sabato 3 luglio 2010

contro gli illuminati

Mancuso contro Benedetto XVI
di Francesco Agnoli


L’articolo di Mancuso sulla questione Sodano-Schoenborn-Bendetto XVI tira sempre nella stessa direzione: una critica totale, assoluta, alla Chiesa come istituzione.

Come al solito si scorge molto bene una cosa: non è la lotta alla pedofilia che interessa, ma l’utilizzazione delle colpe degli uomini di Chiesa che diventa utile per proporre una critica radicale, totalmente distruttiva.

Il papa deve smettere di fare il papa, i cardinali i cardinali e la Chiesa deve auto-sciogliersi, perché il peccato è alla radice, nella sua struttura, non nei suoi uomini. Questo è quello che chiede Repubblica, e lo fa attraverso le parole di una sacerdote che oggi non esercita più, ma che rimane, per la teologia cattolica, “sacerdos in eternum”: Vito Mancuso. Ribadisco questa appartenenza dell’autore dell’articolo, non, come si potrebbe pensare, per denigrare il voltagabbana, ma per far meglio capire cosa vi sia dietro: i peggiori nemici della Chiesa, il papa lo ha ribadito più volte, vengono dal suo interno.

Sin dai tempi del vescovo Giuda, senza il quale i nemici esterni non avrebbero avuto chi desse loro il la. E questi nemici non sono necessariamente o solamente i preti pedofili: quelli sono dei poveretti, dei miserabili, se vogliamo, di una miseria che oggi è purtroppo sempre più diffusa in tutti gli ambienti. Sono, come dicono le indagini scientifiche, persone incapaci di relazioni con adulti della loro età; spesso, come nel caso di tantissimi laici abusatori, persone che hanno subito a loro volta delle violenze; sovente hanno avuto una vita familiare affettivamente complicata e desolante. Certamente costoro minano la fede di tante persone, fanno tanto male, ma il loro è un peccato personale individuale, che desta immensa rabbia e nello stesso tempo, profonda pena.

Diversa la posizione dei Mancuso, dei Kung, dei Martini, degli Scohenborn: anche loro stanno in qualche modo all’interno della Chiesa, ma come confessava il sacerdote modernista Ernesto Bonaiuti, al solo scopo di distruggerla, di stravolgerla dall’interno. Ci provano da venti secoli, senza successo. Ci provano proprio perché nella Chiesa hanno vissuto e di essa hanno visto le miserie e i peccati, ma, invece che comprenderne l’origine, umana, solo umana, ritengono di addossare le colpe delle singole persone all’Istituzione in quanto tale.

Ritengono, nella loro ubris, che la salvezza possa essere una questione personale, come se Cristo non avesse egli stesso voluto una Chiesa, una compagnia, divina ed umana insieme. Cerco di spiegarmi meglio: da tanti anni, forse da sempre, si confrontano nella Chiesa due anime. Una, diciamo così, tradizionalista, l’altra progressista. Entrambe partono da una idea: vorrebbero una Chiesa più santa, benché sia ben diversa la santità cui si riferiscono.

Gli uni, i primi, denunciano quindi la perdita di senso di sacro, il carrierismo di tanti vescovi, la simonia, la “sporcizia” che c’è nella Chiesa. Ma vi rimangono attaccati, come ad uno scoglio, perché sanno di non poter solcare, da soli, i mari della salvezza. Perché sanno che lo Spirito Santo è stato promesso a Pietro, e che, nonostante tutto, “le porte dell’inferno non prevarranno mai”.

I Siri, gli Ottaviani, i Ruffini, i Bacci, anche i Lefebvre, non hanno mai criticato la Chiesa come Chiesa, il papa in quanto papa. Hanno criticato singoli errori, veri o presunti tali, dei singoli papi; hanno lottato, discusso, si sono indignati, con una consapevolezza: che Cristo ci ha dato la Chiesa, che essa, nonostante tutto, è l’Istituzione che da duemila anni dimostra la sua forza, che è la sua miseria che regge di fronte a tutte le tempeste, che si riforma di continuo e che produce, essa sola, santi, e civiltà.

