sabato 7 aprile 2012

rinnovamento veloce contro rinnovamento lento: se è solo una questione di tempi......

Ringraziamo il Dott. Colafemmina per questa sua riflessione che condividiamo: il blog Fides et forma è ritornato attivo e alla grande.


 

UNICORNI DEL FUTURO,
FEDE E POST-CONCILIO
di Francesco Colafemmina
Da molti giorni il blog è silente. Non c'è da preoccuparsi, il silenzio è talvolta una virtù e consente a chi, come il sottoscritto, parla anche troppo, di riflettere sul senso di un impegno che è tempo e dunque vita votata ad una causa o a più cause concatenate fra loro.
E' vero, la bontà della causa deve superare la sfiducia o il senso di abbandono che ci pervade allorché realizziamo che la nostra è sempre più una battaglia contro i mulini a vento. E lo spirito combattivo deve prevalere sulla rassegnazione.

Sì, tante belle parole!
Guardando però alla realtà di questa nostra Chiesa caotica non si può non cedere alla rassegnazione. E non tanto per via della reiterata incapacità del clero di concentrarsi sui valori autentici dell'arte e dell'architettura sacra, di riscoprire la bellezza delle tradizioni, di quel legame fra storia e creatività umana che è il centro di ogni grande esperienza artistica nel sacro, quanto per via di quella obbedienza supina al mondo e ai suoi padroni che rischia di trasformare la Chiesa in uno dei tanti bracci spirituali del nuovo ordine mondiale. Obbedienza che passa per l'adesione ai valori del mondo ossia denaro e potere. Questa preoccupazione supera ogni misera diatriba sullo stato decadente delle arti sacre. Perché l'arte e l'architettura non sono autonome espressioni della fede: salve esse è salvo il Cattolicesimo. Al contrario una retta fede si esprime con un'arte retta. E per retto si intende conforme alla fede e non al mondo. Se viceversa la Chiesa si conforma al mondo o meglio non si oppone al prevalere delle sue regole, ritagliandosi tuttavia solo un angolo di specificità, essa avrà tradito Cristo e la fede semplice di tanti cattolici.

Non a caso il Santo Padre ha parlato pochi giorni fa, stigmatizzandola, di quella parte di Chiesa convinta "che si debba affrontare la lentezza delle Istituzioni con mezzi drastici per aprire vie nuove – per riportare la Chiesa all’altezza dell’oggi.". Una frase, questa, emblematica: le vie nuove infatti sarebbero per i fautori delle innovazioni il semplice approdo di un inesauribile progresso cui si opporrebbe la lentezza delle Istituzioni ecclesiastiche nell'aprirsi al mondo. Questione di tempo, insomma... E ad una simile visione il Papa cosa ha opposto? La storia del post-concilio con il suo "vero-rinnovamento".

Ma dove? Ma quando?

Ha parlato di "movimenti pieni di vita". E così siamo indotti a riscoprire il "vero rinnovamento" nato dal Concilio ossia quello dei Focolarini, dei Neocatecumenali, dei Carismatici, di Comunione e Liberazione. Per carità, espressioni di una Chiesa attiva, vivace, ma non ancora testimonianza di una Chiesa capace di vivere rinnovando la fede, la promessa, il proprio patrimonio di sapienza e spiritualità, senza chiudersi nelle strette maglie del gruppo identitario con i propri riti, i propri canti, le proprie autonome espressioni liturgiche e attivistiche.

Ancora, la ricetta proposta dal Santo Padre appare monca quando fa riferimento solo al magistero nato e sviluppatosi dal Concilio: "Questo aiuto lo troviamo in primo luogo nella parola della Chiesa docente: i testi del Concilio Vaticano II e il Catechismo della Chiesa Cattolica sono gli strumenti essenziali che ci indicano in modo autentico ciò che la Chiesa crede a partire dalla Parola di Dio. E naturalmente ne fa parte anche tutto il tesoro dei documenti che Papa Giovanni Paolo II ci ha donato e che è ancora lontano dall’essere sfruttato fino in fondo."

Ritorna qui la discussione con la Fraternità San Pio X, il dibattito su come intendere il Concilio, se alla luce del magistero precedente o quasi fosse una pietra sacra piovuta dal cielo alla quale devono conformarsi secoli di storia della Chiesa docente. E questo nodo centrale del pontificato benedettiano, cominciato non a caso con il famoso discorso alla Curia Romana in cui veniva messo in discussione l'assolutismo del dettato conciliare, continua a scandire il tempo della Chiesa pressata da numerosi novatores senza se e senza ma, infastidita da piccoli gruppi di conservatori che non intendono scendere a compromessi col mondo e guidata dalla vasta leadership episcopale che pratica la scienza dell'equidistanza o meglio del compromesso. Compromesso sempre più inaccettabile, anche perché i tempi a venire non saranno certo facili. Non potrà che emergere infatti, in tutta la sua deformità, l'abominio di un "mondo", di un "ordine mondiale" che scompagina e distrugge l'ordine cristiano, che devasta la famiglia, che mira a trasformare l'uomo in uno schiavo del potere di pochi, in un vile tassello di un mosaico materialista nel quale la carità, la libertà, la verità sono solo agili slogan o unicorni di un passato mitologico.

