sabato 28 gennaio 2012

Socci (e compagnia a briscola) 0 - Mancuso (e il buon senso) 1. Palla al centro.....

« Datemi un punto d'appoggio e solleverò il mondo. » (Archimede)

 La libertà è una leva mediante la quale ci si può sollevare verso l'Alto, ma occorre un punto d'appoggio nella Verità e nel Bene comune: altrimenti tale leva può essere anche usata per spaccare delle teste. L'ha capito anche Mancuso....... Non condividiamo tutto, come non condividiamo in generale il pensiero ereticale di Mancuso. Ma stavolta ci è proprio piaciuto: bravo! Soprattutto la finale è da incorniciare
Il giudizio di Mancuso
su Castellucci

Siamo messi male. Se per sentire una parola di buon senso occorre leggere Vito Mancuso su Repubblica significa che siamo messi malissimo.
Marina Corradi, Davide Rondoni su Avvenire, Luca Doninelli su Il Giornale… i cattolici hanno fatto a gara per difendere Castellucci e le sue blasfemie. Leggiamo invece Mancuso, che alla prima al Parenti c’era, e che certo non è un cattolico (nonostante il suo passato di sacerdote).
Dopo il solito pistolotto in cui si attacca la Chiesa (di dovere per chi prende i soldi da De Benedetti), il seguito:
“…Però non posso fare a meno di chiedermi come si reagirebbe se qualcuno mettesse in scena uno spettacolo con tesi negazioniste sulle camere a gas oppure con tesi filo-mafiose di esaltazione degli assassini di Falcone e Borsellino: varrebbe anche allora l’assoluto della libertà di espressione? Davvero non ci sono limiti alla dissacrazione? Per quanto concerne il profilo artistico, si tratta a mio avviso di un’opera mediocre, con un testo ripetitivo e molto povero, senza movimento né dinamismo. Mi ha impressionato per la sua carica di realismo, ma non mi è piaciuta per l’ assenza di una delle caratteristiche essenziali dell’arte, cioè la dimensione trasfigurante, quella capacità di riprodurre la realtà senza caderne prigionieri, di servire il vero mantenendo la poesia, come nella grande pittura di Michelangelo o Van Gogh, o nel teatro di Eduardo De Filippo.
Quanta immensa e torrenziale poesia c’è in Giobbe, quanti colori e quante malinconie, del tutto assenti nel piatto grigiore di Castellucci. Infine il profilo religioso. A mio avviso non si tratta di un’opera blasfema, perché manca il beffardo tono dissacratorio che caratterizza l’atto blasfemo. Tuttavia c’è un momento in cui vedendola ho provato disagio, quando l’attore più giovane bacia a lungo sulla bocca il Gesù di Antonello da Messina con un bacio che fa pensare solo all’erotismo, per nulla alla devozione. Prima un bacio, poi una serie di pugnalate. Di una cosa sono certo, che non si tratta di un’opera religiosa, come vorrebbe il regista. Perché un’opera si possa definire religiosa, infatti, non è sufficiente che contenga elementi biblici o religiosi, perché altrimenti nessuna lo sarebbe di più dell’Anticristo di Nietzsche. La presenza di riferimenti alla religione ne fa piuttosto un’opera anti-religiosa, dove cioè viene negato il movimento in cui consiste essenzialmente la religione, ovvero la relazione di se stessi con tutti i propri problemi (compresa la decadenza fisica e l’incontinenza) a un senso più ampio e più avvolgente, sentito come salvezza e rifugio rispetto alla disperazione. C’è pietas e tensione etica, ma non c’è religione, né c’è affidamento, e il risultato è solo rabbia e disperazione.
Occorre poi prestare attenzione al titolo, Il concetto di Volto nel Figlio di Dio. Se c’è un valore che l’Occidente ha espresso nella sua storia millenaria, esso è proprio il volto. Se si considera l’arte non occidentale (araba, cinese, giapponese…) emerge all’istante quanto sia secondaria la presenza del volto umano. Al contrario, se si togliessero dai nostri musei i dipinti e le sculture raffiguranti volti umani, non rimarrebbe quasi nulla. La tradizione occidentale scaturita da Atene+Gerusalemme ha fatto del concetto di volto il cardine della propria concezione etica del mondo, ed è da qui che politicamente sono scaturiti i diritti dell’uomo. Vedere qui che di fronte al dolore e alla malattia si squarcia il volto del figlio di Dio e del figlio dell’uomo, il volto di quel Gesù così umano, è assistere al ripudio del valore centrale della nostra tradizione…”.