Perché il Vangelo, senza Chiesa, è un insieme di fogli che non serve a nulla, è parola morta, senza carne, senza vita. La fede del credente non vive di letture, ma di Eucaristia, di confessione, di adorazione, di sacramenti.

Poi c’è l’ala progressista, di Mancuso, Kung, Martini, don Gallo e chi più ne ha più ne metta . Quest’ala ha prodotto, nei secoli, milioni di eresie, di ricette personali, di riforme salvatrici, tutte sterili e brevi: fondate da uomini che magari scorgevano anche abusi ed errori veri, ma che poi, presi dalla superbia, finivano per ritenersi loro i depositari della Verità di Cristo, gli illuminati dallo Spirito Santo.

Contro la Chiesa, come Calvino, fondarono altre chiese, perché non si dà fede senza vita quotidiana, senza sacramenti, senza rito, senza condivisione. Con effetti veramente scarsi: cosa è rimasto dei pelagiani, dei dolciniani, dei socianiani, ma anche dei luterani, dei calvinisti o degli anglicani? Poche persone e tante divisioni… perché non si può dimenticare che Cristo ha scelto Pietro, pur sapendo bene che l’apostolo lo avrebbe rinnegato, di lì a poco. Pur sapendo che era un pescatore e un peccatore, con i suoi difetti. Insomma: un uomo. Mancuso dunque, inizia criticando la scelta del papa di riportare il collegio cardinalizio all’ordine (la critica, anche la più dura, non può essere fatta, nella Chiesa, come in una famiglia, via stampa, al di fuori di qualsiasi gerarchia e carità…), e finisce per distruggere il ruolo stesso del papa.

Mentre lo fa, chiama a suoi testimoni, a confortare la sua tesi, nientemeno che San Paolo, colui che resistette in faccia a san Pietro, e Dante. Evidentemente a sproposito, visto che Paolo contraddisse il papa, e lo portò dalla sua parte, senza mai negare la sua autorità. Anche l’aver citato Dante, quasi si ritenesse, povero Mancuso, un suo erede, risulta ridicolo: Dante può essere l’Ottaviani, il Siri, magari il Lefebvre del Medioevo, come tanti ce ne furono. Mise papi e cardinali, all’inferno, tuonò contro la corruzione, ma mai neppure per un attimo pensò che la Chiesa non fosse l’istituzione che Dio aveva scelto per i suoi seguaci. Non credette mai che il credente possa fare parte a sé, al di fuori del corpo mistico di Cristo. Accusava uomini di Chiesa, ma di non essere fedeli alla Chiesa stessa! Come faceva ogni giorno santa Caterina col papa, che pure chiamava “dolce Cristo in terra”, dopo averlo sonoramente bastonato.

Ma erano altri uomini, caro Mancuso, non intellettuali che credono di rifondare, loro, la Fede, magari con articoli di giornale: in loro, la critica nasceva dall’amore, non dalla superbia, il peccato più grave di tutti, per la teologia cattolica.

parte di questo articolo è oggi su Il Foglio


Giovedì 15 Luglio 2010
ore 20.30

Santuario
Madonna della Vita
Mozzio (Valle Antigorio)

SANTA MESSA CANTATA
in rito antico
nella vigilia della Madonna del Carmine

venerdì 2 luglio 2010

Poesia profetica di San Giovanni Bosco


Guerre fra sudditi e principi
fra il dogma e l'errore
fra le tenebre e la luce
fra il povero e il signore

Qualche grandioso evento
sta maturando in cielo
da far stupir la gente.
Si farà un gran rimpasto
fra tutte le nazioni,
il mondo andrà stirandosi
come un polentone.

Faranno un gran miscuglio
russi, tedeschi,
prussiani, cosacchi,
persiani, polacchi,
francesi e italiani;
e fin in Cina e in India
sarà la ribellione,
s'invocherà a calmarla
la vera religione.

Giammai la marmitta
ha bollito più forte,
Giammai s'è visto un torbido
di questa sorta
Più forte d' una folgore
sarà un terribile momento
di terrore e confusione.
Tutto vorrei dirvi
quanto arriverà
ma non fatemi profeta
fin tanto che avverrà

Vedremo ancora eventi
pieni di preoccupazione
prima che le cose arrivino
liete a conclusione
poi spunterà una luce
a consolar gli afflitti
che sentono da tempo
il ghiaccio nelle ossa.

