di Francesco Agnoli
L’articolo di Mancuso sulla questione Sodano-Schoenborn-Bendetto XVI tira sempre nella stessa direzione: una critica totale, assoluta, alla Chiesa come istituzione.
Come al solito si scorge molto bene una cosa: non è la lotta alla pedofilia che interessa, ma l’utilizzazione delle colpe degli uomini di Chiesa che diventa utile per proporre una critica radicale, totalmente distruttiva.
Il papa deve smettere di fare il papa, i cardinali i cardinali e la Chiesa deve auto-sciogliersi, perché il peccato è alla radice, nella sua struttura, non nei suoi uomini. Questo è quello che chiede Repubblica, e lo fa attraverso le parole di una sacerdote che oggi non esercita più, ma che rimane, per la teologia cattolica, “sacerdos in eternum”: Vito Mancuso. Ribadisco questa appartenenza dell’autore dell’articolo, non, come si potrebbe pensare, per denigrare il voltagabbana, ma per far meglio capire cosa vi sia dietro: i peggiori nemici della Chiesa, il papa lo ha ribadito più volte, vengono dal suo interno.
Sin dai tempi del vescovo Giuda, senza il quale i nemici esterni non avrebbero avuto chi desse loro il la. E questi nemici non sono necessariamente o solamente i preti pedofili: quelli sono dei poveretti, dei miserabili, se vogliamo, di una miseria che oggi è purtroppo sempre più diffusa in tutti gli ambienti. Sono, come dicono le indagini scientifiche, persone incapaci di relazioni con adulti della loro età; spesso, come nel caso di tantissimi laici abusatori, persone che hanno subito a loro volta delle violenze; sovente hanno avuto una vita familiare affettivamente complicata e desolante. Certamente costoro minano la fede di tante persone, fanno tanto male, ma il loro è un peccato personale individuale, che desta immensa rabbia e nello stesso tempo, profonda pena.
Diversa la posizione dei Mancuso, dei Kung, dei Martini, degli Scohenborn: anche loro stanno in qualche modo all’interno della Chiesa, ma come confessava il sacerdote modernista Ernesto Bonaiuti, al solo scopo di distruggerla, di stravolgerla dall’interno. Ci provano da venti secoli, senza successo. Ci provano proprio perché nella Chiesa hanno vissuto e di essa hanno visto le miserie e i peccati, ma, invece che comprenderne l’origine, umana, solo umana, ritengono di addossare le colpe delle singole persone all’Istituzione in quanto tale.
Ritengono, nella loro ubris, che la salvezza possa essere una questione personale, come se Cristo non avesse egli stesso voluto una Chiesa, una compagnia, divina ed umana insieme. Cerco di spiegarmi meglio: da tanti anni, forse da sempre, si confrontano nella Chiesa due anime. Una, diciamo così, tradizionalista, l’altra progressista. Entrambe partono da una idea: vorrebbero una Chiesa più santa, benché sia ben diversa la santità cui si riferiscono.
Gli uni, i primi, denunciano quindi la perdita di senso di sacro, il carrierismo di tanti vescovi, la simonia, la “sporcizia” che c’è nella Chiesa. Ma vi rimangono attaccati, come ad uno scoglio, perché sanno di non poter solcare, da soli, i mari della salvezza. Perché sanno che lo Spirito Santo è stato promesso a Pietro, e che, nonostante tutto, “le porte dell’inferno non prevarranno mai”.
I Siri, gli Ottaviani, i Ruffini, i Bacci, anche i Lefebvre, non hanno mai criticato la Chiesa come Chiesa, il papa in quanto papa. Hanno criticato singoli errori, veri o presunti tali, dei singoli papi; hanno lottato, discusso, si sono indignati, con una consapevolezza: che Cristo ci ha dato la Chiesa, che essa, nonostante tutto, è l’Istituzione che da duemila anni dimostra la sua forza, che è la sua miseria che regge di fronte a tutte le tempeste, che si riforma di continuo e che produce, essa sola, santi, e civiltà.
Perché il Vangelo, senza Chiesa, è un insieme di fogli che non serve a nulla, è parola morta, senza carne, senza vita. La fede del credente non vive di letture, ma di Eucaristia, di confessione, di adorazione, di sacramenti.
Poi c’è l’ala progressista, di Mancuso, Kung, Martini, don Gallo e chi più ne ha più ne metta . Quest’ala ha prodotto, nei secoli, milioni di eresie, di ricette personali, di riforme salvatrici, tutte sterili e brevi: fondate da uomini che magari scorgevano anche abusi ed errori veri, ma che poi, presi dalla superbia, finivano per ritenersi loro i depositari della Verità di Cristo, gli illuminati dallo Spirito Santo.
Contro la Chiesa, come Calvino, fondarono altre chiese, perché non si dà fede senza vita quotidiana, senza sacramenti, senza rito, senza condivisione. Con effetti veramente scarsi: cosa è rimasto dei pelagiani, dei dolciniani, dei socianiani, ma anche dei luterani, dei calvinisti o degli anglicani? Poche persone e tante divisioni… perché non si può dimenticare che Cristo ha scelto Pietro, pur sapendo bene che l’apostolo lo avrebbe rinnegato, di lì a poco. Pur sapendo che era un pescatore e un peccatore, con i suoi difetti. Insomma: un uomo. Mancuso dunque, inizia criticando la scelta del papa di riportare il collegio cardinalizio all’ordine (la critica, anche la più dura, non può essere fatta, nella Chiesa, come in una famiglia, via stampa, al di fuori di qualsiasi gerarchia e carità…), e finisce per distruggere il ruolo stesso del papa.
Mentre lo fa, chiama a suoi testimoni, a confortare la sua tesi, nientemeno che San Paolo, colui che resistette in faccia a san Pietro, e Dante. Evidentemente a sproposito, visto che Paolo contraddisse il papa, e lo portò dalla sua parte, senza mai negare la sua autorità. Anche l’aver citato Dante, quasi si ritenesse, povero Mancuso, un suo erede, risulta ridicolo: Dante può essere l’Ottaviani, il Siri, magari il Lefebvre del Medioevo, come tanti ce ne furono. Mise papi e cardinali, all’inferno, tuonò contro la corruzione, ma mai neppure per un attimo pensò che la Chiesa non fosse l’istituzione che Dio aveva scelto per i suoi seguaci. Non credette mai che il credente possa fare parte a sé, al di fuori del corpo mistico di Cristo. Accusava uomini di Chiesa, ma di non essere fedeli alla Chiesa stessa! Come faceva ogni giorno santa Caterina col papa, che pure chiamava “dolce Cristo in terra”, dopo averlo sonoramente bastonato.
Ma erano altri uomini, caro Mancuso, non intellettuali che credono di rifondare, loro, la Fede, magari con articoli di giornale: in loro, la critica nasceva dall’amore, non dalla superbia, il peccato più grave di tutti, per la teologia cattolica.
parte di questo articolo è oggi su Il Foglio