Da La Repubblica, 26 gennaio 2012

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venerdì 27 gennaio 2012

in vista del bene di tutta la Chiesa

MEGLIO CHE I LEFEBVRIANI ACCETTINO L'ACCORDO CON ROMA
(PER SALVARE ROMA) 
di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro
su Il Foglio e Riscossa Cristiana
L’accordo si farà oppure no? Il dialogo fra la Santa Sede e la Fraternità San Pio X, fondata da monsignor Marcel Lefebvre, è entrato in una fase decisiva. L’esito di questo dialogo sta a cuore innanzitutto a Benedetto XVI, che lo ha promosso e alimentato personalmente; sta a cuore a tutti i sacerdoti, i religiosi e i laici che fanno parte della Fraternità; e sta a cuore a tutta quella più vasta parte del mondo cattolico che lefebvriana non è, ma che si colloca nell’area della tradizione. Per motivi diversi, anche il cattolicesimo progressista e il mondo laico osservano con grande attenzione, e qualche nervosismo.
Insomma: la partita che si sta giocando è importante e difficile, ma l’accordo non è impossibile. Molte resistenze potrebbero cadere, se solo si considerasse che, per quanto si discuta di questioni dottrinali, lo si fa per via diplomatica, anche perché è in discussione la sistemazione canonica della Fraternità San Pio X. Ci si muove su un terreno misto dove è fondamentale distinguere i piani, operazione oggettivamente non sempre facile.
Da qui il moto sussultorio con cui procede la vicenda. Se si può comprendere il disorientamento di Roma davanti alle esitazioni della Fraternità San Pio X, si deve comprendere anche la perplessità della Fraternità San Pio X quando lamenta che Roma chiede quanto non ha chiesto a nessun altro per potersi fregiare della sdrucciolevole categoria ecclesiale detta “piena comunione”.
A questo punto, nessuna delle due parti può pretendere di far pagare all’altra un prezzo inesigibile: da un lato, Roma non può chiedere alla Fraternità San Pio X di rinnegare la sua identità; dall’altro, i lefebvriani non possono pretendere che Roma perda la faccia, con una resa incondizionata e con una fiabesca rimessa in forma dell’attuale mondo cattolico, che è obiettivamente un coacervo di molte contrastanti cose.
Il successo della trattativa richiede uno sguardo che sappia tenere insieme fede e realismo. Da una parte, una visione soprannaturale: il credere che la Chiesa è a Roma, comunque e in ogni caso, nonostante stia attraversando una delle crisi più gravi della sua storia; dall’altra, la strada stretta del realismo, che punti a dare alla Fraternità San Pio X la possibilità di “fare l’esperienza della tradizione”, secondo una formula che fu coniata proprio da monsignor Marcel Lefebvre.
Per quanto possa sembrare sproporzionato, la responsabilità maggiore investe gli eredi di Lefebvre. Nella storia della Chiesa ricorre spesso la figura del nano che si carica sulle spalle il gigante. Si tratta di un compito che, oltre al rigore dottrinale e morale, richiede umiltà e carità e la consapevolezza che Roma si aiuta stando a Roma. Ma più passa il tempo, più si rischia di pensare che esista solo un’alternativa tra due vie: la sirena di chi invita a non concludere perché le condizioni della Chiesa sono troppo gravi; e la sirena di chi invita a concludere senza discutere perché in fondo va tutto bene. L’una e l’altra via non si confanno al senso più intimo di un’istituzione come la Fraternità San Pio X, sorta in seguito alla indiscutibile crisi abbattutasi sulla Chiesa dopo il Concilio Vaticano II. Come spesso capita quando si prospetta un bivio, in realtà esiste una terza alternativa che, in questo caso, recita più o meno così: la questione deve essere conclusa al più presto proprio perché la situazione è grave, in vista del bene di tutta la Chiesa.
In tale operazione, la Fraternità San Pio X non può essere lasciata sola davanti a una responsabilità tanto grande. E in questo fa da garante Benedetto XVI. Non si può negare che questo Papa abbia caratterizzato il proprio pontificato rimettendo in onore la Messa gregoriana, ritirando la scomunica ai vescovi della Fraternità e avviando i colloqui dottrinali sui punti caldi: tutte condizioni richieste dagli eredi di Lefebvre. Questo fatto non può essere ignorato né dalla Fraternità San Pio X, nè dai negoziatori che rappresentano Roma. I quali sanno benissimo che c’è più cattolicesimo nella comunità lefebvriana, pur canonicamente irregolare, che in molte comunità regolarissime interne al mondo cattolico. E’ giunta l’ora di mettere fine a questo paradosso, con un atto di buona volontà e insieme di buon senso. Da entrambe le parti.

