sabato 19 giugno 2010

Supplica al Papa Benedetto XVI affinché proclami il santo Curato d'Ars Patrono di tutti i sacerdoti

Sottoscriviamo e pubblicizziamo volentieri l'iniziativa volta ad ottenere dal Santo Padre la grazia di veder proclamato
San Giovanni Maria Vianney, il Santo Curato d'Ars,
Patrono
non solo del clero francese e dei parroci, ma anche
di tutti i sacerdoti

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Supplica dei sacerdoti a S.S. Papa Benedetto XVI


Beatissimo Padre,

vogliamo ringraziarvi per l’anno sacerdotale appena trascorso, prova della vostra paterna sollecitudine per noi sacerdoti. In questa occasione, ci avete proposto come esempio dell’ideale sacerdotale San Giovanni Maria Vianney, modello del dono totale a Gesù Cristo, sacerdote e vittima.

Per poter meglio raccogliere i frutti di questo anno sacerdotale, in questi tempi in cui le vocazioni hanno bisogno di essere incoraggiate e i sacerdoti sostenuti nella loro fedeltà agli impegni sacerdotali, vi supplichiamo, Santo Padre, di proclamare San Giovanni Maria Vianney Patrono di tutti i sacerdoti della Chiesa cattolica, in occasione della celebrazione della sua festa.

Vi assicuriamo le nostre preghiere, secondo tutte le intenzioni della Chiesa e vi domandiamo filialmente di benedire il nostro ministero.

per sottoscrivere visitate il sito

Anche i fedeli laici possono partecipare alla lodevole iniziativa:

Petizione a sostegno della supplica dei sacerdoti


Fedeli della Chiesa cattolica, noi siamo i primi beneficiari del ministero dei sacerdoti che indirizzano a Papa Benedetto XVI questa supplica, per ottenere la proclamazione di San Giovanni Maria Vianney Patrono di tutti i sacerdoti della Chiesa cattolica. Desideriamo associarci alla loro petizione, persuasi che dal loro amore all’ideale sacerdotale dipenda la nostra santificazione.

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venerdì 18 giugno 2010

risorgerà la Messa «nostra», cattolica, di sempre e di tutti

NEL FUMO DI SATANA VERSO L'ULTIMO SCONTRO
di Tito Casini



Risorgerà, .... la Santa Messa Tridentina risorgerà, come rispondo ai tanti che vengono da me a sfogarsi (e lo fanno, a volte, piangendo), e a chi mi chiede com'è che io ne sono certo, rispondo (da «poeta», se volete) conducendolo sulla mia terrazza e indicandogli il sole... Sarà magari sera avanzata e là nella chiesa di San Domenico i frati, a Vespro, canteranno: Iam sol recedit igneus; ma tra qualche ora gli stessi domenicani miei amici canteranno, a Prima: Iam lucis orto sidere e così sarà tutti i giorni. Il sole, voglio dire, risorgerà, tornerà, dopo la notte, a brillare, a rallegrar dal cielo la terra, perché... perché è il sole e Dio ha disposto che così fosse a nostra vita e conforto. Così, aggiungevo, è e sarà della Messa - la Messa «nostra», cattolica, di sempre e di tutti: il nostro sole spirituale, così bello e santo e santificante - contro l'illusione dei pipistrelli, stanati dalla Riforma, che la loro ora, l'ora delle tenebre, non debba finire; e ricordo: su questa mia ampia terrazza eravamo in molti, l'altr'anno, a guardar l'eclisse totale del sole; ricordo, e quasi mi par di risentire, il senso di freddo, di tristezza e quasi di sgomento, a vedere, a sentir l'aria incaliginarsi e addiacciarsi via via, ricordo il silenzio che si fece sulla città, mentre le rondini, mentre gli uccelli scomparivano, impauriti, e ricomparivano svolazzando nel cielo i ripugnanti chirotteri. A uno che disse, quando il sole fu interamente coperto: - E se non si rivedesse più? - rammento che nessuno rispose, quasi non si addicesse, in questo, lo scherzo... Il sole si rivide, infatti, il sole risorse, dopo la breve diurna notte, bello come prima e, come ci parve, più di prima, mentre l'aria si ripopolava di uccelli e i pipistrelli tornavano a rintanarsi.

due colonne salveranno la Chiesa: l’Eucaristia e l’Immacolata!


IL RITO "STRAORDINARIO" E LA PURIFICAZIONE DELLA CHIESA
di Don Luigi Iandolo


Sono passati quasi tre anni dalla promulgazione del motu proprio "Summorum Pontificum", nel luglio del 2007, atto supremo con il quale Papa Benedetto XVI ha consentito la celebrazione della Santa Messa secondo l'edizione ufficiale del Messale Romano promulgato da Giovanni XXIII nel 1962 - mai abrogata - come forma ‘straordinaria’ della liturgia della Chiesa.

Si tratta della cosiddetta “messa tridentina”, meglio detta “messa damaseno-gregoriana", in quanto risalente appunto ai papi Damaso e Gregorio. Ciò significa che dove esiste o si costituisce un gruppo di fedeli che chiede di beneficiare della tradizione liturgica antica, il parroco deve consentire la celebrazione della Santa Messa anche secondo il rito del Messale Romano promulgato dal beato “Papa Buono”.

