sabato 3 aprile 2010

si va verso la consacrazione della Russia al Cuore Immacolato?

 LA PASSIONE DELLA CHIESA PROFETIZZATA PER FILO E PER SEGNO
di Antonio Socci


La Passione della Chiesa, che è in corso, è stata profetizzata per filo e per segno. Qualunque cosa si pensi delle moderne apparizioni della Madonna, i documenti parlano chiaro.I due volti simbolo dell’attuale Passione della Chiesa sono il Papa e un povero e umile cristiano del Pakistan, Arshed Masih, 38 anni, che lavorava come autista a Rawalpindi. Davanti a tre poliziotti e alcuni capi religiosi musulmani è stato cosparso di benzina e bruciato vivo perché si rifiutava di rinnegare Cristo e di convertirsi all’Islam. E quando la moglie Martha, distrutta dal dolore, è andata al commissariato a denunciare l’assassinio del marito, è stata torturata e stuprata dai poliziotti davanti agli occhi atterriti dei figlioletti di 7, 10 e 12 anni. L’episodio è di questi giorni, ma documenta il continuo, immane martirio di cristiani che nel Novecento è stato perpetrato sotto tutti i regimi, le ideologie e le latitudini. Uno sociologo di Oxford ha calcolato in 45 milioni i cristiani che hanno perso la vita, in modo diretto o indiretto, a causa della propria fede. Questo oceano di sangue cristiano era stato profetizzato esplicitamente a Fatima, dalla Madonna. E’ scritto nero su bianco. Tale martirio resta tuttora sconosciuto ai più. Anzi, ad esso viene aggiunto il martirio morale della Chiesa trascinata sul banco degli accusati e bollata col marchio di infamia. Sempre a Fatima la Madonna ha profetizzato la persecuzione del Papa e in una visione di Giacinta (una dei tre pastorelli, beatificata nel 2000), sembra di scorgere un suo linciaggio morale che pare coincidere con ciò che Benedetto XVI si trova a vivere in queste settimane.
Tale visione è descritta nella “terza memoria” di suor Lucia, datata 31 agosto 1941:
“Un giorno Giacinta si sedette sulle lastre del pozzo dei miei genitori… Dopo qualche tempo mi chiama.
- Non hai visto il Santo Padre?
- No !
- Non so com’è stato! Io ho visto il Santo Padre in una casa molto grande, inginocchiato davanti a un tavolo, con la faccia tra le mani, in pianto. Fuori dalla casa c’era molta gente, alcuni tiravano sassi, altri imprecavano e dicevano molte parolacce. Povero Santo Padre! Dobbiamo pregare molto per Lui!”. Sembra la descrizione del linciaggio morale a cui è sottoposto oggi il Papa. E’ in corso infatti una delegittimazione morale della Chiesa di cui non si ricorda uguale, addirittura col tentativo esplicito di trascinare personalmente il Pontefice in giudizio come capo di un’accolita di malfattori. Va aggiunto che alle persecuzioni contro la Chiesa seguono sempre disgrazie per il mondo. Infatti la visione di Giacinta prosegue così: “Non vedi tante strade, tanti sentieri e campi pieni di persone che piangono di fame e non hanno niente da mangiare? E il Santo Padre in una chiesa, davanti al Cuore Immacolato di Maria, in preghiera? E tanta gente in preghiera con Lui?”. Tutto questo martirio materiale e morale della Chiesa del XX secolo sembra rappresentare una svolta drammatica della sua storia millenaria. Come è stato rivelato – quando stava iniziando – a un papa, quel Leone XIII, autore della “Rerum novarum” (la prima enciclica sociale) che traghettò la Chiesa nel Novecento. Una mattina infatti, il 13 ottobre 1884 (lo stesso giorno dell’apparizione finale di Fatima: 13 ottobre 1917), dopo la celebrazione della Messa, mentre papa Leone XIII era in preghiera, fu visto alzare la testa come se avesse una visione. Sembrò terrorizzato: gli fu dato di sentire un dialogo, presso il tabernacolo. Una voce orribile, appartenente a Satana, lanciava la sfida a Dio, dicendosi capace di distruggere la Chiesa se solo avesse potuto metterla alla prova (Satana disprezza sempre gli uomini che continuamente accusa. Mentre Dio dà sempre fiducia ai suoi figli). Sembra sia stata permessa tale prova per circa un secolo. Quindi papa Leone XIII – quella mattina del 1884 – vide in visione la Basilica di San Pietro assalita dai demoni e scossa fin dalle fondamenta. La rivelazione al papa coincide con quella alla mistica Anna Katharina Emmerich, che scrisse: “Se non sbaglio sentii che Lucifero sarà liberato e gli verranno tolte le catene, cinquanta o sessant’anni prima degli anni 2000 dopo Cristo, per un certo tempo. Sentii che altri avvenimenti sarebbero accaduti in tempi determinati, ma che ho dimenticato”. Fu dopo quella visione che Leone XIII scrisse la preghiera, per la protezione della Chiesa, a San Michele Arcangelo che si è recitata alla fine della Messa fino al Concilio. Dopo il quale fu abolita e dopo il quale, già nei primi anni Sessanta, Paolo VI annuncerà drammaticamente: “Il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio”. Di recente il famoso esorcista, padre Gabriele Amorth, ha spiegato che quel fumo di Satana in Vaticano va inteso anche in senso letterale: uomini sotto il potere di Satana che sarebbero presenti nella Chiesa e nel Vaticano stesso. Che questo attacco demoniaco comprenda anche la caduta di alcuni preti in perversioni come la pedofilia (crimini contro i figli di Dio più innocenti e inermi: i bambini), è stato predetto dalla Madonna – a quanto pare – a La Salette nel 1846 (dove la Vergine preannunciò pure le sofferenze del papa e attentati ai suoi danni). L’apparizione è riconosciuta dalla Chiesa, ma su questo testo non c’è un giudizio ufficiale: “La Chiesa subirà una crisi spaventosa” avrebbe detto la Madonna, “si vedrà l’abominio nei luoghi santi; nei conventi i fiori della Chiesa saranno putrefatti e il demonio diventerà come il re dei cuori (…) i sacerdoti con la loro cattiva vita sono diventati delle cloache di impurità”. Dopo 150 anni, nella celebre Via Crucis del 25 marzo 2005, il cardinal Ratzinger constaterà: “quanta sporcizia nella Chiesa”. Con le pesanti parole di quella Via crucis probabilmente Ratzinger e Giovanni Paolo II intesero implicitamente rivelare (per obbedire alla Madonna), i contenuti ancora non pubblicati del “terzo segreto di Fatima”, dello stesso tenore della Salette. Tutta questa serie di apparizioni della Madonna, che convergono nei contenuti, aveva lo scopo di avvertire che quella attuale è un’epoca eccezionale della storia della Chiesa e che è in corso uno speciale soccorso del Cielo. Quello che è accaduto e che sta accadendo prova che gli avvertimenti profetici erano autentici e dimostra pure che la Madonna ha la missione speciale di salvare la Chiesa in questa terribile, lunga prova. Purché la si ascolti. Perché il misfatto peggiore che il ceto ecclesiastico ha compiuto e può compiere è proprio quello di “disprezzare le profezie” e “spegnere lo Spirito”. Fu perpetrato con le persecuzioni a preti santi, come padre Pio. E fu ripetuto in parte con Fatima, rifiutandosi per decenni di fare la Consacrazione della Russia al Cuore Immacolato di Maria (per esorcizzare il comunismo), come chiesto dalla Madonna stessa. Infatti, apparendo a suor Lucia, Gesù nel 1930 previde la persecuzione dei papi proprio a causa di quella sordità. Adesso il “piano di salvataggio” della Madonna riemerge con le sue apparizioni a Medjugorje (“la prosecuzione di Fatima”, ha detto lei stessa). Da quando, nel 1981, sono iniziate queste straordinarie apparizioni oltrecortina si è assistito al compiersi di varie profezie (sulla guerra in Jugoslavia), al crollo del comunismo e a un’ondata oceanica di conversioni. Proprio in questi mesi una commissione vaticana, presieduta dal cardinal Ruini, sta valutando le apparizioni di Medjugorje di cui Giovanni Paolo II era certo ed entusiasta. Dovranno decidere se accogliere questo estremo, formidabile soccorso soprannaturale o rifiutarlo, smentendo papa Wojtyla. Il ceto clericale, che oggi è al centro della tempesta, dovrebbe considerare con umiltà l’immensità dei frutti e dei segni di queste apparizioni. E, consapevole dei propri enormi limiti, affidare la Chiesa alla protezione di Maria, l’Immacolata, la sola “senza macchia”. In caso contrario…- 

 Da “Libero” del 2 aprile 2010




venerdì 2 aprile 2010

per il NYT: boom, boom, boomerang!!:-)


Padre Raniero Cantalamessa cita una lettera di un amico ebreo nell'omelia pronunciata a San Pietro nella celebrazione della Passione del Signore presieduta quest'oggi da Benedetto XVI: «Ho ricevuto in questi giorni la lettera di un amico ebreo e, con il suo permesso, ne condivido qui una parte. Dice: Sto seguendo con disgusto l'attacco violento e concentrico contro la Chiesa, il Papa e tutti i fedeli da parte del mondo intero», ha poi proseguito Cantalamessa in trasparente riferimento alla critiche rivolte alla Chiesa cattolica per i preti pedofili: «L'uso dello stereotipo, il passaggio dalla responsabilità e colpa personale a quella collettiva mi ricordano gli aspetti più vergognosi dell'antisemitismo. Desidero pertanto esprimere a lei personalmente, al Papa e a tutta la Chiesa la mia solidarietà»

Card. Ratzinger: "Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui!"

VIA CRUCIS 2005
MEDITAZIONI E PREGHIERE DEL CARDINALE JOSEPH RATZINGER

NONA STAZIONE

Gesù cade per la terza volta

MEDITAZIONE

Che cosa può dirci la terza caduta di Gesù sotto il peso della croce? Forse ci fa pensare alla caduta dell’uomo in generale, all’allontanamento di molti da Cristo, alla deriva verso un secolarismo senza Dio. Ma non dobbiamo pensare anche a quanto Cristo debba soffrire nella sua stessa Chiesa? A quante volte si abusa del santo sacramento della sua presenza, in quale vuoto e cattiveria del cuore spesso egli entra! Quante volte celebriamo soltanto noi stessi senza neanche renderci conto di lui! Quante volte la sua Parola viene distorta e abusata! Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! Quanto poco rispettiamo il sacramento della riconciliazione, nel quale egli ci aspetta, per rialzarci dalle nostre cadute! Tutto ciò è presente nella sua passione. Il tradimento dei discepoli, la ricezione indegna del suo Corpo e del suo Sangue è certamente il più grande dolore del Redentore, quello che gli trafigge il cuore. Non ci rimane altro che rivolgergli, dal più profondo dell’animo, il grido: Kyrie, eleison – Signore, salvaci (cfr. Mt 8, 25).

