sabato 23 ottobre 2010

lettera morta

In questi giorni è ricorso il quarto anniversario della Lettera Circolare
sulla traduzione in volgare dell'espressione “pro multis” contenuta nella formula della Consacrazione del Prezioso Sangue, nel Canone della S. Messa

Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti

Roma, 17 ottobre 2006

Alle loro Eminenze / Eccellenze
I Presidenti delle Conferenze Episcopali Nazionali

Eminenza / Eccellenza,

Nel luglio del 2005 la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, d'accordo con la Congregazione per la Dottrina della Fede, ha scritto a tutti i Presidenti delle Conferenze Episcopali per chiedere il loro parere autorevole sulla traduzione nelle diverse lingue volgari dell'espressione pro multis nella formula della consacrazione del Prezioso Sangue durante la celebrazione della Santa Messa ( Prot. N. 467/05/L del 9 luglio 2005).

Le risposte ricevute dalle Conferenze Episcopali sono state studiate dalle due Congregazioni ed è stato inviato un rapporto al Santo Padre.

Secondo le Sue direttive, questa Congregazione si rivolge ora a Vostra Eminenza / Eccellenza nei seguenti termini:

1. Un testo corrispondente alle parole pro multis, tramandato dalla Chiesa, costituisce la formula che è stata in uso nel rito romano, in latino, fin dai primi secoli.

In questi ultimi trent'anni circa, alcuni testi in lingua volgare hanno adottato una traduzione che interpreta [il pro multis]come "per tutti", o equivalente.

2. Come ha dichiarato la Congregazione per la Dottrina della Fede (Sacra Congregatio pro Doctrina Fidei, Declaratio de sensu tribuendo adprobationi versionum formularum sacramentalium, 25 Ianuarii 1974, AAS 66 [1974], 664), non vi è alcun dubbio circa la validità delle Messe celebrate usando una formula debitamente approvata e contenente una formulazione equivalente a "per tutti". In effetti, la formulazione "per tutti" corrisponderebbe senza alcun dubbio ad una corretta interpretazione dell'intenzione del Signore espressa nel testo. È un dogma di fede che Cristo è morto sulla Croce per tutti gli uomini e le donne (cfr. Gv 11, 52; II Cor 5, 14-15; Tito 2, 11; I Gv 2, 2).

3. Tuttavia, vi sono molti argomenti a favore di una traduzione più precisa della formula tradizionale pro multis:

a. I Vangeli Sinottici (Mt 26, 28; Mc 14, 24) fanno specifico riferimento ai “polloi" (termine greco che sta per molti) per i quali il Signore offre il Sacrificio, e questo termine è stato messo in risalto da alcuni esegeti in relazione alle parole del profeta Isaia (53,11-12). Sarebbe stato del tutto possibile nei testi evangelici dire "per tutti" (vedi, per esempio, Lc 12,41); invece, la formula data nel racconto dell'istituzione è "per molti", ed è così che queste parole sono state fedelmente tradotte nella maggior parte delle versioni moderne della Bibbia.

b. Il rito romano in latino, nella consacrazione del Calice ha sempre detto pro multis e mai pro omnibus.

c. Le anafore dei vari riti orientali, in greco, in siriaco, in armeno, nelle lingue slave, ecc., nelle loro rispettive lingue contengono parole equivalenti al latino pro multis.

d. "Per molti" è una traduzione fedele di pro multis, mentre "per tutti" è piuttosto una spiegazione che appartiene propriamente alla catechesi.

e. L'espressione "per molti", pur restando aperta all'inclusione di ogni persona umana, riflette anche il fatto che la salvezza non è data meccanicamente: senza che la si voglia, o vi si partecipi; al contrario: il credente è invitato ad accettare nella fede il dono che gli è offerto, e a ricevere la vita soprannaturale che è data a coloro che partecipano a questo mistero e lo vivono nella loro esistenza affinché siano annoverati fra i “molti” ai quali il testo si riferisce.

f. Sulla scia dell’Istruzione Liturgiam authenticam, dovrebbe essere fatto uno sforzo per essere più fedeli ai testi latini delle edizioni tipiche.

4. Alle Conferenze Episcopali di quei paesi in cui la formula "per tutti" o il suo equivalente è attualmente in uso, si chiede di iniziare presso i fedeli, nei prossimi uno o due anni, la catechesi necessaria su questo argomento, al fine di prepararli all’introduzione di una precisa traduzione in lingua volgare della formula pro multis ( e cioè “per molti”) nella prossima traduzione del Messale Romano che i Vescovi e la Santa Sede approveranno per i loro paesi.

Con l'espressione della mia alta stima e del mio rispetto, Vi prego di credere, Eminenza / Eccellenza, alla mia devozione in Cristo.

+ Card. Francis Arinze, Prefetto


-------------------------------------------------------------------------------

Leggendo la circolare della Congregazione per il Culto Divino a tutti i Presidenti delle Conferenze Episcopali Nazionali (17 ottobre 2006) circa l’uso della corretta espressione “per molti”, invece della errata espressione “per tutti”, nel Canone della S. Messa, viene subito da ringraziare il Santo Padre per un provvedimento tanto opportuno quanto salutare.

Grazie a Dio, continuando così, sarà possibile recuperare quelle parti della dottrina, della liturgia, della catechesi e della pastorale che in questi anni del post Concilio sono state colpevolmente o dolosamente stravolte.

Tuttavia, proprio per l’importanza di un documento di tal fatta, riteniamo sia opportuno mettere a fuoco alcuni elementi che lo stesso documento propone in maniera forse inavvertita, mentre invece rivestono molta importanza.

Al n° 2 è detto che “… non vi è alcun dubbio circa la validità delle Messe celebrate usando una formula debitamente approvata e contenente una formulazione equivalente a “per tutti”. E questo perché l’espressione “per tutti” corrisponderebbe senza alcun dubbio ad una corretta interpretazione dell'intenzione del Signore espressa nel testo.”

Questa precisazione si presenta come una sorta di excusatio non petita, che la Congregazione sembra sia stata costretta o abbia sentito il dovere di inserire nel testo al fine di venire incontro alle obiezioni certo già sollevate e che verranno sollevate ulteriormente a partire da adesso.
Essa, peraltro, svolge la funzione di vanificare in parte (o forse anche in toto) il rimanente contenuto del documento.

Se l’uso di “per tutti” è “senza dubbio” conforme all’intenzione del Signore, così come Egli la esprime nel testo, perché la Congregazione va cercando il pelo nell’uovo ?
È essa stessa a dirlo, ed è sempre essa stessa a sostenere che è più corretto usare “per molti” invece di per tutti. Proprio perché “per molti” implica la precisazione che “la salvezza non è data meccanicamente: senza che la si voglia o vi si partecipi”, come è detto in questa stessa lettera, al punto “e”.
A questo si aggiunga che se la Congregazione ha sentito il bisogno di ribadire la “validità delle Messe… ecc.” è sicuramente perché il problema della loro eventuale invalidità si poneva a ragion veduta.

Non si tratta certo di questioni di poco conto.

Non solo. Ma come non notare con preoccupazione che questo documento della Congregazione, che ribadisce la corretta dottrina della Chiesa, sia indirizzato, non ai semplici fedeli, ma ai Vescovi e ai Cardinali, che dovrebbero essere i primi ad insegnarla ai fedeli.

Forse i Vescovi e i Cardinali non sapevano che la “salvezza non è data meccanicamente” ?

Non è una domanda retorica.

È una domanda seria.

Perché dalla risposta potrebbe derivare che: o per 40 anni ai fedeli sia stata insegnata una dottrina equivoca, e proprio tramite il momento culminante del Culto (la Consacrazione nel corso della S. Messa), oppure che la Congregazione oggi si trastulla con una cosa di poco conto.

E se per 40 anni i Vescovi avessero davvero insegnato, tramite la S. Messa, recitata a voce alta e in volgare, una dottrina equivoca, crede la Congregazione che basti una circolare come questa per riparare il danno provocato ?

In realtà, non è possibile supporre che i Vescovi non sapessero che il “per tutti” ha una connotazione equivoca e fuorviante, quindi è evidente che hanno, non tanto avallato, quanto “voluto” quella traduzione. Hanno cioè insegnato una dottrina equivoca a ragion veduta.

E, fino ad oggi, per 40 anni, tale traduzione e il suo uso liturgico conseguente sono stati approvati dalla stessa Congregazione che oggi si lamenta.

La cosa è davvero grave e avrebbe richiesto un intervento di ben altra portata che la semplice “circolare”. Forse occorrerebbero più encicliche per prendere seriamente in considerazione tutti gli elementi equivoci presenti nella nuova Messa, perché non è certo solo questo il punto in cui si forza e si tradisce la dottrina cattolica.

Facciamo un solo esempio per tutti.

Gloria in excelsis Deo, et in terra pax hominibus bonae voluntatis.

Tradotto, recitato e cantato con:

Gloria a Dio nell’alto dei cieli, e pace in terra agli uomini che Dio ama !

Da dove è venuto fuori questo totale stravolgimento del testo evangelico (Luca, 2, 14) ?

Gli Angeli, proprio in forza dell’Incarnazione del Verbo, annunciano la pace in terra agli uomini di “buona volontà”, cioè agli uomini la cui volontà, la cui intenzione, è “buona”, cioè conforme alla Volontà di Dio. Tutti gli altri, che non sono di buona volontà, non possono godere della pace che apporta l’Incarnazione del Verbo.

