venerdì 30 luglio 2010

il concilio e il latino

Mons. Koch: Sacrosanctum Concilium
significa Messa ad orientem e in latino

Stralcio di un'intervista concessa dal nuovo Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'unità dei cristiani, Monsignor Kurt Koch, a Gaudium Press.

Questi due punti di vista [della Chiesa come Popolo di Dio e come mistero] influenzano anche la propria posizione sulla liturgia. Come deve essere intesa la liturgia di oggi?

Mons. Koch: Tutte quelle cose che alcune persone dicono che era il nuovo dopo il Concilio Vaticano II non furono un tema della Costituzione sulla Liturgia [Sacrosanctum Concilium]. Per esempio, la celebrazione dell'Eucaristia davanti ai fedeli non è mai stato oggetto di Tradizione. La Tradizione ha sempre inteso celebrare ad orientem perché questa era la posizione della risurrezione. Nella Basilica di San Pietro, la celebrazione ha avuto luogo di fronte al popolo per lungo tempo perché quella era la direzione verso l'Oriente. La seconda cosa era la lingua volgare. Il Concilio auspica che il latino resti la lingua liturgica"

 http://rorate-caeli.blogspot.com/2010/07/archbishop-koch-sacrosanctum-concilium.html

e in un'altra intervista sempre Mons. Koch fu ancor più espilicito:
"Il Concilio non ha abolito il latino nella liturgia. Al contrario, enfatizza che nel rito romano, salvi casi eccezionali, l’uso della lingua latina deve essere mantenuto. Chi tra i vocianti difensori del concilio desidera "accettare senza restrizioni" ciò?..Il Concilio ha dichiarato che la Chiesa considera il canto gregoriano come la "musica propria del rito romano" e che perciò deve avere "posto principale". In quante parrocchie questo è applicato "senza restrizioni ".." 

http://blog.messainlatino.it/2009/06/il-vescovo-di-basilea-ai-difensori-del.html

giovedì 29 luglio 2010

il papa e il card. Newman contro il liberalismo

La lotta al relativismo di BenedettoXVI è la stessa di Newman cento anni fa
di Paolo Rodari
 
Tutto è pronto a Cofton Park, periferia di Birmingham, per la beatificazione del cardinale John Henry Newman. Il 19 settembre il Papa, rompendo la regola da lui istituita che vuole che le beatificazioni siano celebrate da un rappresentante vaticano nella diocesi interessata, sarà sul luogo dove il cardinale anglicano, poi convertitosi al cattolicesimo, fondò l’Oratorio e concluse la sua vita. Ratzinger tiene molto a esserci.

In fondo il motivo del viaggio in Inghilterra e Scozia risiede qui. E poi, come dice Don Ian Ker, professore di teologia all’Università di Oxford e autore di “John Henry Newman: a biography”, “sono stati molti i Papi che hanno desiderato canonizzare Newman perché lo considerano una persona che ha dato il benvenuto alla modernizzazione ma rimanendo fedele all’autorità della chiesa”. Benedetto XVI ha dato un’importante accelerazione al processo di beatificazione. Certo, il miracolo attribuito a Newman grazie al quale Jack Sullivan ha superato una grave malattia alla spina dorsale ha accorciato i tempi. Ma è indubbio che la causa debba molto al Papa, alla sua spinta affinché la Fabbrica dei Santi giungesse al più presto a una conclusione.

Perché questo legame tra Ratzinger e Newman? Cosa spinse, già nel 1990, Ratzinger a definire Newman “grande dottore della chiesa”? Di risposte se ne possono dare tante. Una la dà Roderick Strange, rettore del Pontificio collegio Beda di Roma, istituto per la formazione delle vocazioni adulte di area inglese, da anni studioso di Newman. Nel suo ultimo lavoro uscito da poco in Italia, “John Henry Newman. Una biografia spirituale” (Lindau), Strange parla di un momento preciso nel quale si è reso evidente il debito di Ratzinger verso Newman. E’ il 18 aprile del 2005. Ratzinger, il giorno prima del conclave che poi l’avrebbe eletto, predica davanti al collegio dei cardinali. Qui cattura l’attenzione di tutti utilizzando l’immagine della chiesa come una barca scossa dalle onde create da correnti ideologiche, “dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo a un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via”. Dice Strange: “All’epoca fu considerato estremamente pessimista, in particolare nella conclusione: ‘Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie’. L’espressione ‘dittatura del relativismo’ può sembrare severa, eppure si collega al ‘mondo semplicemente non religioso’ di Newman. E non necessariamente il legame è una coincidenza”.