Finché la Chiesa anche a costo di arretrare, di venir dilaniata da un simile mostro feroce, non sarà in grado di indicarlo nominatim ai suoi fedeli, finché il clero non prenderà a combattere apertamente il potere anticristico che avanza nel mondo, invece di scendere a compromessi con esso, fino ad allora un po' di silenzio riempito dal suono della preghiera non potrà che risultare l'unico valido metodo per combattere quei giganti che nel mondo reale prendon solo le sembianze di sibilanti mulini a vento.

tratto da: http://fidesetforma.blogspot.it/2012/04/unicorni-del-futuro-fede-e-post.html

una liturgia abbreviata è come vino annacquato

L'atmosfera della liturgia



Le lunghe liturgie che caratterizzano la settimana santa nelle chiese latine tradizionali e in quelle greche c'impongono delle osservazioni di carattere generale.

Innanzi tutto, ci si rende conto che il tempo richiesto dalle celebrazioni prende buona parte della mattina o della sera. I lunghi mattutini "delle tenebre", secondo la consuetudine canonicale e monastica latina, gli "Uffici dello Sposo", nella consuetudine bizantina, richiedono almeno due ore. Nel mondo orientale, giungiamo addirittura a superare le tre ore.

La liturgia tradizionale degli oli santi (Messa crismale) occupa l'intera mattinata del giovedì santo.

Perché delle liturgie così lunghe? Nel mondo attuale molti sono incapaci di sopportare tale durata. Per questo le liturgie cattoliche attuali hanno scelto tempi brevi col rischio di sostenere i propri fedeli nella loro debolezza, come se in palestra si decidesse di rafforzare un corpo prolungandone il rilassamento.

Eppure queste liturgie hanno una loro ragione d'essere. Fanno entrare chi vi partecipa in un'atmosfera necessariamente differente e perché questo accada ci vuole un minimo sforzo.

Sia il mondo greco che quello latino antico e tradizionale danno la percezione di una "densità" particolare, lungo lo svolgimento delle preghiere, una "densità" in grandissima parte evaporata nei riti latini attuali i quali preferiscono piuttosto condividere la scioltezza, la discorsività, l'arte dell'intrattenimento che si riscontra nel culto protestante il quale, a sua volta, non si discosta da una lezione scolastica didatticamente attraente. Ma è questo il culto cristiano?

Il lungo tempo richiesto da una liturgia tradizionale ci mostra, inoltre, un altro elemento: qui l'uomo abita, non transita di passaggio. Le preghiere diventano la sua casa, il suo cibo col quale si nutre tranquillamente, incurante del tempo che scorre. Non è pioggia che scivola via sulla pelle, è bagno caldo nel quale si è immersi, profumati e riscaldati.

La liturgia antica della luce, nel sabato santo, se rispetta la consuetudine tradizionale, occupa parte della notte. La liturgia bizantina del sabato santo occupa ugualmente molte ore notturne. Non è possibile decurtare, riassumere, queste liturgie senza negativi contraccolpi. (Quanto sono ridicole, se non blasfeme al significato intrinseco del simbolo, quelle liturgie notturne del sabato santo che si tengono nella luce vespertina, anticipate di molto pur di non stancare le persone per una veglia di solo un paio d'ore della notte!).

In Occidente l'aver voluto adeguare le liturgie alla debolezza (sempre più marcata) dei popoli, le ha rovinate finendo per svuotarle dalla loro intensità. C'è il reale rischio che siano divenute sale non salato!

Recentemente ho assistito ad una messa crismale nella quale non riuscivo a percepire quell'atmosfera di densità che normalmente si sente in una liturgia tradizionale. Nonostante fosse eseguita con ordine e senz’alcuna artefazione, la sensazione che infondeva era quasi di banalità, di appiattimento. La messa scorreva con una certa fretta dalla quale sembrava trapelare l’insofferenza di chi la svolgeva.

Non riuscivo ad irritarmi, per un approccio così superficiale, ma provavo una radente malinconia. Avevo l'impressione d’assaggiare un vino annacquato. Non potevo classificarlo come acqua (una riunione profana) ma ero certo che non si trattasse di puro vino (una liturgia sacra). Certe cose si sentono a pelle, coinvolgono l'interiorità e, immediatamente, danno una sensazione di verticalità o di appiattimento, ci si sente sollevare o abbassare.

