martedì 16 ottobre 2012

"Negare la gravissima crisi in cui si trova la Chiesa significa negare l'evidenza" (D. Alberto Secci)

Resoconto della III Giornata della Tradizione a Verbania svoltasi domenica 14 ottobre u.s.

"Negare la gravissima crisi in cui si trova la Chiesa significa negare l'evidenza..., di conseguenza, chi dice le cose come stanno realmente, viene considerato un nemico della Chiesa".
 Con queste addolorate parole don Alberto Secci ha aperto la III Giornata della Tradizione che si è svolta, come da programma, all'hotel "Il Chiostro" di Verbania. La sala delle conferenze era gremita di pubblico e così anche la Cappella dove, alle 17,30, è stata celebrata, dal medesimo don Alberto, la S. Messa.
"Pur di negare l'evidenza" - proseguiva il coraggioso sacerdote ossolano - "si giunge spesso ad arrampicarsi sui vetri in modo incredibile. Venendo a Verbania ascoltavo, ad esempio,  un'intervista radiofonica ad un presule romano. Egli si è spinto a dichiarare che... questa crisi ha permesso alla Chiesa di fornire, come sempre, la medicina giusta. Questa medicina si chiama Concilio Vaticano II. ... Come si fa ad arrivare a tal punto?!"
Poco dopo è stato presentato quindi l'oratore ufficiale della manifestazione. A sorpresa è salito al tavolo don Pierpaolo Petrucci, superiore del Distretto Italiano della FSSPX:
"Abbiamo invitato la Fraternità San Pio X" - ha detto ancora don Alberto - "perchè nessuno più di loro, in oltre quarant'anni di studio e sacrifici, hanno saputo maggiormente approfondire i motivi ed il significato di questa crisi spaventosa. Le medesime Autorità Romane, accettando di discutere ufficialmente con la FSSPX, hanno implicitamente ammesso che le loro posizioni sono importanti e degne della massima attenzione".
 
Don Pierpaolo Petrucci ha quindi riassunto, nel suo limpido intervento, le ragioni storiche che hanno portato alla situazione attuale: "La causa prima di tutti i turbamenti della Chiesa, in tutta la sua storia, è ovviamente Satana. Egli, per agire, ha bisogno però di collaboratori umani e sempre purtroppo ne ha trovati nel corso dei secoli".

Egli ha quindi riassunto la storia delle eresie e, specialmente, quelle che hanno infestato la Cristianità dall'umanesimo in avanti.

"Lutero, in pratica, ha detto: Cristo sì, Chiesa no. Poi è arrivata la Rivoluzione Francese e il liberalismo che hanno fatto un passo ulteriore: Dio sì,  Cristo no. Infine il marxismo ateo: Dio è morto".
Fino alla metà del XIX secolo tutte queste eresie imperversavano nel mondo ma la Chiesa le avversava con vigore. Poi è iniziata una lenta penetrazione, subdola e strisciante, all'interno della Sposa di Cristo. San Pio X riuscì a sgominare il modernismo, sintesi di tutte le eresie, ma, morto lui, il processo continuò piano piano, fino ad esplodere durante e dopo il Concilio Vaticano II.
"Mons. Lefebvre" - ha ricordato don Pierpaolo - "ci diceva, come del resto affermò anche, in prospettiva opposta il card. Suenens, che il Concilio era stato il 1789 della Chiesa. In esso si imposero i tre motti rivoluzionari: Libertè (libertà religiosa), Fraternità, con l'ecumenismo, Egalitè con il principio della Collegialità".  
Al termine del suo intervento il Superiore Italiano della FSSPX ha risposto a molte domande presentate dal numerosissimo e attento pubblico.
Infine don Alberto Secci ha concluso i lavori invitando tutti a "pregare e reagire".
"Dobbiamo ovviamente pregare perchè ogni Grazia ci viene dal Cielo, ma dobbiamo anche reagire con chiarezza: parecchi sacerdoti, generalmente in privato, ammettono molte delle considerazioni che oggi abbiamo fatto ma poi, magari per comprensibili motivi di rispetto verso le Autorità, non hanno poi il coraggio di esporsi in prima persona. Noi invece dobbiamo pregare e reagire, con i dovuti modi ma reagire!"