Ed è innegabile che a tre anni dalla promulgazione di quel discusso motu proprio la Chiesa soffra oggi una delle crisi più profonde e gravi della sua bimillenaria storia: nella sua fede, nella disciplina, nella pratica religiosa. Non tutto è da attribuirsi ai tempi mutati e al “mondo”: cercare giustificazioni esterne senza affacciarsi all’interno stesso della Chiesa sarebbe un po’ deresponsabilizzante. Del resto, lo ha sottolineato in maniera efficace il Papa nel suo recente viaggio a Fatima: i mali peggiori per la Chiesa vengono dal suo interno stesso, come se per implosione il Demonio volesse farla cadere. E da dove partire, nell'analisi di questa "implosione", se non proprio dalla liturgia, azione con cui la Chiesa rende presente Cristo stesso? Ben si capisce, allora, come la crisi della Chiesa sia intimamente connessa alla crisi della liturgia, come ebbe a dire l’allora cardinale Ratzinger: “Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia, che talvolta viene addirittura concepita ‘etsi Deus non daretur’, come se in essa non importasse più se Dio c’è e se ci parla e ci ascolta. Ma se nella liturgia non appare più la comunione della fede, l’unità universale della Chiesa e della sua storia, il mistero di Cristo vivente, dov’è che la Chiesa appare ancora nella sua sostanza spirituale?”.

Il motu proprio del Santo Padre offre quindi la possibilità di beneficiare dei tesori della liturgia antica e ricuperare così il senso del Sacro e del Mistero, che spesso si è perduto, ridando alla liturgia la dignità che le è propria. “Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum (liturgia antica e liturgia nuova, ossia “vetus ordo” e “novus ordo”). Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto”. Così leggiamo nella lettera che Benedetto XVI ha scritto a tutti i vescovi del mondo accompagnandola al documento del 2007. E’ chiaro, quindi l’auspicio del Papa affinché sia recuperato questo tesoro, innanzitutto per il bene della anime, che vi potranno attingere grazie su grazie. Non si tratta semplicisticamente della ‘messa in latino’ dove il celebrante ‘dà le spalle ai fedeli’: stiamo parlando invece di un rito antichissimo, in cui tutti sono rivolti al Signore e dove si gusta e si sperimenta una Presenza silenziosa che parla la lingua del mistero!

Si impara così che la Chiesa non è un ideale stare in cerchio a guardarsi l’uno in faccia all’altro, chiusi in se stessi, bensì è un popolo che, insieme, compatto, guarda al Sole che mai tramonta, all’Oriente da cui solo viene la salvezza. Il bello è che se non hai un messalino per seguirla, puoi uscire dalla messa antica senza aver capito nulla, ma hai scoperto... di aver capito tutto: parli con Qualcuno usando una lingua che non appartiene all’uso quotidiano - una lingua sacra, sperimenti una centralità che non è del prete né dell’assemblea che partecipa, ma di Colui che è Grande e a cui spetta l’Adorazione. Allora vedi che la liturgia non è questione di comprensione intellettuale e linguistica, bensì di adorazione. Se la liturgia non veicola l’incontro verso Dio e perde conseguentemente la sua sacralità, semplicemente fallisce, non serve, diventa un’evasione inutile, una cabala, mero teatro o, come disse ancora una volta il Cardinal Ratzinger, “una danza vuota intorno al vitello d’oro che siamo noi stessi. Celebrare se stessi senza neanche rendersi conto di Lui” (Via Crucis 2005).

La difficoltà di tornare ad apprezzare questo tesoro si capisce facilmente, ed è né più né meno la stessa difficoltà che l’uomo di oggi trova nell'aprirsi al mistero della Redenzione. L’uomo del nostro mondo ama il protagonismo, è assolutamente convinto della propria autosufficienza: egli può tutto, non ha bisogno di nessuno, non ha bisogno di nessuno per essere salvato. Egli si salva da sé, con le proprie forze. Così egli mal tollera un rito in cui gli si chiede di mettere da parte questa superbia e di farsi solo adoratore, in ginocchio, del mistero che gli è donato. Eppure, quello che è successo dopo il Motu Proprio di Benedetto XVI sembra andare in una direzione contraria: chi si avvicina, senza pregiudizi e con cuore aperto, alla Messa tradizionale, finisce per innamorarsene. E la spiegazione è semplice: il Dio che parla nel silenzio non intavola discussioni con la mente dell’uomo, sempre restia ad aprirsi al mistero, ma bussa al Suo cuore, risvegliando la nostalgia del sacro. È proprio per questa sua caratteristica, per questo suo andare direttamente al cuore, che la Messa tridentina attira, e attira molto...

Senza dare troppo peso ai numeri, è interessante leggere i risultati di recentissimi sondaggi in merito. In Germania, ad esempio, alla domanda se andreste alla Messa tridentina celebrata regolarmente in parrocchia, solo il 7% dei praticanti risponde di no: il restante 93% si divide fra chi vi vorrebbe andare ogni settimana (25%) e chi solo ogni tanto (40%). In Portogallo, invece, un cattolico su tre vorrebbe la messa antica tutte le settimane; percentuale che sale a oltre il 50 % se consideriamo quelli che praticano almeno una volta al mese. Ancora più confortante il dato relativo all’Italia, dove i fedeli che vorrebbero la Messa antica fissa in parrocchia sarebbero addirittura i due terzi.