 

dell’arte dei primitivi

«Cari figli, ricordatevi, quando l’arte non sa stare con la preghiera, non sa pregare, è un brutto segno, è segno che, forse, non è nemmeno arte; ma puro inganno o di sé o degli altri o di sé e degli altri insieme. Ma oggi, più che altro, il pericolo è costituito piuttosto da coloro che, non sapendo raggiungere in arte la bellezza, vogliono emergere con la mostruosità, con la stranezza, emula della caricatura e dell’arte dei primitivi con lo scempio delle cose e delle persone sante».
Cardinale Alfredo Ottaviani (1890-1979) 
 

giovedì 26 gennaio 2012

un profondo giudizio estetico e 92 minuti di applausi!


Odio gnostico verso il Creatore
di
Francesco Agnoli
Diciamocelo: la pièce di Romeo Castellucci sul volto di Cristo è anzitutto una sacrilega boiata. Tutta incentrata su una sorta di “merdosofia”, una vera filosofia degli escrementi. Per il regista, Romeo Castellucci, come ripete spesso, “la merda è la materia per definizione”. Alla Stampa ha, per esempio, dichiarato: “Ma la “merda è la materia per antonomasia, ciò che rimane” (la Stampa, 21 gennaio). Non sono un esperto del tema, ma penso di aver afferrato il concetto. Trattasi, semplicemente, di gnosi: della vecchia dottrina secondo cui la materia è il principio del male, il corpo una prigione, questa nostra vita terrena lo scherzo di un Dio Creatore non buono ma maligno. Di qui la scritta “non sei il mio pastore” che compare sul dipinto di Antonello da Messina; di qui i bambini, innocenti per definizione, che colpiscono il Creatore, colpevole (bambini che, ricorda Claudia Castellucci in un suo libro, non sospettano “minimamente che dobbiamo rendere grazie a qualcuno che ci sorvegli e ci salva”); di qui l’interpretazione positiva di Lucifero, “primo martire”, e negativa della Genesi, presentata in altre opere non come atto d’amore, ma come errore e crudeltà di Dio. Solo così si spiega l’insistenza dell’autore sulla merda come “metafora”, sulla merda che invade il palcoscenico e che sembra dire allo spettatore che, in fondo, è la vita stessa ad essere una merda. Che i figli, anche il Figlio di Dio, altro compito non hanno che pulire la merda di loro padre. Che i padri, altro non finiscono per fare che insudiciare i figli con i loro escrementi, la vera “eredità-parola di Romeo- lasciata dai padri ai figli” (e da Dio agli uomini).
Ecco alcune parole tratte da un’ intervista di Castellucci: dopo aver detto di aver scelto la “religione (in quanto) tema trattato in modo isterico, dogmatico”, per “liberare questo campo da una ingerenza professionale, dei professionisti dello spirito” (evidente allusione polemica alla Chiesa, ndr), prosegue: “il volto di Gesù… è riportare sulla terra …tutto un sistema metafisico, fare incontrare l’escatologico…la escatologia in senso letterale, quindi la merda…illuminare la merda con la luce divina, ma anche il contrario, gettare un po’ di merda sul volto di Dio.” (11/11/2010: http://www.youtube.com/watch?v=27SUIybN01g&feature=related).

“Merda sul volto di Dio”: letterale. A la Stampa, sempre lui: “L’equazione: feci=Cristo ha scatenato reazioni violentissime”. Ma dai… Perché allora oggi Castellucci nega e rinega (e modifica), con tanta faccia tosta? Eppure già nell’ ottobre scorso, a Roma, la pièce si concluse così: “entrata ammiccante proprio di Castellucci che rovescia mezza tanica di putrido liquame sull’anziano padre. Senza pietà il vecchio viene cosparso di merda”, mentre “il volto di Cristo verrà sfregiato dall’interno per ferirsi di quello stesso liquido…” (“Teatro e critica”, 11/10/2010).