Scrivere, recitare e cantare, invece, “pace in terra agli uomini che Dio ama”, significa capovolgere l’insegnamento evangelico, stravolgere la dottrina, banalizzare la liturgia.

Dio ama tutti, è implicito nella sua stessa essenza, Egli è il Sommo Bene, è Amore, ma gli uomini si salvano, ricevono e godono la “pace” non perché Dio li ama, ma perché devono essere loro ad amare Dio: chi non ama Dio non gode di alcuna “pace”.

È questo che insegna il Vangelo.

Come si vede ci troviamo al cospetto di un capovolgimento simile a quello del “pro multis”, che non significa “per tutti”.

Ma questi capovolgimenti, che corrispondono ad una vera e propria sovversione della dottrina, non possono essere addebitati a qualche svista o a qualche particolare lettura esegetica, come per esempio nei famosi “polloi” (il greco “multis”) che per anni ci è stato spiegato fossero le “moltitudini” e quindi i “tutti”.

No. Questi capovolgimenti rispondono ad una precisa strategia “culturale” (come si usa dire oggi).

Il Figlio di Dio non può essersi incarnato per la salvezza “di molti” (quelli disposti a seguirlo e a conformarsi alle leggi di Dio),… è inaccettabile.

Ci troveremmo al cospetto di una vera e propria discriminazione.

Senza contare la violazione di ogni minima regola di civile convivenza e di democrazia. … Quindi la dottrina insegnata fino a quel punto dev’essere corretta; anche a costo di cambiare le parole in bocca a Nostro Signore.

Lo stesso dicasi che la “pace” apportata da questa Incarnazione.

L’amore di Dio è tale, è talmente onnicomprensivo, che non può produrre alcun discrimine. Data l’Incarnazione non può ammettersi alcunché di diverso di una “pace” data a tutti, indipendentemente dalla volontà di ognuno, una “pace” automatica e necessaria, come è automatico e necessario l’amore di Dio. D’altronde, sarebbe assurdo supporre che Dio non ami tutti: e, se li ama tutti, è impossibile che certuni possano ricevere la “pace” e certi altri no.

Quanto poi al fatto che certe cose sono scritte nei Vangeli, si tratta di un particolare a cui si può ovviare facilmente: se non hanno sbagliato gli Angeli, hanno sbagliato di certo gli estensori dei Vangeli, magari senza accorgersene.

Ironia a parte, è esattamente questo il contesto “culturale”, religioso, liturgico e dottrinale in cui si cala questa circolare della Congregazione per il Culto Divino. Il contesto cioè composto dalle migliaia di Vescovi, preti, teologi, liturgisti e catechisti. È su questo terreno che vengono gettati i semi della correzione.

Verranno i frutti ?

Ce lo auguriamo, e preghiamo per questo, fidando fortemente nell’aiuto di Dio.

Ma intanto non possiamo evitare di far notare che il richiamo con cui si conclude questa circolare (Alle Conferenze Episcopali… si chiede di iniziare presso i fedeli, nei prossimi uno o due anni, la catechesi necessaria su questo argomento,…) ci sembra un po’ anacronistico.

Davvero si è convinti che gli stessi Vescovi che hanno volutamente insegnato una dottrina equivoca, da adesso, sulla base della circolare, saranno in grado di catechizzare i fedeli spiegando loro che in questi 40 anni si sono sbagliati ?

Ci sbaglieremo, ma a noi sembra che il meglio che possa accadere è l’apertura di un “dibattito”, dove ognuno finirà col dire la sua, senza che si possa mai giungere a niente di serio.

D’altronde, sappiamo per esperienza, che neanche la pubblicazione di un’enciclica sull’Eucarestia (Ecclesia de Eucharistia) e di una conseguente istruzione su come evitare le distorsioni e gli abusi nella celebrazione della S. Messa (Redemptionis Sacramentum), sia servito a un granché; a dimostrazione del fatto che è necessario un lavoro di maggiore incisività, un lungo e faticoso processo di decontaminazione innanzi tutto delle menti e dei cuori dei preti, dei religiosi e dei chierici in genere.

Una circolare come questa sembra davvero una goccia nel mare.

Tant’è.

Ma riconosciamo che per fare una cosa grande si deve necessariamente partire con una cosa piccola, sicuramente. E siamo i primi a pregare perché le cose vadano sempre più e sempre meglio nella giusta direzione, per il bene della Chiesa e per la salvezza delle ànime dei fedeli

Prendiamo atto allora di questa circolare e insieme della volontà di voler porre mano al recupero del vero insegnamento cattolico, e ringraziamo il Santo Padre per questo.

Da parte nostra, nel nostro piccolo, ci prodigheremo perché si tengano presenti anche i diversi aspetti implicati in una operazione come questa, soprattutto da parte dei laici, che oggi più di ieri hanno il compito di rimanere vigili e critici per la salvaguardia della Tradizione della Santa Chiesa.

Preghiamo la Santa Vergine perché, come ci ha assistiti in questi 40 anni, continui ad assisterci ancora, aiutandoci ad agire sempre e solo alla maggior gloria di Dio.

commento tratto da http://www.unavox.it/

venerdì 22 ottobre 2010

Newman, il Papa e il Duca di Norfolk

da un articolo di Massimo Introvigne
“In viaggio con il beato Newman.
La visita di Benedetto XVI in Gran Bretagna”

Commentando le famose – e per qualche aspetto controverse – parole del beato nella Lettera al Duca di Norfolk secondo cui «se fossi obbligato a introdurre la religione nei brindisi dopo un pranzo (il che in verità non mi sembra proprio la cosa migliore), brinderò, se volete, al Papa; tuttavia prima alla coscienza, poi al Papa» (Newman 1999, 237), il cardinale Ratzinger commenta che la frase va inquadrata nel complessivo pensiero di Newman e nella sua fedeltà alla «tradizione medioevale [che] giustamente aveva individuato due livelli del concetto di coscienza, che si devono distinguere accuratamente, ma anche mettere sempre in rapporto l’uno con l’altro. Molte tesi inaccettabili sul problema della coscienza mi sembrano dipendere dal fatto che si è trascurata o la distinzione o la correlazione tra i due elementi» (Ratzinger 1991, 89).

Il Medioevo parlava di sinderesi e coscienza; il cardinale Ratzinger precisa questi due termini come «anamnesi della creazione» (ibid.) e «anamnesi della fede» (ibid.). La prima, l’anamnesi della creazione, deriva dal fatto che con la creazione «è stato infuso in noi qualcosa di simile ad una originaria memoria del bene e del vero» (ibid.). La seconda, l’anamnesi della fede, nasce dalla redenzione a opera di Gesù Cristo «il cui raggio a partire dal Logos redentore si estende oltre il dono della creazione» (ibid.) la cui memoria è custodita dalla Chiesa e, nella Chiesa, dal Papa. Cronologicamente, l’anamnesi della creazione viene prima: «si identifica col fondamento stesso della nostra esistenza» (ibid.) e fonda la possibilità anche dell’anamnesi della memoria. Come la creazione precede storicamente la redenzione, così perché ci sia una coscienza formata e illuminata dalla Chiesa e dal Papa occorre prima che ci sia una coscienza. In questo senso «siamo ora in grado di comprendere correttamente il brindisi di Newman prima per la coscienza e solo dopo per il Papa» (ibid.). I due brindisi stanno in sequenza, non in contrapposizione.

Se invece si ritiene che l’appello alla coscienza sia solo una giustificazione per seguire il proprio arbitrio – «Fai ciò che vuoi sarà tutta la legge» (Crowley 1938, cap. I, v. 40), secondo la celebre formula dell’esoterista inglese Aleister Crowley (1875-1947), il quale non solo dava a questa proposizione un fondamento specificamente magico, ma in essa catturava l’essenza stessa della magia come primato del potere – il passaggio successivo non può che essere l’abolizione della coscienza. Per fare quel che si vuole non c’è bisogno della legge, né della coscienza. Il relativismo liberale evolve così naturalmente verso il relativismo aggressivo delle ideologie del secolo XX fino all’affermazione del gerarca nazional-socialista Hermann Göring (1893-1946), citata dal cardinale Ratzinger: «Io non ho nessuna coscienza! La mia coscienza è Adolf Hitler [1889-1945]» (Ratzinger 1990, 432). La nozione relativista della coscienza porta ultimamente all’eliminazione della coscienza.

Il cattolico, nota il cardinale Ratzinger, non adotta certamente la formula di Göring mettendo il Papa al posto di Hitler. Questa sarebbe una versione caricaturale del cattolicesimo: «una simile concezione moderna e volontaristica dell’autorità può soltanto deformare l’autentico significato teologico del papato» (Ratzinger 1991, 89). Il cattolico dirà al contrario di avere una coscienza, e di trovare in essa una memoria del bene originario e l’apertura alla «possibilità» (ibid.) di una rivelazione di Dio, che di quel bene è fondamento. Nel momento in cui accetta per fede che Dio si è rivelato in Gesù Cristo, è pronto ad accogliere la tesi che il Papa è «garante della memoria» (ibid.) della rivelazione cristiana. Il Magistero del Papa entra così nella coscienza, per così dire, dall’interno: «tutto il potere che egli [il Papa] ha è potere della coscienza» (ibid.).