Il relativismo è per Benedetto XVI una minaccia. Perché quando la verità viene abbandonata si abbandona anche la libertà. E si scivola verso il totalitarismo. Ratzinger ne parla il 18 aprile del 2005. Ma già anni prima aveva esposto il tema. Quando? Ancora nel 1990, durante la conferenza per il centenario della morte di Newman.

Dice Strange: “In quell’occasione Ratzinger fece riferimento al legame tra verità e coscienza personale. Parlò di quando, da giovane seminarista poco tempo dopo la fine della Seconda guerra mondiale, fu introdotto al pensiero di Newman e proseguì sottolineando quanto fosse stato importante per lui il suo insegnamento sulla coscienza. Newman insegnava che la coscienza doveva essere nutrita come ‘un modo di obbedienza alla verità oggettiva’. E l’intera vita di Newman testimonia tale convinzione. Le prime esperienze di vita del futuro Pontefice erano state tuttavia molto diverse. ‘Avevamo sperimentato – disse Ratzinger – la pretesa di un partito totalitario che si riteneva il compimento della storia e che negava la coscienza dell’individuo. Uno dei suoi leader (Hermann Goering) aveva detto: ‘Non ho coscienza. La mia coscienza è Adolf Hitler’. Ecco lo slittamento nel totalitarismo. Quando la verità viene trascurata, quando non vi è uno standard oggettivo a cui fare appello, non creiamo spazio per facile tolleranza. La libertà viene lasciata senza difesa, alla mercé di chi è al potere. Il giovane Ratzinger provò quanto Newman aveva predetto: le conseguenze di quando la religione rivelata non viene riconosciuta come vera, oggettiva, ma viene considerata qualcosa di privato da cui la gente possa scegliere per sé qualsiasi cosa voglia”.

Newman venne creato cardinale nel 1879 da Leone XIII. Anch’egli stimava Newman, “il mio cardinale” lo chiamava. L’Osservatore Romano il 14 maggio, la vigilia del concistoro, pubblicò in prima pagina il discorso pronunciato da Newman dopo la consegna del Biglietto di nomina. Newman andò al cuore del problema che sentiva essere capitale. Disse: “Il liberalismo religioso è la dottrina secondo la quale non esiste nessuna verità positiva in campo religioso, ma che qualsiasi credo è buono come qualunque altro; e questa è la dottrina che, di giorno in giorno, acquista consistenza e vigore. Questa posizione è incompatibile con ogni riconoscimento di una religione come vera”. Scrive Inos Biffi sull’Osservatore del 20 maggio 2009: “E’ difficile non riconoscere la rovinosa attualità di questo liberalismo religioso, che preoccupava Newman nel 1879”. E preoccupa oggi Ratzinger.

da "il Foglio" di mercoledì 28 luglio 2010

mercoledì 28 luglio 2010

perdere l'anima

San Tommaso Moro a chi lo aveva tradito dietro la promessa del ducato di Cornovaglia disse:

«E' già un pessimo affare perdere la propria anima per il mondo intero, figuriamoci per la Cornovaglia» ...

... e per tutto ciò che alla Cornovaglia possa sostituirsi

lex credendi, lex credendi!