Torneran cattoliche
la Prussia e l'Inghilterra
l'Italia avrà la pace,
il Turco cadrà a terra,
conquisteranno i luoghi
della santa Palestina
e sopra quelle cupole
sarà la Croce latina.

Allora ci sarà pace,
una pace universale
una pace cosi bella
che mai s'è vista uguale.

Traduzione dal dialetto piemontese
Dr. R. Algranati

mercoledì 30 giugno 2010

Questa casa è un nido di serpi, distruggiamola!

Riteniamo opportuno pubblicare un articolo di Pietro De Marco, apparso lo scorso febbraio nell’inserto fiorentino del “Corriere della Sera”:

UN CONFRONTO SULLA FEDE VECCHIO DI UN SECOLO

La formula “Leggere per non dimenticare”, che intitola a Firenze una nutrita, seguitissima serie di presentazioni di libri e autori, suonava particolarmente convincente ieri al pubblico più provveduto. Il confronto tra Vito Mancuso, che “insegna teologia” all’università privata Vita-Salute di Milano, e Corrado Augias, giornalista e autore-conduttore di programmi televisivi, ricordava infatti i toni e i contenuti di una tipica discussione d’inizio Novecento, tra un intellettuale cattolico modernista e un divulgatore agnostico e anticlericale.

Mancuso ha ripetuto, con una semplificazione che è già tutta nei suoi libri, qualcosa che il secolo scorso ha conosciuto fino alla nausea e al rigetto, filosofico e teologico. La fede è esperienza vitale, nasce dalla Vita, sussiste, se resta autentica, nella Vita; le religioni vengono dopo, interpretano variamente l’Esperienza, le si aggiungono come sovrastrutture; la Realtà è un tutto energetico, percorso come da una “corrente elettrica” che è la modalità autentica dell’esistere; il Dio personale del cristianesimo è teologia infantile o erronea, da superare, al pari di altri fondamenti della fede cristiana come il peccato, il male, l’immortalità dell’essere personale creato.

In un libretto recente, “La vita autentica”, il nostro “teologo” scrive: “Essendo tutto dominato dalla logica evolutiva, non esiste alcun punto fermo, se con fermo si intende qualcosa di statico e di immobile [...]. Dio è un punto fermo [...] nel senso di immutabile quanto alla dinamica del suo movimento vitale che è l’amore [...]. E va da sé che, non essendo Dio, a maggior ragione non sono punto fermo né la Bibbia [...] né la Chiesa con il suo magistero dottrinale [...], il quale parla veramente nel nome del Dio vivo solo se consente e incrementa il creativo dinamismo della libertà”. Un linguaggio disarmante, che non accetterei nella tesina di uno studente.

Mancuso aggiunge che “il punto in base al quale pensare me stesso e gli altri [...] non è statico, ma è dinamico, e tuttavia è fermo”. Per lui “il punto fermo di tipo dinamico” è una essenziale libertà non anarchica, un principio guida dell’essere. Un punto archimedeo. Sulla sua base, scrive: “sollevo me stesso, posso prendere in mano la mia vita, so cosa sono, attivo la mia natura profonda”.

Questo monismo energetico, disperante nella sua dogmaticità, può certamente apparire frutto di un tardo, sfilacciato New Age. La Rivelazione, le Rivelazioni, sono accessorie. Ma il sostrato teorico di Mancuso è ben descritto da molti passi di un testo scritto più di cento anni fa.

L’enciclica “Pascendi“, del settembre 1907, prima che condannare diagnosticava magistralmente derive simili. Per i modernisti, scriveva, “nel sentimento religioso si deve riconoscere come un’intuizione del cuore”; essa “mette l’uomo in contatto immediato la realtà stessa di Dio”, così “chiunque abbia questa esperienza diventa credente in senso vero e proprio”. Il filosofo religioso di tipo modernista divinizza sia il Cosmo sia il suo Principio immanente. Vale la pena di rileggere l’enciclica di Pio X, una diagnosi che fu giudicata in molte cerchie filosofiche un capolavoro. E che, perfetta per l’oggi, rivela il suo valore predittivo.