Il cardinale Ratzinger cita come prova del carattere tutt’altro che soggettivo e arbitrario dell’idea di coscienza nel beato Newman precisamente la sua conversione dalla Comunione Anglicana alla Chiesa Cattolica del 1845. «Proprio perché Newman spiegava l’esistenza dell’uomo a partire dalla coscienza, ossia nella relazione tra Dio e l’anima, era anche chiaro che questo personalismo non rappresentava nessun cedimento all’individualismo, e che il legame alla coscienza non significava nessuna concessione all’arbitrarietà – anzi che si trattava proprio del contrario. Da Newman abbiamo imparato a comprendere il primato del Papa: la libertà di coscienza – così ci insegnava Newman – non si identifica affatto col diritto di “dispensarsi dalla coscienza, di ignorare il Legislatore e il Giudice, e di essere indipendenti da doveri invisibili”. In tal modo la coscienza, nel suo significato autentico, è il vero fondamento dell’autorità del Papa. Infatti la sua forza viene dalla Rivelazione, che completa la coscienza naturale illuminata in modo solo incompleto, e “la sua [del Papa] raison d’être è quella di essere il campione della legge morale e della coscienza” (J. H. Newman, Lettera al Duca di Norfolk, Coscienza è libertà, a cura di V. Gambi, Paoline, Milano 1999, p. 226)» (Ratzinger 1990, 433-434).

«Questa dottrina sulla coscienza – continuava nel 1990 il cardinale Ratzinger – è diventata per me sempre più importante nello sviluppo successivo della Chiesa e del mondo. Mi accorgo sempre di più che essa si dischiude in modo completo solo in riferimento alla biografia del Cardinale, la quale suppone tutto il dramma spirituale del suo secolo. Newman, in quanto uomo della coscienza, era divenuto un convertito; fu la sua coscienza che lo condusse dagli antichi legami e dalle antiche certezze dentro il mondo per lui difficile e inconsueto del cattolicesimo. Tuttavia, proprio questa via della coscienza è tutt’altro che una via della soggettività che afferma se stessa: è invece una via dell’obbedienza alla verità oggettiva. Il secondo passo del cammino di conversione che dura tutta la vita di Newman fu infatti il superamento della posizione del soggettivismo evangelico, in favore d’una concezione del Cristianesimo fondata sull’oggettività del dogma […]. E solo così, attraverso il legame alla verità, a Dio, la coscienza riceve valore, dignità e forza» (ibid., 434).

Quando a proposito della conversione al cattolicesimo ricordiamo che il beato Newman fu «mosso dal seguire la propria coscienza, anche con un pesante costo personale» (Benedetto XVI 2010g), o che san Tommaso Moro (1478-1535), giustiziato per ordine del re Enrico VIII (1491-1547), di cui era stato Lord Cancelliere ma che non aveva voluto seguire nella sua rivolta contro il Papa, «fu capace di seguire la propria coscienza, anche a costo di dispiacere al proprio sovrano, di cui era “buon servitore”» (Benedetto XVI 2010h), non ci riferiamo a opzioni o semplici preferenze soggettive ma a un rapporto con la verità oggettiva – «quella verità [che ultimamente] è nient’altro che Gesù Cristo» (Benedetto XVI 2010g) – così forte da rendere disposti a sacrificare affetti, amicizie e perfino la proprio stessa vita. E la questione della coscienza ha un diretto collegamento con il rapporto fra fede e ragione. Il beato Newman, insegna Benedetto XVI, fu insieme «intellettuale e credente, il cui messaggio spirituale si può sintetizzare nella testimonianza che la via della coscienza non è chiusura nel proprio “io”, ma è apertura, conversione e obbedienza a Colui che è Via, Verità e Vita» (Benedetto XVI 2010v).

giovedì 21 ottobre 2010

Ciò che nel passato era incontestato oggi ormai dev’essere giustificato: il Concilio e i suoi pretesi frutti.

Il ritorno alla Tradizione è ineluttabile

Intervista con Don Niklaus Pfluger,
primo assistente generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X
rilasciata a The Angelus, la rivista del distretto della FSSPX negli Stati Uniti, - ottobre 2010
pubblicata sul n° 223 di DICI del 16 ottobre 2010

The Angelus – Come primo assistente del Superiore Generale della Fraternità San Pio X, Lei ha occasione di viaggiare molto. Come distribuisce il suo tempo tra spostamenti e soggiorno presso la Casa Generalizia in Svizzera?

Don Niklaus Pfluger - In realtà i due assistenti del Superiore Generale si trovano molto spesso in viaggio. Dopo il Capitolo generale del 2006, abbiamo dovuto conoscere i sacerdoti, i loro priorati e le diverse comunità sparse nel mondo. In questi ultimi anni, ci siamo assentati dalla Casa Generalizia per circa i due terzi del tempo. Per esempio, nel 2008, don Alain-Marc Nély ed io siamo rimasti a Menzingen rispettivamente 111 e 112 giorni.

The Angelus – Quanti ritiri predica ogni anno e a chi?

Don Niklaus Pfluger - Da sei a otto. Nel 2010 ce ne saranno perfino nove. Quattro ci sono già stati in Inghilterra, Canada, Stati Uniti e Messico. Ne predicherò un altro in Francia per una comunità di sacerdoti amici della Fraternità. I rimanenti quattro riguarderanno dei religiosi: carmelitani, benedettini e oblati della Fraternità

The Angelus – Ha la percezione che la Fraternità si sviluppi?

Don Niklaus Pfluger – Numericamente, sicuro. L’apostolato nelle scuole e nelle missioni è in crescita in tutto il mondo, e bisogna aggiungere l’apostolato condotto con le pubblicazioni e la catechesi su internet. In certe regioni il numero dei fedeli aumenta: negli Stati Uniti, in Francia, In Italia, in Polonia, in Asia e in Africa. In questi due ultimi posti, il numero delle ordinazioni è stato perfino superiore alla media. In definitiva, ogni anno si aprono nuove case, e questo implica proprio un aumento dell’attività pastorale.
Una gran parte di questa crescita deriva dalle famiglie, cioè dai ragazzi e dalle ragazze che sono lì stati cresciuti. Del pari, a partire dal Motu Proprio Summorum Pontificum, del 2007, numerosi cattolici hanno abbandonato il Novus Ordo per la Tradizione e la Messa tridentina. Questa particolarità mi ha colpito negli Stati Uniti, dove ho potuto visitare diverse cappelle in agosto. Vi sono anche dei sacerdoti isolati che hanno abbandonato la celebrazione della nuova Messa per lavorare con noi.
La disaffezione che deriva dalla crisi all’interno della Chiesa e della società, aumenta ogni anno. In tal modo si apre un più ampio campo d’azione in cui può lavorare la Fraternità, e di conseguenza abbiamo bisogno di un maggior numero di vocazioni sacerdotali e religiose, soprattutto nei paesi di missione.

Cinque anni fa sarebbe stato impensabile mettere in questione il Concilio

The Angelus – Lei pensa che l’influenza della Fraternità San Pio X aumenti allo stesso modo?

Don Niklaus Pfluger – È un aspetto del tutto diverso del nostro sviluppo, ma è certo che l’influenza della Fraternità sulla Chiesa universale aumenta regolarmente. E non si tratta solo del caso di molti di quei giovani sacerdoti conservatori che hanno iniziato a celebrare la Messa tridentina nel mondo intero. Per loro, la Fraternità rappresenta una speranza reale e un riferimento stabile in mezzo al caos teologico e pastorale attuale.
I colloqui teologici con Roma indicano che, quali che siano le ragioni, noi siamo presi sul serio dal Papa. Cinque anni fa sarebbe stato impensabile mettere in questione il Concilio. Oggi, Roma fa marcia indietro e tenta di darne una nuova interpretazione allo scopo di salvarlo. Ciò che nel passato era incontestato oggi ormai dev’essere giustificato: il Concilio e i suoi pretesi frutti. Questa è una novità. Senza la Fraternità San Pio X sarebbe stato impensabile fino a poco tempo fa. La Fraternità è sempre stata una pietra d’inciampo, ma ormai dobbiamo essere presi sul serio e non è possibile ignorarci.
Gli avvenimenti degli ultimi mesi, e soprattutto dell’anno scorso in Europa, ce lo dimostrano. Di tanto in tanto, certi vescovi modernisti danno l’impressione di odiarci, noi e la Tradizione. Questo significa che facciamo loro paura. Che talvolta i media ci attacchino violentemente – penso al servizio televisivo «Les Infiltrés» in Francia o alla campagna di stampa del 2009 – dimostra che non possono più ignorare la Tradizione e che invece sono obbligati a prenderci sul serio.
Infine, benché in genere non se ne parli, vi sono molti membri della Fraternità nel mondo, religiosi e laici, che con la grazia di Dio avanzano nella via della santità. Si tratta di una presenza particolare di Dio nella nostra epoca.

The Angelus – Quali sono i compiti più difficili per la Fraternità San Pio X?

Don Niklaus Pfluger – La perseveranza. Mantenere lo spirito di fortezza e di perseveranza. Le minacce principali non vengono dall’esterno, ma da noi stessi. La crisi continua e diventa più violenta. Si produce un effetto di usura. Ne deriva un doppio rischio: che si perda il coraggio e la speranza, che sorgano la rassegnazione e il disfattismo, e che le persone perdano lo slancio e la motivazione e forse anche il fervore dei primi tempi. Di conseguenza, talvolta si sentono esprime dei sentimenti del tipo: «Voi non potete far niente».
Oppure, cosa ancora peggiore, si tenta di accomodare la verità, di normalizzarla; di voler fare la pace ad ogni costo, di volersi accontentare del compromesso. È dunque importante prendere coscienza del nostro dovere – sia da parte dei laici, sia da parte dei sacerdoti – ed è necessario riscoprire l’entusiasmo e lo spirito di fede degli inizi della Fraternità e del suo fondatore. Noi siamo un’opera della Chiesa! Noi non stiamo salvando la Messa e la fede solo per noi stessi, noi abbiamo un compito nella Chiesa e per la Chiesa. Noi siamo missionari; la situazione critica della Chiesa e delle anime non può lasciarci indifferenti.

