sabato 26 giugno 2010

nolite tangere christos meos (trivellazioni e trivellazioni)

Card. Jozef-Ernest Van Roey



E' stato "un sequestro, un fatto inaudito e grave, non ci sono precedenti nemmeno nei regimi comunisti". Così il segretario di Stato del Vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, ha commentato, a margine di un convegno alla Lumsa, il blitz e le perquisizioni nell'ambito dell'inchiesta sulla pedofilia in Belgio. Il blitz nella cattedrale belga con tanto di trivellazioni ai danni delle tombe dei cardinali Jozef-Ernest Van Roey e Leon-Joseph Suenens, defunti Arcivescovi di Malines-Bruxelles ha dell'incredibile. Secondo quanto riferiscono i giornali belgi, i poliziotti, dopo aver interrogato alcuni alti prelati, sono scesi nella cripta alla ricerca di documenti che sarebbero stati nascosti nella tomba di un arcivescovo. Gli agenti avrebbero utilizzato anche martelli pneumatici senza però trovare alcunché. Queste trivellazioni tombali ci hanno ricordato le trivellazioni petrolifere del golfo del Messico con conseguente disastro ambientale di proporzioni gingantesche ed apparentemente innarrestabile. Quel disastro ha colpito e colpisce due grandi nazioni anglosassoni gli Stati Uniti e la Gran Bretagna che in questi ultimi mesi si sono particolarmente distinte nell'attacco alla Chiesa e al Papa. "Post hoc propter hoc", chissà: ricordiamo la saggezza del detto popolare "non si muove foglia che Dio non voglia".
Se un domani il Belgio imploderà e finirà ingloriosamente non si cerchino  le cause tanto nell'avanzata dei partiti separatisti fiamminghi quanto in questi colpi di martello pneunmatico: "Nolite tangere christos meos", dice il Signore e Napoleone, dopo averlo provato sulla sua pelle, da Sant'Elena ammoniva "qui mange du Pape en meurt".
La Segreteria di Stato vaticana finalmente con un comunicato diffuso nella tarda mattinata di oggi, ha espresso il proprio ''sdegno'' per le modalita' con le quali sono state effettuate le perquisizioni in particolare per la violazione delle tombe degli Arcivescovi Primati del Belgio.
Qui di seguito l'articolo di Avvenire.

card. Leon-Joseph Suenens

 
Oltraggio che nulla ripara e molto svela
di Marina Corradi

Un blitz nella cripta di una cattedrale, come fosse il cuore di una organizzazione criminale. Forzare le tombe di due vescovi, violarne i sepolcri cercando segreti dossier – che però non ci sono. Ha il sapore di un film di Dan Brown quello che è successo a Mechelen, in Belgio. Nell’ambito di una inchiesta su casi di pedofilia nella Chiesa belga un giudice ha ordinato interrogatori di vescovi, e sequestri di dossier, e anche la perquisizione nella cattedrale, capolavoro duecentesco che da secoli è il simbolo della città vicina a Bruxelles.

Non è in discussione la liceità delle indagini, né l’esigenza di arrivare alla verità, se abusi ci sono stati: da mesi il Papa insiste sulla necessità di riparare al male fatto. Fatto anche in Belgio. Da singoli uomini. Ma in questo blitz in cattedrale, nella violazione delle tombe di due arcivescovi della diocesi di Bruxelles, si legge qualcosa che va oltre la legittima esigenza di giustizia. Era davvero necessario arrivare, come ha scritto la stampa belga, con i martelli pneumatici in una cripta mortuaria? E non assume invece, un simile assalto, un valore simbolico, il segno di una voglia di attaccare la Chiesa nella sua totalità?

"Operazione Chiesa", è il nome della inchiesta della magistratura belga, ed è un nome significativo. Un nome che indica il bersaglio. Non i singoli colpevoli, ma "la" Chiesa.