I paradossi postconciliari

Nell'elenco dei fatti più inspiegabili, più sfacciati perpetrati nei confronti dei dogmi del Santo Magistero della Chiesa Cattolica va annoverato, con estremo vigore, quello che fu l'allora invito alla partecipazione attiva nella Commissione Consilium per la redazione della nuova messa, dei sei consulenti pastori protestanti, Ronald Jasper, Massey Shepherd, Raymond George, Friedrich Kunneth, Eugene Brandt e Max Thurian in rappresentanza degli anglicani, del Consiglio Ecumenico delle Chiese, dei luterani e della comunità calvinista di Taizé. La cosa ha per un cattolico erudito dell'incredibile. Com'è possibile che in un compito tanto delicato, in quel preteso rinnovamento del fulcro del culto Cattolico, fra l'altro rinnovamento assolutamente non necessario, venissero chiamati come consulenti attivi proprio coloro che fino a poco tempo prima erano definiti come eretici perchè perennemente ostili agli insegnamenti ...

... della Chiesa di Cristo? Coloro che, come insegna la Chiesa Cattolica non possono essere nella Comunione dei Santi insieme a Nostro Signore? 127. Chi sono gli eretici? Gli eretici sono i battezzati che si ostinano a non credere qualche verità rivelata dà Dio e insegnata dalla Chiesa, per esempio, i protestanti. 124. Chi è fuori della comunione dei santi? E' fuori della comunione dei santi chi é fuori della Chiesa, ossia i dannati, gl'infedeli, gli ebrei, gli eretici, gli apostati, gli scismatici e gli scomunicati.

Alla luce di questa lapalissiana evidenza, se si intendeva autominare seriamente la credibilità della Chiesa Cattolica e di oscurare gli insegnamenti diinnumerevoli Papi Santi, tutti fermi nella medesima Verità di sempre, allora va detto che, con questo grave atto, si riuscì pienamente nell'intento. Difatti dopo il concilio almeno ottantamila sacerdoti esterefatti da certi capovolgimenti dottrinali lasciarono disgustati la talare.

Ufficialmente definiti solo osservatori i sei, come conferma il Vescovo William Baum (nominato Cardinale nel 1976 da Paolo VI) ebbero invece un ruolo molto più pragmatico: «Essi non si trovavano lì solo come osservatori, ma anche come consulenti che parteciparono attivamente al rinnovamento liturgico. Non avrebbe rappresentato molto se si fossero limitati ad ascoltare; essi vi contribuirono pienamente».

Il NOM ne è la prova evidente: una messa moderna protestantizzata, svuotata di contenuti e del tutto simile alla messa protestante di luterana memoria.
Lutero non nascose mai il suo accanito livore per la Messa- Sacrificio- Cattolica e per il Vicario di Cristo:

“Il papa è il diavolo; se io potessi uccidere il diavolo perché non dovrei farlo?”-“Quando la messa sarà stata rovesciata, io sono convinto che avremo rovesciato con essa tutto il papismo.
Il papismo, infatti, poggia sulla messa come su di una roccia, tutto intero, con i suoi monasteri, vescovadi, collegi, altari, ministeri e dottrine, in una parola, con tutta la sua pancia.
Tutto ciò crollerà necessariamente quando sarà crollata la loro messa sacrilega e abominevole. Io dichiaro che tutti i bordelli, gli omicidi, i furti, gli assassinii e gli adulterii sono meno malvagi di quella abominazione che è la messa papista».
E allora alla luce di queste insane parole e dell'insegnamento del Santo Magistero sull'eresia come pronunciarsi, come definire le "acute" scelte della Chiesa di allora?

Con tutto l'amore che possiamo avere verso coloro che si sono allontanati improvvidamente da Santa Madre Chiesa va detto che è altamente insano mutare ciò che Dio ha disposto per il Suo Corpo Mistico.
La via di salvezza è una sola: Extra Ecclesiam Nulla Salus.

Allora auspichiamo un immediato ritorno alla bellezza e alla Veracità della Chiesa di Cristo nell'immutabile Depositum Fidei e nella tradizione. Preghiamo con fede.

Giorgio Mastropasqua

martedì 27 luglio 2010

oggi come allora

Lettera di Mons. Lefebvre al Papa 
Pubblichiamo una lettera di Mons. Lefebvre al Papa, letta da lui stesso ai seminaristi nella conferenza spirituale ad Ecȏne del 25 maggio 1983. Essa conserva tutta la sua attualità ed esprime le ragioni profonde della battaglia della Fraternità Sacerdotale San Pio X per la fede.