PREGHIERA

Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano.

Ma siamo noi stessi a sporcarli! Siamo noi stessi a tradirti ogni volta, dopo tutte le nostre grandi parole, i nostri grandi gesti. Abbi pietà della tua Chiesa: anche all’interno di essa, Adamo cade sempre di nuovo.

Con la nostra caduta ti trasciniamo a terra, e Satana se la ride, perché spera che non riuscirai più a rialzarti da quella caduta; spera che tu, essendo stato trascinato nella caduta della tua Chiesa, rimarrai per terra sconfitto. Tu, però, ti rialzerai. Ti sei rialzato, sei risorto e puoi rialzare anche noi. Salva e santifica la tua Chiesa. Salva e santifica tutti noi.

Card. Joseph Ratzinger

giovedì 1 aprile 2010

rivestirsi di Cristo

SANTA MESSA DEL CRISMA
OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI



Basilica Vaticana - Giovedì Santo, 5 aprile 2007

Cari fratelli e sorelle,

lo scrittore russo Leone Tolstoi narra in un piccolo racconto di un sovrano severo che chiese ai suoi sacerdoti e sapienti di mostrargli Dio affinché egli potesse vederlo. I sapienti non furono in grado di appagare questo suo desiderio. Allora un pastore, che stava giusto tornando dai campi, si offrì di assumere il compito dei sacerdoti e dei sapienti. Il re apprese da lui che i suoi occhi non erano sufficienti per vedere Dio. Allora, però, egli volle almeno sapere che cosa Dio faceva. "Per poter rispondere a questa tua domanda – disse il pastore al sovrano – dobbiamo scambiare i vestiti". Con esitazione, spinto tuttavia dalla curiosità per l’informazione attesa, il sovrano acconsentì; consegnò i suoi vestiti regali al pastore e si fece rivestire del semplice abito dell’uomo povero. Ed ecco allora arrivare la risposta: "Questo è ciò che Dio fa". Di fatto, il Figlio di Dio – Dio vero da Dio vero – ha lasciato il suo splendore divino: "…spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso … fino alla morte di croce" (cfr Fil 2,6ss). Dio ha – come dicono i Padri – compiuto il sacrum commercium, il sacro scambio: ha assunto ciò che era nostro, affinché noi potessimo ricevere ciò che era suo, divenire simili a Dio.

San Paolo, per quanto accade nel Battesimo, usa esplicitamente l’immagine del vestito: "Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo" (Gal 3,27). Ecco ciò che si compie nel Battesimo: noi ci rivestiamo di Cristo, Egli ci dona i suoi vestiti e questi non sono una cosa esterna. Significa che entriamo in una comunione esistenziale con Lui, che il suo e il nostro essere confluiscono, si compenetrano a vicenda. "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" – così Paolo stesso nella Lettera ai Galati (2,2) descrive l’avvenimento del suo battesimo. Cristo ha indossato i nostri vestiti: il dolore e la gioia dell’essere uomo, la fame, la sete, la stanchezza, le speranze e le delusioni, la paura della morte, tutte le nostre angustie fino alla morte. E ha dato a noi i suoi "vestiti". Ciò che nella Lettera ai Galati espone come semplice "fatto" del battesimo – il dono del nuovo essere – Paolo ce lo presenta nella Lettera agli Efesini come un compito permanente: "Dovete deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima! … [Dovete] rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera. Perciò, bando alla menzogna: dite ciascuno la verità al proprio prossimo; perché siamo membri gli uni degli altri. Nell’ira, non peccate…" (Ef 4,22-26).

Questa teologia del Battesimo ritorna in modo nuovo e con una nuova insistenza nell’Ordinazione sacerdotale. Come nel Battesimo viene donato uno "scambio dei vestiti", uno scambio del destino, una nuova comunione esistenziale con Cristo, così anche nel sacerdozio si ha uno scambio: nell’amministrazione dei Sacramenti, il sacerdote agisce e parla ora "in persona Christi". Nei sacri misteri egli non rappresenta se stesso e non parla esprimendo se stesso, ma parla per l’Altro – per Cristo. Così nei Sacramenti si rende visibile in modo drammatico ciò che l’essere sacerdote significa in generale; ciò che abbiamo espresso con il nostro "Adsum – sono pronto" durante la consacrazione sacerdotale: io sono qui perché tu possa disporre di me. Ci mettiamo a disposizione di Colui "che è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi…" (2Cor 5,15). Metterci a disposizione di Cristo significa che ci lasciamo attirare dentro il suo "per tutti": essendo con Lui possiamo esserci davvero "per tutti".

In persona Christi – nel momento dell’Ordinazione sacerdotale, la Chiesa ci ha reso visibile ed afferrabile questa realtà dei "vestiti nuovi" anche esternamente mediante l’essere stati rivestiti con i paramenti liturgici. In questo gesto esterno essa vuole renderci evidente l’evento interiore e il compito che da esso ci viene: rivestire Cristo; donarsi a Lui come Egli si è donato a noi. Questo evento, il "rivestirsi di Cristo", viene rappresentato sempre di nuovo in ogni Santa Messa mediante il rivestirci dei paramenti liturgici. Indossarli deve essere per noi più di un fatto esterno: è l’entrare sempre di nuovo nel "sì" del nostro incarico – in quel "non più io" del battesimo che l’Ordinazione sacerdotale ci dona in modo nuovo e al contempo ci chiede. Il fatto che stiamo all’altare, vestiti con i paramenti liturgici, deve rendere chiaramente visibile ai presenti e a noi stessi che stiamo lì "in persona di un Altro". Gli indumenti sacerdotali, così come nel corso del tempo si sono sviluppati, sono una profonda espressione simbolica di ciò che il sacerdozio significa. Vorrei pertanto, cari confratelli, spiegare in questo Giovedì Santo l'essenza del ministero sacerdotale interpretando i paramenti liturgici che, appunto, da parte loro vogliono illustrare che cosa significhi "rivestirsi di Cristo", parlare ed agire in persona Christi.

L’indossare le vesti sacerdotali era una volta accompagnato da preghiere che ci aiutano a capire meglio i singoli elementi del ministero sacerdotale. Cominciamo con l’amitto. In passato – e negli ordini monastici ancora oggi – esso veniva posto prima sulla testa, come una specie di cappuccio, diventando così un simbolo della disciplina dei sensi e del pensiero necessaria per una giusta celebrazione della Santa Messa. I pensieri non devono vagare qua e là dietro le preoccupazioni e le attese del mio quotidiano; i sensi non devono essere attirati da ciò che lì, all’interno della chiesa, casualmente vorrebbe sequestrare gli occhi e gli orecchi. Il mio cuore deve docilmente aprirsi alla parola di Dio ed essere raccolto nella preghiera della Chiesa, affinché il mio pensiero riceva il suo orientamento dalle parole dell’annuncio e della preghiera. E lo sguardo del mio cuore deve essere rivolto verso il Signore che è in mezzo a noi: ecco cosa significa ars celebrandi – il giusto modo del celebrare. Se io sono col Signore, allora con il mio ascoltare, parlare ed agire attiro anche la gente dentro la comunione con Lui.

I testi della preghiera che interpretano il camice e la stola vanno ambedue nella stessa direzione. Evocano il vestito festivo che il padre donò al figlio prodigo tornato a casa cencioso e sporco. Quando ci accostiamo alla liturgia per agire nella persona di Cristo ci accorgiamo tutti quanto siamo lontani da Lui; quanta sporcizia esiste nella nostra vita. Egli solo può donarci il vestito festivo, renderci degni di presiedere alla sua mensa, di stare al suo servizio. Così le preghiere ricordano anche la parola dell’Apocalisse secondo cui i vestiti dei 144.000 eletti non per merito loro erano degni di Dio. L’Apocalisse commenta che essi avevano lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello e che in questo modo esse erano diventate candide come la luce (cfr Ap 7,14). Già da piccolo mi sono chiesto: Ma quando si lava una cosa nel sangue, non diventa certo bianca! La risposta è: il "sangue dell’Agnello" è l’amore del Cristo crocifisso. È questo amore che rende candide le nostre vesti sporche; che rende verace ed illuminato il nostro spirito oscurato; che, nonostante tutte le nostre tenebre, trasforma noi stessi in "luce nel Signore". Indossando il camice dovremmo ricordarci: Egli ha sofferto anche per me. E soltanto perché il suo amore è più grande di tutti i miei peccati, posso rappresentarlo ed essere testimone della sua luce.

Ma con il vestito di luce che il Signore ci ha donato nel Battesimo e, in modo nuovo, nell’Ordinazione sacerdotale, possiamo pensare anche al vestito nuziale, di cui Egli ci parla nella parabola del banchetto di Dio. Nelle omelie di san Gregorio Magno ho trovato a questo riguardo una riflessione degna di nota. Gregorio distingue tra la versione di Luca della parabola e quella di Matteo. Egli è convinto che la parabola lucana parli del banchetto nuziale escatologico, mentre – secondo lui – la versione tramandata da Matteo tratterebbe dall’anticipazione di questo banchetto nuziale nella liturgia e nella vita della Chiesa. In Matteo – e solo in Matteo – infatti il re viene nella sala affollata per vedere i suoi ospiti. Ed ecco che in questa moltitudine trova anche un ospite senza abito nuziale, che viene poi buttato fuori nelle tenebre. Allora Gregorio si domanda: "Ma che specie di abito è quello che gli mancava? Tutti coloro che sono riuniti nella Chiesa hanno ricevuto l’abito nuovo del battesimo e della fede; altrimenti non sarebbero nella Chiesa. Che cosa, dunque, manca ancora? Quale abito nuziale deve ancora essere aggiunto?" Il Papa risponde: "Il vestito dell’amore". E purtroppo, tra i suoi ospiti ai quali aveva donato l’abito nuovo, la veste candida della rinascita, il re trova alcuni che non portano il vestito color porpora del duplice amore verso Dio e verso il prossimo. "In quale condizione vogliamo accostarci alla festa del cielo, se non indossiamo l’abito nuziale – cioè l’amore, che solo può renderci belli?", domanda il Papa. Una persona senza l’amore è buia dentro. Le tenebre esterne, di cui parla il Vangelo, sono solo il riflesso della cecità interna del cuore (cfr Hom. 38, 8-13).