Per capire meglio il senso di questi deliri, occorre ricordare chi era Antonin Artaud, massimo modello del Castellucci: invitava a bruciare le chiese e a squartare i sacerdoti, accusava la cultura cristiana “inautentica del padre e dello spirito” e, come Castellucci, aveva una fissa: gli escrementi. Scriveva: “C’è nell’essere qualcosa di particolarmente allettante per l’uomo, ed è appunto la Cacca”.

Ma a Castellucci, che a suo dire non voleva offendere né Cristo né i cristiani, interessa solo al merda? Per carità, c’è anche la piscia. Di qui la sua difesa del Cristo immerso nell’urina di Andreas Serrano: “Si è scatenata una campagna violentissima come si era già avuta, qualche anno fa, davanti alla fotografia Piss Christ dell’artista Andreas Serrano” (la Stampa, 21 gennaio); “Qualche mese prima era stato contestato il Piss Christ (Cristo Piscio, ndr) di Serrano, un’opera di profonda bellezza e spiritualità… Poi è toccato a noi” (“Il Giornale”, 19 gennaio).

“Profonda bellezza e spiritualità”?! Concludo con alcune considerazioni. Sui giornali, in questi giorni, in troppi hanno cercato di stravolgere la realtà. Come nella favola di Fedro, in cui il lupo accusa l’agnello di averlo disturbato. Si sono trasformati gli aggrediti negli aggressori. C’è un uomo che insulta il Dio in credono miliardi di uomini, e dei ragazzi che promuovono una protesta pacifica vengono definiti sul Corriere, da Pierluigi Batista, “urlatori”, “integralisti”, persone che intimidiscono “i milanesi” (in blocco, si immagina), fautori di una “protesta violenta, intollerante, intimidatoria, prepotente”. Sui giornali si è arrivati a definire i cattolici che manifestano “antisemiti”, quando l’unico preso a merda in faccia è l’ebreo Cristo. Sentiamo il Castellucci: “Sono manipolati da qualche politico molto scaltro. Ma la cosa lugubre è che sono diciottenni vestiti benissimo. Qualcosa che ricorda la gioventù nazista .. In sala hanno trovato cinque coltelli…dicono che mi uccideranno”. Follia pura. Per protestare contro il regista che sparge merda sul dolce volto di Cristo, e contro i giornalisti che fanno altrettanto con i cristiani, sarò, almeno col cuore, in piazzale Libia, il 28, alle ore 19. Fuori, noi, sporchi e cattivi; dentro l’odore snob della merda escatologica e dello zolfo delle bestemmie di Castellucci.
 
da Il Foglio, 26 gennaio

mercoledì 25 gennaio 2012

PARCE, NOBIS DOMINE: Terremoto nel Nord Italia, scosse avvertite dalla Liguria al Veneto

Terremoto nel Nord Italia: scosse avvertite dalla Liguria al Veneto; la gente scende per le vie a Milano

ultimo aggiornamento: 25 gennaio, ore 10:53
Milano, - (Adnkronos/Ign) - L'evento, di magnitudo di 4.9, è stato registrato alle 9.06 e ha avuto epicentro in provincia di Reggio Emilia. Il sisma avvertito anche a Milano, Torino, Genova e Parma. Alcuni edifici sono stati fatti evacuare e molte persone si sono riversate per le strade. Stanotte ha tremato tutta la provincia di Verona. Non risultano al momento danni
Qualcuno rifletterà un po o no?

martedì 24 gennaio 2012

fuoco amico





Ad Antonio Socci che ha definito coloro che protestano e non la pensano come lui, "poco intelligenti", "scribi e farisei " con un linguaggio non certo consono ad uno che fino a qualche mese fa si scandalizzava delle continue persecuzioni dei cristiani nel mondo, ricordiamo che, da che mondo è mondo, prima per i cristiani arriva la delegittimazione conseguente all'accusa di fanatismo e poi la persecuzione e offriamo questo filmato come spunto per un ulteriore approfondimento del pensiero di Castellucci, uno dei tanti  - a dire di Socci   -"bellissimi testi suoi che avrebbero fatto capire il suo retroterra" a degli ottusi come noi che continuiamo a credere ai nostri occhi e alle nostre orecchie.