Santo Padre,

oggi stesso il giornale parigino Le Figaro, titola in prima pagina a caratteri cubitali: Il Papa denuncia l’oppressione delle coscienze nel suo messaggio Urbi et Orbi del 4 aprile 1983. Certamente è in ragione di quella oppressione delle coscienze, esercitata in maniera inconcepibile all’interno della Chiesa, che voi prevedete un decreto per autorizzare l’antico rito romano della Messa. Non è infatti una oppressione iniqua il togliere ai sacerdoti il rito della loro Messa di ordinazione e costringerli, sotto pena di sospensione, ad adottare un nuovo rito alla cui istituzione hanno partecipato sei pastori protestanti?

E’ ai piedi del Crocifisso che vi rispondo, santo Padre, unito a tutti i vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli che hanno subito un vero martirio morale per l’imposizione forzata di questa riforma liturgica. Quante lacrime, quanto dolore, quante morti premature di cui sono responsabili coloro che hanno indebitamente imposto questi cambiamenti operati unicamente in nome di un ecumenismo aberrante. Per questo la mia risposta concernente il paragrafo del nuovo Ordo Missae è negativa.

Gli autori stessi della riforma hanno affermato che il suo scopo era “ecumenico”. Cioè destinato a sopprimere, senza toccare alla dottrina, ciò che dispiace ai nostri “fratelli separati”. Ma è evidente che ciò che dispiace ai nostri “fratelli separati” è la dottrina della Messa cattolica. Per dar loro soddisfazione si ha istituito una messa equivoca, ambigua, in cui la dottrina cattolica è stata evacuata. Come allora poter pensare che questa diminuzione delle fede sia stata ispirata dallo Spirito Santo? La definizione stessa della Messa, anche quella poi corretta dell’articolo 7 dell’Istituzione, mostra con evidenza questa diminuzione e anche falsificazione della dottrina. L’uso di questa messa ecumenica fa acquisire una mentalità protestante, indifferentista, che mette tutte le religioni sullo stesso piano, come lo fa la dichiarazione sulla libertà religiosa avente per base dottrinale i diritti dell’uomo, la dignità umana male intesa, condannata da San Pio X nella sua lettera sul Sillon.

Le conseguenze di questo spirito, diffuso all’interno della Chiesa sono deplorevoli e rovinano la vitalità spirituale della Chiesa. In coscienza noi non possiamo che allontanare i sacerdoti ed i fedeli dall’uso di questo nuovo Ordo Missae, se desideriamo che la fede cattolica integrale rimanga ancora viva. Quanto al primo paragrafo che concerne il concilio, accetto volentieri di firmarlo nel senso che la Tradizione è il criterio di interpretazione dei documenti, (ciò che è d’altra parte il senso della nota del concilio riguardo all’interpretazione dei testi), poiché è evidente che la Tradizione non è compatibile con la dichiarazione sulla libertà religiosa, secondo gli esperi stessi come i reverendi padri Congar e Meuret.

Così noi non vediamo altre soluzioni a questo problema che primo: sia accordata la libertà di celebrare secondo il rito antico in maniera conforme all’edizione dei libri liturgici di Papa Giovasnni XXIII. Secondo: la riforma del nuovo Ordo Missae per rendergli una espressione manifesta dei dogmi cattolici della realtà dell’atto sacrificale, della presenza reale per una adorazione più manifesta, della distinzione chiara del sacerdozio del prete e di quello dei fedeli e della realtà propiziatoria del sacrificio. Terzo: una riforma delle affermazioni o espressioni del concilio che sono contrarie al magistero officiale della Chiesa specialmente nella dichiarazione sulla libertà religiosa, nella dichiarazione sulla Chiesa e il mondo, nel decreto sulle religioni non cristiane ecc.