L’illusione secondo la quale ci si addormenterebbe modernisti e ci si sveglierebbe cattolici!

The Angelus – Certuni suppongono che la Fraternità stia andando verso un compromesso con Roma. Sa che cosa ha potuto far nascere un tale timore?

Don Niklaus Pfluger – Sono timori senza fondamento. Si tratta soprattutto di lagnanze provenienti da persone che sono all’esterno e che pensano di poter giudicare le questioni interne alla Fraternità. Questi timori non provengono da uno spirito di fede. Gli autori di queste illazioni – soprattutto persone vicine alle idee sedevacantiste – non vogliono ammettere che qualcosa è cambiato. Oppure hanno semplicemente una cattiva visione della soluzione di questa terribile crisi della fede. Pensano che la Chiesa moderna ridiventerà cattolica dall’oggi al domani: è l’illusione secondo la quale ci si addormenterebbe modernisti e ci si sveglierebbe cattolici. Come se fosse facile! Il ritorno verso l’ortodossia, una vera riforma, è un cammino lungo e arduo. Ci sono voluti dei decenni perché i decreti del Concilio di Trento fossero applicati in una certa misura. Le regioni che si erano votati all’arianesimo, in Oriente e in Occidente, hanno impiegato un certo tempo per ridiventare cattoliche.
Noi non facciamo dei compromessi. Mons. Fellay, quando tratta con Roma, non ha né un piano, né una strategia, né una politica segreta, riguardo alle verità di fede. Noi dobbiamo rispondere ad una nuova situazione. Noi dobbiamo dire a questa «Chiesa conciliare»: «Fermatevi! Non potete continuare così. Vi è un grande problema all’interno della Chiesa. Il Concilio è la causa di questa apostasia e non la soluzione della crisi». Certuni vogliono rinchiudersi in una sorta di ghetto, aspettando che passi la crisi. È un segno di debolezza della fede, non è la posizione cattolica. Come ci dice Nostro Signore nel suo discorso della montagna, la luce dev’essere messa sopra il lucerniere e non nascosta sotto il moggio.
In realtà, solo una piccola minoranza di sacerdoti e di fedeli ha paura. La grande maggioranza ha fiducia nelle autorità della Fraternità e nel Superiore Generale. All’inizio del mese di luglio si sono riuniti a Ecône, per diversi giorni, tutti i superiori della Fraternità. Grazie a Dio, abbiamo avuto la gioia di constatare la nostra profonda unità sulle questioni essenziali, cosa che non è facile in tempi così torbidi come quelli che viviamo.

The Angelus – Si accusa spesso la Fraternità San Pio X di essere «fondamentalista». Cosa risponde?

Don Niklaus Pfluger – Il problema non è il fondamentalismo in se stesso, quanto piuttosto da quale fonte esso trae i suoi principi e in che direzione va. Un musulmano fondamentalista è chiaramente un problema perché dobbiamo temere degli atti terroristici. Un cristiano fondamentalista, in se stesso, non è un problema perché la nostra religione è una religione d’amore.
Allora, se ci si tratta da «fondamentalisti», questo significa che il mondo moderno, cioè il liberalismo, ha voltato le spalle a Dio e trova i suoi principi e i suoi valori in se stesso. È principalmente per questo che il mondo si allontana dalla cristianità, che la combatte – o meglio – non la comprende. Esso chiama «fondamentalismo» ciò che è semplicemente fondamentale e radicale.
Quando un cristiano lascia il suo fondamento radicale, che è Cristo, non diventa come un fondamentalista musulmano, piuttosto come il sale che ha perduto il suo sapore. Numerosi cattolici moderni sono il migliore esempio di questa «cristianità che ha perso i suoi principi». Il mondo odierno non ha alcun bisogno di combatterli e non verranno perseguitati. Essi si staccano dalla loro fede come le foglie morte che cadono dall’albero. Tutto il contrario dei cristiani missionari e convinti che sono l’orgoglio della Chiesa. Noi li chiamiamo martiri poiché hanno testimoniato la loro fede in Nostro Signore Gesù Cristo.

Dio non ha salvato il mondo con le risorse del mondo,ma con una mangiatoia e una croce.

The Angelus – Qual è il modo migliore per la Fraternità per reagire in un mondo ostile alla fede cattolica?

Don Niklaus Pfluger – Ce l’ha insegnato Cristo stesso: «Voi siete nel mondo, ma non siete del mondo». Vi è una tensione, ma questa tensione è anche la soluzione. Gli Apostoli lo capirono. Poiché la loro fede era debole non furono capaci di sopportare l’odio del mondo contro il loro Maestro, la sua Passione e la sua Croce. Per paura dei Giudei si rinchiusero a doppia mandata. Ma dopo la Pasqua e la Pentecoste, la loro fede in Nostro Signore divenne incrollabile, andarono verso il mondo, e Pietro, il primo papa, convertì 3000 Giudei e pagani con un solo sermone. San Giovanni riassume questa esperienza della fede capace di muovere le montagne con questa sentenza: «Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo. E ciò che ci fa ottenere la vittoria sul mondo è la nostra fede».
La Fraternità San Pio X deve fare ciò che la Chiesa ha sempre fatto fino al Concilio Vaticano II: andare nel mondo intero, predicare e battezzare. In più, noi non dobbiamo temere né il mondo, né i Giudei, né i media. Sodoma e Gomorra non sono un’invenzione della lobby omosessuale del XX secolo, le ritroviamo già nell’Antico Testamento. Si crede veramente che i tempi fossero più facili duemila anni fa? Dio non ha salvato il mondo con le risorse del mondo, ma con una mangiatoia e una croce. San Benedetto non ha incendiato Roma, ma ha rinnovato il mondo cristiano con la sua divisa Ora et labora. È una sciocchezza voler convertire il mondo con l’intelligenza umana, con le sue astuzie e i suoi argomenti furbi. Alla fine dobbiamo comprendere – e credere! – che non esistono altri mezzi per salvare questo mondo malefico, pieno di vizi e di menzogne, se non la fede in Gesù Cristo. È questa la nostra forza! E se non siamo molto forti è perché non è forte la nostra fede!

The Angelus – Scorge dei segni che indicherebbero che Roma cerca una sorta di restaurazione?

Don Niklaus Pfluger – Cosa si intende per «Roma»? Il Papa, la curia, i cardinali, certi prelati? Difficile dirlo. Subito si impone una distinzione. Noi possiamo fare una valutazione solo dall’esterno, e vediamo dei segni evidenti: la liberalizzazione della Messa tridentina, il ritiro del decreto di scomunica del 1988, che era ridicolo, la volontà del Papa di discutere di questioni teologiche con noi. Tutto questo non è perfetto, ma è un fatto, è reale.
Anche se si prova a presumere – e non bisognerebbe mai farlo – certe intenzioni del Papa, è ciò che ha fatto che è evidente. Gli attacchi contro Benedetto XVI da parte dei vescovi, dei media e anche dei parlamenti, hanno rivelato che il mondo non ha apprezzato affatto queste misure. Perfino l’imperfetto documento Dominus Iesus sull’unica Chiesa ha provocato la collera dei vescovi ecumenisti della Germania e della Svizzera.
Diciamo di più, il Papa ha lanciato un dibattito che non si fermerà più. Anche se i colloqui teologici dovessero interrompersi domani, anche se venisse pronunciata una nuova scomunica contro la Tradizione, anche se non sopraggiungesse alcun risultato tangibile, il ritorno alla Tradizione in seno alla Chiesa è ineluttabile. I guasti provocati da questo Concilio sono troppi vasti. È come il «crepuscolo degli dei»: sacerdoti e fedeli di buona volontà che vogliono rimanere cattolici si avvicinano sempre più alla Tradizione. Lentamente, certo, un piccolo numero, ma sicuramente. I modernisti lo sanno, e anche il mondo. È questo che spiega questi attacchi contro il Papa e la Chiesa.

The Angelus – Come ha potuto sapere dalla stampa, vi sono molte chiese e molti monasteri in corso di demolizione o messi in vendita. Si tratta di un’evoluzione positiva dal punto di vista della Fraternità San Pio X?

Don Niklaus Pfluger – Certamente no! Ogni indebolimento o declino della vita cattolica è una cattiva notizia e ce ne dispiace. Ma «se il chicco di grano non cade nella terra e muore…», noi viviamo in un tempo di tal fatta. È la promessa di un avvenire nuovo e migliore. A suo tempo l’Anticristo completerà la sua opera, ma prima che questo accada il Cuore Immacolato di Maria trionferà.
La nostra felicità consiste piuttosto nel vedere l’espansione della cristianità e lo sviluppo della vita cattolica nel mondo di oggi. Ogni sacerdote che scopre la Messa tradizionale, ogni ritorno alla vera fede è un segno di speranza. Un prete conciliare forse si dispiacerà constatando che altri sacerdoti hanno più successo, sono più convincenti e apostolici. Questo dovrebbe essere un incoraggiamento, piuttosto che vedere la candela che si consuma all’interno della gerarchia ufficiale della Chiesa. Nella parabola degli operai della vigna, il Signore condanna l’invidia degli operai della prima ora che non hanno saputo riconoscere il momento di grazia. È un serio avvertimento per tutti noi.