Da anni, leggendo Mancuso, sono diviso tra lo stupore per una cultura, filosofica e teologica, approssimativa ed esibita, e la riflessione sul suo successo. Che Augias abbia catturato Mancuso in un libro a due, che si vende molto, e che se lo porti dietro in un inesausto calendario di incontri, ha una sua logica. Mancuso produce, infatti, più danni nella religiosità comune e cattolica che la cultura ottocentesca del giornalista de “la Repubblica”. Dopo Adriano Prosperi, e altri, la coppia Mancuso-Augias garantisce una solida continuità di polemica anticattolica. Augias ha avuto persino il cattivo gusto di polemizzare a Firenze col suo “arcivescovo retrivo”.

Ma che la minoranza cattolica che legge di “teologia” accetti enunciati vitalistici che Max Weber avrebbe detto da rivista salottiera (“la vera fede si nutre delle interrogazioni radicali della vita perché sa di essere al servizio della vita”); e li accetti come “metodo” e come via d’uscita da quello che il nostro “teologo” definisce le incapacità teologiche della dommatica cattolica (che non conosce), produce allarme. Chi ha decostruito l’intelletto cattolico a questo punto?

Nella confusione che domina e nel dolore quotidiano per il crescere dell'odio a Cristo e alla Chiesa, se c'è un positivo, oltre alla statura cristiana ed umana di Benedetto, è che si stanno svelando i pensieri di molti cuori.

Pietro De Marco

Ben consapevoli che "Il danno maggiore, infatti, essa (la Chiesa) lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana" (Benedetto XVI nell'omelia di ieri) e  che "non solo da fuori vengono attacchi al Papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa"  (il Papa ai giornalisti sul volo per Fatima) stendiamo pietosi il velo tessuto da un grande poeta cristiano: un vecchio testo che descrive il dramma attuale della Chiesa.


"O Signore, difendimi dall'uomo che ha eccellenti intenzioni e cuore impuro: perché il cuore è su tutte le cose fallace, e disperatamente malvagio.(...)
Proteggimi dal nemico che ha qualcosa da guadagnare e dall'amico che ha qualcosa da perdere. (...)
Quelli che stanno in una casa il cui uso è dimenticato: sono come serpenti distesi su scale cadenti, soddisfatti, al sole.
E gli altri corrono intorno come cani, pieni di iniziativa, e fiutano ed abbaiano: dicono, “Questa casa è un nido di serpi, distruggiamola, mettiamo fine a questi abominii, alle turpitudini dei Cristiani”. Questi non sono giustificati, né lo sono gli altri.
E scrivono libri innumerevoli; troppo vacui e distratti per rimanere in silenzio: ognuno alla ricerca della propria elevazione, nascondendo la propria vuotezza.
Se umiltà e purezza non sono nel cuore non sono nella casa: e se non sono nella casa non saranno nella Città.
L’uomo che durante il giorno ha costruito qualcosa, quando cala la notte ritorna al focolare: per essere benedetto dal dono del silenzio, e prima di dormire si assopisce.
Ma siamo circondati da serpenti e da cani: per cui qualcuno deve stare all’opera, e altri tenere le lance.”

Thomas S. Eliot Cori da “La Rocca” Coro V

martedì 29 giugno 2010

Il danno maggiore la Chiesa lo subisce da ciò che inquina la fede

SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO

SANTA MESSA E IMPOSIZIONE DEL PALLIO
AI NUOVI METROPOLITI


OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Basilica Vaticana
Martedì, 29 giugno 2010


Cari fratelli e sorelle!

I testi biblici di questa Liturgia eucaristica della solennità dei santi Apostoli Pietro e Paolo, nella loro grande ricchezza, mettono in risalto un tema che si potrebbe riassumere così: Dio è vicino ai suoi fedeli servitori e li libera da ogni male, e libera la Chiesa dalle potenze negative. E’ il tema della libertà della Chiesa, che presenta un aspetto storico e un altro più profondamente spirituale.