I dati, quindi, sembrano davvero essere confortanti, e ciò non va assolutamente sottovalutato, soprattutto in un momento in cui la Chiesa ha bisogno di purificarsi e di tornare all’essenziale: preghiera e penitenza, come chiede il Papa, facendo proprio il messaggio della Vergine a La Salette, a Fatima e in molte altre apparizioni del XX secolo. La riscoperta della Messa tradizionale e il suo approfondimento possono aiutare davvero a ‘rimettere ordine’ nel nostro rapporto col sacro, aiutandoci a riconoscere il primato di Dio e dei suoi comandamenti, certi che il Cuore Immacolato di Maria trionferà – secondo il messaggio di Fatima – e che si avvererà il sogno di San Giovanni Bosco, quello in cui egli vide che due colonne salveranno la Chiesa: l’Eucaristia e l’Immacolata!

da fidesetforma.blogspot.com

giovedì 17 giugno 2010

il Concilio e la crisi della vita devota (3)

Il Concilio volle inglobare gli “exercitia pietatis” nella liturgia

L’art. 13 della SC si muove nella stessa direzione, cercando addirittura di inglobare i “pii esercizi” nella liturgia. È vero che esso raccomanda “vivamente” i “pii esercizi del popolo cristiano”, purché naturalmente “conformi alle leggi e alle norme della Chiesa”, ed in particolare quelli “che vengono compiuti per disposizione dei Vescovi”; tuttavia, esso ordina che tali esercizi “siano regolati tenendo conto dei tempi liturgici e in modo da armonizzarsi con la Liturgia; derivino in qualche modo (quodammodo) da essa e ad essa introducano (manuducant) il popolo, dal momento che la liturgia è per natura sua di gran lunga superiore ai pii esercizi”. Oltre che “armonizzarsi” con la liturgia (necessità della quale nessuno in passato aveva mai dubitato), le pratiche della devozione privata ed in sostanza il culto interno devono “in qualche modo” derivare dalla liturgia e, ciò che più conta, “introdurre ad essa” i fedeli, condurveli come per mano. E questo obiettivo è giustificato con la constatazione, tutto sommato abbastanza ovvia, che “la liturgia è per natura sua di gran lunga superiore ai pii esercizi”. Ma in tal modo, l’art. 13 toglie al culto interno la sua propria autonoma finalità, facendone (di nuovo) un semplice strumento liturgico, un ausiliare della liturgia, dal momento che esso deve servire soprattutto di “introduzione” ad essa.

Infatti, se tale culto, oltre a derivare dalla liturgia, deve condurre ad essa, allora non possiede più quel fine rappresentato dall’elevazione del nostro animo a Dio mediante la purificazione interiore ricercata ed attuata grazie alle varie forme degli exercitia pietatis, che richiedono, come ha bien spiegato la Mediator Dei, “l’esercizio” della nostra intelligenza, volontà e ragione. Questo attribuire un fine liturgico al culto interno, oltre a contraddire l’ insegnamento costante della Chiesa, dissolve – cosa gravissima – la fondamentale caratteristica della pietà privata cattolica, che non è mai stata quella di una contemplazione sentimentale o di un’esperienza di tipo mistico, che rappresenta sempre uno sviluppo eccezionale: è sempre stata quella, invece, di uno sforzo congiunto della nostra anima e del nostro intelletto, sforzo quindi all’insegna della volontà e della ragione, che ricercano coscientemente l’aiuto dello Spirito Santo al fine di lasciarsi umilmente guidare da esso. Lo scopo rappresentato dal nostro perfezionamento individuale, dalla nostra santificazione, ossia il fine specifico della vita devota, non è un fine che, come tale, si debba ricondurre alla liturgia, che pure fornisce, nei riti dei Sacramenti, della Messa, nel rito in generale, strumenti fondamentali per il suo raggiungimento. Alla luce della retta dottrina della Chiesa, incomprensibile mi sembra perciò il dettato finale dell’art. 13 della SC. Esso non sembra rispettare affatto il principio ribadito da Pio XII, sempre nella Mediator Dei, secondo il quale, “farebbe cosa perniciosa e del tutto erronea chi osasse temerariamente assumersi la riforma di tutti questi esercizi di pietà per costringerli nei soli schemi liturgici”; è sufficiente che “lo spirito della Liturgia ed i suoi precetti influiscano beneficamente su di essi, per evitare che vi si introduca alcunché di inetto o di indegno”. Ma l’art. 13 della Sacrosanctum Conciluium non si limita di certo a questo; vuole apertis verbis che lo scopo stesso degli esercizi, e quindi del culto interno, sia quello di condurre i fedeli
alla liturgia!