Mi sembrava che il clero di quella messa fosse come certi cagnolini bagnati i quali s’agitano violentemente per scrollare l'acqua dal loro pelo. Avevo la netta sensazione che quei preti non riuscissero ad "abitare nella liturgia" ma ne transitassero solamente. E se il clero non "abita" naturaliter nella liturgia, vien da pensare che abbia il cuore altrove. Se questi sono i pastori, ai quali viene chiesto di più, come possiamo pretendere che i laici siano meglio?

Viceversa, in un contesto orientale, ricordo che anche il clero più disinteressato e secolarizzato riusciva, in qualche modo, ad entrare nella "casa" della liturgia, ad abitarvi. Non sentivo quel senso di fastidio per le lunghe preghiere, semmai, nel caso peggiore, una pacifica rassegnazione. E si sa che le liturgie orientali sono più ampie rispetto alle corrispondenti liturgie latine tradizionali. Non penso che tutto ciò sia dovuto ad una semplice questione di mentalità o di cultura. D'altronde, nel mondo cristiano un incolto che conserva e pratica le buone tradizioni si nobilita. Viceversa un intellettuale che rigetta tali tradizioni diventa come un villico analfabeta: almeno per alcune cose, s'inspessisce, diviene grossolano, se non proprio insopportabilmente volgare.

In conclusione si può aggiungere che la liturgia è sempre lo specchio e l'immagine di una chiesa, ne indica lo stato di salute.

Quello che in Occidente manca, non è tanto una comprensione razionale del rito. Da noi c'è così tanta comprensione razionale d'aver creato un enorme equivoco: si pensa che pregando nella lingua corrente, inculturando il culto, si ha, in qualche modo, capito tutto della liturgia, mentre ci si è esclusi dalle sue mistiche profondità che richiedono un ben altro approccio. L'attuale razionalismo teologico nella liturgia crea un atteggiamento simile a chi, vedendo una mela, pensa che il frutto si esaurisca nel colore e nella consistenza della sua buccia...

Quello che in Occidente manca, è quella percezione sacra che non ha bisogno di traduzioni, introduzioni, monizioni, raccomandazioni, agitazioni, imposizioni. E' quel senso del sacro, quel sapore particolare il quale, proveniente da un'intensità di spirito e di grazia, avvolge la persona e la porta immediatamente alla percezione intuitiva di un altro mondo che illumina e infonde speranza al mondo presente. E' questo che continua drammaticamente a mancare e che, tuttavia, i culti antichi comunicavano senza tanto fragore e preoccupazioni razionalistiche.

Oggi le idee su tali argomenti, sono purtroppo lungi dall'essere chiare per cui si continua a mescere vino e acqua spacciando la bevanda risultante per vino autentico. Eppure, nonostante le raccomandazioni pressanti del povero oste di turno, chi beve questo vino annacquato rimarrà sempre insoddisfatto e con la sensazione, più o meno cosciente, d'essere stato imbrogliato.
 
tratto da: http://traditioliturgica.blogspot.it/

venerdì 6 aprile 2012

Papa Benedetto XVI nell'omelia della Messa Crismale ha parlato di una "situazione spesso drammatica della Chiesa di oggi"

OMELIA
DEL SANTO PADRE
ALLA MESSA CRISMALE 2012

 
Cari fratelli e sorelle!
 
In questa Santa Messa i nostri pensieri ritornano all’ora in cui il Vescovo, mediante l’imposizione delle mani e la preghiera, ci ha introdotti nel sacerdozio di Gesù Cristo, così che fossimo “consacrati nella verità” (Gv 17,19), come Gesù, nella sua Preghiera sacerdotale, ha chiesto per noi al Padre.

Egli stesso è la Verità. Ci ha consacrati, cioè consegnati per sempre a Dio, affinché, a partire da Dio e in vista di Lui, potessimo servire gli uomini.
Ma siamo consacrati anche nella realtà della nostra vita? Siamo uomini che operano a partire da Dio e in comunione con Gesù Cristo? Con questa domanda il Signore sta davanti a noi, e noi stiamo davanti a Lui.
 
“Volete unirvi più intimamente al Signore Gesù Cristo e conformarvi a Lui, rinunziare a voi stessi e rinnovare le promesse, confermando i sacri impegni che nel giorno dell’Ordinazione avete assunto con gioia?”
 
Così, dopo questa omelia, interrogherò singolarmente ciascuno di voi e anche me stesso. Con ciò si esprimono soprattutto due cose: è richiesto un legame interiore, anzi, una conformazione a Cristo, e in questo necessariamente un superamento di noi stessi, una rinuncia a quello che è solamente nostro, alla tanto sbandierata autorealizzazione. È richiesto che noi, che io non rivendichi la mia vita per me stesso, ma la metta a disposizione di un altro – di Cristo.
 