E’ vitale per la Chiesa affermare, tramite il sacrificio della Messa che vi è salvezza unicamente per il sacrificio di Nostro Signore, solo Salvatore, solo Sacerdote, solo Re. La religione cattolica è la sola vera le altre religioni sono false e trascinano le anime nell’errore e al peccato. Solo la religione cattolica è stata fondata da Nostro Signore Gesù Cristo quindi non ci si può salvare che per essa. Da ciò si deduce la necessità per tutte le anime di un battesimo valido e fruttuoso che le renda membra del Corpo Mistico di Nostro Signore. Da ciò proviene l’urgenza della Regalità Sociale di Nostro Signore iscritta nelle costituzioni per proteggere le anime cattoliche contro i pericoli dell’errore e del vizio e favorire le conversioni per la salvezza delle anime.

Ora queste verità sono ormai implicitamente negate o contraddette dal concilio Vaticano II, con la più grande soddisfazione dei nemici della Chiesa. E’ urgente, Santo Padre, rimettere in onore queste verità poiché sono la sostanza stessa e la ragion d’essere della Chiesa, la ragion d’essere del sacerdozio, dell’episcopato, del successore di Pietro. Santo Padre, non ho che un desiderio che ha animato tutta la mia vita ed è quello di lavorare per la salvezza delle anime nella più perfetta sottomissione al successore di Pietro, secondo la fede cattolica che mi è stata insegnata nella mia infanzia e a Roma, nella città eterna. Mi è quindi impossibile firmare qualunque cosa porti pregiudizio a questa fede. Come è il caso per il falso ecumenismo e la falsa libertà religiosa. Voglio vivere e morire nella fede cattolica, pegno della vita beata ed eterna.

Che sua Santità si degni di credere ai miei sentimenti rispettosi e filiali.

lunedì 26 luglio 2010

un arcivescovo esemplare

Mons. Malcom Ranjith invoca un rinnovamento liturgico nella sua arcidiocesi di Colombo

L'arcivescovo di Colombo, Malcom Ranjith, con una recente lettera circolare, ha proclamato dall'agosto 2010 all'agosto 2011 un "anno dell'Eucaristia" per la sua arcidiocesi. Tra le tante altre interessantissime indicazioni ecco alcuni obiettivi e alcuni indirizzi che Mons. Malcom si propone per quest'anno:

"Verrà fatto uno sforzo, nel corso di quest'anno, per rendere comuni i canti popolari in latino. Con questo obiettivo in mente il coordinatore diocesano per la Liturgia, il sig. Francesco D'Almeida organizzerà prove di canto in tutti i 15 decanati e insegnerà a tutti i cori alcuni canti latini di base che possono essere utilizzati nelle parrocchie e negli istituti. Una volta che queste sessioni di prove saranno state fatte, le parrocchie potranno cantare almeno il Kyrie, Gloria, Sanctus e Agnus Dei nelle Messe parrocchiali della prima Domenica del mese. Il num. 36 della Costituzione sulla Sacra Liturgia (Sacrosanctum Concilium) espone con chiarezza i princìpi stabiliti a questo riguardo. Il Latino rimane ancora la principale lingua liturgica della Chiesa. In Sri Lanka abbiamo fatto un errore ad abbandonare del tutto il linguaggio della nostra liturgia [bisogna pensare che in Sri Lanka ci sono tre lingue che coesistono Cingalese, Tamil e Inglese e le celebrazioni a Colombo devono spesso essere plurilingue per non scontentare nessuno, finendo per essere lunghissime e verbose]. Che questo Anno Eucaristico sia un'occasione per noi per resuscitare,almeno in parte, questa tradizione smarrita. Faccio appello a tutti i sacerdoti, religiosi e laici a collaborare.

Desidero inoltre affermare che, come indicato nel Motu Proprio Summorum Pontificum del 7 luglio 2007, i sacerdoti e le istituzioni sono ormai autorizzati a celebrare, dove è opportuno, la Messa tridentina e i sacramenti in quel rito. In questo caso è meglio che i fedeli siano preparati per questo in anticipo. Mi auguro di celebrare io stesso una solenne Eucaristia in questo rito nel prossimo futuro presso la Cattedrale dell'Arcidiocesi."