The Angelus – I fedeli della Fraternità negli Stati Uniti sono molto più numerosi di 10 o 20 anni fa. Come lo spiega?

Don Niklaus Pfluger – Non solo il numero è più elevato, ma lo sviluppo è più rapido. Il Superiore del Distretto degli Stati Uniti, don Arnaud Rostand, che è Europeo, mi ha detto che da un po’ di tempo in America è presente lo stesso zelo e lo stesso entusiasmo che c’era in Europa negli anni 70 e nei primi degli anni 80. Io spero che potremo fare fruttificare questo entusiasmo, questa generosità e questa lealtà dei cattolici americani. Penso al risveglio delle vocazioni di frati e suore, alla formazione di vere parrocchie e di priorati, al consolidamento delle scuole. Vi è un grande potenziale sul piano quantitativo e qualitativo. Globalmente si tratta di un accrescimento molto incoraggiante.

Oggi, nessun’altra comunità religiosa è tanto perseguitata quanto quella cristiana

The Angelus – Pensa che in avvenire i governi adotteranno un’attitudine antireligiosa?

Don Niklaus Pfluger – Un’attitudine antireligiosa e la persecuzione dello Stato sono già di attualità, è il pane quotidiano del cristiano. Il cardinale di Colonia ha recentemente dichiarato che nel mondo di oggi nessun’altra comunità religiosa è tanto perseguitata quanto quella cristiana. Quando i papi del Concilio hanno creduto che il mondo sarebbe divenuto più dolce e più gentile se la Chiesa si fosse adattata con l’aggiornamento, hanno dato prova di coltivare un’ingenua illusione. Come dice il proverbio: «Dai un dito al diavolo e si prenderà tutta la mano». È esattamente ciò che è accaduto.
Forse l’odio crescente e la lotta contro Dio sono gli ultimi sussulti dell’ateismo? In ogni caso, lo Stato non è in grado di fare checchessia contro «la rivincita di Dio». Dopo l’11 settembre 2001, Dio è di nuovo in auge negli Stati Uniti e la religione dev’essere presa sul serio. Anche in Europa questo è sempre più evidente. Alcuni mesi fa, uno dei giornali più liberali della Germania ha pubblicato un articolo sull’argomento, dal titolo: «Mio Dio! Ritorna la religione». Cito l’inizio del testo, che riflette bene questa incapacità dell’ateismo:
«Da Karl Marx fino a John Lennon, i profeti della modernità sono stati unanimi: la religione era condannata. Alan Posener si chiede perché questo non sia accaduto. Quando nel 1966 John Lennon disse che i Beatles erano più popolari di Gesù, il pubblico inglese reagì con un’alzata di spalle. Sembrava così evidente che si trascurava di fare commenti. Dopotutto, i profeti dei tempi moderni ritenevano che la religione fosse essenzialmente una superstizione, secondo Karl Marx “lo spirito di una condizione senza spirito”. Sigmund Freud rifletteva sull’“avvenire di un’illusione” e pensava che sarebbe sparita insieme alla repressione sessuale che aveva generata. In breve, più modernità significava meno religione.
«La cristianità non doveva durare più del culto dei Beatles, diceva Lennon, e sarebbe presto “deperita”. E quello che valeva per i cristiani relativamente illuminati, era ancora più valido, agli occhi dell’uomo moderno, per i musulmani passatisti e psico-rigidi. Poi, due aerei hanno colpito il cuore di Manhattan e dal fondo di questa palla di fuoco Osama Bin Laden ha proclamato la vittoria di Allah. La religione era tornata. Bruscamente gli intellettuali dovettero fare i conti con concetti che avevano relegato negli angoli più oscuri delle più piccole facoltà: sunnismo e shiismo, sharia, fatwa e jihad.
«Con l’11 settembre, l’islam non è il solo a tornare. Il nemico mortale di Osama alla Casa Bianca, il presidente George W. Bush, era un cristiano born again. Egli apriva ogni riunione con i suoi più stretti collaboratori con una preghiera… All’inizio del millennio, sarebbe stato quasi indecente che un intellettuale tedesco confessasse la sua fede cattolica. Cinque anni più tardi, tutti concordano nel sostenere che l’ateismo è “intellettualmente povero”, come ha sottolineato lo scrittore cattolico, Martin Mosebach, che così ha lanciato un attacco contro il secolo de Lumi e ha tracciato un filo rosso dalla Rivoluzione Francese a Himmler e all’olocausto…»

«La spina dorsale della maggior parte dei vescovi è come la camera d’aria di una ruota di bicicletta»

The Angelus – Se i vescovi cattolici di numerosi paesi non si pronunciano chiaramente su alcuni problemi relativi alla legge naturale, come l’aborto e l’insegnamento cattolico sulla sessualità, si tratta di una coincidenza oppure della conseguenza dell’evoluzione della Chiesa?

Don Niklaus Pfluger – Talvolta tale silenzio potrebbe essere effettivamente la conseguenza di un’attitudine modernista: una nuova fede genera una nuova moralità. Evidentemente, noi lo deploriamo. La loro fede «illuminata e moderna» è così banale, fragile e ridicola. Questi seguono un Messia di cui non credono nemmeno che sia risuscitato dai morti, che la sua tomba sia realmente vuota e che Egli sia il vero Dio! Mi torna in mente una vecchia battuta: un gesuita chiama il suo Superiore Generale e gli dice: «Ascolti, abbiamo trovato la tomba di Gesù, e non è vuota». Segue un lungo silenzio. Finalmente il Superiore Generale gli chiede: «Vuoi dire che è veramente esistito?». La fede moderna adattata al mondo è senza convinzione e senza forza. Ma è possibile che vi siano molti altri vescovi che semplicemente non hanno il coraggio di proclamare la verità. Il potere dei media, al pari della paura dell’opinione pubblica, sono quindi più grandi della lealtà verso Cristo e dell’amore per la verità. Un noto critico tedesco del periodo postconciliare, il Professore George May, un giorno ha detto: «la spina dorsale della maggior parte dei vescovi è come la camera d’aria di una ruota di bicicletta». È davvero urgente pregare per il Papa e la Chiesa!

The Angelus – Quale sarebbe il mezzo più efficace per rafforzare la credibilità della Chiesa?

Don Niklaus Pfluger – La fede vivente. La Chiesa riguadagnerà la sua credibilità solo se i suoi membri vivranno la fede. La fede non è semplicemente un passatempo o un giuoco intellettuale. È la vita, l’impegno, l’azione. «Il Signore vuole vedere delle opere», dice la grande Santa Teresa d’Avila. L’albero deve dare dei frutti, se no è maledetto. Una cristianità senza opere, senza frutti e senza virtù non è degna di questo nome. San Tommaso d’Aquino spiega, molto giustamente, che il cristiano dev’essere la luce del mondo, e per pervenirvi egli dev’essere prima il sale della terra, il che significa che deve acquisire le virtù e deve poi applicarle concretamente. È questa la fede profonda e vivente; una fede che non è solo un patrimonio, un’eredità, ma che è coronata dall’«amore missionario», come scriveva Mons. Lefebvre.

mercoledì 20 ottobre 2010

Cari seminaristi! Con queste righe ho voluto mostrarvi quanto penso a voi proprio in questi tempi difficili (Benedetto XVI)

Lettera del Papa ai seminaristi
a conclusione dell'Anno Sacerdotale
Inviata nella festa di San Luca Evangelista

Cari Seminaristi,

nel dicembre 1944, quando fui chiamato al servizio militare, il comandante di compagnia domandò a ciascuno di noi a quale professione aspirasse per il futuro. Risposi di voler diventare sacerdote cattolico. Il sottotenente replicò: Allora Lei deve cercarsi qualcos’altro. Nella nuova Germania non c’è più bisogno di preti. Sapevo che questa "nuova Germania" era già alla fine, e che dopo le enormi devastazioni portate da quella follia sul Paese, ci sarebbe stato bisogno più che mai di sacerdoti. Oggi, la situazione è completamente diversa. In vari modi, però, anche oggi molti pensano che il sacerdozio cattolico non sia una "professione" per il futuro, ma che appartenga piuttosto al passato. Voi, cari amici, vi siete decisi ad entrare in seminario, e vi siete, quindi, messi in cammino verso il ministero sacerdotale nella Chiesa Cattolica, contro tali obiezioni e opinioni. Avete fatto bene a farlo. Perché gli uomini avranno sempre bisogno di Dio, anche nell’epoca del dominio tecnico del mondo e della globalizzazione: del Dio che ci si è mostrato in Gesù Cristo e che ci raduna nella Chiesa universale, per imparare con Lui e per mezzo di Lui la vera vita e per tenere presenti e rendere efficaci i criteri della vera umanità. Dove l’uomo non percepisce più Dio, la vita diventa vuota; tutto è insufficiente. L’uomo cerca poi rifugio nell’ebbrezza o nella violenza, dalla quale proprio la gioventù viene sempre più minacciata. Dio vive. Ha creato ognuno di noi e conosce, quindi, tutti. È così grande che ha tempo per le nostre piccole cose: "I capelli del vostro capo sono tutti contati". Dio vive, e ha bisogno di uomini che esistono per Lui e che Lo portano agli altri. Sì, ha senso diventare sacerdote: il mondo ha bisogno di sacerdoti, di pastori, oggi, domani e sempre, fino a quando esisterà.