Ora che ci apprestiamo alla celebrazione della Santa Messa, dovremmo domandarci se portiamo questo abito dell’amore. Chiediamo al Signore di allontanare ogni ostilità dal nostro intimo, di toglierci ogni senso di autosufficienza e di rivestirci veramente con la veste dell’amore, affinché siamo persone luminose e non appartenenti alle tenebre.

Infine ancora una breve parola riguardo alla casula. La preghiera tradizionale quando si riveste la casula vede rappresentato in essa il giogo del Signore che a noi come sacerdoti è stato imposto. E ricorda la parola di Gesù che ci invita a portare il suo giogo e a imparare da Lui, che è "mite e umile di cuore" (Mt 11,29). Portare il giogo del Signore significa innanzitutto: imparare da Lui. Essere sempre disposti ad andare a scuola da Lui. Da Lui dobbiamo imparare la mitezza e l’umiltà – l’umiltà di Dio che si mostra nel suo essere uomo. San Gregorio Nazianzeno una volta si è chiesto perché Dio abbia voluto farsi uomo. La parte più importante e per me più toccante della sua risposta è: "Dio voleva rendersi conto di che cosa significa per noi l’obbedienza e voleva misurare il tutto in base alla propria sofferenza, questa invenzione del suo amore per noi. In questo modo, Egli può conoscere direttamente su se stesso ciò che noi sperimentiamo – quanto è richiesto da noi, quanta indulgenza meritiamo – calcolando in base alla sua sofferenza la nostra debolezza" (Discorso 30; Disc. teol. IV,6). A volte vorremmo dire a Gesù: Signore, il tuo giogo non è per niente leggero. È anzi tremendamente pesante in questo mondo. Ma guardando poi a Lui che ha portato tutto – che su di sé ha provato l’obbedienza, la debolezza, il dolore, tutto il buio, allora questi nostri lamenti si spengono. Il suo giogo è quello di amare con Lui. E più amiamo Lui, e con Lui diventiamo persone che amano, più leggero diventa per noi il suo giogo apparentemente pesante.

Preghiamolo di aiutarci a diventare insieme con Lui persone che amano, per sperimentare così sempre di più quanto è bello portare il suo giogo. Amen.

martedì 30 marzo 2010

Sunt lacrimae rerum

Pubblichiamo questa interessantissima analisi del prof. Roberto de Mattei pubblicata su "Il Foglio" di oggi. Lo studioso individua un nesso di causalità tra la nuova teologia e l'attuale crisi che va sotto il nome onnicomprensivo di "pedofilia". Dopo che nella "Lettera ai cattolici d'Irlanda" Benedetto XVI ha osato l'inimmaginabile fino a poco tempo fa cioè pronunciare in tale contesto la parola Concilio Vaticano II non come panacea di tutti i mali ma sostanzialmente come concausa di uno di questi, ora cominciano a levarsi le prime voci in tal senso. A leggerla contro luce e sullo sfondo di tali ombre la "Lettera ai cattolici d'Irlanda" sembra un possibile canovaccio per un'opera di riforma per tutta la Chiesa: per farla uscire dalla crisi che prima di essere una crisi morale è una crisi di fede, è necessario veramente riconoscere le nostre colpe, riconoscere che i mali che ci affliggono sono pene medicinali, riconoscere che non ci sono rimedi umani per i tali mali, riconoscere che abbiamo a disposizione rimedi soprannaturali sovrabbondanti, riconoscere che la preghiera di supplica è il mezzo principale per la riforma della Chiesa. Comunque avanti così, senza cioè riconoscere con un grande atto di umiltà che con il Concilio si sono imboccati vicoli ciechi, non si potrà andare a lungo a meno di non dover moltiplicare lettere come quella e aggravare, se possibile, l'afflizione della Chiesa e di tanti sacerdoti che si sentono non solo umiliati ma anche traditi dalla schizofrenia di un episcopato che preso dal panico sembra voler abbandonare il clero alla persecuzione e nello stesso tempo circonda di compiaciuto silenzio il Santo Padre mentre è sottoposto ad vile e proditorio attacco. Del resto mentre il NYT sparava ad alzo zero contro il Santo Padre a Los Angeles ci si faceva beffe del suo magistero liturgico con un'indegna gazzarra organizzata dalla Diocesi locale di cui blog.messainlatino.it ci ha dato ampia e sconsolata notizia. Diventa urgente un ripensamento di tutto quello che è stato "costruito" dopo il Concilio a cominciare dal novus ordo. Paura di scismi? ma lo scisma di fatto c'è già ed è sotto gli occhi di tutti.
“Sunt lacrimae rerum” ma ricordiamoci che per un credente c'è e ci deve essere sempre speranza, perché «Iddio veglia sulla Sua Chiesa e se permette che, nella Sua milizia, sia umiliata, Egli sa quel che fa e chissà che dalla umiliazione sua qual altra gloria vorrà poi ricavarne» (Pio IX).




Perché Benedetto XVI agli irlandesi ha ricordato certi vecchi errori del Concilio
di Roberto de Mattei

La forza della “Lettera ai cattolici di Irlanda” di Benedetto XVI, dello scorso 19 marzo, sta soprattutto nel suo spirito di autentico rinnovamento e riforma della chiesa. Il richiamo alla penitenza che costituisce il suo filo conduttore non è mai disgiunto dall’appello “agli ideali di santità, di carità e di sapienza trascendente”, che nel passato resero grande l’Irlanda e l’Europa e che ancora oggi possono rifondarla (n. 3). Unico fondamento di questa ricostruzione è però Gesù Cristo “che è lo stesso ieri, oggi e sempre” (Ebrei 13, 8) (n. 9). Rivolgendosi a tutti i fedeli di Irlanda, il Papa li invita “ad aspirare ad alti ideali di santità, di carità e di verità e a trarre ispirazione dalle ricchezze di una grande tradizione religiosa e culturale” (n. 12). Questa tradizione non è tramontata, anche se a essa si è opposto “un rapidissimo cambiamento sociale, che spesso ha colpito con effetti avversi la tradizionale adesione del popolo all’insegnamento e ai valori cattolici” (n. 4).

In questo paragrafo, che costituisce un passaggio chiave del documento pontificio, il Papa afferma che negli anni Sessanta fu “determinante” “la tendenza, anche da parte di sacerdoti e religiosi, di adottare modi di pensiero e di giudizio delle realtà secolari senza sufficiente riferimento al Vangelo. Il programma di rinnovamento del Concilio vaticano fu a volte frainteso” e vi fu “una tendenza, dettata da retta intenzione ma errata, ad evitare approcci penali nei confronti di situazioni canoniche irregolari”. “E’ in questo contesto generale” di “indebolimento della fede” e di “perdita del rispetto per la chiesa e per i suoi insegnamenti”, “che dobbiamo cercare di comprendere lo sconcertante problema dell’abuso sessuale dei ragazzi”.

In che senso il Concilio poté essere “frainteso”? Il breve, ma significativo accenno di Benedetto XVI merita di essere sviluppato. Occorre ricordare che durante i lavori dell’assise conciliare prese forma l’idea di una chiesa non più militante, ma peregrinante, in ascolto dei segni dei tempi, pronta a rinunziare alla verginità della sua dottrina, per lasciarsi fecondare dai valori del mondo. Offrirsi ai valori del mondo significava rinunziare ai propri valori, a cominciare a quello che è più intrinseco al cristianesimo: l’idea del Sacrificio, che dal mistero della Croce discende in ogni aspetto della vita ecclesiale, fino alla dottrina morale, che un tempo ispirava la vita di ogni battezzato, chierico o laico che fosse.

Il Concilio impose ai vescovi, come un dovere, la “sociologia pastorale”, raccomandando di aprirsi alle scienze del mondo, dalla sociologia alla psicanalisi. In quegli anni era stato riscoperto lo psicanalista austriaco Wilhelm Reich, morto quasi del tutto dimenticato in un manicomio americano nel 1957. Nel suo libro-manifesto “La Rivoluzione sessuale,” Reich aveva sostituito alle categorie della borghesia e del proletariato quelle di repressione e di liberazione, intendendo con questo ultimo termine la pienezza della libertà sessuale. Ciò implicava la riduzione dell’uomo a un insieme di bisogni fisici e, in ultima analisi, ad energia sessuale. La famiglia, fondata sul matrimonio monogamico indissolubile tra un uomo e una donna, era vista come l’istituto sociale repressivo per eccellenza: nessuna considerazione sociologica poteva autorizzarne la sopravvivenza. Una nuova morale, basata sull’esaltazione del piacere, avrebbe presto spazzato via la morale tradizionale cristiana, che attribuiva un valore positivo all’idea di sacrificio e di sofferenza.

La nuova teologia, spinta dal suo abbraccio ecumenico ai valori del mondo, cercò l’impossibile dialogo tra la morale cristiana e i suoi nemici. I corifei della “nuova morale”, che in Italia furono teologi come don Enrico Chiavacci don Leandro Rossi e don Ambrogio Valsecchi, salutarono come maestri del nuovo corso morale Wilhelm Reich e Herbert Marcuse. Nel 1973, a cura di Valsecchi e di Rossi, uscì, per le edizioni Paoline, un pomposo “Dizionario enciclopedico di teologia morale”, che ambiva a sostituire il classico, e ancor oggi prezioso “Dizionario di teologia morale” dei cardinali Francesco Roberti e Pietro Palazzini (la quarta edizione fu pubblicata da Studium nel 1968). Nel nuovo “Dizionario morale”, Enrico Chiavacci sosteneva che “la vera natura umana è di non aver natura” e che l’uomo è tale per la “tensione” che la sua coscienza esprime, indipendentemente dai “divieti” della morale tradizionale. Valsecchi affermava la necessità di svincolarsi da una concezione della morale che facesse appello a una fondazione metafisica della natura umana. Unico peccato, radice di tutti gli altri, quello “contro l’amore”, e unica virtù, quella di assecondare l’amore, naturalmente e non soprannaturalmente inteso.

I nuovi moralisti, definiti da qualcuno “pornoteologi”, sostituivano alla oggettività della legge naturale, la “persona”, intesa come volontà progettante, sciolta da ogni vincolo normativo e immersa nel contesto storico-culturale, ovvero nell’ “etica della situazione”. E poiché il sesso costituisce parte integrante della persona, rivendicavano il ruolo della sessualità, definita “funzione primaria di crescita personale” (così Valsecchi), anche perché, a dir loro, il Concilio insegnava che solo nel rapporto dialogico con l’altro, la persona umana si realizza. Citavano a questo proposito il concetto secondo cui “ho bisogno dell’altro per essere me stesso”, fondato sul n. 24 della Gaudium et Spes, magna charta del progressismo postconciliare. Chiavacci, Rossi e Valsecchi, contestarono pubblicamente, nel 1974, la posizione antidivorzista della Conferenza episcopale, ma continuarono ad essere per molti anni i “moralisti” più in vista della Chiesa italiana. Ancora oggi basta entrare in una libreria cattolica per trovare in primo piano sugli scaffali i loro libri, stampati da case editrici come le Paoline e la Queriniana.