Il carattere “pernicioso” della riduzione degli esercizi di pietà del culto interno “nei soli schemi liturgici”, profeticamente denunciato da Pio XII, è confermato dal fatto che il vero spirito degli esercizi di pietà sembra essersi oggi dissolto, sostituito da quello di un’esperienza interiore tendente al liturgico e quindi di tipo misticheggiante, di quel misticismo spurio che abbonda nella liturgia del Novus Ordo, la quale, come si è ricordato, ha messo protestanicamente al centro dell’ azione liturgica la comunità, il “popolo di Dio” riunito “in assemblea” per “sentire” la presenza di Nostro Signore già nella Sua Parola e farsi possedere da essa, credendo di attuare già in tal modo la propria salvezza.

Il Concilio volle far scaturire lo spirito di preghiera dalla prassi di vita

A che serve, mi chiedo, che la Sacrosanctum Concilium raccomandi vivamente i tradizionali esercizi della pietas cristiana per i seminaristi, i sacerdoti, i laici, se poi ne stravolge il fine, nel modo che si è visto, alterandone perciò lo spirito? O se cerca nello stesso tempo di diminuirne comunque l’importanza rispetto alla prassi rappresentata dalla vita conforme al Vangelo? Si veda ad esempio quanto scrive l’art. 8 del decreto Optatam totius sulla formazione sacerdotale: “Siano vivamente inculcati gli esercizi di pietà raccomandati dalla veneranda tradizione della Chiesa; bisogna curare però che la formazione spirituale [dei seminaristi] non consista solo in questi esercizi, né si diriga al solo sentimento religioso. Gli alunni imparino piuttosto (discant potius) a vivere secondo il Vangelo, a radicarsi nella fede, nella speranza e nella carità, in modo che attraverso l’ esercizio di queste virtù possano acquistare lo spirito di preghiera [Giovanni XXIII, Enc. Sacerdotii Nostri Primordia AAS, 51, 1959, p. 559 ss.], ottengano forza e difesa per la loro vocazione, rinvigoriscano le altre virtù e crescano nello zelo di guadagnare tutti gli uomini a Cristo”.

La “formazione spirituale” dei seminaristi non deve esser affidata ai soli “esercizi”? Ciò avveniva forse in passato? Non credo lo si possa affermare, anche se gli “esercizi” occupavano certamente un posto importante nel loro culto privato (così come lo occupavano in quello di molti devoti fedeli). Comunque sia, appare singolare voler sottrarre proprio alle pratiche della devozione privata il merito di contribuire in maniera essenziale all’acquisto dello spirito di preghiera e alla fortificazione delle virtù cristiane; merito che si vuol attribuire, invece, all’esercizio delle tre virtù teologali nella vita di tutti i giorni. Lo spirito di preghiera dovrebbe pertanto formarsi soprattutto nella prassi, nell’azione, rappresentata ovviamente dalla vita condotta “secondo il Vangelo”. Impostazione ancora una volta diversa da quella della Mediator Dei, che, come abbiamo visto, rivendicava all’interiorità del credente il suo diritto alla meditazione sulle verità eterne e alla comprensione razionale della fede, con l’ausilio dell’introspezione di sé, dei ritiri spirituali, del Rosario, dell’ adorazione del Santissimo; tutte cose che non ci sono offerte come tali dalla vita nostra di tutti i giorni ma presuppongono invece una nostra separazione da essa, sia sul piano spirituale che su quello materiale (nel caso dei ritiri o esercizi spirituali).

Mi sbaglierò, ma quanto affermato qui dal Concilio mi ricorda un concetto fondamentale de L’Action di Blondel: “ l’atto è in un certo senso il pedaggio ed il passaggio della fede: presuppone l’ abdicazione totale del significato intrinseco [che, a quanto pare, apparirebbe solo nell’ azione]; esso esprime l’umile raggiungimento di una verità che non proviene dal solo pensiero; immette in noi uno spirito diverso dal nostro. Fac et videbis”. Fac et orabis, dunque. L’azione prima del Verbo, contro tutto il plurisecolare modo di sentire e di essere della Chiesa. L’azione ossia il dialogo, che è l’ unica forma d’azione che la Gerarchia formatasi nello spirito del Vaticano II riesce a concepire : dialogo e non più missione. L’azione che si costituisce nel riconoscimento dell’altro, affinché la fede risulti arricchita dei valori di quest’ultimo; azione, dunque, non per convertirlo alla vera fede ma per lasciarsi educare dai suoi valori, ad essa fede o indifferenti od ostili! L’azione, il cui scopo è manifestamente rovesciato rispetto a quello attribuito da Nostro Signore alla Santa Chiesa, da Lui stesso fondata!

In ogni caso, anche se non si vogliono qui ammettere retroterra blondeliani, rimane netta l’ impressione che questo testo conciliare – dopo averli vivamente raccomandati – tenti di sminuire l’ importanza degli exercitia pietatis nella formazione dei seminaristi, ritenendoli come tali insufficienti a far acquistare loro lo “spirito di preghiera” e a rafforzarne la vocazione e le virtù. Sembra quasi che il testo voglia vedere una sorta di contrapposizione tra gli “esercizi di pietà” ed il “vivere secondo il Vangelo”, come se le pratiche del culto interno non fossero già un “vivere secondo il Vangelo”, non mostrassero già in atto l’esercizio delle virtù teologali. La contrapposizione risulta, a mio avviso, dal lessico, con l’impiego dell’avverbio potius:discant potius, “imparino piuttosto...”. Che cosa? Evidentemente, qualcosa di meglio degli “esercizi”; imparino piuttosto a vivere effettivamente secondo il Vangelo etc. Come se gli exercitia pietatis rendessero di per sé difficile ai seminaristi vivere secondo il Vangelo!