ed ad abundantiam  Rino Cammilleri che si è addentrato in uno di questi bellissimi testi:

I soliti Castellucci in aria, così parlava nel 2002


di Rino Cammilleri

Il regista romagnolo Castellucci, quello del volto di Cristo imbrattato di escrementi, deve essere proprio ossessionato dalla religione. Un lettore mi ha indirizzato verso la newsletter di gennaio della TFP (associazione internazionale Tradizione-Famiglia-Proprietà), dove compare la traduzione di un’intervista rilasciata da Castellucci alla rivista australiana Real Time Arts (n. 52, dicembre-gennaio 2002). Infatti, al festival di Melbourne, il regista aveva presentato la sua opera titolata Genesis.

Così viene presentata detta pièce sulla Genesi dalla rivista: «Meno nota, invece, è la versione mistica giudaico-cristiana che troviamo nello Gnosticismo, nella Cabala e nella filosofia Rosacroce. È questa la versione che Castellucci ci presenta (…). Castellucci attinge alle stesse tradizioni che hanno ispirato artisti come Baudelaire, Antonin Artaud (…). In questa versione più tenebrosa della Genesi, l'atto creativo non è frutto dell'amore, ma di un terribile errore (…). Non è l'Amore che regna nell'universo, ma la Crudeltà. Non è l'uomo ad aver peccato, ma Dio. Tutta l'arte e il teatro di Castellucci costituiscono una storia che racconta questo atto iniziale di violenza primordiale». Artaud, tra parentesi, è il fondatore della scuola detta Teatro della Crudeltà.

L’intervista, a cura di Jonathan Marshall, si intitola «L’Angelo dell’arte è Lucifero». Così esordisce l’intervistatore: «Lei ha detto che "la Genesi mi spaventa più dell'Apocalisse" perché rappresenta "il terrore delle possibilità senza fine". Questo sembra essere ispirato agli scritti di Antonin Artaud e di Herbert Blau, nonché alle dottrine gnostiche e cabalistiche che ispiravano Artaud. Lei è d'accordo con le idee di solito associate a questa cosmologia? Per esempio, Artaud sosteneva che prima della creazione regnava un caos terrificante, che è poi rimasto per sempre presente, latente o immanente all'interno dell'esistenza quotidiana. Egli ha sostenuto che questo caos è il vero senso del teatro. L'obiettivo più alto, la virtù più eminente del teatro sarebbe quindi di poter rappresentare — o almeno avvicinarsi a rappresentare — il caos attraverso una performance dal vivo?». La risposta è in perfetto stile artistico, cioè piuttosto fumosa (chi conosce il modo di esprimersi degli artisti contemporanei non si stupirà), però emerge una frase indicativa: «Ciò che io e i miei colleghi abbiamo cercato di fare nel corso degli anni è di portare lo scandalo scenico al parossismo e di mantenerlo sempre vibrante».

Altra domanda (l’intervistatore sembra avere le idee più chiare): «Lei è d'accordo che ogni atto creativo sia un atto di violenza? O per lo meno una violazione del tabù contro la Creazione? Ho in mente qui la sua dichiarazione che Lucifero, l'angelo caduto, sarebbe il primo artista con cui l'umanità si debba identificare». Segue un commento che potrebbe essere anche condivisibile nella sua ambiguità, ma neanche Castellucci sa resistere a presentare se stesso come il genio artistico a cui si perdona la sconclusionatezza, un linguaggio in cui era maestro lo scomparso Carmelo Bene: «Che senso ha ripetere oggi queste parole che costituiscono l'incipit del Genesi? Queste parole del Genesi sono le stesse che hanno causato l'esistenza del mondo e, quindi, anche l'esistenza del palcoscenico. L'unica persona che ha potuto reggere il peso di queste parole creative, e che per prima ha parlato in "doppia forma", il primo che ha assunto le vesti di un altro, è Lucifero. In tutta la storia dell'umanità, Lucifero si è sempre mostrato in travestimenti e costumi, adottando le parole di qualcun altro. Ha fatto questo sin dal Principio, quando ha rivestito la pelle del serpente e la lingua del serpente. Per la prima volta egli ha parlato per bocca di qualcun altro, facendo al serpente dire: "Ma è proprio vero ciò che Dio ha detto?", e creando così una forma di mimetismo, una forma di duplicazione del linguaggio. Lucifero è il primo ad aver esplorato la sovrabbondanza del linguaggio, avvalendosi del teatro come fonte di energia, dando così origine all'arte stessa».