Eppure, ciò che fa riflettere sono proprio vicende esistenziali, come quelle di Ambrogio Valsecchi professore di morale alla Facoltà teologica di Milano, consulente del cardinale di Milano, Carlo Colombo, al Concilio Vaticano II, alfiere della nuova morale, poi dispensato dai voti e sposato (con rito religioso) nel 1975, quindi divenuto nell’ultimo decennio della sua vita psicologo, analista e terapista di coppia. Altrettanto fallimentare è stato l’itinerario di colui che oggi è, con Hans Küng, il principale accusatore di Benedetto XVI: Rembert Weakland. Difensore ad oltranza della “rivoluzione sessuale”, dei diritti dei “gay” e delle donne nella Chiesa, Weakland non è più arcivescovo di Milwaukee dal 2002 quando fu “dimissionato” dopo che un ex studente di teologia l’aveva accusato di violenza carnale, rompendo il segreto che lo stesso Weakland gli aveva imposto in cambio di 450 mila dollari detratti dalle casse dell’arcidiocesi. La stampa “liberal”, lungi dal lapidarlo, lo trattò però con molto riguardo, come conveniva a un celebrato campione della Chiesa progressista quale egli era.

I nemici della tradizione hanno sempre preteso di opporre il primato dell’esistenza a quello della dottrina, il cristianesimo concretamente vissuto a quello astrattamente predicato. Il “tribunale della vita vissuta”, a cui essi si sono appellati, ha ribaltato però i loro giudizi e le loro previsioni. Chi ha voltato le spalle alla ferrea intransigenza dei princìpi per ancorarsi al molliccio fondamento della propria esperienza, è spesso fuoriuscito da quella Chiesa che diceva di voler meglio servire. Chi ha negato l’esistenza di una natura da rispettare, ha iniziato col soddisfare gli istinti della natura che negava, per assecondare poi le deviazioni che la volontà offriva alla sua intelligenza, disancorata dal vero. Il passaggio dalla etero alla omosessualità e di qui alla pedofilia è stato, per alcuni, se non cronologicamente, almeno logicamente coerente.

Oggi si può sostenere, in prima pagina di Repubblica, che il celibato ecclesiastico produce pedofilia. Ma su nessun giornale si potrebbe affermare l’esistenza di un nesso altrettanto diretto tra pedofilia e omosessualità. Lo impediscono le leggi di alcuni Stati europei, che hanno introdotto il reato di omofobia, ma più ancora lo vieta la censura culturale e sociale che riduce sempre di più i margini di difesa della moralità. All’interno di un certo mondo cattolico, ancora più grave è considerata l’affermazione di un rapporto, anche solo indiretto, tra la nuova teologia degli anni Sessanta e il pansessualismo che penetrò nella Chiesa dopo il Concilio. Benedetto XVI lo ha fatto e gliene va reso onore.

da "Il Foglio" del 30 aprile 2010

Un altro Vescovo esemplare per la sua fedeltà al Papa: Mons. Giampaolo Crepaldi

Lettera aperta di
S. Ecc. Mons. Giampaolo Crepaldi,
Arcivescovo di Trieste e
Presidente dell’Osservatorio Internazionale
Cardinale Van Thuân

Il tentativo della stampa di coinvolgere Benedetto XVI nella questione pedofilia è solo il più recente tra i segni di avversione che tanti nutrono per il Papa.

Bisogna chiedersi come mai questo pontefice, nonostante la sua mitezza evangelica e l’onestà, la chiarezza delle sue parole unitamente alla profondità del suo pensiero e dei suoi insegnamenti, susciti da alcune parti sentimenti di astio e forme di anticlericalismo che si pensavano superate. E questo, è bene dirlo, suscita ancora maggiore stupore e addirittura dolore, quando a non seguire il Papa e a denunciarne presunti errori sono uomini di Chiesa, siano essi teologi, sacerdoti o laici.

Le inusitate e palesemente forzate accuse del teologo Hans Küng contro la persona di Jopeph Ratzinger teologo, vescovo, Prefetto della Congregazione della Fede e ora Pontefice per aver causato, a suo dire, la pedofilia di alcuni ecclesiastici mediante la sua teologia e il suo magistero sul celibato ci amareggiano nel profondo. Non era forse mai accaduto che la Chiesa fosse attaccata in questo modo. Alle persecuzioni nei confronti di tanti cristiani, crocefissi in senso letterale in varie parti del mondo, ai molteplici tentativi per sradicare il cristianesimo nelle società un tempo cristiane con una violenza devastatrice sul piano legislativo, educativo e del costume che non può trovare spiegazioni nel normale buon senso si aggiunge ormai da tempo un accanimento contro questo Papa, la cui grandezza provvidenziale è davanti agli occhi di tutti.

A questi attacchi fanno tristemente eco quanti non ascoltano il Papa, anche tra ecclesiastici, professori di teologia nei seminari, sacerdoti e laici. Quanti non accusano apertamente il Pontefice, ma mettono la sordina ai suoi insegnamenti, non leggono i documenti del suo magistero, scrivono e parlano sostenendo esattamente il contrario di quanto egli dice, danno vita ad iniziative pastorali e culturali, per esempio sul terreno delle bioetica oppure del dialogo ecumenico, in aperta divergenza con quanto egli insegna.

Il fenomeno è molto grave in quanto anche molto diffuso.

Benedetto XVI ha dato degli insegnamenti sul Vaticano II che moltissimi cattolici apertamente contrastano, promuovendo forme di controformazione e di sistematico magistero parallelo guidati da molti “antipapi”; ha dato degli insegnamenti sui “valori non negoziabili” che moltissimi cattolici minimizzano o reinterpretano e questo avviene anche da parte di teologi e commentatori di fama ospitati sulla stampa cattolica oltre che in quella laica; ha dato degli insegnamenti sul primato della fede apostolica nella lettura sapienziale degli avvenimenti e moltissimi continuano a parlare di primato della situazione, o della prassi o dei dati delle scienze umane; ha dato degli insegnamenti sulla coscienza o sulla dittatura del relativismo ma moltissimi antepongono la democrazia o la Costituzione al Vangelo.

Per molti la Dominus Jesus, la Nota sui cattolici in politica del 2002, il discorso di Regensburg del 2006, la Caritas in veritate è come se non fossero mai state scritte.

La situazione è grave, perché questa divaricazione tra i fedeli che ascoltano il papa e quelli che non lo ascoltano si diffonde ovunque, fino ai settimanali diocesani e agli Istituti di scienze religiose e anima due pastorali molto diverse tra loro, che non si comprendono ormai quasi più, come se fossero espressione di due Chiese diverse e procurando incertezza e smarrimento in molti fedeli.

In questi momenti molto difficili, il nostro Osservatorio si sente di esprimere la nostra filiale vicinanza a Benedetto XVI. Preghiamo per lui e restiamo fedelmente al suo seguito.

lunedì 29 marzo 2010

Un Vescovo esemplare per la sua fedeltà al Papa: Mons. Luigi Negri

Pubblichiamo la lettera con cui Mons. Luigi Negri, Vescovo di San Marino e Montefletro, esprime la sua solidarietà al Papa. Dopo Mons. Crepaldi, Arcivescovo di Trieste, e la sua bellissima lettera oggi Mons. Negri. Ci auguriamo che anche altri presuli seguano l'esempio di questi vescovi esemplari per coraggio e fedeltà al Sommo Pontefice.

Santità,

la menzogna e la violenza diabolica si avventano, ogni giorno, sulla Sua Sacra Persona.
Lei vive di fronte a tutta la Chiesa una singolarissima partecipazione alla Passione del Signore Gesù Cristo.

Di fronte alla Chiesa e al mondo Lei sta percorrendo “la via dolorosa”. Ci senta accanto a Lei, con un affetto infinito e con la volontà di confortare, per quanto possiamo, questo suo dolore. Nel suo dolore, Santità, vibra già tutta la potenza di Dio che, in questo dolore e per questo dolore, vince oggi il male del mondo.

Un grandissimo e comune amico, il Presidente Marcello Pera, mi ha scritto in questi giorni: com’è possibile che un miliardo di cristiani assistano in silenzio ed impotenti al tentativo di distruggere il Papa, senza rendersi conto che dopo questo non ci sarà più salvezza per nessuno.

Santità, è necessario che tutti noi lavoriamo, sotto di Lei, ad una grande riforma dell’intelligenza e del cuore della Chiesa, fondata sull’adesione incondizionata al Suo Magistero.

Solo questo può approfondire il senso della nostra dignità, di fronte a noi stessi e al mondo, e dell’ inderogabile compito della missione, che ci è conferito dal nostro battesimo.

Troppe cattive teologie, troppi vacui esegetismi, molte volte in polemica esplicita con il suo Magistero, avviliscono oggi la cultura della Chiesa.

A questa grande riforma dell’intelligenza e del cuore della Chiesa seguirà necessariamente una vera riforma morale, premessa di una nuova fioritura di santità. E cosi rifiorirà la missione della Chiesa in questo mondo, forte, lieta e sacrificata. Nei momenti più gravi della sua storia, la Chiesa ha sempre sperimentato tutto questo. Oggi, come allora, accoglieremo la grazia di questa sofferenza per vivere anche più profondamente le nostre responsabilità.

Santità Lei conosce i nostri cuori, sa che ci stringeremo in un abbraccio alla Sua Persona, pronti a morire per Lei e per la Chiesa.

Santità perdoni il nostro ardire e ci benedica.

27 Marzo 2010

+ Mons. Luigi Negri
  Vescovo di San Marino-Montefeltro

Quando i Vescovi parlavano (chiaro) al Clero


Quando la CEI era guidata dal cardinal Giuseppe Siri


Lettera dell'Episcopato italiano al Clero

Il laicismo

Presentazione


Carissimi sacerdoti,

Durante la Quaresima avete letto e spiegato ai fedeli le lettere pastorali che ognuno degli ecc.mi vescovi ha indirizzato al proprio gregge secondo i bisogni particolari della sua diocesi.