Testo presto da: http://www.cantualeantonianum.com/

Il venerabile servo di Dio Pio XII scrisse...

...da cardinale

"Sono preoccupato per il messaggio che ha dato la Beata Vergine a Lucia di Fatima. Questo insistere da parte di Maria, sui pericoli che minacciano la Chiesa, è un avvertimento divino contro il suicidio di alterare la fede, nella Sua Liturgia, la sua Teologia e la Sua anima… Sento tutt’intorno a me questi innovatori che desiderano smantellare la Sacra Cappella, distruggere la fiamma universale della Chiesa, rigettare i suoi ornamenti e farla sentire in colpa per il Suo passato. Verrà un giorno in cui il mondo civilizzato negherà il proprio Dio, quando la Chiesa dubiterà come dubitò Pietro. Sarà allora tentata di credere che l’uomo è diventato Dio. Nelle nostre chiese, i Cristiani cercheranno invano la lampada rossa dove Dio li aspetta. Come Maria Maddalena, in lacrime dinanzi alla tomba vuota, si chiederanno: Dove lo anno portato? ”

domenica 25 luglio 2010

Ultreya!


Pubblichiamo di seguito il messaggio inviato da Benedetto XVI in occasione dell'Anno Santo Compostelano, che ha avuto inizio nel pomeriggio di giovedì 31 dicembre con l'apertura della Porta Santa nella cattedrale di Santiago de Compostela. L'Anno Santo 2010 è il 119° di una storia iniziata nel 1120 con Papa Callisto II, che concesse all'arcidiocesi spagnola il privilegio di poter convocare un Anno santo ogniqualvolta la festa di san Giacomo, il 25 luglio, fosse caduta di domenica.

A monsignor Julián Barrio Barrio
Arcivescovo di Santiago de Compostela

1. In occasione dell'apertura della Porta Santa, che dà inizio al Giubileo Compostelano 2010, faccio giungere un cordiale saluto a lei, Eccellenza, e ai partecipanti a questa significativa cerimonia, come pure ai pastori e ai fedeli di questa Chiesa particolare, che, per il suo vincolo immemorabile con l'Apostolo Giacomo, affonda le sue radici nel Vangelo di Cristo, offrendo questo tesoro spirituale ai suoi figli e ai pellegrini provenienti dalla Galizia, da altre parti della Spagna, dall'Europa e dagli angoli più remoti del mondo.
Con questo atto solenne, si apre un tempo speciale di grazia e di perdono, della «grande perdonanza» come dice la tradizione. Un'opportunità particolare affinché i credenti riflettano sulla loro genuina vocazione alla santità di vita, s'impregnino della Parola di Dio, che illumina e interpella, e riconoscano Cristo, che va loro incontro, li accompagna nelle vicissitudini del loro camminare per il mondo e si dona a loro personalmente, soprattutto nell'Eucaristia. Ma anche quanti non hanno fede, o forse l'hanno lasciata sfiorire, avranno un'occasione particolare per ricevere il dono di «Colui che illumina ogni uomo, affinché abbia finalmente la vita» (Lumen gentium, n. 16).

