venerdì 26 agosto 2011

una gloria cattolica

400° anniversario della morte di

Tomas Luis de Victoria, Sac.

(† 27 Aug. MDCXI)
Requiescat in pace

martedì 23 agosto 2011

mons. Fellay in Vaticano

Il 14 settembre il vescovo Fellay

discuterà con la

Santa Sede un possibile accordo

di Andrea Tornielli
 Il vescovo Bernard Fellay, superiore generale della Fraternità San Pio X fondata da monsignor Lefebvre, è stato convocato in Vaticano per il prossimo 14 settembre. È il primo incontro di vertice dopo i colloqui dottrinali che nell’ultimo anno hanno visto confrontarsi a Roma le delegazioni della Santa Sede e dei lefebvriani.
Come si ricorderà, dal 2009 la Commissione Ecclesia Dei, che si occupa del rapporto con la Fraternità San Pio X è stata inglobata nella Congregazione per la dottrina della fede ed è stata affidata alla guida di monsignor Guido Pozzo.
I colloqui dottrinali, che hanno affrontato tutti i nodi considerati problematici dai lefebvriani, i quali ritengono che in alcuni punti il Concilio Vaticano II abbia rappresentato una rottura con la tradizione della Chiesa, si sono conclusi nei mesi scorsi.
Ora il Vaticano dovrebbe sottoporre a Fellay dei protocolli d’intesa che chiariscono i punti dottrinali leggendo il Concilio secondo quell’ermeneutica della continuità nella riforma suggerita fin dal dicembre 2005 da Benedetto XVI quale interpretazione più autentica dei testi del Vaticano II.
Soltanto se saranno superate le difficoltà dottrinali, sarà sottoposta alla Fraternità una proposta di sistemazione canonica, che risolva la situazione in cui si trovano le comunità lefebvriane. Come si ricorderà, anche se il Papa, con un gesto di benevolenza, nel gennaio 2009 ha tolto la scomunica ai quattro vescovi ordinati da Lefebvre, i vescovi e i sacerdoti della San Pio X vivono ancora in uno stato di irregolarità canonica.

La proposta che è stata studiata dal Vaticano prevede per i lefebvriani l’istituzione di una ordinariato simile a quello che il Papa ha offerto agli anglicani intenzionati a rientrare nella comunione con la Chiesa di Roma. In questo modo, la Fraternità dipenderebbe dalla Santa Sede (e precisamente dalla Commissione Ecclesia Dei) e potrebbe mantenere le sue caratteristiche senza dover rispondere ai vescovi diocesani.

L’incontro del 14 settembre, che Vatican Insider è in grado di confermare rappresenta dunque un nuovo passo nel cammino travagliato di questi anni. Ma è prematuro sbilanciarsi in quanto alle conclusioni: è noto infatti che all’interno della Fraternità San Pio X convivono diverse sensibilità e c’è una parte che considera difficile arrivare a un accordo.

Va ricordato che Papa Ratzinger, intenzionato a chiudere il mini-scisma lefebvriano, ha già compiuto due passi molto significativi nella direzione chiesta dalla Fraternità: ha liberalizzato il vecchio messale preconciliare e ha tolto le scomuniche vigenti dal 1988.
Buone notizie che abbisognano di tanta preghiera

lunedì 22 agosto 2011

la Chiesa e le tasse (guardate un po' se dobbiamo difenderci da queste idiozie, ma sono vantaggi della libertà religiosa anche questi?)

meno male che c'è Feltri il quale non parla pro domo sua

 Alcuni frati rifiutano le offerte degli usurai
Da "IL GIORNALE" di sabato 20 agosto 2011

MA QUALI PRIVILEGI LA CHIESA PAGA LE TASSE
di Vittorio Feltri

Da quando non si parla che di tasse e di tagli e di imbrogli per i noti motivi, anche la Chiesa cattolica è finita sotto tiro dei soliti moralisti, accusata addirittura di eludere il fisco grazie a privilegi concordatari strappati allo Stato. Una polemica vecchia che però si rinnova ogni qualvolta il governo bussa a soldi e chiede sacrifici ai cittadini. Il rimprovero più aspro rivolto al clero e alle sue istituzioni è di non pagare l`Ici sull`immenso patrimonio immobiliare in qualche modo riconducibile al Vaticano.

Senza entrare in particolari troppo tecnici, vorremmo tuttavia ricordare che gran parte delle suddette critiche sono infondate. Infatti non è vero che il mattone dei preti sia esente da imposte. O meglio, lo è se destinato ad attività di culto, benefiche, assistenziali o comunque volte a colmare l`assenza dello Stato.