Che non domandi: che cosa ne ricavo per me?, bensì: che cosa posso dare io per Lui e così per gli altri? O ancora più concretamente: come deve realizzarsi questa conformazione a Cristo, il quale non domina, ma serve; non prende, ma dà – come deve realizzarsi nella situazione spesso drammatica della Chiesa di oggi?
 
Di recente, un gruppo di sacerdoti in un Paese europeo ha pubblicato un appello alla disobbedienza, portando al tempo stesso anche esempi concreti di come possa esprimersi questa disobbedienza, che dovrebbe ignorare addirittura decisioni definitive del Magistero – ad esempio nella questione circa l’Ordinazione delle donne, in merito alla quale il beato Papa Giovanni Paolo II ha dichiarato in maniera irrevocabile che la Chiesa, al riguardo, non ha avuto alcuna autorizzazione da parte del Signore.
 
La disobbedienza è una via per rinnovare la Chiesa? Vogliamo credere agli autori di tale appello, quando affermano di essere mossi dalla sollecitudine per la Chiesa; di essere convinti che si debba affrontare la lentezza delle Istituzioni con mezzi drastici per aprire vie nuove – per riportare la Chiesa all’altezza dell’oggi. Ma la disobbedienza è veramente una via? Si può percepire in questo qualcosa della conformazione a Cristo, che è il presupposto di un vero rinnovamento, o non piuttosto soltanto la spinta disperata a fare qualcosa, a trasformare la Chiesa secondo i nostri desideri e le nostre idee?
 
Ma non semplifichiamo troppo il problema. Cristo non ha forse corretto le tradizioni umane che minacciavano di soffocare la parola e la volontà di Dio? Sì, lo ha fatto, per risvegliare nuovamente l’obbedienza alla vera volontà di Dio, alla sua parola sempre valida. A Lui stava a cuore proprio la vera obbedienza, contro l’arbitrio dell’uomo. E non dimentichiamo: Egli era il Figlio, con l’autorità e la responsabilità singolari di svelare l’autentica volontà di Dio, per aprire così la strada della parola di Dio verso il mondo dei gentili. E infine: Egli ha concretizzato il suo mandato con la propria obbedienza e umiltà fino alla Croce, rendendo così credibile la sua missione. Non la mia, ma la tua volontà: questa è la parola che rivela il Figlio, la sua umiltà e insieme la sua divinità, e ci indica la strada.
Lasciamoci interrogare ancora una volta: non è che con tali considerazioni viene, di fatto, difeso l’immobilismo, l’irrigidimento della tradizione? No. Chi guarda alla storia dell’epoca post-conciliare, può riconoscere la dinamica del vero rinnovamento, che ha spesso assunto forme inattese in movimenti pieni di vita e che rende quasi tangibili l’inesauribile vivacità della santa Chiesa, la presenza e l’azione efficace dello Spirito Santo. E se guardiamo alle persone, dalle quali sono scaturiti e scaturiscono questi fiumi freschi di vita, vediamo anche che per una nuova fecondità ci vogliono l’essere ricolmi della gioia della fede, la radicalità dell’obbedienza, la dinamica della speranza e la forza dell’amore.
 
Cari amici, resta chiaro che la conformazione a Cristo è il presupposto e la base di ogni rinnovamento. Ma forse la figura di Cristo ci appare a volte troppo elevata e troppo grande, per poter osare di prendere le misure da Lui. Il Signore lo sa. Per questo ha provveduto a “traduzioni” in ordini di grandezza più accessibili e più vicini a noi.
 
Proprio per questa ragione, Paolo senza timidezza ha detto alle sue comunità: imitate me, ma io appartengo a Cristo. Egli era per i suoi fedeli una “traduzione” dello stile di vita di Cristo, che essi potevano vedere e alla quale potevano aderire. A partire da Paolo, lungo tutta la storia ci sono state continuamente tali “traduzioni” della via di Gesù in vive figure storiche. Noi sacerdoti possiamo pensare ad una grande schiera di sacerdoti santi, che ci precedono per indicarci la strada: a cominciare da Policarpo di Smirne ed Ignazio d’Antiochia attraverso i grandi Pastori quali Ambrogio, Agostino e Gregorio Magno, fino a Ignazio di Loyola, Carlo Borromeo, Giovanni Maria Vianney, fino ai preti martiri del Novecento e, infine, fino a Papa Giovanni Paolo II che, nell’azione e nella sofferenza ci è stato di esempio nella conformazione a Cristo, come “dono e mistero”.
 
I Santi ci indicano come funziona il rinnovamento e come possiamo metterci al suo servizio. E ci lasciano anche capire che Dio non guarda ai grandi numeri e ai successi esteriori, ma riporta le sue vittorie nell’umile segno del granello di senape.
 
