò che non farebbero per i corpi i medici degni di questo nome? Essi conoscono la dose necessaria perché un farmaco faccia guarire e non si lasciano indurre a prescrivere una dose minore col pretesto che sarà più facile a prendersi; sanno bene che a questa condizione noi vi sarebbe guarigione, e non faranno mai questo. Medici delle anime, perché saremo noi sacerdoti meno abili dei medici dei corpi? «I figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce» (Lc. 16,8).
La libertà ha il suo male che è il liberalismo. La libertà è una bellissima e degnissima facoltà dell'anima; il liberalismo è un modo di essere della libertà, ma un modo di essere falso e forzato. Perché la libertà si è data per il bene e per il merito, mentre il liberalismo è una libertà che si compiace fuori del bene e del merito. Come il razionalismo è un abuso della ragione, il liberalismo è un abuso della libertà: abuso che consiste nel fare della libertà stessa la regola della libertà. Ma Dio solo è regola a sé stesso e ogni creatura che vuole imitare Dio in questo non fa che imitare Satana, il primo fra i ribelli. La ragione ha la sua regola nella ragione di Dio che è la fede, e la libertà ha la sua regola nella volontà di Dio che è la carità.
La carità illumina, dirige, sostiene, fortifica la libertà e le fa compiere meravigliosi progressi: perché più l'uomo progredisce nel bene e nel merito, più è libero. Ascoltiamo la grande voce della Chiesa: « Populum tuum, quaesumus Domine, coelesti dono prosequere ut et perfectam libertatem consegui mereatur et ad vitam proficiat sempiternam » (Orazione del lunedì di Pasqua prima della riforma liturgica).
Ciò ci porta a citare nuovamente, per meglio comprenderla e ammirarla, la sublime frase di Sant'Agostino: « Libertas est charitas » (De natura et gratia, lib. I, cap. LXV) .
Se poi ci inoltriamo nello studio del male presente, troviamo il sensualismo, l'amore del benessere materiale, l'amore della soddisfazione dei sensi; l'impulso di Eva verso il frutto che le sembrava bello a vedersi e buono a mangiarsi.
Il rimedio a questo male tanto comune e così profondamente radicato nella natura è la penitenza. Fate penitenza, diceva nostro Signore ed era la prima parola della sua predicazione. La penitenza è così necessaria che un giorno egli disse: « Se non farete penitenza, perirete tutti allo stesso modo » (Lc. 13,3).
La parola penitenza è diventata poco gradita a intendersi e vi è una specie di pudore, di nuovo genere, a pronunciarla.
Ci si è allontanati dalla strada della penitenza che una specie di sant'uomo spacciò gravemente questa massima: «II digiuno non appartiene più allo spirito della Chiesa; oggi è l'orazione, è l'orazione». Ecco: col pretesto della spiritualità si è giunti a cancellare una buona parte del Vangelo: se poi qualcosa ne ha tratto guadagno, ci si dica che non è il sensualismo?