Il seminario è una comunità in cammino verso il servizio sacerdotale. Con ciò, ho già detto qualcosa di molto importante: sacerdoti non si diventa da soli. Occorre la "comunità dei discepoli", l’insieme di coloro che vogliono servire la comune Chiesa. Con questa lettera vorrei evidenziare – anche guardando indietro al mio tempo in seminario – qualche elemento importante per questi anni del vostro essere in cammino.

1. Chi vuole diventare sacerdote, dev’essere soprattutto un "uomo di Dio", come lo descrive san Paolo (1 Tm 6,11). Per noi Dio non è un’ipotesi distante, non è uno sconosciuto che si è ritirato dopo il "big bang". Dio si è mostrato in Gesù Cristo. Nel volto di Gesù Cristo vediamo il volto di Dio. Nelle sue parole sentiamo Dio stesso parlare con noi. Perciò la cosa più importante nel cammino verso il sacerdozio e durante tutta la vita sacerdotale è il rapporto personale con Dio in Gesù Cristo. Il sacerdote non è l’amministratore di una qualsiasi associazione, di cui cerca di mantenere e aumentare il numero dei membri. È il messaggero di Dio tra gli uomini. Vuole condurre a Dio e così far crescere anche la vera comunione degli uomini tra di loro. Per questo, cari amici, è tanto importante che impariate a vivere in contatto costante con Dio. Quando il Signore dice: "Pregate in ogni momento", naturalmente non ci chiede di dire continuamente parole di preghiera, ma di non perdere mai il contatto interiore con Dio. Esercitarsi in questo contatto è il senso della nostra preghiera. Perciò è importante che il giorno incominci e si concluda con la preghiera. Che ascoltiamo Dio nella lettura della Scrittura. Che gli diciamo i nostri desideri e le nostre speranze, le nostre gioie e sofferenze, i nostri errori e il nostro ringraziamento per ogni cosa bella e buona, e che in questo modo Lo abbiamo sempre davanti ai nostri occhi come punto di riferimento della nostra vita. Così diventiamo sensibili ai nostri errori e impariamo a lavorare per migliorarci; ma diventiamo sensibili anche a tutto il bello e il bene che riceviamo ogni giorno come cosa ovvia, e così cresce la gratitudine. Con la gratitudine cresce la gioia per il fatto che Dio ci è vicino e possiamo servirlo

2. Dio non è solo una parola per noi. Nei Sacramenti Egli si dona a noi in persona, attraverso cose corporali. Il centro del nostro rapporto con Dio e della configurazione della nostra vita è l’Eucaristia. Celebrarla con partecipazione interiore e incontrare così Cristo in persona, dev’essere il centro di tutte le nostre giornate. San Cipriano ha interpretato la domanda del Vangelo: "Dacci oggi il nostro pane quotidiano", dicendo, tra l’altro, che "nostro" pane, il pane che possiamo ricevere da cristiani nella Chiesa, è il Signore eucaristico stesso. Nella domanda del Padre Nostro preghiamo quindi che Egli ci doni ogni giorno questo "nostro" pane; che esso sia sempre il cibo della nostra vita. Che il Cristo risorto, che si dona a noi nell’Eucaristia, plasmi davvero tutta la nostra vita con lo splendore del suo amore divino. Per la retta celebrazione eucaristica è necessario anche che impariamo a conoscere, capire e amare la liturgia della Chiesa nella sua forma concreta. Nella liturgia preghiamo con i fedeli di tutti i secoli – passato, presente e futuro si congiungono in un unico grande coro di preghiera. Come posso affermare per il mio cammino personale, è una cosa entusiasmante imparare a capire man mano come tutto ciò sia cresciuto, quanta esperienza di fede ci sia nella struttura della liturgia della Messa, quante generazioni l’abbiano formata pregando.

3. Anche il sacramento della Penitenza è importante. Mi insegna a guardarmi dal punto di vista di Dio, e mi costringe ad essere onesto nei confronti di me stesso. Mi conduce all’umiltà. Il Curato d’Ars ha detto una volta: Voi pensate che non abbia senso ottenere l’assoluzione oggi, pur sapendo che domani farete di nuovo gli stessi peccati. Ma – così dice – Dio stesso dimentica al momento i vostri peccati di domani, per donarvi la sua grazia oggi. Benché abbiamo da combattere continuamente con gli stessi errori, è importante opporsi all’abbrutimento dell’anima, all’indifferenza che si rassegna al fatto di essere fatti così. È importante restare in cammino, senza scrupolosità, nella consapevolezza riconoscente che Dio mi perdona sempre di nuovo. Ma anche senza indifferenza, che non farebbe più lottare per la santità e per il miglioramento. E, nel lasciarmi perdonare, imparo anche a perdonare gli altri. Riconoscendo la mia miseria, divento anche più tollerante e comprensivo nei confronti delle debolezze del prossimo.

4. Mantenete pure in voi la sensibilità per la pietà popolare, che è diversa in tutte le culture, ma che è pur sempre molto simile, perché il cuore dell’uomo alla fine è lo stesso. Certo, la pietà popolare tende all’irrazionalità, talvolta forse anche all’esteriorità. Eppure, escluderla è del tutto sbagliato. Attraverso di essa, la fede è entrata nel cuore degli uomini, è diventata parte dei loro sentimenti, delle loro abitudini, del loro comune sentire e vivere. Perciò la pietà popolare è un grande patrimonio della Chiesa. La fede si è fatta carne e sangue. Certamente la pietà popolare dev’essere sempre purificata, riferita al centro, ma merita il nostro amore, ed essa rende noi stessi in modo pienamente reale "Popolo di Dio".

5. Il tempo in seminario è anche e soprattutto tempo di studio. La fede cristiana ha una dimensione razionale e intellettuale che le è essenziale. Senza di essa la fede non sarebbe se stessa. Paolo parla di una "forma di insegnamento", alla quale siamo stati affidati nel battesimo (Rm 6,17). Voi tutti conoscete la parola di San Pietro, considerata dai teologi medioevali la giustificazione per una teologia razionale e scientificamente elaborata: "Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ‘ragione’ (logos) della speranza che è in voi" (1 Pt 3,15). Imparare la capacità di dare tali risposte, è uno dei principali compiti degli anni di seminario. Posso solo pregarvi insistentemente: Studiate con impegno! Sfruttate gli anni dello studio! Non ve ne pentirete. Certo, spesso le materie di studio sembrano molto lontane dalla pratica della vita cristiana e dal servizio pastorale. Tuttavia è completamente sbagliato porre sempre subito la domanda pragmatica: Mi potrà servire questo in futuro? Sarà di utilità pratica, pastorale? Non si tratta appunto soltanto di imparare le cose evidentemente utili, ma di conoscere e comprendere la struttura interna della fede nella sua totalità, così che essa diventi risposta alle domande degli uomini, i quali cambiano, dal punto di vista esteriore, di generazione in generazione, e tuttavia restano in fondo gli stessi. Perciò è importante andare oltre le mutevoli domande del momento per comprendere le domande vere e proprie e capire così anche le risposte come vere risposte. È importante conoscere a fondo la Sacra Scrittura interamente, nella sua unità di Antico e Nuovo Testamento: la formazione dei testi, la loro peculiarità letteraria, la graduale composizione di essi fino a formare il canone dei libri sacri, l’interiore unità dinamica che non si trova in superficie, ma che sola dà a tutti i singoli testi il loro significato pieno. È importante conoscere i Padri e i grandi Concili, nei quali la Chiesa ha assimilato, riflettendo e credendo, le affermazioni essenziali della Scrittura. Potrei continuare in questo modo: ciò che chiamiamo dogmatica è il comprendere i singoli contenuti della fede nella loro unità, anzi, nella loro ultima semplicità: ogni singolo particolare è alla fine solo dispiegamento della fede nell’unico Dio, che si è manifestato e si manifesta a noi. Che sia importante conoscere le questioni essenziali della teologia morale e della dottrina sociale cattolica, non ho bisogno di dirlo espressamente. Quanto importante sia oggi la teologia ecumenica, il conoscere le varie comunità cristiane, è evidente; parimenti la necessità di un orientamento fondamentale sulle grandi religioni, e non da ultima la filosofia: la comprensione del cercare e domandare umano, al quale la fede vuol dare risposta. Ma imparate anche a comprendere e - oso dire – ad amare il diritto canonico nella sua necessità intrinseca e nelle forme della sua applicazione pratica: una società senza diritto sarebbe una società priva di diritti. Il diritto è condizione dell’amore. Ora non voglio continuare ad elencare, ma solo dire ancora una volta: amate lo studio della teologia e seguitelo con attenta sensibilità per ancorare la teologia alla comunità viva della Chiesa, la quale, con la sua autorità, non è un polo opposto alla scienza teologica, ma il suo presupposto. Senza la Chiesa che crede, la teologia smette di essere se stessa e diventa un insieme di diverse discipline senza unità interiore.