Questa tematica attraversa tutta l’odierna Liturgia della Parola. La prima e la seconda Lettura parlano, rispettivamente, di san Pietro e di san Paolo sottolineando proprio l’azione liberatrice di Dio nei loro confronti. Specialmente il testo degli Atti degli Apostoli descrive con abbondanza di particolari l’intervento dell’angelo del Signore, che scioglie Pietro dalle catene e lo conduce fuori dal carcere di Gerusalemme, dove lo aveva fatto rinchiudere, sotto stretta sorveglianza, il re Erode (cfr At 12,1-11). Paolo, invece, scrivendo a Timoteo quando ormai sente vicina la fine della vita terrena, ne fa un bilancio consuntivo da cui emerge che il Signore gli è stato sempre vicino, lo ha liberato da tanti pericoli e ancora lo libererà introducendolo nel suo Regno eterno (cfr 2 Tm 4, 6-8.17-18). Il tema è rafforzato dal Salmo responsoriale (Sal 33), e trova un particolare sviluppo anche nel brano evangelico della confessione di Pietro, là dove Cristo promette che le potenze degli inferi non prevarranno sulla sua Chiesa (cfr Mt 16,18).

Osservando bene si nota, riguardo a questa tematica, una certa progressione. Nella prima Lettura viene narrato un episodio specifico che mostra l’intervento del Signore per liberare Pietro dalla prigione; nella seconda Paolo, sulla base della sua straordinaria esperienza apostolica, si dice convinto che il Signore, che già lo ha liberato “dalla bocca del leone”, lo libererà “da ogni male” aprendogli le porte del Cielo; nel Vangelo invece non si parla più dei singoli Apostoli, ma della Chiesa nel suo insieme e della sua sicurezza rispetto alle forze del male, intese in senso ampio e profondo. In tal modo vediamo che la promessa di Gesù – “le potenze degli inferi non prevarranno” sulla Chiesa – comprende sì le esperienze storiche di persecuzione subite da Pietro e da Paolo e dagli altri testimoni del Vangelo, ma va oltre, volendo assicurare la protezione soprattutto contro le minacce di ordine spirituale; secondo quanto Paolo stesso scrive nella Lettera agli Efesini: “La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti” (Ef 6,12).

In effetti, se pensiamo ai due millenni di storia della Chiesa, possiamo osservare che – come aveva preannunciato il Signore Gesù (cfr Mt 10,16-33) – non sono mai mancate per i cristiani le prove, che in alcuni periodi e luoghi hanno assunto il carattere di vere e proprie persecuzioni. Queste, però, malgrado le sofferenze che provocano, non costituiscono il pericolo più grave per la Chiesa. Il danno maggiore, infatti, essa lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità, intaccando l’integrità del Corpo mistico, indebolendo la sua capacità di profezia e di testimonianza, appannando la bellezza del suo volto. Questa realtà è attestata già dall’epistolario paolino. La Prima Lettera ai Corinzi, ad esempio, risponde proprio ad alcuni problemi di divisioni, di incoerenze, di infedeltà al Vangelo che minacciano seriamente la Chiesa. Ma anche la Seconda Lettera a Timoteo – di cui abbiamo ascoltato un brano – parla dei pericoli degli “ultimi tempi”, identificandoli con atteggiamenti negativi che appartengono al mondo e che possono contagiare la comunità cristiana: egoismo, vanità, orgoglio, attaccamento al denaro, eccetera (cfr 3,1-5). La conclusione dell’Apostolo è rassicurante: gli uomini che operano il male – scrive – “non andranno molto lontano, perché la loro stoltezza sarà manifesta a tutti” (3,9). Vi è dunque una garanzia di libertà assicurata da Dio alla Chiesa, libertà sia dai lacci materiali che cercano di impedirne o coartarne la missione, sia dai mali spirituali e morali, che possono intaccarne l’autenticità e la credibilità.