Nell'avvicinarsi della santa Pasqua, abbiamo ritenuto opportuno, secondo una deliberazione presa nell'ultima assemblea generale della Cei tenutasi lo scorso mese di ottobre, rivolgere alcune paterne parole di esortazione e di orientamento a voi, carissimi confratelli nel sacerdozio, che più validamente collaborate al nostro lavoro pastorale e partecipate alle nostre sollecitudini.

L'errore: un umanesimo senza Cristo

Vogliamo che questa lettera collettiva vi giunga per una delle date più solenni del calendario liturgico, quella che la Chiesa esorta a ricordare tre volte ogni giorno: l'Annunciazione della Vergine e l'Incarnazione del Figlio di Dio.
Troverete, nelle pagine che seguono, la nostra preoccupazione per un errore e per un costume di vita che sono in estremo contrasto con l'incarnazione e con la vita soprannaturale che l'Incarnazione ha restaurato nel mondo.
V'è un umanesimo che proclama di voler prendere in considerazione tutti i problemi umani e che pretende di capirli e di poterli risolvere con le forze ed i valori puramente umani, ma si ostina ad ignorare o a combattere Gesù Cristo.
E' l'incarnazione che ha dato al mondo Gesù Cristo, il quale ha posto nella vera luce i problemi umani, ha insegnato i principi per la loro valutazione, ha offerto i mezzi per la loro soluzione.
Con incomprensibile illogicità coloro che annunciano il supremo valore dell'uomo non vogliono saperne di lui, della sua opera, di coloro che, uomini essi pure, in lui credendo e seguendo i suoi comandi, sanno che, non solo l'uomo ha avuto da Dio un fine che supera la sua natura, ma che questa stessa natura non può esplicarsi ed affermarsi nella sua pienezza, nella sua armoniosa completezza, se dimentica la soprannatura, se rigetta la grazia, se esclude le istituzioni ed i mezzi da Dio voluti perché la grazia giungesse alle anime.
Le nostre parole vogliono soprattutto ravvivare in voi il senso della dignità che vi è stata conferita come lievito, come sale, come luce della terra.

La Chiesa affronta la situazione

1. La nostra prima parola è di profondo compiacimento.

In questi travagliati anni del dopoguerra, in cui la vita e l'opera sacerdotale sono state sottoposte a durissime prove, voi avete ben meritato della Chiesa. Nei posti più umili come in quelli di maggiore responsabilità, avete dato testimonianze luminose di vita esemplare, di ardente zelo apostolico, di fervore instancabile di iniziative. Conosciamo i vostri quotidiani sacrifici, le vostre indicibili trepidazioni, le vostre silenziose sofferenze, i vostri nascosti martiri. Mai forse, come in questi anni, l'opera sacerdotale ha dovuto affrontare difficoltà e problemi di portata così vasta e complessa, da sgomentare anche le anime più salde.
Voi avete retto dignitosamente alla prova e i vostri vescovi, che da vicino hanno condiviso le vostre gioie e i vostri dolori, desiderano dare pubblica testimonianza all'esemplarità della vostra vita e all'impegno generoso del vostro ministero.

2. Realtà consolanti hanno preso sviluppo in seno alla vita religiosa della nazione: maggiore apertura ai problemi dello spirito; più alta e approfondita cultura religiosa; intenso sforzo di elaborazione di una dottrina sociale cristiana inserita nel tessuto vivo della realtà attuale; più consapevole adesione, di larghi strati del nostro popolo alla propria fede, con partecipazione più viva alla vita liturgica e sacramentale; organizzazioni cattoliche, aventi finalità sociali ed assistenziali; risveglio del laicato cattolico per estendere il raggio apostolico della gerarchia e lievitare in senso cristiano dal di dentro i diversi campi dell'attività umana.
Tra i fenomeni del nostro tempo, uno dei più rilevanti è l'irrompere nel circuito delle forze vive della nazione di masse fino a ieri rimaste fuori o ai margini della vita associata.
E' un fenomeno di evoluzione sociale del quale dobbiamo rallegrarci e che spinge a metterci amorosamente al fianco dell'umanità in cammino, come la storia dice che ha fatto sempre la Chiesa. Non possiamo però chiudere gli occhi alle deviazioni di pensiero e di costume che accompagnano questo fremito di rinnovamento. E' concessione a un edonismo sempre più esasperato; è sopravvalutazione esclusiva dei valori economici; è contagioso relativismo morale che affascina specialmente le giovani generazioni; è esteriorizzazione della vita così sbandata, che quasi spegne nell'anima la possibilità della riflessione sulle realtà più serie e decreta un assurdo trionfo alle realtà più effimere e banali.
Noi abbiamo fede nel valore del messaggio cristiano, ma questa stessa fede ci impone di veder chiaramente nel mondo di oggi, per assumere la posizione cristiana e sacerdotale conseguente.

Laicismo: la mentalità dominante...

3. Alla base delle diverse deviazioni dottrinali e pratiche del mondo attuale si può scoprire come un denominatore comune, che quasi esprima l'anima di tutto e rappresenti il principio ispiratore della complessa gamma degli atteggiamenti errati nel campo religioso e morale?
Noi pensiamo di sì e crediamo di individuare questo atteggiamento di fondo in quella diffusa mentalità attuale che va sotto il nome di "laicismo". Non temiamo di affermare che questo è l'errore fondamentale, in cui sono contenuti in radice tutti gli altri, in una infinità di derivazioni e di sfumature.

4. E' difficile dare una definizione del laicismo, poiché esso esprime uno stato d'animo complesso e presenta una multiforme varietà di posizioni. Tuttavia in esso è possibile identificare una linea costante, che potrebbe essere così definita: una tendenza o, meglio ancora, una mentalità di opposizione sistematica ed allarmistica verso ogni influsso che possa esercitare la religione in genere e la gerarchia cattolica in particolare sugli uomini, sulle loro attività ed istituzioni.
Ci troviamo, cioè, di fronte ad una concezione puramente naturalistica della vita dove i valori religiosi o sono esplicitamente rifiutati o vengono relegati nel chiuso recinto delle coscienze e nella mistica penombra dei templi, senza alcun diritto a penetrare ed influenzare la vita pubblica dell'uomo (la sua attività filosofica, giuridica, scientifica, artistica, economica, sociale, politica, ecc.).

... che riduce la fede a fatto privato

5. Abbiamo, così, innanzitutto un laicismo che si identifica in pratica con l'ateismo. Esso nega Dio, si oppone apertamente ad ogni forma di religione, vanifica tutto nella sfera dell'immanenza umana. Il marxismo è precisamente su questa posizione né è il caso che ci diffondiamo ad illustrarlo.

Abbiamo, poi, un'espressione meno radicale, ma più comune, di laicismo, che ammette Dio e il fatto religioso, ma rifiuta di accettare l'ordine soprannaturale come realtà viva ed operante nella storia umana. Nell'edificazione della città terrestre intende prescindere completamente dai dettami della rivelazione cristiana, nega alla Chiesa una superiore missione spirituale orientatrice, illuminatrice, vivificatrice nell'ordine temporale.

6. Le credenze religiose sono, secondo questo laicismo, un fatto di natura esclusivamente privata; per la vita pubblica non esisterebbe che l'uomo nella sua condizione puramente naturale, totalmente disancorato da un qualsiasi rapporto con un ordine soprannaturale di verità e di moralità. Il credente è perciò libero di professare nella sua vita privata le idee che crede. Se, però, la sua fede religiosa, uscendo dall'ambito della pratica individuale, tenta di tradursi in azione concreta e coerente per informare ai dettami del Vangelo anche la sua vita pubblica e sociale, allora si grida allo scandalo come se ciò costituisse una inammissibile pretesa.
Alla Chiesa si riconosce, tutt'al più, un potere indipendente e sovrano nello svolgimento della sua attività specificamente religiosa avente uno scopo immediatamente soprannaturale (atti di culto, amministrazione dei sacramenti, predicazione della dottrina rivelata, ecc.). Ma si contesta ad essa ogni diritto di intervenire nella vita pubblica dell'uomo poiché questa goderebbe di una piena autonomia giuridica e morale, né potrebbe accettare dipendenza alcuna o anche solo ispirazione da esterne dottrine religiose.

Agli antipodi del pensiero cattolico

7. Non ci fermiamo a confutare tali affermazioni, che sono in nettissimo contrasto con la dottrina cattolica. Vogliamo soltanto sottolineare la portata gravissima di esse. Praticamente si nega o si prescinde dal fatto storico della rivelazione; si misconosce la natura e la missione salvifica della Chiesa; si tenta di frantumare l'unità di vita del cristiano, nel quale è assurdo voler scindere la vita privata da quella pubblica; si abbandona la determinazione della verità e dell'errore, del bene e del male all'arbitrio del singolo o delle collettività, aprendo così la strada a tutte le aberrazioni individuali e sociali, di cui - purtroppo - i nostri ultimi decenni hanno offerto testimonianze atroci.
Come si vede, il fenomeno laicista affonda le sue radici in un contrasto sostanziale di principi. Non si esaurisce nel fatto politico contingente, anche se preferisce sviluppare soprattutto su questo terreno la sua quotidiana polemica contro la Chiesa. Nella sua accezione più conseguente, esso è una concezione della vita che è agli antipodi di quella cristiana.

Una sottile corrosione dell'anima cattolica del paese

8. Il pericolo insito in questo errore è oggi accentuato da due fatti. Innanzi tutto il laicismo, nell'odierna situazione italiana, evita generalmente gli atteggiamenti plateali e massicci del vecchio anticlericalismo ottocentesco. IL più scaltrito, più duttile, più lucido ed aggiornato alle tecniche del tempo. Più che aggredire direttamente preferisce l'insinuazione perfida e la critica sottile, più che la discussione diretta preferisce la battuta di spirito e lo scherno, più che l'attacco alle idee preferisce l'utilizzazione delle debolezze degli uomini, più che le spettacolari chiassate di piazza preferisce l'orpello d'una certa severità culturale.
Anche quando attacca la Chiesa si sforza di ammantarsi di nobili motivi: vorrebbe svincolarla da ogni "compromissione" temporale, purificarla da ogni "contaminazione" mondana e politica, metterla al passo dei tempi e svecchiare le sue interne strutture, affinché, libera e ringiovanita, possa tornare ad esercitare il suo sovrano ministero spirituale sulle anime.