E non tanto per le colpe terribili e odiose di alcuni suoi ministri, quanto per ciò che la Chiesa stessa rappresenta, per ciò che "è". C’è l’eco, in quel blitz sulle tombe, di un redde rationem, di un rendimento di conti con la pretesa originaria della Chiesa: cioè di portare Cristo, e la sua verità. Che fastidiosamente, e più che mai in un Paese secolarizzato come il Belgio, cozza contro la cultura dominante e il suo idolo – l’Io vezzeggiato, libero da ogni legge che non sia la sua.

Non si spiega altrimenti la brutalità e la voluta vistosità di questa incursione. Come se si volesse colpire proprio al cuore. Di chiese aggredite nella storia ce ne sono state tante, e con ben altra distruttività. In rivoluzioni e tragedie imparagonabili a questo piccolo blitz di un giudice, incursione legale, protetta dai timbri di un ordine di perquisizione. E tuttavia, violare tombe di cardinali in una cattedrale, pur con i crismi della legge, è un gesto che sa di violenza.

Cogliendo la circostanza tragica degli abusi pedofili, colpire non i colpevoli, ma mirare al cuore. Al cuore, nelle viscere di una quelle splendenti cattedrali che costellano le nostre città d’Europa. A osservarle dall’alto, appaiono come il centro di una ragnatela di case, di storie, di uomini. Come radici, quei colossi di marmi, della città attorno; e madri, cui comunque anche da lontano, o col ricordo, si ritorna. Segni di pietra delle origini del nostro vivere in comunità.

Per questo il blitz di un giudice sconosciuto in una piccola città lontana addolora. Quella chiesa è un cuore. Alla gente è stato detto, in un metalinguaggio trasparente, che il cuore comune è depositario forse di vergognosi segreti. Lo si è forzato, violato, per cercarli. E anche se niente è stato trovato il senso di una profanazione rimane, insieme agli indimostrati ma angosciosi dubbi seminati; come se proprio la radice di quella città, di quel popolo si volesse incrinare.

da Avvenire del 26 giugno 2010

Aggiungiamo il commento senza peli sulla lingua del barnabita Padre Giovanni Scalese che condividiamo in pieno
Come muore una Chiesa

Si potrebbe fare della facile ironia su quanto avvenuto nei giorni scorsi a Bruxelles. Basterebbe citare qualche proverbio. Allo Stato belga si potrebbe rinfacciare: «Il bue dice cornuto all’asino». Ai Vescovi belgi si potrebbe rammentare che «chi pecora si fa, il lupo se la mangia». E alla Segreteria di Stato si potrebbe rimproverare di aver chiuso la stalla quando i buoi erano già scappati. Ma il fatto è di una gravità tale da non permettere sorrisi spensierati. Esso dovrebbe piuttosto stimolare alcune riflessioni.

1. Ecco come si riduce una Chiesa, che aveva fatto dell’apertura e dell’aggiornamento la sua bandiera. Sembravano i primi della classe. Roma appariva sempre retrograda, legata al passato, incapace di cogliere il nuovo e di camminare al passo coi tempi. Loro invece, ispiratori e artefici del rinnovamento conciliare, avevano capito tutto; loro stavano plasmando una nuova Chiesa finalmente adeguata all’uomo contemporaneo. Abbiamo visto i risultati: una Chiesa moribonda, che non vuole prendere atto del suo fallimento, e preferisce morire piuttosto che riconoscere umilmente i propri errori. L’immagine di quella conferenza episcopale “sequestrata” per un giorno intero e che non sa dire di meglio che «non è stata un’esperienza gradevole, ma tutto si è svolto in maniera corretta», descrive bene l’agonia di una Chiesa che sta morendo e accetta rassegnata la propria fine.

