Riteniamo opportuno pubblicare un articolo di Pietro De Marco, apparso lo scorso febbraio nell’inserto fiorentino del “Corriere della Sera”:
UN CONFRONTO SULLA FEDE VECCHIO DI UN SECOLO
La formula “Leggere per non dimenticare”, che intitola a Firenze una nutrita, seguitissima serie di presentazioni di libri e autori, suonava particolarmente convincente ieri al pubblico più provveduto. Il confronto tra Vito Mancuso, che “insegna teologia” all’università privata Vita-Salute di Milano, e Corrado Augias, giornalista e autore-conduttore di programmi televisivi, ricordava infatti i toni e i contenuti di una tipica discussione d’inizio Novecento, tra un intellettuale cattolico modernista e un divulgatore agnostico e anticlericale.
Mancuso ha ripetuto, con una semplificazione che è già tutta nei suoi libri, qualcosa che il secolo scorso ha conosciuto fino alla nausea e al rigetto, filosofico e teologico. La fede è esperienza vitale, nasce dalla Vita, sussiste, se resta autentica, nella Vita; le religioni vengono dopo, interpretano variamente l’Esperienza, le si aggiungono come sovrastrutture; la Realtà è un tutto energetico, percorso come da una “corrente elettrica” che è la modalità autentica dell’esistere; il Dio personale del cristianesimo è teologia infantile o erronea, da superare, al pari di altri fondamenti della fede cristiana come il peccato, il male, l’immortalità dell’essere personale creato.
In un libretto recente, “La vita autentica”, il nostro “teologo” scrive: “Essendo tutto dominato dalla logica evolutiva, non esiste alcun punto fermo, se con fermo si intende qualcosa di statico e di immobile [...]. Dio è un punto fermo [...] nel senso di immutabile quanto alla dinamica del suo movimento vitale che è l’amore [...]. E va da sé che, non essendo Dio, a maggior ragione non sono punto fermo né la Bibbia [...] né la Chiesa con il suo magistero dottrinale [...], il quale parla veramente nel nome del Dio vivo solo se consente e incrementa il creativo dinamismo della libertà”. Un linguaggio disarmante, che non accetterei nella tesina di uno studente.
Mancuso aggiunge che “il punto in base al quale pensare me stesso e gli altri [...] non è statico, ma è dinamico, e tuttavia è fermo”. Per lui “il punto fermo di tipo dinamico” è una essenziale libertà non anarchica, un principio guida dell’essere. Un punto archimedeo. Sulla sua base, scrive: “sollevo me stesso, posso prendere in mano la mia vita, so cosa sono, attivo la mia natura profonda”.
Questo monismo energetico, disperante nella sua dogmaticità, può certamente apparire frutto di un tardo, sfilacciato New Age. La Rivelazione, le Rivelazioni, sono accessorie. Ma il sostrato teorico di Mancuso è ben descritto da molti passi di un testo scritto più di cento anni fa.
L’enciclica “Pascendi“, del settembre 1907, prima che condannare diagnosticava magistralmente derive simili. Per i modernisti, scriveva, “nel sentimento religioso si deve riconoscere come un’intuizione del cuore”; essa “mette l’uomo in contatto immediato la realtà stessa di Dio”, così “chiunque abbia questa esperienza diventa credente in senso vero e proprio”. Il filosofo religioso di tipo modernista divinizza sia il Cosmo sia il suo Principio immanente. Vale la pena di rileggere l’enciclica di Pio X, una diagnosi che fu giudicata in molte cerchie filosofiche un capolavoro. E che, perfetta per l’oggi, rivela il suo valore predittivo.
Da anni, leggendo Mancuso, sono diviso tra lo stupore per una cultura, filosofica e teologica, approssimativa ed esibita, e la riflessione sul suo successo. Che Augias abbia catturato Mancuso in un libro a due, che si vende molto, e che se lo porti dietro in un inesausto calendario di incontri, ha una sua logica. Mancuso produce, infatti, più danni nella religiosità comune e cattolica che la cultura ottocentesca del giornalista de “la Repubblica”. Dopo Adriano Prosperi, e altri, la coppia Mancuso-Augias garantisce una solida continuità di polemica anticattolica. Augias ha avuto persino il cattivo gusto di polemizzare a Firenze col suo “arcivescovo retrivo”.
Ma che la minoranza cattolica che legge di “teologia” accetti enunciati vitalistici che Max Weber avrebbe detto da rivista salottiera (“la vera fede si nutre delle interrogazioni radicali della vita perché sa di essere al servizio della vita”); e li accetti come “metodo” e come via d’uscita da quello che il nostro “teologo” definisce le incapacità teologiche della dommatica cattolica (che non conosce), produce allarme. Chi ha decostruito l’intelletto cattolico a questo punto?
Nella confusione che domina e nel dolore quotidiano per il crescere dell'odio a Cristo e alla Chiesa, se c'è un positivo, oltre alla statura cristiana ed umana di Benedetto, è che si stanno svelando i pensieri di molti cuori.
Pietro De Marco
Ben consapevoli che "Il danno maggiore, infatti, essa (la Chiesa) lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana" (Benedetto XVI nell'omelia di ieri) e che "non solo da fuori vengono attacchi al Papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa" (il Papa ai giornalisti sul volo per Fatima) stendiamo pietosi il velo tessuto da un grande poeta cristiano: un vecchio testo che descrive il dramma attuale della Chiesa.
"O Signore, difendimi dall'uomo che ha eccellenti intenzioni e cuore impuro: perché il cuore è su tutte le cose fallace, e disperatamente malvagio.(...)
Proteggimi dal nemico che ha qualcosa da guadagnare e dall'amico che ha qualcosa da perdere. (...)
Quelli che stanno in una casa il cui uso è dimenticato: sono come serpenti distesi su scale cadenti, soddisfatti, al sole.
E gli altri corrono intorno come cani, pieni di iniziativa, e fiutano ed abbaiano: dicono, “Questa casa è un nido di serpi, distruggiamola, mettiamo fine a questi abominii, alle turpitudini dei Cristiani”. Questi non sono giustificati, né lo sono gli altri.
E scrivono libri innumerevoli; troppo vacui e distratti per rimanere in silenzio: ognuno alla ricerca della propria elevazione, nascondendo la propria vuotezza.
Se umiltà e purezza non sono nel cuore non sono nella casa: e se non sono nella casa non saranno nella Città.
L’uomo che durante il giorno ha costruito qualcosa, quando cala la notte ritorna al focolare: per essere benedetto dal dono del silenzio, e prima di dormire si assopisce.
Ma siamo circondati da serpenti e da cani: per cui qualcuno deve stare all’opera, e altri tenere le lance.”
Thomas S. Eliot Cori da “La Rocca” Coro V