Il Beato Newman parteciperebbe all’incontro di Assisi?
Sua Santità Benedetto XVI ha restituito alla Cattolicità tutta preziosissime gemme di identità, come, per esempio, il Rito romano straordinario della Santa Messa, con il Motu Proprio Summorum Pontificum del 2007; come il modello, il Santo Curato d’Ars, indicato ai preti per l’Anno Sacerdotale 2009-2010; come l’aver precisato, il 13 maggio 2010 in Portogallo: "Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa"; ; come l’identificazione della "dittatura del relativismo"; come la Costituzione apostolica Anglicanorum Coetibus, tesa a favorire la conversione degli Anglicani, al Cattolicesimo; oppure, come la beatificazione del Cardinale John Henry Newman (1801-1890), che si è svolta a Birmigham il 19 settembre 2010.
I frutti della provvidenziale "politica" missionaria del Romano Pontefice, tesa a ricondurre tutti all’unico ovile di Cristo, del resto, non si sono fatti attendere e alcuni Vescovi, come John Broadhurst, Vescovo di Fulham; Andrew Burnham, Vescovo di Ebbsfleet; Keith Newton, Vescovo di Richborough; il suo predecessore Edwin Barnes, hanno intrapreso il "cross the Tiber", come si dice in Inghilterra, cioè sono approdati a Roma, seguiti, logicamente, da sacerdoti, religiosi e fedeli… si tratta di conversioni vere e proprie. In Inghilterra è chiaro che si sta realizzando un terremoto spirituale di portata storica: l’Anglicanesimo sta morendo e le sue parti di più elevato sentire spirituale e meno contaminate da letture socio-politiche della religione, vale a dire la cosiddetta Chiesa Alta d’Inghilterra stanno ritornando in massa al Cattolicesimo. È evidente che in questo fenomeno sta il compimento naturale dello spirito e degli obiettivi che hanno caratterizzato il Movimento di Oxford, preludio della conversione del grande Beato John Henry Newman, tanto amato da Benedetto XVI, che nel 1990, quando era ancora Cardinale, di lui disse: "Newman appartiene ai grandi dottori della Chiesa, perché egli nello stesso tempo tocca il nostro cuore e illumina il nostro pensiero".
Ebbene, Newman come avrebbe visto un incontro interreligioso? Parteciperebbe all’evento di Assisi? È sufficiente leggere i suoi scritti e le risposte diventano ovvie. Newman fu un "martire" del pensiero pur di giungere all’agognata Verità e a 44 anni, quando vi approdò, smise di ricercare, avendo trovato la patria definitiva, avendo coniugato perfettamente Fede e ragione. Egli aveva utilizzato le geniali doti ricevute per avvertire il mondo e la stessa Chiesa dei pericoli incombenti sull’Europa: invitava a vigilare e vegliare perché vedeva premesse e bagliori di un orizzonte carico di inquietanti prove e di tempeste: temeva il sincretismo religioso che, mettendo tutti i credi sullo stesso piano insulta il sangue dei martiri e pone le premesse per nuove persecuzioni. Nello straordinario documento, chiamato Biglietto Speech, redatto da Newman in occasione della consegna della berretta cardinalizia (1879) egli scrisse accoratamente:
"Per trenta, quaranta, cinquant’anni ho cercato di contrastare con tutte le mie forze lo spirito del liberalismo nella religione. Mai la santa Chiesa ha avuto maggiore necessità di qualcuno che vi si opponesse più di oggi, quando, ahimé! si tratta ormai di un errore che si estende come trappola mortale su tutta la terra; e nella presente occasione, così grande per me, quando è naturale che io estenda lo sguardo a tutto il mondo, alla santa Chiesa e al suo futuro, non sarà spero ritenuto inopportuno che io rinnovi quella condanna che già così spesso ho pronunciato. Il liberalismo in campo religioso è la dottrina secondo cui non c’è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro, e questa è una convinzione che ogni giorno acquista più credito e forza. È contro qualunque riconoscimento di una religione come vera. Insegna che tutte devono essere tollerate, perché per tutte si tratta di una questione di opinioni. La religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e una preferenza personale; non un fatto oggettivo o miracoloso; ed è un diritto di ciascun individuo farle dire tutto ciò che più colpisce la sua fantasia. La devozione non si fonda necessariamente sulla fede. Si possono frequentare le Chiese protestanti e le Chiese cattoliche, sedere alla mensa di entrambe e non appartenere a nessuna. Si può fraternizzare e avere pensieri e sentimenti spirituali in comune, senza nemmeno porsi il problema di una comune dottrina o sentirne l’esigenza. Poiché dunque la religione è una caratteristica così personale e una proprietà così privata, si deve assolutamente ignorarla nei rapporti tra le persone. Se anche uno cambiasse religione ogni mattina, a te che cosa dovrebbe importare?".