2. Ecco l’Europa in cui viviamo. Noi pensavamo di vivere in paesi democratici, dove è possibile esprimere liberamente la propria fede e dove la Chiesa gode di piena autonomia. Ci troviamo, in realtà, in un sistema totalitario, dove la libertà di azione della Chiesa si va man mano riducendo. Il potere (che, nonostante le apparenze, non è un potere democratico) non può tollerare che esistano realtà sottratte al suo controllo. La Chiesa può esistere, certo, ma come semplice associazione di cittadini; come il circolo del tennis, tanto per intenderci. La Chiesa deve limitarsi all’organizzazione di alcune attività di culto; per il resto, esiste esclusivamente lo Stato, portatore di un potere assoluto, a cui nessuno può in alcun modo sottrarsi. Questo è il futuro che attende la Chiesa in Europa. Inutile farsi illusioni. Fossi il Papa, ci penserei due volte prima di mettere piede in Inghilterra: si trova sempre un giudice Garzón qualsiasi, pronto a spiccare un mandato di cattura internazionale...

3. Che si sia arrivati a questo punto è certamente il risultato di una congiura che affonda le radici lontano nel tempo; ma è anche colpa della Chiesa, che ha prestato il fianco a tale attacco. Innanzi tutto, negando che esistesse un complotto ben pianificato contro di lei. Secondo, contribuendo fattivamente alla demolizione di sé stessa. È da decenni che si continua a ripetere che la Chiesa deve liberarsi dal potere, deve rinunciare ai suoi privilegi, deve ridiventare povera, ecc. Evidentemente, i sostenitori di tali suggestive teorie non hanno studiato la storia, e non sanno che, se la Chiesa ha, col passare dei secoli, acquisito anche un certo “potere temporale”, lo ha fatto solo per garantirsi quel minimo di libertà necessario per svolgere la propria missione. Non hanno capito che il mondo ha sempre fatto di tutto per impedire alla Chiesa di muoversi liberamente. Già, ma le anime belle non hanno mai pensato che qualcuno potesse avercela con la Chiesa, con tutto il bene che fa... Guardate che cosa è accaduto in questi giorni in Germania: la corte suprema ha dichiarato legittima l’eutanasia nel caso in cui ci sia la volontà del paziente. Pensate che i Vescovi tedeschi potranno dire qualcosa, dopo quanto accaduto nei mesi scorsi? E se dovesse scoppiare una guerra con l’Iran, pensate che il Papa potrebbe anche solo fiatare? Il messaggio convogliato dalla campagna contro la pedofilia nella Chiesa è stato piuttosto chiaro.

4. Molti sono convinti che, tutto sommato, questa buriana non possa far che bene alla Chiesa, costringendola alla purificazione. Che tutto rientri in un misterioso disegno divino e che tutto concorra al bene di quanti amano Dio (Rm 8:28), non sarò certo io a negarlo. Che la Chiesa abbia sempre bisogno di purificazione, non si può in alcun modo mettere in discussione. Ma, come ho già avuto occasione di dire, sarebbe illusorio pensare che si possa giungere su questa terra a una Chiesa tutta pura: il peccato nella Chiesa c’è sempre stato e sempre ci sarà. Sappiamo a che cosa ha portato la furia giacobina contro la corruzione: alla ghigliottina (che peraltro è stata incapace di eliminare la corruzione stessa). La Chiesa, nella sua secolare saggezza, ha sempre preferito seguire un’altra strada: ha preferito “gestire” certe situazioni al suo interno, gelosa della sua autonomia, perché sapeva a che cosa avrebbe portato la rinuncia a certi “privilegi”. Meglio correre il rischio di avere al proprio interno qualche elemento indegno, piuttosto che diventare ostaggio di un potere senza scrupoli ed essere con ciò impedita di annunciare il Vangelo e servire l’umanità.

Inviterei gli appassionati sostenitori di una sconsiderata politica della “trasparenza” e della “tolleranza zero” a guadare a ciò che è accaduto a Bruxelles, per vedere a che cosa porta, inevitabilmente, quel tipo di politica.