Cari amici, vorrei brevemente toccare ancora due parole-chiave della rinnovazione delle promesse sacerdotali, che dovrebbero indurci a riflettere in quest’ora della Chiesa e della nostra vita personale.
C’è innanzitutto il ricordo del fatto che siamo – come si esprime Paolo – “amministratori dei misteri di Dio” (1Cor 4,1) e che ci spetta il ministero dell’insegnamento (munus docendi), che è una parte di tale amministrazione dei misteri di Dio, in cui Egli ci mostra il suo volto e il suo cuore, per donarci se stesso.
 
Nell’incontro dei Cardinali in occasione del recente Concistoro, diversi Pastori, in base alla loro esperienza, hanno parlato di un analfabetismo religioso che si diffonde in mezzo alla nostra società così intelligente.
Gli elementi fondamentali della fede, che in passato ogni bambino conosceva, sono sempre meno noti. Ma per poter vivere ed amare la nostra fede, per poter amare Dio e quindi diventare capaci di ascoltarLo in modo giusto, dobbiamo sapere che cosa Dio ci ha detto; la nostra ragione ed il nostro cuore devono essere toccati dalla sua parola.
 
L’Anno della Fede, il ricordo dell’apertura del Concilio Vaticano II 50 anni fa, deve essere per noi un’occasione di annunciare il messaggio della fede con nuovo zelo e con nuova gioia. Lo troviamo naturalmente in modo fondamentale e primario nella Sacra Scrittura, che non leggeremo e mediteremo mai abbastanza. Ma in questo facciamo tutti l’esperienza di aver bisogno di aiuto per trasmetterla rettamente nel presente, affinché tocchi veramente il nostro cuore.
 
Questo aiuto lo troviamo in primo luogo nella parola della Chiesa docente: i testi del Concilio Vaticano II e il Catechismo della Chiesa Cattolica sono gli strumenti essenziali che ci indicano in modo autentico ciò che la Chiesa crede a partire dalla Parola di Dio. E naturalmente ne fa parte anche tutto il tesoro dei documenti che Papa Giovanni Paolo II ci ha donato e che è ancora lontano dall’essere sfruttato fino in fondo.
 
Ogni nostro annuncio deve misurarsi sulla parola di Gesù Cristo: “La mia dottrina non è mia” (Gv 7,16).
 
Non annunciamo teorie ed opinioni private, ma la fede della Chiesa della quale siamo servitori. Ma questo naturalmente non deve significare che io non sostenga questa dottrina con tutto me stesso e non stia saldamente ancorato ad essa. In questo contesto mi viene sempre in mente la parola di sant’Agostino: Che cosa è tanto mio quanto me stesso? Che cosa è così poco mio quanto me stesso? Non appartengo a me stesso e divento me stesso proprio per il fatto che vado al di là di me stesso e mediante il superamento di me stesso riesco ad inserirmi in Cristo e nel suo Corpo che è la Chiesa. Se non annunciamo noi stessi e se interiormente siamo diventati tutt’uno con Colui che ci ha chiamati come suoi messaggeri così che siamo plasmati dalla fede e la viviamo, allora la nostra predicazione sarà credibile.
 
Non reclamizzo me stesso, ma dono me stesso. Il Curato d’Ars non era un dotto, un intellettuale, lo sappiamo. Ma con il suo annuncio ha toccato i cuori della gente, perché egli stesso era stato toccato nel cuore.
 
L’ultima parola-chiave a cui vorrei ancora accennare si chiama zelo per le anime (animarum zelus). È un’espressione fuori moda che oggi quasi non viene più usata. In alcuni ambienti, la parola anima è considerata addirittura una parola proibita, perché – si dice – esprimerebbe un dualismo tra corpo e anima, dividendo a torto l’uomo.
 
Certamente l’uomo è un’unità, destinata con corpo e anima all’eternità. Ma questo non può significare che non abbiamo più un’anima, un principio costitutivo che garantisce l’unità dell’uomo nella sua vita e al di là della sua morte terrena. E come sacerdoti naturalmente ci preoccupiamo dell’uomo intero, proprio anche delle sue necessità fisiche – degli affamati, dei malati, dei senza-tetto. Tuttavia noi non ci preoccupiamo soltanto del corpo, ma proprio anche delle necessità dell’anima dell’uomo: delle persone che soffrono per la violazione del diritto o per un amore distrutto; delle persone che si trovano nel buio circa la verità; che soffrono per l’assenza di verità e di amore. Ci preoccupiamo della salvezza degli uomini in corpo e anima. E in quanto sacerdoti di Gesù Cristo, lo facciamo con zelo.
 