9. A questo s'aggiunge un altro fattore importante: il laicismo sfugge a posizioni dottrinali precise. Come tutti gli errori di oggi preferisce l'indeterminatezza e la vaporosità degli atteggiamenti. Fa leva soprattutto su impressioni, su sentimenti e risentimenti, su stati d'animo. Ciò è dovuto a volte alla superficialità delle sue idee, ma spesso obbedisce ad un preciso calcolo. Ama giocare sull'equivoco per raggiungere i propri scopi senza suscitare eccessive reazioni, soprattutto in quella parte dell'opinione pubblica ancora legata - in qualche modo - alla religione e alla morale cristiana. Si mimetizza per operare indisturbato in modo da creare gradualmente un clima di pensiero e di vita disancorato da ogni riferimento soprannaturale ed aperto a tutte le avventure intellettuali e morali.
Questi fatti rendono l'insidia molto più grave, perché, sotto l'apparente rispetto per la fede religiosa del popolo, può essere gradualmente e insensibilmente consumata un'opera di sistematica corrosione dell'anima cattolica del paese.

Le manifestazioni più ricorrenti

10. Che alla base dell'odierno atteggiamento laicista vi sia un profondo contrasto di natura religiosa, lo dimostra anche uno sguardo - sia pure sommario - dato alle più recenti manifestazioni di esso, le quali possono essere così sommariamente delineate:

a) critiche astiose, anche se talvolta espresse in forma di apparente rispetto, per ogni intervento del magistero ecclesiastico, ogni qualvolta esso, dal piano dei principi, scende alle applicazioni pratiche; allarme e rifiuto dell'intervento della Chiesa e della sua gerarchia perfino in fatto di pubblica moralità;

b) insofferenza e diffidenza, se non aperta ostilità, verso tutto ciò che è espressione del pensiero e della vita dei cattolici nel paese, verso tutto ciò che indica una loro presenza ed influenza nei diversi settori della vita pubblica;

c) compiaciuta pubblicità data ad episodi di immancabili deficienze e di presunti scandali nel clero e nel laicato cattolico organizzato; travisamento sistematico delle finalità che animano opere cattoliche di assistenza, di carità, di educazione, ecc.;

d) compiacente appoggio dato ad ogni tentativo tendente ad introdurre nella legislazione italiana il divorzio e ad attenuare le vigenti disposizioni a tutela delle leggi della vita;

e) isolati, ma chiari sforzi per rimettere in discussione il Concordato che pure fu accettato con quasi unanime riconoscimento nell'immediato dopoguerra ed inserito nella stessa Costituzione;

f) aspri attacchi contro la vera libertà della scuola non statale e continue accuse ai cattolici di voler sabotare la scuola statale; opposizione tenace ad ogni richiesta di contributi, da parte dello Stato, alla scuola non statale e taccia alla stessa di mancare di libertà e di non educare alla libertà, in quanto al cattolico sarebbe preclusa la libertà d'indagine necessaria per il progresso e la cultura;

g) scandalo e proteste per ogni partecipazione delle pubbliche autorità a manifestazioni religiose o ad atti di omaggio al vicario di Cristo, nel quale si vuol vedere soltanto il sovrano della Città del Vaticano, con cui trattare da pari a pari, pena l'umiliazione e l'abdicazione dello Stato alla sua dignità sovrana;

h) incapacità a comprendere nel loro pieno significato religioso gli interventi della Chiesa e della sua gerarchia, intesi ad orientare i cattolici nella vita pubblica, a richiamarli - nel momento attuale - al dovere dell'unità, e a metterli in guardia contro ideologie che, prima di essere aberrazioni politiche e sociali, sono autentiche eresie religiose. Gioverà ricordare le parole di Pio XI: "Ci sono dei momenti in cui noi, l'episcopato, il clero, i laici cattolici, sembra si occupino di politica. Ma, in realtà, non ci si occupa che della religione e degli interessi religiosi, finché si combatte per la libertà religiosa, per la santità della famiglia, per la santità della scuola, e per la santificazione dei giorni consacrati al Signore. Non è questo fare della politica... Allora è la politica che ha toccato la religione, che ha toccato l'altare. E noi difendiamo l'altare" (Pio XI, Discorso del 19 settembre 1925).
Da questi brevi cenni risulta evidente la gravità degli errori diffusi sotto l'etichetta del laicismo.
La Chiesa non ha alcun interesse a riaprire antichi dissidi, né desidera che i cattolici si lascino trascinare su un campo di sterili polemiche, le quali servirebbero soltanto a disgregare la spirituale compagine delle nazioni e a distrarli dal duro, positivo impegno quotidiano di edificazione di una società più giusta e più capace di risolvere i problemi concreti ed urgenti della vita del nostro popolo.
Tuttavia non può restare indifferente di fronte a questi attacchi, che investono la sostanza della sua dottrina. Tradirebbe la sua missione e aprirebbe la strada a facili disorientamenti nelle anime ad essa affidate.

Il laicismo nel mondo cattolico

11. Ma le nostre considerazioni non possono fermarsi qui. Non sarebbe sufficientemente illuminato il quadro, se non venisse chiarito un altro problema: il pericolo che l'idea laicista s'infiltri insensibilmente anche tra le file del clero e del laicato cattolico. L'errore è così radicato nel clima culturale e sociale, che noi continuamente respiriamo, da rappresentare un'insidia non irreale anche per queste anime che dovrebbero esserne immuni.

Nel laicato cattolico la mentalità laicista può dar luogo a facili tentazioni, di cui enumeriamo le principali:

a) tendenza, in nome di una ormai raggiunta maggiore età, a sottrarsi all'influenza ed alla guida della gerarchia e del clero, nella persuasione che solo così il laicato possa acquistare piena consapevolezza e completa cittadinanza nella società religiosa, come in quella civile;

b) la tendenza a rivendicare una totale indipendenza dalla Chiesa nella sfera del "profano", non rendendosi conto come, dietro gli aspetti tecnici e contingenti dei problemi temporali, tante volte si agitano questioni di principio, su cui la dottrina cattolica non può rifiutare di pronunziarsi;

c) la tendenza a sottovalutare o a mettere in dubbio la capacità del messaggio cristiano a risolvere i problemi sociali del mondo d'oggi, perché la Chiesa avrebbe una visione troppo trascendente dei problemi umani; perché la sua attività magisteriale si fermerebbe solo alla enunciazione di principi generici; perché essa, nella necessità di mediare fra le forze destinate al declino e quelle che si affacciano all'orizzonte, mancherebbe di coraggio e di audacia nell'affrontare la ruvida realtà di questo mondo in drammatica evoluzione;

d) la tendenza a scivolare sul piano inclinato di un sottile naturalismo, svalutando l'azione magisteriale e sacramentale della Chiesa in ordine all'umano progresso e dando la precedenza, se non l'esclusività, a mezzi terreni; accettando - in forma più o meno palese - i metodi e lo stile degli avversari, puntando l'attenzione sul successo immediato, dando eccessivo peso alle manifestazioni di massa e al plauso dell'opinione pubblica;

e) la tendenza a indulgere a forme di amara polemica interna e a preoccuparsi più dell'apertura verso il mondo esterno che della fraterna carità e dell'unità di spirito con coloro che - nonostante inevitabili deficienze e lacune lavorano e soffrono al proprio fianco;

f) la tendenza ad opporre la Chiesa carismatica alla Chiesa gerarchica, le interiori ispirazioni del cuore all'ordine esterno della disciplina, nella persuasione che sia doveroso scindere le espressioni visibili del cristianesimo da quella che è la sua sostanza profonda soprannaturale; che basti per tutto la carità, fuori di ogni impalcatura giuridica;

g) la tendenza ad equiparare il laico al sacerdote, affermando una insostituibile complementarità e parallelismo di funzioni e di poteri, e attenuando, fino quasi a distruggerla, la differenza che esiste fra il sacerdozio generico che possiede ogni cristiano - in quanto membro del corpo mistico di Cristo sommo sacerdote - e il sacerdozio propriamente detto, fondato sul carattere sacramentale ricevuto nell'ordinazione.

Influssi protestantici e altre cause

12. Le cause di queste facili tentazioni, in cui può cadere il laicato cattolico, sono diverse e i canali di derivazione molteplici. Accenniamo alle principali di queste cause:

a) la carenza di cultura teologica, soprattutto circa il mistero della Chiesa, la natura di essa, i suoi poteri, i suoi rapporti esterni e interni. Per molti nostri laici le conoscenze teologiche sono scarse, disorganiche e confuse, sommerse in una cultura profana a tinta laicista (purtroppo l'istruzione scolastica, nel nostro paese, si svolge ancora in un clima prevalentemente laicista);

b) l'influsso della stampa, il cui orientamento è decisamente o almeno tendenzialmente laicista. In questa chiave la stampa interpreta abitualmente, pur se conserva l'ossequio formale alla religione, la presenza della Chiesa nel mondo d'oggi, il modo di porsi dei rapporti fra Chiesa e Stato, l'azione dei cattolici, la complessità dei problemi morali che emergono all'attenzione dell'opinione pubblica o magari con la buona intenzione di voler conoscere la critica avversaria per combatterla più efficacemente. Di fatto però finiscono per assorbirne lentamente il veleno;

c) l'influsso d'una certa letteratura religiosa d'avanguardia, soprattutto d'oltralpe, in cui un'inquietudine costituzionale s'accompagna alle più spericolate audacie di pensiero e si plaude senza riserve ad ogni esperimento d'apostolato che esca fuori dagli schemi tradizionali, nella convinzione che soltanto così si apra la strada a metodi validi per riprendere i contatti perduti col mondo;

d) l'influsso del protestantesimo, sia nella propaganda ripresa con vigore in non poche città e regioni, sia nella diffusione attraverso riviste delle nuove dottrine teologiche, sia nei movimenti a carattere spiritualista (ad esempio, il Movimento di Craux), sia nella letteratura e nella produzione cinematografica e teatrale;

e) l'influsso della concezione democratica, che porta qualcuno a voler applicare indebitamente alla Chiesa gli schemi della sociologia umana, quasi che la determinazione della verità religiosa e l'esercizio dei poteri sacri dovessero essere sottoposti al consenso del laicato e al gioco delle maggioranze e delle minoranze;

f) la sopravvalutazione dell'azione del laicato, quasi in contrasto con l'opera forse non sempre altrettanto brillante sul piano esteriore, del sacerdote; la facilità ad interpretare - soprattutto in ambienti giovanili - semplici e schiette parole di approvazione da parte della gerarchia come una specie d'investitura suprema per ritenersi i salvatori della situazione, i detentori di carismi speciali, fino a giungere talvolta, sotto la spinta dell'orgoglio, dell'adulazione degli amici, degli applausi della folla, dei consensi taciti di qualche incauto maestro, ad assumere atteggiamenti d'insofferenza per ogni disciplina;

g) le carenze di qualche membro del clero, il cui atteggiamento - di esasperato autoritarismo e di sfiducia nei riguardi del laicato, di chiusura mentale e grettezza di fronte ai problemi odierni dell'apostolato e della vita sociale, di non saggia prudenza e di poca misura nel proprio doveroso intervento sul piano politico - può determinare dolorose situazioni d'incomprensione reciproca, di critiche scambievoli, di diffidenze e contrasti;

h) la carenza di soda formazione spirituale, la quale se aggiunta all'aspro quotidiano confronto con un mondo che crede poco alle virtù cristiane profonde (umiltà,azienza, veridicità, carità, giustizia, disinteresse, ecc.) può determinare anche nel laicato cattolico uno stile mentale e pratico in contrasto col messaggio cristiano o da esso alieno, e portare a confondere la decisione con la violenza, l'intelligenza con l'astuzia e il calcolo, l'urgenza delle trasformazioni sociali con la rivoluzione, lo slancio ardente con l'impazienza ribelle, il regno di Dio col dominio della terra, il servizio della Chiesa con la pretesa di porre la Chiesa a servizio delle proprie idee ed interessi.
Qui parliamo di tentazioni possibili, di tendenze che possono affiorare, non di uno stato di fatto che abbia una portata estesa. Questi richiami alla vigilanza non vogliono affatto negare o mettere in dubbio l'apporto imponente e meraviglioso che il laicato cattolico ha offerto alla Chiesa nel nostro paese, in questi ultimi anni. È un capitolo di storia fulgidissima, che nessuna nube può minimamente offuscare.