Il tema della libertà della Chiesa, garantita da Cristo a Pietro, ha anche una specifica attinenza con il rito dell’imposizione del Pallio, che oggi rinnoviamo per trentotto Arcivescovi Metropoliti, ai quali rivolgo il mio più cordiale saluto, estendendolo con affetto a quanti hanno voluto accompagnarli in questo pellegrinaggio. La comunione con Pietro e i suoi successori, infatti, è garanzia di libertà per i Pastori della Chiesa e per le stesse Comunità loro affidate. Lo è su entrambi i piani messi in luce nelle riflessioni precedenti. Sul piano storico, l’unione con la Sede Apostolica assicura alle Chiese particolari e alle Conferenze Episcopali la libertà rispetto a poteri locali, nazionali o sovranazionali, che possono in certi casi ostacolare la missione della Chiesa. Inoltre, e più essenzialmente, il ministero petrino è garanzia di libertà nel senso della piena adesione alla verità, all’autentica tradizione, così che il Popolo di Dio sia preservato da errori concernenti la fede e la morale. Il fatto dunque che, ogni anno, i nuovi Metropoliti vengano a Roma a ricevere il Pallio dalle mani del Papa va compreso nel suo significato proprio, come gesto di comunione, e il tema della libertà della Chiesa ce ne offre una chiave di lettura particolarmente importante. Questo appare evidente nel caso di Chiese segnate da persecuzioni, oppure sottoposte a ingerenze politiche o ad altre dure prove. Ma ciò non è meno rilevante nel caso di Comunità che patiscono l’influenza di dottrine fuorvianti, o di tendenze ideologiche e pratiche contrarie al Vangelo. Il Pallio dunque diventa, in questo senso, un pegno di libertà, analogamente al “giogo” di Gesù, che Egli invita a prendere, ciascuno sulle proprie spalle (cfr Mt 11,29-30). Come il comandamento di Cristo – pur esigente – è “dolce e leggero” e, invece di pesare su chi lo porta, lo solleva, così il vincolo con la Sede Apostolica – pur impegnativo – sostiene il Pastore e la porzione di Chiesa affidata alle sue cure, rendendoli più liberi e più forti.

Un’ultima indicazione vorrei trarre dalla Parola di Dio, in particolare dalla promessa di Cristo che le potenze degli inferi non prevarranno sulla sua Chiesa. Queste parole possono avere anche una significativa valenza ecumenica, dal momento che, come accennavo poc’anzi, uno degli effetti tipici dell’azione del Maligno è proprio la divisione all’interno della Comunità ecclesiale. Le divisioni, infatti, sono sintomi della forza del peccato, che continua ad agire nei membri della Chiesa anche dopo la redenzione. Ma la parola di Cristo è chiara: “Non praevalebunt – non prevarranno” (Mt 16,18). L’unità della Chiesa è radicata nella sua unione con Cristo, e la causa della piena unità dei cristiani – sempre da ricercare e da rinnovare, di generazione in generazione – è pure sostenuta dalla sua preghiera e dalla sua promessa. Nella lotta contro lo spirito del male, Dio ci ha donato in Gesù l’“Avvocato” difensore, e, dopo la sua Pasqua, “un altro Paraclito” (cfr Gv 14,16), lo Spirito Santo, che rimane con noi per sempre e conduce la Chiesa verso la pienezza della verità (cfr Gv 14,16; 16,13), che è anche la pienezza della carità e dell’unità. Con questi sentimenti di fiduciosa speranza, sono lieto di salutare la Delegazione del Patriarcato di Costantinopoli, che, secondo la bella consuetudine delle visite reciproche, partecipa alle celebrazioni dei Santi Patroni di Roma. Insieme rendiamo grazie a Dio per i progressi nelle relazioni ecumeniche tra cattolici ed ortodossi, e rinnoviamo l’impegno di corrispondere generosamente alla grazia di Dio, che ci conduce alla piena comunione.

Cari amici, saluto cordialmente ciascuno di voi: Signori Cardinali, Fratelli nell’Episcopato, Signori Ambasciatori e Autorità civili, in particolare il Sindaco di Roma, sacerdoti, religiosi e fedeli laici. Vi ringrazio per la vostra presenza. I santi Apostoli Pietro e Paolo vi ottengano di amare sempre più la santa Chiesa, corpo mistico di Cristo Signore e messaggera di unità e di pace per tutti gli uomini. Vi ottengano anche di offrire con letizia per la sua santità e la sua missione le fatiche e le sofferenze sopportate per la fedeltà al Vangelo. La Vergine Maria, Regina degli Apostoli e Madre della Chiesa, vegli sempre su di voi, in particolare sul ministero degli Arcivescovi Metropoliti. Col suo celeste aiuto possiate vivere e agire sempre in quella libertà, che Cristo ci ha guadagnato. Amen.