Guai ai persecutori dei consacrati! ma guai ai consacrati infedeli!
per avere un'idea dello stato comatoso della chiesa belga vedi:





venerdì 25 giugno 2010

Sancto Thoma magistro

Il Santo Padre ha riproposto recentemente la figura e l'opera di San Tommaso d’Aquino, un'opera se non possiamo dire insuperabile finora certamente insuperata. Il Concilio Vaticano II aveva fatto lo stesso con la Dichiarazione Gravissimum Educationis: “Ecclesiae Doctorum, praesertim Sancti Thomae vestigia premendo”  (n. 10), e con il Decreto Optatam Totius: " deinde ad mysteria salutis integre quantum fieri potest illustranda, ea ope speculationis, S. Thoma magistro, intimius penetrare eorumque nexum perspicere alumni addiscant" (n. 16). Ma poi arrivò il vento freddo dello spirito del concilio e non se fece più nulla con buona pace dei desiderata dei Padri Conciliari. Il Concilio fu tradito più volte e su San Tommaso lo fu spudoratamente.  
Il Concilio Vaticano II chiaramente intendeva dare "nuovo impulso agli studi cattolici con i suoi decreti sulla formazione sacerdotale e sull’educazione cattolica, all’insegna del Maestro San Tommaso (S. Thoma magistro) (cf. Optatam Totius, 16)" (Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti all’ottavo Congresso Tomistico Internazionale celebrato in occasione del centenario dell’Enciclica “Aeterni Patris” di Leone XIII, Castel Gandolfo 13 settembre 1980); fatto sta che la proscrizione di San Tommaso dagli Studi Teologici e dai Seminari si attuò dopo il Concilio e non prima. L'attuale catechesi di Papa Benedetto XVI serva davvero finalmente "di stimolo e auspicio per una rinnovata vita e per più ubertosi frutti, nel prossimo avvenire, per il bene della Chiesa!" (ibidem).
 
BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 23 giugno 2010

San Tommaso d'Aquino (3)

Cari fratelli e sorelle,

vorrei oggi completare, con una terza parte, le mie catechesi su san Tommaso d’Aquino. Anche a più di settecento anni dopo la sua morte, possiamo imparare molto da lui. Lo ricordava anche il mio Predecessore, il Papa Paolo VI, che, in un discorso tenuto a Fossanova il 14 settembre 1974, in occasione del settimo centenario della morte di san Tommaso, si domandava: "Maestro Tommaso, quale lezione ci puoi dare?". E rispondeva così: "la fiducia nella verità del pensiero religioso cattolico, quale da lui fu difeso, esposto, aperto alla capacità conoscitiva della mente umana" (Insegnamenti di Paolo VI, XII[1974], pp. 833-834). E, nello stesso giorno, ad Aquino, riferendosi sempre a san Tommaso, affermava: "tutti, quanti siamo figli fedeli della Chiesa possiamo e dobbiamo, almeno in qualche misura, essere suoi discepoli!" (Ibid., p. 836).

Mettiamoci dunque anche noi alla scuola di san Tommaso e del suo capolavoro, la Summa Theologiae. Essa è rimasta incompiuta, e tuttavia è un’opera monumentale: contiene 512 questioni e 2669 articoli. Si tratta di un ragionamento serrato, in cui l’applicazione dell’intelligenza umana ai misteri della fede procede con chiarezza e profondità, intrecciando domande e risposte, nelle quali san Tommaso approfondisce l’insegnamento che viene dalla Sacra Scrittura e dai Padri della Chiesa, soprattutto da sant’Agostino. In questa riflessione, nell’incontro con vere domande del suo tempo, che sono anche spesso domande nostre, san Tommaso, utilizzando anche il metodo e il pensiero dei filosofi antichi, in particolare di Aristotele, arriva così a formulazioni precise, lucide e pertinenti delle verità di fede, dove la verità è dono della fede, risplende e diventa accessibile per noi, per la nostra riflessione. Tale sforzo, però, della mente umana – ricorda l’Aquinate con la sua stessa vita – è sempre illuminato dalla preghiera, dalla luce che viene dall’Alto. Solo chi vive con Dio e con i misteri può anche capire che cosa essi dicono.