Il laicismo nel clero

13. Ma la mentalità laicista può infiltrarsi anche tra le nostre file, carissimi sacerdoti, soprattutto nelle generazioni più giovani, e portare insensibilmente a posizioni dottrinali e soprattutto a pratiche rovinose sia per la nostra vita spirituale come per l'impostazione del nostro apostolato.
Il laicismo è negazione o misconoscimento del soprannaturale e di tutti i suoi segni sulla terra, è accento posto sui valori umani e noncuranza di quelli sacri e divini. L'infiltrazione di questa mentalità, anche se inconsapevole, nel sacerdote può portare a deviazioni gravissime. Ne sottolineiamo alcune, fra le più facili a verificarsi, nella situazione presente:

a) la tendenza verso un umanesimo seducente nelle sue prospettive, ma ambiguo nelle sue articolazioni profonde, in cui il senso dei valori umani e la conseguente ricerca di essi - nella propria vita personale come nel proprio lavoro apostolico -assumono un posto così assorbente e preponderante da far dimenticare o relegare ai margini del proprio pensiero e del proprio operare la grazia e i mezzi autentici della grazia;

b) la tendenza a ricercare, con esasperata sensibilità, i valori della propria personalità umana, della propria indipendenza ed autonomia di pensiero e di azione, a scapito dei valori insostituibili dell'obbedienza e dell'umiltà, dimenticando che il proprio sacerdozio è valido ed efficace nella misura in cui è saldato a Cristo, tramite la mediazione visibile della Chiesa e della sua gerarchia;

c) la tendenza ad anteporre, nell'impostazione del proprio apostolato, l'opera di redenzione umana a quella religiosa e morale nella convinzione che - nel mondo di oggi - l'azione più urgente sia, anche per un sacerdote, quella di riforma sociale o culturale o economica o politica, dimenticando che le riforme esterne di struttura sono dovere dei laici e che, d'altra parte, esse rischiano di finire nel più pauroso fallimento se non sono precedute e accompagnate dalla trasformazione interiore delle coscienze, compito questo che spetta specificamente al sacerdote;

d) la tendenza a diminuire le distanze fra sé e il mondo, non soltanto nella giusta linea d'uno sforzo teso a comprendere e penetrare i diversi ambienti, a portare a tutti il beneficio della propria parola e della propria presenza sacerdotale; ma, per la smania di assimilarsi agli altri, ad attenuare il vigore del proprio messaggio, ad attutire il distacco tagliente espresso dalla propria veste, a dar posto ad un irenismo che vorrebbe presentarsi come amore del quieto vivere, che dimentica il solenne ammonimento: "Nolite conformari huic saeculo" (Rm 12,2);

e) la conseguente tendenza a confondere il necessario aggiornamento - sul piano culturale e apostolico, nelle idee, nei metodi, negli strumenti - in bramosia fatua di cose nuove, in vana ricerca di modernità ad ogni costo, di soluzioni audaci e spericolate, assumendo di fronte agli uomini e alle idee del passato atteggiamenti di amara polemica, di sistematica e indiscriminata denigrazione, di fastidiosa sufficienza;

f) la tendenza a far propri modi secolareschi nel comportamento e nel sentire, ad assumere di fronte ai laici una disinvoltura acerba e artificiosa che a volte rasenta la spregiudicatezza, a far trapelare un senso di insofferenza del costume ecclesiastico, delle funzioni proprie sacerdotali nel desiderio di evadere dal clima di nascondimento e di riserbo proprio della vita sacerdotale;

g) la tendenza a mettere il silenziatore sull'importanza insostituibile che hanno, nella vita sacerdotale, la mortificazione e la rinunzia, fino a pensare che ormai l'ascetica cattolica tradizionale avrebbe fatto il suo tempo e sarebbe incapace di fornire oggi veri orientamenti di vita, per cui si sarebbe costretti a mandarla in frantumi al primo contatto con l'esperienza concreta dell'esistenza;

h) la tendenza a preferire l'affannosa ricerca della problematica culturale attuale, invece che ancorarsi ai sicuri ormeggi della parola di Cristo e dell'insegnamento della Chiesa, anteponendo lo studio delle realtà profane a quello sacro, l'amore dei libri degli uomini a quello del libro di Dio, una vaga letteratura teologica alla teologia sistematica, la bramosia della vana curiosità alla fame e sete di verità evangelica;

i) la tendenza a falsare nella vita sacerdotale, sotto la spinta di tutte queste deviazioni, la giusta gerarchia dei valori: al primato della grazia sostituire quello degli strumenti e delle tecniche umane, al primato della preghiera quello dell'azione esterna, al primato della formazione interiore delle anime quello delle opere e dell'organizzazione esteriore, al primato della qualità quello della quantità, al primato della sostanza quello delle apparenze, al primato della fede quello della furbizia e del calcolo umano, al primato dell'umiltà e della semplicità quello della potenza e della spavalderia superba.

A nessuno può sfuggire la portata attuale di queste tentazioni. Forse a parecchi si nascondono gli strettissimi legami che intercorrono tra esse e la mentalità laicista odierna. Eppure tali legami sono evidentissimi ad un esame non superficiale della situazione. Il cedere a tali tentazioni significherebbe, per il nostro sacerdozio, perdere la propria fisionomia soprannaturale e condannarsi alla sterilità e alla morte.

Indicazioni:

a) recuperare una fede capace di giudizio
Ci siamo sforzati, carissimi sacerdoti, di stabilire una diagnosi di questa eresia odierna che si chiama laicismo, cercando di cogliere alcune linee essenziali delle sue articolazioni interne e delle sue possibili infiltrazioni nel campo cattolico e sacerdotale. Ora desideriamo presentare alcune indicazioni pratiche di orientamento, affinché la nostra azione sacerdotale risulti illuminata e tempestiva nei rapporti col mondo esterno laico, nei rapporti col nostro laicato cattolico, nell'impostazione della nostra vita personale, memori di quanto afferma il regnante sommo pontefice: "Oggi i cristiani ferventi attendono molto dal sacerdote. Essi vogliono vedere in lui, in un mondo dove trionfano il potere del denaro, la seduzione dei sensi, il prestigio della tecnica, un testimonio del Dio invisibile, un uomo di fede dimentico di se stesso e pieno di carità" (Giovanni XXIII, Sacerdoti nostri primordia).

14. Innanzitutto procuriamo di acquistare una concreta e precisa conoscenza del fenomeno laicista. E' la prima premessa per un'azione pastorale illuminata ed efficace. Purtroppo, non tutte le anime sacerdotali posseggono questa chiarezza di idee. Alcuni si fermano ad una conoscenza superficiale e sommaria del fenomeno, su un piano di polemica puramente marginale. Il fenomeno - lo abbiamo visto - è estremamente complesso nelle sue articolazioni interiori e proteiforme nelle sue manifestazioni esterne. Urge, perciò, avere un'informazione sicura e una comprensione adeguata.

Conoscere significa afferrare le radici filosofiche, storiche, ambientali, psicologiche del fenomeno, vedendone chiaramente i rapporti di parentela con le diverse eresie ed aberrazioni di ieri e di oggi.

Conoscere significa penetrare lucidamente i motivi per cui tante anime fanno proprio l'atteggiamento laicista. Questi motivi sono diversissimi e quasi variano da anima ad anima (superficialità, ignoranza religiosa, passione politica, risentimenti per fatti marginali e spesso banali, prigionia entro pregiudizi ereditati dall'ambiente, posizione ideologica, ecc.).

Conoscere significa penetrare con chiarezza quel complesso di idee e di tendenze che il laicismo sviluppa nei diversi settori della vita (cultura, famiglia, scuola, Stato, assistenza, pubblico costume, ecc.).

A questo scopo, esortiamo gli insegnanti nei seminari, gli scrittori di riviste e giornali cattolici, gli organizzatori di convegni di studio e di altre iniziative analoghe, a porre il più assiduo impegno per fornire a sacerdoti e a laici un orientamento sicuro, sereno, tempestivo su questo argomento.

a) Assumiamo una chiarezza di atteggiamento e una fermezza di vigilanza contro gli errori. Le posizioni equivoche non servono a nulla, aumentano soltanto il disorientamento in mezzo alla comunità cristiana. Nessun compromesso è possibile sul piano dei principi, nessuno spirito di acquiescente irenismo deve penetrare fra le nostre file, in un tempo in cui tutti i nemici della Chiesa sanno chiaramente cosa vogliono e perseguono senza debolezze e titubanze i loro fini.
Mai deve attutirsi il vigore della nostra vigilanza. Abbiamo già accennato, all'inizio, ai diversi settori della vita nazionale dove il laicismo sta attualmente conducendo le sue maggiori battaglie. Vogliamo richiamare l'attenzione soprattutto sui problemi della famiglia, della scuola e della pubblica moralità (stampa, spettacolo, ecc.), sui quali più duramente si sta oggi impegnando la lotta.

b) Avviciniamo e illuminiamo in spirito di profonda carità gli erranti. L'opera di vigilanza e di difesa non basta. Ogni sacerdote deve sentire inestinguibile, nella sua anima, il bisogno di ricercare ogni possibilità di contatto e di azione illuminatrice verso le anime di questi fratelli smarriti. Non possiamo rassegnarci alla loro lontananza ed ostilità. Sono figli di Dio anch'essi, hanno un'anima da salvare anch'essi. L'apostolato è tensione amorosa soprattutto verso i lontani, verso i giudei e i greci che chiedono i miracoli e cercano la sapienza. A tutti dobbiamo predicare Cristo crocifisso (1 Cor 1,21ss).