Qualunque cosa ciò voglia dire. Infatti: «Il mio spettacolo Genesis non è solo il libro biblico della Genesi, ma è anche una genesi che reca al mondo, usando il palcoscenico, le mie proprie pretensioni di creare un mondo. Lo spettacolo mette in scena gli aspetti più volgari del mio essere, cioè l'artista che vuole rubare a Dio l'ultimo e più importante Sefirot. Questa è la maggiore gioia dell'artista: rubare a Dio. (…) In sintesi, la Genesi mi spaventa molto di più dell'Apocalisse. (…) L'Angelo dell'Arte è Lucifero. È Lui il primo che assume le sembianze e le fattezze di un altro. È Lui il primo ad aver sdoppiato il linguaggio, salvo poi tradurlo. È Lui il primo, e l'unico, ad aver dominato l'arte della trasformazione. Egli proviene dalla zona del non-essere. L'unica possibilità per lui di tornare alla zona dell'Essere è farlo con la voce, il corpo, il nome di un altro. A questo serve il teatro. Questa zona del non-essere è la zona genitale di ogni atto creativo».

Ai lettori il giudicare. Suggeriamo una chiave: lo scandalo, l’ambiguità espressiva, l’insistenza sui simboli di una religione che, a differenza di altre, porge l’altra guancia sono mezzi utilissimi, anche se frusti, per portare la gente in teatro e pagare gli stipendi a chi non si rassegna a guadagnarsi il pane senza rompere le scatole al prossimo.