E l’articolo si appoggia in nota all’Enciclica che Giovanni XXIII dettò per commemorare il centenario della morte di S. Giovanni Maria Battista Vianney, il santo curato d’Ars. Ma se uno va a controllare le pagine richiamate nel testo del Concilio (si tratta del par. II dell’enciclica, op. cit., pp. 558 -566) a mio avviso non trova alcun riscontro a dualismi di sorta tra exercitia pietatis e spirito di preghiera.
Infatti, quel Papa vi esortava i sacerdoti a sviluppare e mantenere lo “spirito di preghiera” nonostante le cure pastorali sempre più assorbenti imposte dal mondo moderno ed indicava loro ad esempio il santo curato d’Ars, il quale eccelleva in esso, nonostante le cure pastorali estremamente assidue (confessava in continuazione, sino a quindici ore al giorno, come poi S. Leopoldo da Padova e San Padre Pio). Egli traeva grande forza spirituale dalla frequente adorazione del Santissimo nel Sacro Tabernacolo e dalla pratica delle mortificazioni. Certo, si può dire che lo “spirito di preghiera” del curato d’Ars traesse alimento in misura prevalente dalla prassi della sua vita sacerdotale, dal momento che egli trascorreva gran parte della sua giornata in confessionale. Ma dopo aver posto loro come esempio ai sacerdoti la vita devota particolare ed eccezionale del curato d’Ars, quel Papa rammentava loro come esistessero da sempre “varia sacerdotalis pietatis exercitia”, i quali “massimamente producono e conservano quella assidua unione con Dio”, che viene spiritualmente in essere grazie alla preghiera. Massimo elogio degli esercizi di pietà, dunque, da parte del Papa, e nessunissimo accenno ad una loro possibile inadeguatezza a far acquistare e mantenere lo “spirito di preghiera”, né ad un loro possibile antagonismo con la vita cristiana. E l’enciclica ricordava i più importanti, che la Chiesa, con le sue “sapientissime leggi”, aveva reso obbligatori per i sacerdoti: “la sacra meditazione giornaliera, le visite al Tabernacolo, la recitazione del Rosario Mariano, il diligente esame di coscienza”. L’eventuale negligenza nell’osservanza di queste pratiche, essa concludeva, era in ogni caso da attribuirsi esclusivamente a quei sacerdoti che si fossero lasciati travolgere dal “vortice” delle cure esteriori, e alla fine sedurre dalle lusinghe del mondo (terrenae huius vitae illecebris allecti).

martedì 15 giugno 2010

i giovani e la vocazione


Oggi molti giovani si interrogano ancora sulla propria vocazione, soprattutto in questo periodo di fine scuola. Li vogliamo aiutare con queste riflessioni che traiamo dal blog cordialiter.blogspot.com che ringraziamo per il bel lavoro:

Per venire incontro a coloro che sono in ricerca vocazionale, ho pensato di elaborare questo modesto scritto. Di farina del mio sacco c'è ben poco. In pratica mi sono limitato a compendiare gli ottimi consigli che Sant'Alfonso de' Liguori ed altri dotti maestri hanno scritto in proposito. Per esporre questa materia in maniera più coinvolgente, ho composto un dialogo tra Padre Bartolomeo e lo studente universitario Daniele De Angelis. Entrambi i personaggi sono inventati...

- Salve Padre Bartolomeo!
- Salve figliolo.

- Sono venuto per chiedere alcuni consigli sulla vocazione.
- Va bene, cercherò di aiutarti.

- Sono indeciso su quale stato di vita devo scegliere. Quanto è importante fare la scelta giusta?
- La scelta dello stato di vita è di fondamentale importanza. Come un orologio nel quale si è guastata la ruota maestra non può più funzionare correttamente, così una persona che ha sbagliato la scelta del proprio stato va allo sbando.

- Perchè va allo sbando?
- Devi sapere che per prendere qualsiasi stato di vita è necessaria la divina vocazione, soprattutto per assumere lo stato religioso. Ma se noi ci ribelliamo alla chiamata di Dio e facciamo di testa nostra, ci verranno a mancare quegli aiuti spirituali che avremmo avuto nello stato in cui Dio ci aveva chiamati.

- Anche coloro che si sposano possono diventare santi?
- Certo, tutti sono chiamati alla santità. Però sappi che è più facile farsi santi vivendo nella verginità che nella vita matrimoniale.

- Cioè bisogna disprezzare il matrimonio?
- No! Il matrimonio è una cosa buona, ma la verginità è molto più pregevole. San Paolo Apostolo, Sant'Alfonso, San Giovanni Crisostomo e tanti altri consigliavano il matrimonio solo a coloro che soffrono di abituale incontinenza.