Forse conviene esemplificare. Ospizi per persone anziane, asili di infanzia, istituti divario tipo che curano disabili e ammalati gravi non sono soggetti al normale regime fiscale. Sarebbe assurdo il contrario. Perché assolvono a funzioni sociali che il settore pubblico non riesce a svolgere a causa di difetti organizzativi e mancanza di fondi.

Se la Chiesa è in grado di sostituirsi ai Comuni, alle Province, alle Regioni e allo Stato laddove questi sono incapacidi agire, sarebbe assurdo che venisse penalizzata.

Semmai dovrebbe ricevere, oltre a encomi, anche dei congrui contributi e non soltanto l`esenzione fiscale. D`altronde è assodato che la maggioranza dei religiosi si impegna per il bene comune non certo a fine di lucro. Per loro aiutare il prossimo in difficoltà è una missione, non una professione remunerativa.

E questo i cittadini, laici compresi, lo sanno benissimo, lo verificano personalmente quando hanno bisogno di soccorso.

Chiunque non sia milionario ha provato o proverà ad avere un genitore molto su di età, magari non autosufficiente e non accudibile in famiglia. Come ci si comporta in casi del genere? Strutture pubbliche specializzate non esistono o ne esistono poche e di norma registrano il «tutto esaurito». E allora? Ecco, viene in mente il parroco. Il quale direttamente o indirettamente si dà da fare e una soluzione la trova. Ovvio, c`è il problema della retta: qualcuno dovrà pure sborsarla perché gli ospiti dei ricoveri gestiti da suore e sacerdoti non campano d`aria. Non solo. Infermieri e serventi vanno retribuiti. Ma non ci vuole molto a fare due conti e a capire che i preti, non avendo il profitto ai vertici dei loro interessi, non hanno grandi pretese: si limitano a esigere lo stretto indispensabile.

Che è molto di meno di quanto un ospizio pubblico è costretto a rivendicare per tirare avanti peggio della «concorrenza», cioè offrendo un servizio qualitativamente inferiore.

Ebbene, se una impresa a carattere religioso non punta a guadagnare, ma supplisce con la generosità alle lacune dello Stato, come minimo va agevolata sul piano fiscale. Con quale coraggio si può tassare chi rende meno agra la vita di un anziano non più indipendente? Lo stesso discorso vale per gli oratori e le scuole materne. I primi sono luoghi di aggregazione giovanile che nessun altro «ente» all`infuori delle parrocchie mette a disposizione dei ragazzi, tranne forse i centri sociali che però, consentiteci, sono cose ben diverse e non apprezzabili sotto il profilo educativo e della ricreazione.

Tra l`altro, i centri sociali dispongono gratuitamente di locali dei Comuni, quindi non pagano l`Ici. E perché dovrebbero pagarla gli oratori? Un accenno all`istruzione. Gli istituti cattolici, privati, riscuotono un contributo statale e un tot dalle famiglie. Ipotizziamo che siano obbligati a chiudere oggi. Domani il governo dovrebbe costruire migliaia di edifici scolastici e assumere un numero adeguato di insegnanti. Con quali quattrini? Non solo. Le quote ora a carico delle famiglie chi le sborserebbe? Ancora lo Stato. Non vediamo dove sarebbe la convenienza derivante dalla soppressione eventuale delle scuole cattoliche.

Attenzione. Qualsiasi immobile della Chiesa che non sia utilizzato pergli scopi sommariamente citati sopra, e che sia invece affittato e produca reddito, viene trattato come se fosse nostro ovostro.

Non è esente dall`Ici né da altre tasse.

domenica 21 agosto 2011

 “Sarà pure messa antica. Ma con

una massa di giovani”