lunedì 23 gennaio 2012

domenica 22 gennaio 2012

il tuo Volto Signore, io cerco

Il tuo Volto, Signore, io cerco


Nell’Antico Testamento si parla del “Volto di Dio” a più riprese. Si tratta, evidentemente di un antropomorfismo, dal momento che Dio è “purissimo Spirito” e che quindi non ha un volto, delle mani o dei piedi. Ma l’uomo ha bisogno di simili immagini concrete.
Il “Volto di Dio” è Dio stesso, poiché il volto esprime e fa conoscere la persona, “chi è” che ho davanti. A contrario: nell’antichità, per esempio nel teatro greco, gli attori portavano una maschera, cioè un altro volto che esprime un’altra persona: ad esempio la maschera del filosofo, o quella del medico, ecc. Questo fa l’attore: porta in scena una faccia che non è la sua. Ma al di fuori della scena, il volto di una persona esprime - normalmente - chi è quella persona, me la fa conoscere.
In quest’ottica bisogna leggere le numerose espressioni della Sacra Scrittura in cui si parla di “Volto di Dio”:
«Propiziatevi il Volto di Dio, affinché abbia pietà di voi» (Malachia 1, 9). Quando una persona mi è propizia mi guarda in modo tale che io lo capisco.
Viceversa: «Non rivolgere il tuo Volto da me [o Signore]; non schivare sdegnato il tuo servo» (Salmo 26, 9). Voltare la faccia, guardare dall’altra parte è segno di sdegno, di collera e, peggio, di abbandono.
Ancora: «All’equità guarda il suo Volto» (Salmo 19, 8). Dio guarda alle opere buone, giuste compiute dagli uomini. Questo sguardo di Dio, cioè il suo Volto, è la forza dei giusti, di coloro che vogliono servirlo fedelmente: «La luce del tuo Volto, o Signore, e spiegata su di noi come un vessillo» (Salmo 4, 7).
«Gli occhi del Signore vedono tutta la terra e danno la forza a quelli che credono in Lui» (2 Paralipomeni 16, 9).
«I giusti camminano alla luce del tuo Volto e nel tuo nome esultano tutto il giorno» (Salmo 88, 16).
Tutto ciò è espresso nell’Antico Testamento parlando in modo metaforico.
Ma dopo l’Incarnazione, Dio ha in tutta verità un volto: è il Volto di Gesù, «Il più bello dei figli degli uomini». Contemplando quel Volto, contemplo il Volto di Dio, perché Gesù è Dio fatto Uomo e nessuna altro volto manifesta meglio la Persona di Dio, “chi è Dio”.
Il Volto di Gesù è il Volto Santo per eccellenza, reso visibile ai suoi contemporanei.
Quel Volto che Pietro, Giacomo e Giovanni videro trasfigurato «…più splendente del sole» (Matteo, 17), e dalla cui vista furono come inebriati, non desiderando altro che restare lassù sul monte Tabor a contemplarlo.
Ma anche al di là di quegli istanti di gloria, quel Volto doveva avere qualcosa di grande, di “magnetico” che attirava i cuori degli uomini. «Mostra il tuo volto e saremo salvi» (Salmo 79, 4): quel Volto è il Volto del Salvatore, «venuto a salvare ciò che era perduto» (Matteo 18, 11). Se la frangia del suo mantello poté guarire la povera donna emoroissa (Luca 8, 44), quanto più il suo sguardo doveva penetrare nel più profondo delle anime per guarirle. Che cos’è stato lo sguardo di Gesù per l’anima di quella povera Samaritana, invischiata nei suoi peccati? (Giovanni 4). Che cos’è stato lo sguardo di Gesù per Zaccheo, il Pubblicano, cioè il peccatore per antonomasia? (Luca 19, 5). Gesù alzò lo sguardo verso di lui e Zaccheo fu convertito! Ancora: pensiamo allo sguardo di Gesù su Pietro che, nel cortile del Pretorio, lo ha appena rinnegato. «Il Signore si volse a guardare Pietro» (Luca 22, 61).
Il Volto di Gesù guarda ancora a noi, dopo duemila anni, attraverso l’immagine della Santa Sindone. “Guarda” anche attraverso le palpebre abbassate nel rigore della morte, poiché quel Volto sembra leggere nell’anima: non sono gli occhi di un morto, ma di «Colui che vive nei secoli dei secoli» (Apocalisse 1, 18).
Possiamo rimanere indifferenti davanti all’offesa blasfema contro quel Volto Santo?
Davanti all’offesa di uno spettacolo che dall’inizio alla fine si svolge sotto gli occhi del bellissimo Volto di Gesù dipinto da Antonello da Messina; ritratto che viene fatto oggetto di un oltraggio irripetibile, si può, dico tacere? Non si dica che il cristiano deve “porgere l’altra guancia”, perché tale dovere è sacrosanto quando si tratta di una offesa personale, mentre sarebbe una inutile “foglia di fico” per nascondere la propria viltà, quando si tratta dell’onore di Dio conculcato. Certo, Dio è capace di difendersi da solo: sia gli autori dello spettacolo, sia chi lo difende riflettano sulle parole terribili delle Sacra Scrittura: «La tua destra raggiunga tutti quelli che ti odiano. Li ridurrai come in una fornace di fuoco, allorché mostrerai la tua Faccia» (Salmo 20, 9). Quel Volto così dolce per chi lo ama sarà terribile per chi lo odia e lo oltraggia vergognosamente. «Non illudetevi: di Dio non ci si prende gioco», ammonisce san Paolo (Galati 6, 7).
Dio sa difendersi, ma è attento ai gesti di pietà verso di Lui. La tradizione ci mostra il gesto pietoso della Veronica che, sulla via del Calvario, asciuga il Volto di Gesù; il Vangelo ci riporta il gesto dell’anonimo soldato di guardia sotto la croce che dissetò Gesù morente. Se anche un bicchier d’acqua, dato per amore ad una creatura, non rimane senza ricompensa, che sarà di un gesto di riparazione nei confronti di Gesù stesso?
Davanti a quel Volto oltraggiato facciamo nostro il grido di guerra e di amore del profeta Elia: «Viva il Signore degli eserciti davanti al Volto del quale io sto!» (3 Libro dei Re 18, 15).
Davanti a quel Volto, la nostra preghiera, la nostra penitenza riparatrice siano il nostro “velo pietoso” che compatisce e che consola; siano il nostro grido delle labbra e del cuore:
«A te parla il mio cuore […] il tuo Volto Signore, io cerco» (Salmo 26, 8).
«Fai risplendere su noi il tuo Volto ed abbi pietà di noi» (Salmo 66, 1).
Don Luigi Moncalero
Sacerdote FSSPX