2. Santiago de Compostela si distingue da tempi lontani per essere meta eminente di pellegrini, i cui passi hanno segnato un Cammino che porta il nome dell'Apostolo, al cui sepolcro si recano persone provenienti specialmente dalle più diverse regioni d'Europa per rinnovare e rafforzare la loro fede. Un Cammino disseminato di tante dimostrazioni di fervore, penitenza, ospitalità, arte e cultura, che ci parla eloquentemente delle radici spirituali del Vecchio Continente.
Il motto di questo Anno Giubilare Compostelano, «Pellegrinando verso la luce», come pure la lettera pastorale per l'occasione «Pellegrini della fede e testimoni di Cristo risorto», continuano fedelmente questa tradizione e la ripropongono come una chiamata evangelizzatrice agli uomini e alle donne di oggi, ricordando il carattere essenzialmente peregrino della Chiesa e dell'essere cristiani in questo mondo (cfr Lumen gentium, n. 6). Nel cammino si contemplano nuovi orizzonti che fanno riflettere sulla ristrettezza della propria esistenza e sull'immensità che l'essere umano ha dentro e fuori di sé, preparandolo ad andare in cerca di ciò a cui realmente il suo cuore anela. Aperto alla sorpresa e alla trascendenza, il pellegrino si lascia istruire dalla Parola di Dio, e in tal modo purifica la propria fede da adesioni e timori infondati. Così fece il Signore risorto con i discepoli che, storditi e sconfortati, si stavano recando a Emmaus. Quando alla parola si aggiunse il gesto di frazionare il pane, ai discepoli «si aprirono gli occhi» (cfr Lc 24, 31) e riconobbero colui che credevano immerso nella morte. Allora incontrano personalmente Cristo, che vive per sempre e fa parte della loro vita. In quel momento, il loro primo e più ardente desiderio è annunciare e testimoniare agli altri quanto accaduto (cfr Lc 24, 35).
Chiedo ferventemente al Signore di accompagnare i pellegrini, di farsi conoscere e di entrare nei loro cuori, «affinché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza» (Gv 10, 10). Questa è la vera meta, la grazia, che il mero percorso materiale del Cammino non può far raggiungere da solo, e che porta il pellegrino a divenire un testimone dinanzi agli altri del fatto che Cristo vive ed è la nostra speranza eterna di salvezza. In questa Arcidiocesi, insieme a molte altre organizzazioni ecclesiali, sono state avviate molteplici iniziative pastorali per contribuire a raggiungere questo fine essenziale del pellegrinaggio a Santiago de Compostela, di carattere spirituale, sebbene in certi casi si tenda a ignorarlo o a snaturarlo.

3. In questo Anno Santo, in sintonia con l'Anno Sacerdotale, un ruolo decisivo spetta ai presbiteri, il cui spirito di accoglienza e di dedizione ai fedeli e ai pellegrini deve essere particolarmente generoso. A loro volta pellegrini, sono chiamati a servire i propri fratelli offrendo loro la vita di Dio, come uomini della Parola divina e del sacro (cfr Al ritiro sacerdotale internazionale ad Ars, 28 settembre 2009). Incoraggio, pertanto, i sacerdoti di questa Arcidiocesi, come pure quanti si uniscono ad essi durante questo Giubileo e a quelli delle diocesi per le quali passa il Cammino, a prodigarsi nell'amministrazione dei sacramenti della Penitenza e dell'Eucaristia, poiché gli aspetti più ricercati, più preziosi e caratteristici dell'Anno Santo sono il Perdono e l'incontro con Cristo vivo.

4. In questa circostanza, esprimo la mia speciale vicinanza ai pellegrini che giungono e continueranno a giungere a Santiago. Li invito a fare incetta delle suggestive esperienze di fede, di carità e di fraternità che incontreranno nel loro percorso, a vivere il Cammino soprattutto interiormente, lasciandosi interpellare dalla chiamata che il Signore fa a ognuno di essi. Così potranno dire con gioia e fermezza nel Portico della Gloria: «Credo». Chiedo loro anche di non dimenticare nella loro preghiera cadenzata quanti non hanno potuto accompagnarli, le loro famiglie e amici, i malati e i bisognosi, gli emigranti, le persone fragili nella fede e il Popolo di Dio con i suoi Pastori.

5. Ringrazio cordialmente l'Arcidiocesi di Santiago, come pure le autorità e gli altri collaboratori, per gli sforzi compiuti nella preparazione di questo Giubileo Compostelano, e anche i volontari e quanti sono disposti a contribuire al suo buon svolgimento. Affido i frutti spirituali e pastorali di questo Anno Santo alla nostra Madre del cielo, la Vergine Pellegrina, e all'Apostolo Giacomo, l'«amico del Signore», e allo stesso tempo imparto a tutti con affetto la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 19 dicembre 2009

Benedetto XVI