Le persone non devono mai avere la sensazione che noi compiamo coscienziosamente il nostro orario di lavoro, ma prima e dopo apparteniamo solo a noi stessi. Un sacerdote non appartiene mai a se stesso. Le persone devono percepire il nostro zelo, mediante il quale diamo una testimonianza credibile per il Vangelo di Gesù Cristo. Preghiamo il Signore di colmarci con la gioia del suo messaggio, affinché con zelo gioioso possiamo servire la sua verità e il suo amore.
Amen.

domenica 1 aprile 2012

Radicati nella fede


Pubblichiamo in un unico post gli ultimi tre editoriali di "Radicati nella fede", il foglio di collegamento della chiesa di Vocogno e della cappella dell'Ospedale di Domodossola (Provincia di Verbania, Diocesi di Novara), dove si celebra la Santa Messa tradizionale.
Sono un vero e proprio "Manifesto" sulla Messa di sempre e sulla Tradizione, quella Tradizione che i due sacerdoti, don Alberto Secci e don Stefano Coggiola, vogliono trasmettere ai fedeli e vivono in prima persona, certi che dalla Messa tradizionale viene tutta un'opera di edificazione delle anime.
Vi invitiamo anche a visitare il sito nel quale troverete tutti i numeri del foglio di collegamento "Radicati nella fede" e numerosi video di una vita semplice nella Tradizione.


Ecco la presentazione che la Dott.ssa Cristina Siccardi fa dei tre Editoriali definendoli:

Efficace "Manifesto" sulla Santa Messa di sempre e sulla Tradizione

 Presentiamo tre editoriali di "Radicati nella fede", foglio di collegamento della chiesa di Vocogno e della Cappella dell'Ospedale di Domodossola (provincia di Verbania, nella Diocesi di Novara). Si tratta di articoli dai connotati tutti cattolici: vengono poste domande e vengono date risposte; si osserva l'amara e cruda realtà del contesto religioso in cui viviamo e si offrono rimedi efficaci; si dà la fotografia di una Chiesa dove il Papa non viene seguito e dove la Santa Messa di sempre è considerata come una concessione benevola per i "nostalgici", non come un'arma efficace contro la secolarizzazione che ha contaminato e ammorbato ogni ambiente, compresi quelli che si definiscono cattolici. Il tesoro della Tradizione, con la dottrina e i Sacramenti della Chiesa, vengono offerti e proposti ai fedeli del verbano grazie alla costanza, alla coerenza e alla Fede di Don Alberto Secci e di Don Stefano Coggiola, Sacerdoti che operano per Dio e nel Suo nome e che hanno a cuore soltanto la cura delle anime, anime, infatti, sempre più numerose di potersi abbeverare all'autentica Verità portata da Gesù Cristo.

Riteniamo che questi tre articoli siano un'efficace risposta al Cristianesimo orizzontale, antropologico ed ecumenico del monaco Enzo Bianchi della Comunità di Bose, dove l'unica strada che conduce alla Salvezza è stata sostituita dalla ricerca demagogica della pace, dalla illusoria amicizia universale e dalla laica solidarietà (Cristina Siccardi).