 
Marco Bongi



lunedì 15 ottobre 2012

"Non vi è, in tutta la cristianità, rito altrettanto venerabile quanto la Messa romana" (A. Fortescue)

● «Le preghiere del nostro Canone si trovano nel trattato De Sacramentis (fine del IV-V secolo) [...]. La nostra Messa risale, senza mutamento essenziale, all'epoca in cui si sviluppava per la prima volta dalla più antica liturgia comune [circa trecento anni dopo Cristo]. Essa serba ancora il profumo di quella liturgia primitiva, nei giorni in cui Cesare governava il mondo e sperava di poter spegnere la Fede cristiana; i giorni in cui i nostri padri si riunivano avanti l'aurora per cantare un inno a Cristo come a loro Dio [cfr. Plinio junior, Ep. 96]. Non vi è, in tutta la cristianità, rito altrettanto venerabile quanto la Messa romana» (A. Fortescue, La Messe, Parigi, Lethielleux, 1921).
● «Il Canone romano risale, tale e quale è oggi, a San Gregorio Magno. Non vi è, in Oriente come in Occidente, nessuna preghiera eucaristica che, rimasta in uso fino ai nostri giorni, possa vantare una tale antichità! Agli occhi non solo degli “ortodossi”, ma degli anglicani e persino dei protestanti che hanno ancora in qualche misura il senso della Tradizione, gettarlo a mare equivarrebbe, da parte della Chiesa Romana, a rinnegare ogni pretesa di rappresentare mai più la vera Chiesa Cattolica» (P. Louis Bouyer, Mensch und Ritus, 1964).
● «La Liturgia Romana è rimasta pressoché immutata attraverso i secoli nella sua sobria e piuttosto austera forma risalente ai primi cristiani. Essa s’identifica con il Rito più antico. Nel corso dei secoli, molti Papi hanno contribuito alla sua configurazione: San Damaso papa (+384), per esempio, e successivamente soprattutto San Gregorio Magno (+604) […]. La Liturgia damasiano-gregoriana è quella che è stata celebrata nella Chiesa latina sino alla riforma liturgica dei nostri giorni. Non è quindi esatto parlare di abolizione del Messale di “San Pio V”. A differenza di quanto è avvenuto oggi in maniera spaventosa, i cambiamenti apportati al Missale Romanum nel corso di quasi 1400 anni non hanno toccato il Rito della Messa: si è bensì trattato solo di arricchimenti, per l’aggiunta di feste, di Propri di Messe e di singole preghiere […]. Non esiste in senso stretto una “Messa Tridentina” o “di San Pio V”, per il fatto che non è mai stato promulgato un nuovo Ordo Missae, in seguito al Concilio di Trento, da San Pio V. Il Messale che San Pio V fece approntare fu il Messale della Curia Romana, in uso a Roma da molti secoli e che i Francescani avevano già introdotto in gran parte dell’ Occidente; un Messale, tuttavia, che non era mai stato imposto universalmente, in modo unilaterale dal Papa. […]. Sino a Paolo VI, i Papi non hanno mai apportato alcun cambiamento all’Ordo Missae, ma solo ai Propri delle Messe per le singole festività. […]. Noi parliamo piuttosto di Ritus Romanus e lo contrapponiamo al Ritus Modernus. […]. L’unico punto su cui tutti i Papi, dal secolo V in poi, hanno insistito è stata l’ estensione di questo Canone Romano alla Chiesa universale, sempre ribadendo che esso risale all’Apostolo Pietro. […]. Il rito Romano si può definire come l’insieme delle forme obbligatorie del Culto che, risalenti in ultima analisi a N. S. Gesù Cristo, si sono sviluppate nei dettagli a partire da una Tradizione apostolica comune, e sono state più tardi sancite dall’Autorità ecclesiastica. […]. Un Rito che nasce da una Tradizione apostolica comune […] non può essere rifatto ‘ex novo’ nella sua globalità. […]. Ha il Papa il diritto di mutare un Rito che risale alla Tradizione apostolica e che si è formato nel corso dei secoli? […]. Con l’Ordo Missae del 1969 è stato creato un nuovo Rito. L’Ordo tradizionale è stato totalmente trasformato e addirittura, alcuni anni dopo, proscritto. Ci si domanda: un così radicale rifacimento è ancora nel quadro della Tradizione della Chiesa? No. […]. Nessun documento della Chiesa, neppure il Codice di Diritto Canonico, dice espressamente che il Papa, in quanto Supremo Pastore della Chiesa, ha il diritto di abolire il Rito tradizionale. Alla ‘plena et suprema potestas’ del Papa sono chiaramente posti dei limiti […]. Più di un autore (Gaetano, Suarez) esprime l’ opinione che non rientra nei poteri del Papa l’abolizione del Rito tradizionale. […]. Di certo non è compito della Sede Apostolica distruggere un Rito di Tradizione apostolica, ma suo dovere è quello di mantenerlo e tramandarlo. […]. Nella Chiesa orientale e occidentale non si è mai celebrato versus populum, ma ci si è volti ad Orientem […]. Che il celebrante debba rivolgere il viso al popolo fu sostenuto per la prima volta da Martin Lutero. […]» (Klaus Gamber, La riforma della Liturgia Romana. Cenni Storici – Problematica, 1979, tr. it., Roma, Una Voce, giugno/ dicembre 1980).