Don Nicola Bux, una chiacchierata nella sua Puglia



S. Messa in rito romano tradizionale celebrata per i giovani della GMG in corso Madrid


I vescovi che disobbediscono al papa non pretendano d’essere poi obbediti da clero e fedeli. Negli episcopati: un gallicanesimo strisciante che si crede autosufficiente. La riforma litugica: non era una delle impellenze volute dal concilio. L’esclusivismo di chi si professa ecumenico.
a cura di Francesco Mastromatteo
Una inarrestabile crescita di consensi, specie presso i giovani. Non ha dubbi don Nicola Bux circa l’avanzata della Tradizione cattolica soprattutto tra le giovani generazioni in seguito al Motu Proprio con cui Benedetto XVI ha “liberalizzato” il rito antico ormai quattro anni fa. Abbiamo chiesto a don Nicola, professore dell’università Lateranense, insigne teologo e studioso di liturgia molto vicino a Papa Ratzinger, un bilancio della situazione, dal punto di vista privilegiato di uno dei massimi cultori della materia liturgica. Lo abbiamo incontrato nel corso di un dibattito politico a margine del quale non ha lesinato critiche apertis verbis a un sottosegretario dell’attuale governo, la cui dichiarata fede cattolica e vicinanza ai movimenti pro-vita non ha impedito di votare un finanziamento a Radio Radicale, come del resto hanno fatto altri parlamentari cattolici.
Don Bux, persino l’inserto di un quotidiano non certo filo cattolico come Repubblica ha dovuto riservare un servizio alla diffusione della messa in latino secondo il Messale del 1962. Qualcosa sta cambiando?
Il bilancio è senz’altro positivo: c’è un crescendo di tale opportunità data dal Papa a tutta la Chiesa. Essa si è diffusa senza imposizioni, dopo che il Motu Proprio del 2007 ha aperto una breccia. Si è ormai fatta strada l’idea che il rito antico non è mai stato abolito, e che la riforma liturgica non era una delle necessità impellenti volute dal Concilio. L’ostilità verso la messa in latino era sostenuta attraverso tesi infondate, come quella per cui nei primi secoli il sacerdote celebrasse rivolto verso il popolo, mentre dopo avrebbe dato le spalle al popolo: espressione fasulla, visto che il sacerdote era rivolto verso il Signore.
Una Messa antica ma amata dai giovani: non è un paradosso?
Basta andare in giro come faccio io per celebrazioni e conferenze: non solo in Italia ma all’estero il rito antico si diffonde sempre più proprio tra i più giovani. A mio parere ciò è dovuto al fatto che i ragazzi si approcciano alla fede ricercando il senso del Mistero, e lo trovano in maniera evidente nella Messa celebrata in forma straordinaria. Il ritorno al rito tradizionale non è secondario per la fede: esso favorisce in una dimensione verticale l’incontro con Dio in un mondo contemporaneo in cui lo sguardo dell’uomo è ripiegato su se stesso e sulla dimensione materiale dell’esistenza. In questo senso ha favorito una sorta di “contagio” spirituale benefico.
Qualche mese fa la Pontificia Commissione Ecclesia Dei ha emanato un documento, l’istruzione sull’applicazione del Motu Proprio. C’è chi ha parlato di una sorta di richiamo ai vescovi a venire incontro alle richieste dei fedeli…
È una traduzione in indicazioni concrete del Motu Proprio. La media dei vescovi, che all’inizio erano perplessi, ora può cominciare a muoversi nella direzione giusta. Questa istruzione incoraggia i vescovi ad esaudire le richieste dei fedeli sensibili alla messa antica, che deve essere considerata da tutti una ricchezza della liturgia romana.
Non è un mistero che parecchi episcopati non abbiano apprezzato questa scelta, e cerchino in tutti i modi di ostacolarla, comportandosi da veri e propri ribelli verso il Papa…
Esiste senz’altro una forma di neogallicanesimo strisciante, per cui alcuni settori della Chiesa pensano di essere autosufficienti da Roma. Ma chi ragiona in questi termini non è cattolico. I vescovi che disobbediscono al Papa si mettono nelle condizioni di non essere a loro volta obbediti da parroci e fedeli.
Nella Chiesa si è sempre detto: lex orandi lex credendi. La liturgia è saldamente legata alla teologia. Papa Benedetto XVI ha fissato come bussola del suo Magistero la continuità con la Tradizione e un gesto forte è stato quello di togliere la scomunica ai lefebvriani. Cosa ne pensa?
Penso sia stato un gesto di grande carità. Rompere la comunione è facile, il difficile è ricucire, ma Cristo ha voluto che fossimo tutti una sola cosa e questo per noi deve essere un imperativo. L’opera meritoria del Papa evidenzia la sua grande pazienza, ma d’altronde se così non fosse assisteremmo ad un paradosso: mentre si postula tanto il dialogo con i non cattolici e addirittura con i non cristiani, come si può essere pregiudizialmente ostili all’idea di riunirsi con chi ha la stessa fede? Lo stesso Benedetto XVI in quell’occasione citò opportunamente la lettera di San Paolo ai Galati: “Se vi mordete e divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri”. Il dramma attuale della Chiesa è l’esclusivismo da parte di chi si professa ecumenico.
In questa occasione si parlava di politica e valori. “Questione morale” è un’espressione di cui molti esponenti di partito si riempiono la bocca…
Sento parlare molto in giro della necessità di “codici etici” per i partiti, ma di un’etica non meglio precisata. Può mai derivare dall’uomo la fonte di ciò che è bene o male? Bisognerebbe tornare ai Dieci Comandamenti, le uniche vere tavole etiche che derivano da Dio.