6. Gli anni nel seminario devono essere anche un tempo di maturazione umana. Per il sacerdote, il quale dovrà accompagnare altri lungo il cammino della vita e fino alla porta della morte, è importante che egli stesso abbia messo in giusto equilibrio cuore e intelletto, ragione e sentimento, corpo e anima, e che sia umanamente "integro". La tradizione cristiana, pertanto, ha sempre collegato con le "virtù teologali" anche le "virtù cardinali", derivate dall’esperienza umana e dalla filosofia, e in genere la sana tradizione etica dell’umanità. Paolo lo dice ai Filippesi in modo molto chiaro: "In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri" (4,8). Di questo contesto fa parte anche l’integrazione della sessualità nell’insieme della personalità. La sessualità è un dono del Creatore, ma anche un compito che riguarda lo sviluppo del proprio essere umano. Quando non è integrata nella persona, la sessualità diventa banale e distruttiva allo stesso tempo. Oggi vediamo questo in molti esempi nella nostra società. Di recente abbiamo dovuto constatare con grande dispiacere che sacerdoti hanno sfigurato il loro ministero con l’abuso sessuale di bambini e giovani. Anziché portare le persone ad un’umanità matura ed esserne l’esempio, hanno provocato, con i loro abusi, distruzioni di cui proviamo profondo dolore e rincrescimento. A causa di tutto ciò può sorgere la domanda in molti, forse anche in voi stessi, se sia bene farsi prete; se la via del celibato sia sensata come vita umana. L’abuso, però, che è da riprovare profondamente, non può screditare la missione sacerdotale, la quale rimane grande e pura. Grazie a Dio, tutti conosciamo sacerdoti convincenti, plasmati dalla loro fede, i quali testimoniano che in questo stato, e proprio nella vita celibataria, si può giungere ad un’umanità autentica, pura e matura. Ciò che è accaduto, però, deve renderci più vigilanti e attenti, proprio per interrogare accuratamente noi stessi, davanti a Dio, nel cammino verso il sacerdozio, per capire se ciò sia la sua volontà per me. È compito dei padri confessori e dei vostri superiori accompagnarvi e aiutarvi in questo percorso di discernimento. È un elemento essenziale del vostro cammino praticare le virtù umane fondamentali, con lo sguardo rivolto al Dio manifestato in Cristo, e lasciarsi, sempre di nuovo, purificare da Lui.

7. Oggi gli inizi della vocazione sacerdotale sono più vari e diversi che in anni passati. La decisione per il sacerdozio si forma oggi spesso nelle esperienze di una professione secolare già appresa. Cresce spesso nelle comunità, specialmente nei movimenti, che favoriscono un incontro comunitario con Cristo e la sua Chiesa, un’esperienza spirituale e la gioia nel servizio della fede. La decisione matura anche in incontri del tutto personali con la grandezza e la miseria dell’essere umano. Così i candidati al sacerdozio vivono spesso in continenti spirituali completamente diversi. Potrà essere difficile riconoscere gli elementi comuni del futuro mandato e del suo itinerario spirituale. Proprio per questo il seminario è importante come comunità in cammino al di sopra delle varie forme di spiritualità. I movimenti sono una cosa magnifica. Voi sapete quanto li apprezzo e amo come dono dello Spirito Santo alla Chiesa. Devono essere valutati, però, secondo il modo in cui tutti sono aperti alla comune realtà cattolica, alla vita dell’unica e comune Chiesa di Cristo che in tutta la sua varietà è comunque solo una. Il seminario è il periodo nel quale imparate l’uno con l’altro e l’uno dall’altro. Nella convivenza, forse talvolta difficile, dovete imparare la generosità e la tolleranza non solo nel sopportarvi a vicenda, ma nell’arricchirvi l’un l’altro, in modo che ciascuno possa apportare le sue peculiari doti all’insieme, mentre tutti servono la stessa Chiesa, lo stesso Signore. Questa scuola della tolleranza, anzi, dell’accettarsi e del comprendersi nell’unità del Corpo di Cristo, fa parte degli elementi importanti degli anni di seminario.

Cari seminaristi! Con queste righe ho voluto mostrarvi quanto penso a voi proprio in questi tempi difficili e quanto vi sono vicino nella preghiera. E pregate anche per me, perché io possa svolgere bene il mio servizio, finché il Signore lo vuole. Affido il vostro cammino di preparazione al Sacerdozio alla materna protezione di Maria Santissima, la cui casa fu scuola di bene e di grazia. Tutti vi benedica Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo.

Dal Vaticano, 18 ottobre 2010, Festa di San Luca, Evangelista.

Vostro nel Signore

BENEDICTUS PP. XVI

martedì 19 ottobre 2010

blessed cave

Grotta benedetta

Com'è assurdo separare la grazia dalla natura! I due sono fatti l'una per l'altra!

E quant'è ancora più assurdo concepire la grazia come se facesse la guerra alla natura!

Essa combatte contro i cedimenti della nostra natura decaduta, non contro la natura, che viene da Dio e costituisce il substrato di questi cedimenti. Al contrario, la grazia esiste per preservare questo substrato dai cedimenti e dalle cadute, e per elevarlo alle altezze divine, alla partecipazione alla natura stessa di Dio (II Pt. I, 4)

Ora, la natura senza la grazia può portare alla rivoluzione, ma la grazia che disprezzasse la natura condurrebbe ad una falsa "spiritualità", come per esempio il Giansenismo, che porta anch'esso alla rivoluzione.

Della gravità di questo errore protestante che indirizza la grazia contro la natura invece che contro il peccato, mi sono ricordato nel corso di una visita di sette giorni in Italia, durante i quali ho visitato quattro luoghi di montagna nei quali si rifugiarono quattro grandi Santi medievali, tutti presenti nel Breviario e nel Messale, per avvicinarsi a Dio... nella natura.

Si tratta, in ordine cronologico, di San Benedetto (22 marzo, Subiaco), San Romualdo (7 febbraio, Camaldoli), San Giovanni Gualberto (12 luglio, Vallombrosa) e San Francesco d'Assisi (4 ottobre, La Verna).

Da Camaldoli e Vallombrosa, poste in cima alle colline intorno a Firenze, presero il nome due Ordini monastici, nati lì nell'XI secolo.

A La Verna, in cima agli Appennini toscani, San Francesco ricevette le Stimmate nel 1224.

Tutte e tre queste località sono oggi raggiungibili con relativa facilità in pullman o in auto, ma sono ancora circondate da foreste, e sono così alte sul livello del mare che in inverno devono essere molto fredde.

È qui che questi Santi sono andati per comunicare con Dio, lontano dalle comodità delle città, con la loro "pazza folla", già pazza abbastanza perfino nelle piccole città di quei giorni.

La località che forse mi ha colpito di più è stata Subiaco, ad un'ora di macchina ad Est di Roma, dove San Benedetto, ancora giovane, trascorse tre anni arroccato in una grotta su una montagna.

Nato nel 580 d. C., ancora giovane studente fuggì dalla corruzione di Roma, e si rifugiò nelle colline all'età di 20 anni, c'è chi dice di 14! - se è vero: che adolescente! A partire dal 1200 d. C. un monastero aggrappato a scalinata ha iniziato ad annidarsi sul fianco della montagna, intorno alla grotta resa sacra da questo giovane, ma si riesce ancora ad indovinare cos'egli allora vi trovò nella sua ricerca di Dio: nuvole e cielo sopra, il fruscio del torrente nella valle molto al di sotto, solo boschi selvaggi sulla montagna di fronte, e per compagnia solo uccelli volteggianti su e giù lungo la ripida parete circostante... il giovane solo con la natura... la natura di Dio... solo con Dio!

Tre anni, solo con Dio... tre anni che permisero a questo giovane cattolico di appropriarsi della sua anima, con Cristo, nella natura, e permisero, con la sua famosa Regola benedettina, di mutare il crollato impero romano nella sorgente Cristianità, oggi crollata a sua volta come "civiltà occidentale".

Dove sono i giovani cattolici oggi, che riappropriandosi della natura, con Cristo, si riappropriaranno delle loro anime e riusciranno così a salvare di nuovo la Cristianità?

Madre di Dio, ispira i nostri giovani!

Kyrie eleison.

Londra, Inghilterra

Mons. Richard Williamson





lunedì 18 ottobre 2010

Mons. Bernard Fellay : «Per la generazione di coloro che hanno vent’anni, io vedo che è in attesa, pronta per l’avventura della Tradizione, poiché sentono proprio che ciò che viene loro offerto al di fuori è solo senza valore. Ci troviamo ad un punto cardine per la ricostruzione futura»

Intervista con Mons. Bernard Fellay 
Nouvelles de Chrétienté, settembre-ottobre 2010.

La Fraternità Sacerdotale San Pio X celebra i suoi 40 anni. È la fine della traversata nel deserto, come per gli Ebrei al tempo di Mosè?

Mi sembra che ciò che viviamo somigli piuttosto ad una di quelle escursioni degli esploratori che intravedevano la terra promessa senza che le circostanze ne permettessero l’entrata. Tuttavia, al fine di evitare qualche falsa interpretazione dell’immagine utilizzata, tengo a precisare che noi affermiamo sempre con grande forza che siamo cattolici e che, a Dio piacendo, vogliamo restarlo. Nondimeno, è per l’intera Chiesa che questa crisi somiglia proprio ad una traversata nel deserto, con la differenza che è molto difficile trovare la manna. Vi sono dei segni incoraggianti, soprattutto da parte di Roma, ma sfortunatamente essi sono mescolati ad altri fatti molto spiacevoli. Alcuni fili d’erba nel deserto…

Malgrado tutto, come si sviluppa la Fraternità Sacerdotale San Pio X attraverso il mondo?

Effettivamente, la Fraternità si sviluppa un po’ dappertutto. Certe regioni conoscono uno slancio più marcato di altre, penso agli Stati Uniti, per esempio, ma il grande impedimento che riscontriamo è la mancanza di sacerdoti. Ci mancano fortemente dei sacerdoti per poter rispondere come si dovrebbe agli appelli di aiuto che ci giungono da tutte le parti. Ad ogni nomina facciamo una scelta che finisce col frustrare uno o più gruppi di fedeli. Per un verso si tratta di un buon segno, poiché questo dimostra un sicuro sviluppo della nostra opera, ma che è anche molto doloroso. Pensi ai paesi di missione, in particolare all’Africa o al Brasile. Se potessimo inviarvi una cinquantina di sacerdoti sarebbe una grande consolazione. Anche l’immensa Asia aspetta…

Mons. Lefebvre diceva che per le autorità romane le cifre di questa crescita erano più eloquenti degli argomenti teologici. È sempre vero?