L’errore del liberalismo, quindi del relativismo, Newman lo considerava come una "trappola mortale" per tutta l’umanità, mentre il coevo Cardinale Guglielmo Massaja (1809–1889), grande ed eroico missionario in Etiopia, lo definiva "malattia mortale". "Abbiamo paura che, qualunque discorso sia letto e pronunziato (tanto lo leggeranno in pochissimi); qualsiasi gesto sia compiuto (tanto i media selezioneranno solo i più clamorosi); qualsiasi precisazione sia fatta dalla - per giunta non impeccabile - macchina di comunicazione vaticana, il messaggio [di Assisi] che passerà nella mente di milioni sarà quello che espresse la suora intervistata alla morte di Giovanni Paolo II: "sono grata a Papa Woityla perché ci ha insegnato che tutte le religioni sono uguali"" .
La Chiesa è sempre stata ricca di dispute e di confronti, è un corpo vivo, non stagnante, per questo la disputa, finalizzata alla conversione dell’interlocutore alla Verità, non per il dialogo fine a stesso (che poi logicamente finisce per incancrenirsi), è una sana palestra per guardare alla rigenerante Fonte, Cristo: unica Via, unica Verità, unica Vita. I dibattiti, per decenni, sono stati condotti prevalentemente dai cattolici progressisti; ma chi ama fedelmente il Sommo Pontefice - il "dolce Cristo in terra", come lo definiva santa Caterina da Siena, nel momento stesso in cui lo invitava a fare "virilmente" il suo dovere, che egli tardava ad adempiere - e non ha posizioni intrise di relativismo e di unta piaggeria, è chiamato a professare pubblicamente la propria Fede, quella che si dipana lungo i secoli, quella dal filo continuo, non spezzato, perché facente parte di un esclusivo gomitolo, chiamato Tradizione, il cui bandolo parte dalla Vite: "Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. […]. Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. […]. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena" (Gv 15,1-11).
Ha scritto il Professor Roberto de Mattei per "Messainlatino" del 4 febbraio: "Nel corso della storia della Chiesa il sensus fidei dei semplici fedeli è stato talvolta più conforme alla Tradizione apostolica di quello dei Pastori, come accadde durante la crisi ariana del IV secolo, quando la fede fu mantenuta da una minoranza di santi e indomiti vescovi, come Atanasio, Ilario di Poitiers, Eusebio di Vercelli e soprattutto dal popolo fedele, che non accompagnava le diatribe teologiche ma conservava, per semplice istinto soprannaturale, la buona dottrina".
Il Beato Newman, eccelso faro per la nostra epoca confusa e frastornata, comprese che nel Cristianesimo, lungo la sua storia, esistono due modi di concepirlo e lo apprese proprio studiando l’Arianesimo: da una parte i presuntuosi, più attenti al proprio intelletto che all’essenza della Fede con i suoi dogmi, disposti a piegarsi al mondo, e dall’altra gli umili aderenti a Cristo, quelli senza se e senza ma. Infatti il Cristianesimo "gli ariani lo concepiscono come la rivelazione di una verità che si rivolge soprattutto alla intelligenza, mentre gli ortodossi [la Tradizione] lo concepiscono come una forza rigeneratrice che si rivolge all’uomo in tutte le sue facoltà, e innanzitutto al cuore. Questo diverso modo di concepire il cristianesimo comporta un modo diverso di accostarlo: gli ariani accostano la rivelazione con la preoccupazione di comprenderla, come qualcosa che parla innanzitutto alla intelligenza, per cui i concetti e le categorie scritturistiche ed ecclesiali sono interpretate secondo le esigenze della intelligenza che ragiona. Così la unità di Dio viene interpretata alla luce del concetto di unità che si ricava dalla esperienza […]. I cattolici, invece, accostano la rivelazione innanzitutto per ammirare ciò che Dio compie nella storia e nell’uomo. La loro prima preoccupazione è quella di contemplare la profondità e il carattere straordinario di ciò che Dio ha compiuto […]. Mentre l’ariano accosta la rivelazione per appagare la sua sete di verità, se non addirittura la sua curiosità, e quindi ripone molta fiducia nell’addestramento dialettico, il cattolico l’accosta per esprimere la sua gratitudine e con la chiara coscienza che le parole e i concetti umani sono inadeguati ad esprimere il dono di Dio: l’accosta con pietà (eusebeia) e precauzione (eulabeia). E se talvolta la necessità di salvaguardare il mistero gli impone di impegnarsi nella discussione con i nemici, lo fa per così dire a malincuore" (J.H.Newman, Gli Ariani del IV secolo, Jaca Book-Morcelliana, Milano 1981, p.XXI) e, ci permettiamo di aggiungere, con estremo dolore.
Cristina Siccardi