Radicati nella fede di febbraio 2012: LIBERTA' VIGILATA
 La Messa “antica”, quella che amiamo chiamare la “Messa di sempre”, è stata ormai da quattro anni liberalizzata. Con un atto senza precedenti, il Santo Padre ha dichiarato che “non fu mai abolita”. Da quella dichiarazione è nata tutta la nostra storia.
 Resta un problema: questa libertà è “vigilata”, e questo non ha senso. Sappiamo bene che una libertà vigilata non riconosce il pieno valore di ciò che libera. Nelle Diocesi rimane una mentalità negativa o sospettosa al riguardo del rito tradizionale. Si pensa che questo ritorno al rito antico sia una concessione, un indulto, un atto di bontà del Santo Padre a favore di quei cattolici, Sacerdoti e fedeli, che non si sono ancora adattati alla modernità. Se le cose stessero così, sarebbe un falso indicare che la Messa tradizionale non fu mai abolita!
 Una libertà vigilata viene vista sempre come un male minore, come qualcosa di sopportato per evitare rischi più grandi. Ma uno sguardo così non ha niente a che vedere con ciò che il Papa ha riconosciuto con il Motu proprio Summorum Pontificum.
 Ogni sacerdote può, senza chiedere a nessuno, celebrare secondo il Messale tradizionale. Questa affermazione sembra rimasta chiusa nelle stanze delle curie, per paura che “un simile male si diffonda”. Il rito tradizionale deve invece, in modo salutare, influenzare positivamente la Chiesa tutta, caduta in una delle sue crisi più spaventose, forse a causa di una terribile crisi liturgica, come anni fa' affermò lo stesso Cardinal Ratzinger. Ma come fa' ad influenzare positivamente la Chiesa se resta in libertà vigilata, ristretta, agli “arresti domiciliari”? Di cosa si ha ancora paura?
 In quali seminari si insegna la Tradizione liturgica della Chiesa ai chierici? Perché si continua a non insegnare la Messa tradizionale ai seminaristi? Perché di fatto si vieta loro di assistere alla Messa tradizionale? Ha del tragicamente ridicolo il far assistere ai riti della Chiesa orientale, invitare i preti ortodossi, e vietare la presenza di quei preti che hanno abbracciato la Tradizione. Se è un valore la Tradizione liturgica della Chiesa latina, diamola ai seminaristi perché un domani la dispensino ai fedeli.
 Si danno le chiese alle comunità ortodosse, separate da Roma non solo per insignificanti motivi disciplinari ma per questioni dogmatiche, e non si concedono Parrocchie personali di rito tradizionale, sperando che i fedeli e i sacerdoti si stanchino di domandarle. Tutto questo gioco che non esce allo scoperto non è cattolico, non viene da uno spirito di fede. Si è ecumenici con tutti, tranne con il proprio passato che esiste nel presente.
 Tutta questa triste situazione crea un penosissimo blocco che impedisce un vero lavoro apostolico. Dalla Messa tradizionale deve venire tutta un'opera di edificazione delle anime, tutta una educazione cristiana, tutta un'opera di santificazione, di cui il mondo ha estremamente bisogno. La Messa tradizionale esiste per lo scopo stesso per cui esiste la Chiesa: salvare le anime. Non ha senso concederla per “intrattenere” i fedeli, per dare loro un brivido estetico! No: la Messa tradizionale c'è per santificare gli uomini, per edificare la Chiesa, per far rinascere le parrocchie, per ricostruire le scuole, per curare gli ammalati, per ridare speranza agli afflitti... in una parola per fare il Cristianesimo. Non può restare agli “arresti domiciliari”.
 Una libertà piena sarà inoltre la migliore garanzia perché chi si accosta alla Tradizione non lo faccia per una vuota nostalgia, ma per un impeto di fede operosa.


Radicati nella fede di marzo 2012: VALIDA NON E' BUONA
 Se avessimo ritenuto che la Messa com'è celebrata nella quasi totalità delle chiese andasse bene, non avremmo deciso di passare totalmente al rito antico.
 Sia ben chiaro: non stiamo dicendo che la Messa nel Novus ordo (la Messa di Paolo VI, riformata dopo il Concilio Vaticano II) non sia valida! Ci mancherebbe! Affermare questo sarebbe non ragionare più in modo cattolico! Certo che la Messa di Paolo VI è valida, certo che è una vera Messa, solo che è così ridotta nel suo esprimere il senso cattolico del Santo Sacrifico di Cristo, da non educare compiutamente i fedeli ed anche i sacerdoti che la celebrano.
 Molti diranno: “Ma se è una vera Messa, se è valida, di che cosa vi preoccupate?”.
 Ci preoccupiamo di crescere in un senso cattolico della vita, vogliamo vivere integralmente una vita cristiana, per questo vogliamo vivere con la Messa della Tradizione.
 Non c'è niente da fare: la crisi impressionante del Cattolicesimo nel nostro mondo, la confusione dottrinale e spirituale nella quale siamo immersi da troppi anni, l'abbandono imponente della pratica cristiana nei nostri paesi e città, ha la sua causa centrale in una riforma liturgica che ha stravolto il baluardo della fede e della vita cristiana. Il nuovo rito della Messa, fatto per piacere anche ai fratelli separati delle altre confessioni cristiane (innanzitutto ai Protestanti e agli Anglicani), tacendo sugli aspetti principali della concezione cattolica della Messa, ha fatto sì che la liturgia non sia più la roccia sicura su cui fondare la vita cristiana, personale e sociale.
 Il nuovo rito ha indebolito nei fedeli il senso di Dio, l'adorazione di Cristo presente nelle specie eucaristiche, la centralità del sacrificio espiatorio, la regalità di Nostro Signore Gesù Cristo. Non vogliamo fare un elenco dei “vuoti” del nuovo rito della Messa, ci basta sottolinearne gli effetti devastanti. Solo degli ideologizzati del post-concilio o della modernità a tutti i costi possono non vedere l'esito penoso, drammaticamente penoso, della riforma liturgica. Esito penoso che coinvolge tutti, sacerdoti e fedeli.
 Nel migliore dei casi la nuova Messa, quando è celebrata con rispetto e dignità, lascia i fedeli che vi assistono così come sono: se questi sono già profondamente cattolici, probabilmente lo resteranno, ma se sono deboli nella fede e in uno sguardo cattolico sulla vita, in questa nuova Messa non troveranno una provocazione alla conversione profonda, anche culturale; saranno invece “cullati” nel loro modo ridotto di considerare il Cristianesimo.
 La Messa tradizionale no! Non è così! È una Messa “difficile”, non per il latino, ma per le provocazioni che lancia.
 Sul subito, per un cristiano “piccino” nella mente e nel cuore, può risultare un pugno nello stomaco, ma un pugno salutare. Ti mette in crisi, mette in crisi le false certezze di un cristianesimo troppo umanizzato che mette l'uomo al centro e dimentica Dio. Mette in crisi un cristianesimo che si è imbevuto della mentalità dominante e che è sempre più una scuola di agnosticismo.
 La Messa tradizionale mette in crisi, ma dopo la crisi costruisce, edifica. In chi vi assiste con fedeltà, la Messa di sempre inizia un'opera di educazione alla fede profonda, totale, solida. Se un fedele non si scandalizza delle difficoltà iniziali, nel tempo scopre tutta la ricchezza della liturgia secondo la Tradizione, e grazie ad essa vede edificare nella santità e nell'intelligenza della fede tutta la propria vita.
 Per questo abbiamo voluto vivere solo con la Messa tradizionale. Per questo pensiamo che sia il ritorno ad essa il migliore sostegno alla Missione urgente di riportare il Cattolicesimo nella vita normale del popolo.
 Chissà che, dopo le polemiche, si possa riaprire una proficua riflessione su questi punti.