Non so se bisogna parlare di «cifre» o di «fatti». In ogni caso le due cose sono sullo stesso piano. Secondo un buon vecchio adagio, contra factum, non fit argumentum, contro i fatti, non ci sono discussioni; questo conserva tutta la sua forza. E l’affermazione di Mons. Lefebvre è proprio vera. Notiamo che non è tanto il numero che impressiona Roma, perché noi costituiamo una quantità trascurabile nell’insieme del Corpo mistico, ma è ciò che rappresentiamo, e in maniera molto vivente, una tradizione vivente, è questo che si impone. Questi magnifici frutti che sono certamente opera dello Spirito Santo, come confessato da uno stesso alto prelato romano, ecco ciò che stimola le autorità romane a gettare uno sguardo dalla nostra parte. Tanto più che si tratta di frutti molto freschi che sorgono in mezzo al deserto.

In questo mese di settembre, dovranno essere inviati alla Santa Sede i rapporti sull’applicazione del Motu Proprio relativo alla Messa tradizionale. Sono rari i vescovi che hanno applicato generosamente le direttive romane. Come spiega questa reticenza, cioè questa resistenza?

Come la nuova Messa esprime un certo spirito nuovo che è quello del Vaticano II, così la Messa tradizionale esprime lo spirito cattolico. Coloro che tengono mordicus al Vaticano II perché vi vedono un nuovo corso della Chiesa, o coloro che ritengono che col Vaticano II sia stata chiusa definitivamente una pagina della storia della Chiesa, costoro non possono accettare semplicemente la coesistenza di una Messa che ricorda esattamente tutto ciò che pensano di aver abbandonato per sempre. Nelle due Messe si incarnano due spiriti. È un fatto! E i due non vanno d’accordo! Si constata, presso i cattolici moderni, un odio simile per il Rosario, per esempio. E tutto si tiene. In questa questione della Messa noi vediamo una chiarissima illustrazione della complessità della crisi che scuote la Chiesa.

Vuol dire che nella Chiesa odierna, dietro una facciata univoca, si nasconderebbero delle fratture, non solo tra gli episcopati e la Santa Sede, ma tra opposte tendenze diverse nella stessa Roma? Conosce dei fatti?

Oh! Sì, ci troviamo proprio nei tempi in cui si vedrà cardinale contro cardinale, vescovo contro vescovo. Questo tipo di disputa è generalmente molto discreta e sfugge all’attenzione dei fedeli. Ma ultimamente, in diverse occasioni, la cosa è divenuta aperta e pubblica, come nell’attacco gratuito del cardinale Schönborn contro il cardinale Sodano. Cosa che somiglia molto ad un regolamento di conti. Che delle opposte tendenze si scontrano nella stessa Roma, non è un segreto. Conosciamo diversi fatti, ma non credo che rientri nell’utilità dei fedeli che queste cose siano rivelate.

Una recente conferenza di Mons. Pozzo, Segretario della Commissione Ecclesia Dei, tenuta nel seminario della Fraternità San Pietro (1), si sforza di fornire una prova della continuità dottrinale tra il Vaticano II e la Tradizione. Egli cita a proposito la questione del subsistit in e quella dell’ecumenismo. Questi esempi Le sembrano convincenti?

Io non dico convincenti, ma sorprendenti. Questa conferenza è l’applicazione molto logica dei principi enunciati nel dicembre del 2005 da Benedetto XVI. Essa ci fornisce una presentazione dell’ecumenismo passabilmente differente da quella che abbiamo ascoltata per quarant’anni… una presentazione mescolata ai principi eterni sull’unicità della Chiesa e sulla sua perfezione unica, sull’esclusività della salvezza. In questo si vede bene un tentativo di salvare l’insegnamento di sempre e contemporaneamente un Concilio rivisitato alla luce tradizionale. Il miscuglio, quantunque interessante, lascia ancora aperte delle questioni di logica sul ruolo che giuocano le altre confessioni cristiane… chiamate, fino a Pio XII incluso, «false religioni». Si oserà usare finalmente questi termini di nuovo?
 
Mons. Pozzo, nella sua lunga conclusione, propone un Concilio Vaticano II rivisto – se non corretto – che denuncia il relativismo, un certo «pastoralismo», una forma di «dialoghite» acuta… Pensa che questa presentazione sia suscettibile di mettere tutti d’accordo a Roma e nelle diocesi? Come giudica questa versione rivista del Concilio?

È interessante, nel senso che ci si presenta un nuovo Vaticano II, un Concilio che in effetti non abbiamo mai conosciuto e che si distingue da quello che è stato presentato negli ultimi quarant’anni. Una sorta di nuova pelle! È interessante soprattutto per il fatto che vi si trova condannata con molta forza la tendenza ultra-moderna. Ci si presenta una sorta di Concilio moderato o temperato. Rimane la questione della ricezione di questa nuova formula, certo giudicata troppo tradizionale dai moderni e assai poco tradizionale da noi. Diciamo che una buona parte dei nostri attacchi si vede giustificata, una buona parte di ciò che noi condanniamo viene condannata. Ma se la cosa è condannata, resta la grande divergenza sulle cause. Poiché in definitiva se a proposito del Concilio è stato possibile un tale disorientamento degli spiriti, e a un tale livello, e di una tale ampiezza… ci sarà bene una causa proporzionata! Se a proposito dei testi del Concilio si constata una tale divergenza d’interpretazione, bisognerà bene un giorno convenire che le deficienze di questi testi vi svolgono una parte non da poco.

Certuni in ambito tradizionale pensano che la crisi della Chiesa dovrebbe risolversi istantaneamente, col passaggio subitaneo dalla crisi alla soluzione. Secondo Lei si tratta di un segno di fiducia soprannaturale o di impazienza troppo umana? In una soluzione graduale della crisi, quali sono le tappe positive già registrate? Quali sono quelle che Lei si augura di vedere in avvenire?

La soluzione istantanea della crisi, come l’immaginano certuni, non può avvenire che per un miracolo o una grande violenza. Se non accade così, rimane allora la soluzione graduale. Pur se in assoluto non si può escludere che Dio possa fare un tale miracolo, resta il fatto che in maniera abituale Dio governa in un altro modo la sua Chiesa, con una cooperazione più normale delle sue creature e dei suoi santi. In genere il riassorbimento di una crisi dura un tempo non inferiore a quello della sua messa in atto, e anche di più. Il cammino della ricostruzione è lungo, il lavoro immenso. Ma sarà determinante innanzi tutto la scelta degli uomini. Se la politica delle nomine dei vescovi alla fine cambierà, si potrà sperare. Nella stessa ottica, occorrerà una profonda riforma dell’insegnamento nelle università pontificie, della formazione dei sacerdoti nei seminari. Sono lavori a lungo respiro che per il momento sono ancora dei sogni, ma che nel giro di dieci anni potrebbero prendere forma seriamente. Tutto dipende innanzi tutto dal Papa. Per adesso la cosa positiva è soprattutto il riconoscimento che molte cose vanno male… Si accetta di dire che vi è una malattia, una grave crisi nella Chiesa. Si andrà molto più lontano? Lo vedremo.

Concretamente, cos’è che la Fraternità Sacerdotale San Pio X può apportare per la soluzione di questa crisi senza precedenti? Quale ruolo possono svolgere i fedeli legati alla Tradizione in quest’opera di restaurazione? Che si aspetta dalla nuova generazione che oggi ha 20 anni e ne avrà 60… tra 40 anni?

Il richiamo che la Chiesa ha un passato che ancora oggi resta del tutto valido. Questa visione, non polverosa, ma limpida sulla Tradizione della Chiesa è un apporto decisivo nella soluzione della crisi. A questo bisogna aggiungere il richiamo alla potenza della Messa tradizionale, alla missione e del ruolo del sacerdote, così come lo vuole Nostro Signore, a sua immagine e secondo il suo spirito. Quando chiediamo ai sacerdoti che si avvicinano alla Fraternità, che cos’è che si aspettano da noi, ci rispondono subito che si aspettano la dottrina. E questo anche prima della Messa. Questo è sorprendente, ma al tempo stesso è un gran buon segno. I fedeli hanno il ruolo importante della testimonianza, dimostrare che la vita cristiana come tale è sempre possibile nel mondo moderno. È la vita cristiana messa in pratica l’esempio concreto di cui ha bisogno l’uomo della strada. Per la generazione di coloro che hanno vent’anni, io vedo che è in attesa, pronta per l’avventura della Tradizione, poiché sentono proprio che ciò che viene loro offerto al di fuori è solo senza valore. Ci troviamo ad un punto cardine per la ricostruzione futura, e benché questo non appaia ancora nettamente, io credo che tutto è possibile.

 
(1) – Conferenza tenuta da Mons. Guido Pozzo, il 2 luglio 2010, al seminario di Wigratzbad, dal titolo "Aspetti dell’ecclesiologia cattolica nella ricezione del Vaticano II". Si veda il nostro commento in DICI n° 220 del 7 agosto 2010, «Vaticano II, un dibattito tra Romano Amerio, Mons. Gherardini e Mons. Pozzo».