- Come si fa a capire qual'è la propria vocazione?
- Bisogna pregare molto e frequentare i sacramenti. E' molto importante avere anche il parere di un buon direttore spirituale. Diceva San Francesco di Sales che sono in pochi ad avere le qualità necessarie a svolgere un compito così delicato. Se il direttore spirituale non è caritatevole, dotto e prudente, è pericoloso affidargli la direzione della propria anima.

- Quanti sono coloro che hanno la vocazione alla vita religiosa o alla vita sacerdotale?
- Secondo Don Bosco, un terzo dei giovani ha nel cuore il germe della vocazione.

- E come mai i consacrati sono così pochi?
- Molti giovani sono talmente presi dai divertimenti sfrenati, dal frastuono delle discoteche, dai piaceri immondi, che non sentono la chiamata di Dio nel loro cuore... che tristezza!

- Chissà forse Gesù chiama anche me a seguirlo...
- Daniele, se il Signore ti chiama in uno stato di vita più perfetto non rimandare. Satana farà di tutto pur di farti cambiare idea, ma tu prega con fervore e vedrai che Iddio ti aiuterà.

- Mio padre è un anticlericale sfegatato. Quando vede in TV un ecclesiastico, comincia a gridare: "Abbasso i preti! Morte alle vesti nere!". Non penso gli farà piacere sapere che suo figlio vorrebbe entrare in un ordine religioso...
- L'elezione dello stato di vita è una scelta personale per la quale ordinariamente parlando non si è tenuti ad obbedire al volere dei genitori. Ad esempio Santa Chiara d'Assisi e molti altri santi sono letteralmente fuggiti di casa pur di adempiere alla propria vocazione nonostante l'opposizione dei parenti. Diceva Sant'Alfonso che spesso i genitori, anche se cristiani praticanti, sono i peggiori nemici della vocazione dei loro figli. Pertanto dovrebbero essere gli ultimi ai quali confidare la propria vocazione alla vita religiosa.

- E se poi mi accorgo che la mia non è una vera vocazione?
- Prima di pronunciare i voti perpetui passano molti anni, in questo lungo periodo di prova se uno si accorge di essersi sbagliato può tornarsene a casa.

- Ma come fa un novizio a sapere se la sua vocazione è vera?
- Bisogna che si realizzino tre condizioni. La prima è il buon fine, come il fuggire le tante tentazioni che infestano il mondo, l'avere più mezzi per salvare l'anima, il vivere più unito a Gesù Cristo, ecc. La seconda è l'assenza impedimenti. Per esempio la salute malconcia, problemi mentali, la mancanza di talento, i genitori in stato di bisogno, ecc. Su tali questioni bisogna rimettersi al giudizio dei superiori, dopo aver riferito loro in modo chiaro e sincero la situazione. La terza infine è che i superiori accolgano la richiesta di entrare nell'ordine religioso. Se si verificano queste tre condizioni, il novizio può star sicuro della sua vocazione.

- Se un giovane è veramente chiamato da Dio alla vita religiosa, ma preferisce restarsene nel mondo può ancora salvarsi l'anima?
- Diceva Sant'Alfonso che "Chi sceglie lo stato a cui Iddio lo chiama, facilmente si salverà; e chi non ubbidisce alla divina vocazione, difficilmente, anzi sarà moralmente impossibile che si salvi. La massima parte di coloro che si son dannati, si son dannati per non aver corrisposto alle chiamate di Dio." Oh Daniele, se i giovani comprendessero la bellezza della vita religiosa pregherebbero incessantemente il Signore di essere "chiamati".

- Però chi si fa monaco perde i divertimenti del mondo.
- Oh quanti in punto di morte si son pentiti di aver vissuti nel mondo! Filippo II re di Spagna poco prima di morire disse: "Oh fossi stato frate e non monarca". Anche il figlio, quando giunse in fin di vita disse: "Sudditi miei, nel sermone dei miei funerali, non predicate altro se non questo spettacolo che vedete. Dite che non serve in morte l'esser re, se non per sentire maggior tormento d'esserlo stato". E poi esclamò: "Oh non fossi stato re, e fossi vissuto in un deserto a servire Dio, perché ora andrei con maggior confidenza a presentarmi al suo tribunale, e non mi troverei in gran pericolo di dannarmi!" Daniele ricorda che tutti i piaceri, i divertimenti e le ricchezze della terra non possono dare la vera pace, anzi chi più è ricco di tali beni in questa vita, vive più tribolato ed afflitto. Solo Dio può darti la vera pace.

- Mia cugina è una ragazza molto pia e devota. Vorrebbe diventare suora di clausura, ma c'è un tale che vorrebbe fidanzarsi con lei. Adesso è molto confusa. Cosa si potrebbe consigliarle?
-Le direi: "...sia un uomo umile creatura, sia Gesù Cristo il creatore dell'Universo ti vogliono per sposa. Rifletti attentamente su chi dei due può riempire di gioia il tuo cuore e poi sposalo. Ricordati però che nel mondo non è raro trovare delle donne pentitesi di essersi sposate a causa dei maltrattamenti che ricevono dai loro mariti simili a dei tiranni, ai dispiaceri che danno i figli, alle gelosie del consorte, ai litigi con suocere e cognate, ai dolori del parto, agli strapazzi per la cura della casa, ecc. Anche nella vita matrimoniale potresti vivere santamente, ma è molto difficile. Al contrario in un monastero di stretta osservanza sarà molto semplice per te divenire santa. Libera dalle preoccupazioni del mondo potrai dedicare tutta la vita nell'amare Dio. Se proprio non te la senti di entrare in un monastero, cerca di farti santa a casa tua vivendo da nubile, tranne nel caso in cui tu fossi abitualmente incontinente, nel qual caso è meglio prendere marito".