Radicati nella fede di aprile 2012: SCELSERO DIO E SALVARONO LA CHIESA

 Ripartire dalla semplicità. Ne siamo sempre più convinti: più la crisi della fede si fa sentire, più occorre ripartire dalla semplicità di una vita cristiana vissuta quotidianamente. Lo vogliamo ribadire, speriamo di riuscirci, con altrettanta semplicità.
 Assisteremo purtroppo ad anni ancora molto complicati. Un mondo cattolico già profondamente in crisi, pensiamo alla confusione di questi ultimi decenni, sarà tentato di affrontare il vertiginoso calo della pratica cristiana, con mezzi terribilmente umani e perciò inutili se non dannosi. Vedremo il moltiplicarsi delle trovate degli stanchi “pastoralisti”, figli di quei “pastoralisti” che nell'epoca del Concilio Vaticano II hanno portato la Chiesa alla perdita della coscienza di se stessa. Ascolteremo il risuonare di frasi spaventosamente stanche che nascondono il vuoto della fede. Siccome i preti non ci sono più, arriveranno a dire che occorre una Chiesa più ministeriale, dove i laici tirano avanti la “baracca”, dove il sacerdote non è più la guida ma il valorizzatore di carismi. Vedremo l'intersecarsi di commissioni e sottocommissioni, giunte e quant'altro, per promuovere le unità pastorali, che non si sa mai cosa siano di preciso... la verbosità di incontri per riflettere sulla situazione alla luce del Vangelo, le tecniche per conquistare le persone che hanno abbandonato la vita delle parrocchie... e intanto la tua vita passa... nella nostalgia di una vita semplicemente santa, come Dio comanda.
 Occorre stare molto lontani da tutte queste cose umane che non hanno mai fatto il Cristianesimo. Il Cristianesimo è sempre stato fatto da Dio in anime che lo hanno ascoltato. E per fare questo ci vuole un lavoro semplicissimo: una Chiesa aperta, che sia veramente luogo di preghiera, la Messa veramente cattolica, un prete che ascolta le confessioni, la consegna di una dottrina sana che dica subito tutta la verità della Rivelazione. Il resto è la vita da vivere non secondo il mondo, ma secondo Dio.
 È un lavoro grande, sì, ma semplicissimo. È il lavoro di sempre.
 Siamo convinti che questo sarà il futuro. Più la crisi si farà sentire, più i preti mancheranno, più bisognerà tenere aperti dei luoghi, magari piccoli, dove la fede sia vissuta intensamente: saranno questi luoghi i fari nella notte della nostra cristianità scomparsa.
 Saranno i luoghi di Dio che illumineranno questa terribile notte.
 Siamo ancora in tempo, non sappiamo per quanto, nel garantire questa vita semplice, semplicemente cristiana. Occorre avere dei luoghi della grazia, della fede, della misericordia di Dio.
 Ci saranno se molti sacerdoti, lasciando un mondo complicato dalle moderne inutilità anche “ecclesiastiche”, abbracceranno una vita interamente sacerdotale, di preghiera – studio – apostolato. Come fece il monachesimo nell'epoca delle invasioni barbariche: scelse Dio e salvò la Chiesa.
 Scelse Dio e salvò la Chiesa: chi invece sceglie le molte attività per la Chiesa, perde le anime e allunga un'agonia che sta intristendo i cuori.