Qui il cuore di ogni sacerdote deve moltiplicarsi nelle iniziative inesauribili della carità, tentare di aprirsi ogni varco possibile nella muraglia delle diffidenze e delle prevenzioni, sfruttare ogni occasione utile per mettere queste anime a contatto della realtà materna della Chiesa, evitare accuratamente tutto ciò che può fornire pretesto di ostilità o di disprezzo verso le cose sacre, eliminando dalla pietà cristiana ogni espressione non degna di fede e di culto, sforzandosi di comprendere le difficoltà e i dubbi altrui, riconoscendo lealmente e accettando i valori autentici e le legittime aspirazioni che possono nascondersi anche dietro l'inquietudine e la violenza di posizioni polemiche esasperate.

b) formare un laicato cristiano maturo

15. Ai laici nel senso deteriore del termine dobbiamo contrapporre i laici nel senso cristiano, interiormente formati, pienamente consapevoli del loro posto e delle loro responsabilità nell'ambito della Chiesa, collaboratori fervidi della gerarchia nelle organizzazioni di Azione cattolica, testimoni fedeli del Vangelo nelle diverse realtà della vita, con il loro esempio e con la loro parola. Ad essi è affidata, come missione propria, l'edificazione della città terrena, con l'assunzione di precisi impegni temporali, mentre al sacerdote resta il compito di formarli, di dirigerli spiritualmente, di fornir loro i mezzi della grazia.

a) In questi laici curiamo innanzitutto una profonda formazione interiore, diamo ad essi una soda educazione ascetica che li porti al rispetto e alla pratica delle virtù cristiane fondamentali della fraterna carità, dell'umiltà, della docilità, dell'obbedienza, dell'abnegazione. L'esperienza insegna che troppo spesso gli atteggiamenti errati dei nostri laici sono collegati ad una carenza di educazione ascetica oppure a deformazioni ascetiche che coinvolgono responsabilità di sacerdoti, di religiosi, di direttori spirituali. Promuoviamo, perciò, con ogni mezzo, tra le file dei militanti di Azione cattolica soprattutto, quelle iniziative che più risultano adatte allo scopo (esercizi spirituali, ritiri mensili, incontri di spiritualità, ecc.). Né insisteremo mai abbastanza sulla pratica frequente dei sacramenti, sorgente prima di ogni vera formazione interiore.

b) Educhiamo i nostri laici al "senso della Chiesa", nella luce delle grandi encicliche Mistici corporis e Mediator Dei, del Sommo pontefice Pio XII. In questa prospettiva comprenderanno, al di là degli aspetti esterni e giuridici della Chiesa, il suo profondo mistero di mediazione insostituibile tra Dio e le anime, il valore della sua missione spirituale nella storia, e si renderanno conto dell'errore grave in cui cade chi pensa di lavorare per il regno di Dio sottraendosi alla comunione con la Chiesa e con la gerarchia visibile che la governa.

Ed allora, per questi laici formati, il "senso della Chiesa" significherà filiale amore e stretta partecipazione alla vita della Chiesa, alle sue lotte e sofferenze, alle sue persecuzioni e conquiste; significherà attento e amoroso accoglimento dell'insegnamento dottrinale e delle direttive pratiche di essa, vedendo nella gerarchia e nelle sue disposizioni una presenza di amore e di sollecitudine per il bene delle anime; significherà cosciente partecipazione alla vita liturgica, attraverso cui si approfondiscono i legami spirituali di ogni anima con la comunità dei fratelli; significherà, infine, fervida operosità per dilatare il regno di Dio sulla terra, secondo le possibilità e le responsabilità di ognuno.

c) Curiamo - insieme con la formazione ascetica un approfondita cultura religiosa, in modo che i nostri laici - soprattutto se membri di Azione cattolica o investiti di pubbliche responsabilità - abbiano una chiara e sistematica conoscenza dei termini teologici dei problemi attuali, con particolare riferimento alle difficoltà di ordine teorico e pratico poste dal laicismo. Tale chiarezza di idee si richiede, in modo particolarissimo, sulla dottrina sociale della Chiesa, ad evitare atteggiamenti e posizioni che si possano prestare ad equivoci ed incertezze.

d) Curiamo di evitare, nei nostri rapporti col laicato, ogni forma di esagerato autoritarismo. Lavoriamo con profondo spirito di amore e di rispetto, comprendendo e disciplinando amorevolmente impazienze e imprudenze, fornendo l'ispirazione religiosa e morale ma spronando ognuno all'iniziativa e al senso di responsabilità personale, accogliendo di buon grado tutte le proposte utili che ci possono venire da esso, sforzandoci al massimo di tenera conto delle sue giuste esigenze, mostrando in tutto una superiore larghezza di vedute, usando della sua collaborazione "nel modo come il Creatore e Signore usa le creature ragionevoli come strumento, come cause seconde, con una dolcezza piena di riguardo" (Pio XII), non interferendo in campi dove non abbiamo alcun diritto di fornire direttive, poiché il giudizio e la scelta sono affidati alla libertà di ognuno.

e) Rendiamo, infine, consapevoli i nostri laici del grave dovere che hanno di rendere, in tutte le attività della vita, piena testimonianza alla fede professata. Molti lontani non vengono a contatto con la Chiesa che attraverso la loro persona. Spesso certe forme di anticlericalismo non sono originate da rifiuti consapevoli della dottrina cattolica, ma da cattivi esempi ricevuti da cristiani.

Il modo di agire incoerente di questi, la mediocrità del loro spirito, la mancanza di apertura piena ai problemi del mondo, il declassamento della religione a semplice esteriorità abitudinaria, la professione della fede usata soltanto come vessillo esteriore per farsi strada nella vita e raggiungere terreni interessi, tutti questi fatti contingenti danno spesso motivo e alimento - più che profonde ragioni speculative - a forme di laicismo quasi insuperabili. 1 cristiani, se non vigilano, invece di essere via a Cristo, possono diventare ostacolo che impedisce di arrivare a lui.

c) riscoprire l'identità sacerdotale

16. L'ultima parola non può essere che per noi e non può essere che un invito alla santità. Tutto quanto abbiamo detto finora non servirebbe a nulla, se non partisse da un presupposto essenziale: la santità della vita sacerdotale.

Il laicismo, più che con la nostra dialettica, lo vinceremo con la pratica coerente della nostra vita. Esso è la negazione del soprannaturale sulla terra, il rifiuto della presenza di Dio e di Cristo nel mondo, e la nostra vita sacerdotale è chiamata ad essere precisamente una testimonianza visibile, concreta, vivente del soprannaturale, di Dio e di Cristo nel mondo.

Sappiamo vedere, dietro l'acerbità di certe critiche e la violenza di certi attacchi, una inconsapevole nostalgia d'un sacerdozio santo e immacolato, a volte forse un'amara delusione per spettacoli di mediocrità e di incoerenza offerti da qualcuno di noi, spesso un illegittimo e ruvido passaggio dalla constatazione di nostre isolate debolezze alla incriminazione generale della religione e della Chiesa.

Approfittiamo, perciò, di questa dura stagione spirituale, nella quale siamo chiamati a vivere e ad operare, per riesaminare ciascuno il nostro sacerdozio e riportarlo, ove fosse necessario, a quella statura piena che Cristo e il mondo esigono da noi. Per tempi eccezionali si richiedono uomini e apostoli d'eccezione.

Contro le facili tentazioni di un naturalismo invadente, poggiamo il nostro sacerdozio sulle grandi realtà della grazia, della preghiera, dell'unione intima con Dio, della mortificazione, dell'umiltà, del nascondimento, del dono disinteressato di noi stessi agli altri.

Emerga vigorosa e indiscussa, dovunque e sempre, la soprannaturalità dei nostri fini, dei nostri mezzi, dei nostri metodi. Tutti devono sentire che nelle nostre opere si respira il soprannaturale, si serve Dio e si perseguono solo gli interessi spirituali delle anime, ogni visuale umana è bandita, non ci sospinge la brama di terreni guadagni, non la compiacenza di facili popolarità, non la sete di dominio e di umana potenza. Il volto sacro del nostro sacerdozio deve presentarsi, oggi soprattutto, in tutto il suo immacolato nitore.

Anche quando siamo obbligati, per stretto dovere del nostro ministero, a interessarci del mondo esterno (problemi sociali, politici, di costume ecc.), facciamolo da ministri di Dio, non smarrendo mai la compostezza sacra del nostro stile sacerdotale, in maniera che tutti intendano che il nostro intervento è dettato unicamente da motivi superiori - gli interessi di Dio e delle anime - e non da passioni e interessi terreni. Ed in questi casi a volte drammatici per la nostra anima di sacerdoti, quale sforzo di delicata carità, quale ricerca affannosa dei modi più opportuni, quale superiore serenità e saggezza, quale profonda ispirazione interiore devono vibrare dietro ogni nostra parola! E' sempre ardua la nostra missione, ma lo diventa soprattutto in queste circostanze, in cui la nostra parola deve affrontare problemi della vita temporale e nulla perdere della sua dimensione sacra, deve risolvere questioni contingenti e rimanere voce dell'eterno.

Restiamo, dunque, uomini di Dio, dispensatori dei misteri di Cristo, testimoni viventi della realtà soprannaturale, amministratori instancabili della grazia, anime indissolubilmente radicate nella preghiera e nel sacrificio.

Solo così le nostre opere esterne non saranno costruite sulla sabbia, ma poggeranno sulla roccia e raggiungeranno l'intimo delle coscienze, aprendo a questo mondo malato di oggi la strada del regno di Dio.

Cari sacerdoti nostri!

Quanto vi abbiamo scritto ha un significato semplice e che può essere riassunto in queste poche parole.
Rendetevi conto che pericoli gravi di confusione mentale sono entrati in circolo e attentano, innanzitutto, ai migliori dei nostri fedeli, ma anche a voi.
Siate voi stessi e non imitatori incauti di altri, che stanno fuori delle porte del tempio.
Uno è il Maestro vostro: Gesù Cristo, e una sola è l'autentica continuatrice della parola di Gesù Cristo: la Chiesa.
Siate consci del male, non accettate il compromesso sul giudizio del male; siate fedeli fino in fondo alla vostra vocazione.
La grazia, la pace e consolazione dello Spirito Santo siano in tutti voi.

Roma, 25 marzo 1960, Festa dell'Annunciazione