- Che differenza c'è tra i sacerdoti secolari e i sacerdoti regolari?
- I primi vivono nel mondo, possono avere una casa propria poichè non hanno il voto di povertà. Spesso vivono coi genitori o con altri familiari. Sono secolari la maggior parte dei parroci. I secondi invece sono dei religiosi che hanno ricevuto l'odinazione sacerdotale. Vivono secondo una regola approvata dall'autorità ecclesiastica. In genere abitano nei conventi o nei monasteri.

- Qual'è preferibile essere?
- Certamente dei religiosi.

- Perché?
- Se sfogli un calendario ti accorgerai che la stragrande maggiorranza dei santi canonizzati sono dei religiosi. I sacerdoti secolari invece sono una piccola minoranza e il motivo è semplice. Costoro vivendo nel mondo sono soggetti a tutte le tentazioni e alle distrazioni che distrurbano la gente comune. E' molto difficile vivere nel mondo e pensare esclusivamente alle cose spirituali.

- Quindi è meglio entrare in un ordine religioso?
- Sì, conviene entrare in un ordine religioso di stretta osservanza. Lontano dai rumori del mondo è più facile disporsi alla preghiera e al raccoglimento. Comprendi?

- Sì. Vorrei sapere però che succede se uno entra in un ordine che non è di stretta osservanza?
- Oh no! E' meglio restare a casa propria anzichè entrare in un ordine religioso rilassato, cioè dove non si vive in maniera autentica la vita religiosa. Infatti anche se uno entrasse in uno di questi ordini con l'intenzione di farsi santo, nel giro di breve tempo riceverà talmente tante persecuzioni, derisioni e cattivi esempi da parte dei confratelli che alla fine diventerà anche lui come loro. Oh quante belle vocazioni si sono sciupate nei monasteri e nei seminari rilassati!

- E' vero Padre Bartolomeo! Anche io ho notato che molti religiosi vivono in maniera rilassata. Non sembra proprio che sono dei religiosi.
- Oh quante lacrime versano coloro che amano davvero la Chiesa nell'osservare soprattutto negli ultimi decenni un generale rilassamento di spirito. Ci sono anche coloro che vivono da veri religiosi, che si impegnano per salvare le anime e procurare maggior gloria a Dio, ma costoro quanti sono? Non molti! C'è bisogno di un rinnovamento generale.

- E cosa dire di quei consacrati che hanno seppellito l'abito religioso per vestirsi con abiti civili?
- Padre Pio voleva che fossero cacciati tutti fuori dall'ordine!

- Sono soddisfatto delle risposte che ho ricevuto. Ho chiarito alcuni dubbi. Grazie per la disponibilità e la pazienza!
- Consigliare i dubbiosi è un dovere. Mi raccomando prega San Giuseppe e la Beata Vergine Maria affinchè ti aiutino a capire a quale stato di vita Iddio ti chiama a servirlo.

- Va bene e ...grazie ancora!

[A chi volesse approfondire l'argomento, consiglio di leggere il libro “Vieni e seguimi” scritto da Padre Stefano Manelli. Il libro non si trova nelle librerie, ma viene inviato gratuitamente (offerta libera) richiedendolo alle Suore Francescane dell'Immacolata : cm.editrice@immacolata.ws oppure scrivendo una lettera al seguente indirizzo: Suore Francescane dell'Immacolata - Via dell'Immacolata - 83040 Frigento (Av)].

«Custos quid de nocte?»

Ringraziamo l'Osservatorio sul cammino per questa riflessione che vogliamo condividere con i nostri lettori:

Spostare lo sguardo dalla morale alla Verità

Francamente il battage mediatico cui abbiamo assistito e stiamo ancora assistendo è veramente abnorme e cavalca l’accaduto come un maglio distruttore nei confronti della Chiesa, focalizzando ed assolutizzando un problema serio e degno di attenzione e di soluzioni trasparenti - nel senso del resto in cui sta ora operando Benedetto XVI - ma non tale da fare di ogni erba un fascio.

Non dimentichiamo che il fenomeno, purtroppo, è trasversale a tutti gli ambiti della società e riguarda la Chiesa solo per una percentuale minima. Peraltro esso non risulta assolutamente legato al celibato, come si tenderebbe a far credere nei confronti degli ecclesiastici; il che non ne riduce la gravità, proprio trattandosi di persone che hanno dedicato la vita al Signore e al bene delle anime... Tuttavia, da qui a prenderlo a pretesto per una campagna massiccia di odio e di riprovazione condotta con artata aggressività, in un tempo di scarsa sensibilità al sacro e a tutte le sue manifestazioni come quello che stiamo attraversando, rischia di essere un 'vulnus' di non poco conto per la Chiesa e la Cristianità, se non sorgono voci ferme e autorevoli capaci di contrastare le accuse e di inquadrare la realtà nelle sue giuste dimensioni. A questo proposito, mi sembra che né la Curia né i media cattolici abbiano brillato per prontezza né per precisione confutativa di interventi...

Quello della pedofilia nella Chiesa sembra esser divenuto un fenomeno di “panico morale”. L'entità dello stesso in termini numerici non è proporzionale al modo con cui i media lo descrivono con titoli urlati e spesso ambigui, che risultano sferzate sull'emotività di chi legge, alimentate dalle imprecisioni e dalle omissioni atte ad enfatizzarlo, con toni forzati mirati a gettare il fango sul Papa e indurre massima confusione in credenti e non credenti. Per contro, non si riscontra, da parte delle fonti ecclesiali una efficace azione che, senza sminuire il crimine, che rimane riprovevole e ripugnante, richiami all’oggettività e all’equilibrio.


Soprattutto la generalizzata ed eccessiva autoaccusa, indotta dalle sferzanti denuncie di connivenza ed omertà, non presenta alcun accenno al fatto che la relazione preti-vescovo è ''una relazione sacramentale che crea dei legami molto speciali di paternità spirituale". Sempre nell'ottica di trasparenza e di penitenza perseguita da Benedetto XVI, è giusto inquadrare l'intervento del vescovo in due direzioni:
- paterna e sollecita attenzione al colpevole accertato prendendo tutte le iniziative atte al suo ravvedimento ma contemporaneamente mettendolo in condizioni di non nuocere ulteriormente, a massima salvaguardia delle potenziali ulteriori vittime,
- massima collaborazione con la giustizia civile.

Non dimentichiamo che la Chiesa, nel Mistero che essa incarna, non è tutta in quella visibile che, oltretutto, non può essere rappresentata soltanto da chi sbaglia. Inoltre gli errori non vanno visti ed enfatizzati, come sta avvenendo, unicamente nella sfera della sessualità. Purtroppo, se pensiamo:

- al generalizzato idolo del carrierismo;
- alla schiavitù dalle ideologie dominanti;
- al ‘sociale’ messo al primo posto invece del vero culto a Dio che è la primaria funzione della Chiesa e dal quale la storia personale e collettiva si innerva di Vita che anima sane e costruttive relazioni;
- alla banalizzazione del sacro;
- all’asservimento ad una teologia che non ha al centro Cristo, ma l’uomo e inficia di “opinioni” la verità cattolica;

il peccato più grande ci appare l’egoismo e l’autosufficienza: il resto non è che conseguenza dell’estromissione del Signore e della sua Opera di Salvezza.

Inoltre questa esasperata attenzione alla morale - che vediamo presente in molti aspetti del vivere: si pensi ad esempio a tutte le varie facce della bioetica che oggi fanno tanto discutere scelte inedite fino ad oggi - rischia di distogliere l'attenzione dalle verità di Fede, soprattutto da parte dei Pastori, che sono coloro che dovrebbero custodire e diffondere la Verità; tant'è che li vediamo occuparsi prevalentemente di morale (o anche di politica) invece di diffondere e difendere i principi che ne sono Fondamento... Infatti il cristianesimo non E' un'etica, ma HA un'etica, che sgorga dal rapporto vivo e autentico con la Persona di Cristo Signore, vissuto nella perseveranza e quindi nella fedeltà, nutrito dalla vita sacramentale nella Sua Chiesa... Con questo non intendo sostenere che gli esponenti della Chiesa non debbano 'occuparsi' o parlare di morale o di politica; ma che debbano farlo a partire dalle ragioni che sottostanno alle affermazioni di cui sono prodighi nei confronti dei media: il loro diventerebbe quindi un vero Annuncio che feconda le scelte di vita e di comportamenti e non uno sterile moralismo di fatto ostico ai più.

Ebbene, oggi, è proprio la Verità che è oscurata. Non è la Verità 'posseduta' che si pretende imporre agli altri; ma la Verità conosciuta e accolta dalla Rivelazione Apostolica e 'mostrata' per quello che di essa ci è dato sempre ulteriormente 'conoscere' (in senso biblico) e vivere. Mi accorgo, con sconcerto e disorientamento, da molti segnali, che la Verità, nella Persona Adorabile del Signore, è sfigurata e tradita: basta ricordare recenti esternazioni di vescovi francesi, austriaci e tedeschi sulle quali si potrebbe molto discutere... e certe presenze di dubbia ecclesialità che agiscono a nome della Chiesa portando la "nuova evangelizzazione" - talmente "nuova" da risultare "altra" - in tutti i continenti.

Di fatto, tranne che in alcune omelie di Benedetto XVI, delle verità fondamentali della fede e del ritorno ad un senso del Sacro, che permetta di uscire dalla banalizzazione antropocentrica nella quale siamo invischiati, non si parla affatto e non ci sono molte voci capaci di accendere i cuori ad una Vis trasformante, ad una Speranza Trascendente che 'entri' nel quotidiano di ogni storia personale e comunitaria e fecondi e dia senso a tutte le sue espressioni. «Custos quid de nocte?» («Sentinella, che notizie porti della notte?») (Isaia 21, 11).