Nella Summa di Teologia, san Tommaso parte dal fatto che ci sono tre diversi modi dell’essere e dell'essenza di Dio: Dio esiste in se stesso, è il principio e la fine di tutte le cose, per cui tutte le creature procedono e dipendono da Lui; poi Dio è presente attraverso la sua Grazia nella vita e nell’attività del cristiano, dei santi; infine, Dio è presente in modo del tutto speciale nella Persona di Cristo unito qui realmente con l'uomo Gesù, e operante nei Sacramenti, che scaturiscono dalla sua opera redentrice. Perciò, la struttura di questa monumentale opera (cfr. Jean-Pierre Torrell, La «Summa» di San Tommaso, Milano 2003, pp. 29-75), una ricerca con "sguardo teologico" della pienezza di Dio (cfr. Summa Theologiae, Ia, q. 1, a. 7), è articolata in tre parti, ed è illustrata dallo stesso Doctor Communis – san Tommaso - con queste parole: "Lo scopo principale della sacra dottrina è quello di far conoscere Dio, e non soltanto in se stesso, ma anche in quanto è principio e fine delle cose, e specialmente della creatura ragionevole. Nell’intento di esporre questa dottrina, noi tratteremo per primo di Dio; per secondo del movimento della creatura verso Dio; e per terzo del Cristo, il quale, in quanto uomo, è per noi via per ascendere a Dio" (Ibid., I, q. 2). È un circolo: Dio in se stesso, che esce da se stesso e ci prende per mano, così che con Cristo ritorniamo a Dio, siamo uniti a Dio, e Dio sarà tutto in tutti.

La prima parte della Summa Theologiae indaga dunque su Dio in se stesso, sul mistero della Trinità e sull’attività creatrice di Dio. In questa parte troviamo anche una profonda riflessione sulla realtà autentica dell’essere umano in quanto uscito dalle mani creatrici di Dio, frutto del suo amore. Da una parte siamo un essere creato, dipendente, non veniamo da noi stessi; ma, dall’altra, abbiamo una vera autonomia, così che siamo non solo qualcosa di apparente — come dicono alcuni filosofi platonici — ma una realtà voluta da Dio come tale, e con valore in se stessa.

Nella seconda parte san Tommaso considera l’uomo, spinto dalla Grazia, nella sua aspirazione a conoscere e ad amare Dio per essere felice nel tempo e nell’eternità. Per prima cosa, l’Autore presenta i principi teologici dell’agire morale, studiando come, nella libera scelta dell’uomo di compiere atti buoni, si integrano la ragione, la volontà e le passioni, a cui si aggiunge la forza che dona la Grazia di Dio attraverso le virtù e i doni dello Spirito Santo, come pure l’aiuto che viene offerto anche dalla legge morale. Quindi l'essere umano è un essere dinamico che cerca se stesso, cerca di divenire se stesso e cerca, in questo senso, di compiere atti che lo costruiscono, lo fanno veramente uomo; e qui entra la legge morale, entra la Grazia e la propria ragione, la volontà e le passioni. Su questo fondamento san Tommaso delinea la fisionomia dell’uomo che vive secondo lo Spirito e che diventa, così, un’icona di Dio. Qui l’Aquinate si sofferma a studiare le tre virtù teologali - fede, speranza e carità -, seguite dall’esame acuto di più di cinquanta virtù morali, organizzate attorno alle quattro virtù cardinali - la prudenza, la giustizia, la temperanza e la fortezza. Termina poi con la riflessione sulle diverse vocazioni nella Chiesa.

Nella terza parte della Summa, san Tommaso studia il Mistero di Cristo - la via e la verità - per mezzo del quale noi possiamo ricongiungerci a Dio Padre. In questa sezione scrive pagine pressoché insuperate sul Mistero dell’Incarnazione e della Passione di Gesù, aggiungendo poi un’ampia trattazione sui sette Sacramenti, perché in essi il Verbo divino incarnato estende i benefici dell’Incarnazione per la nostra salvezza, per il nostro cammino di fede verso Dio e la vita eterna, rimane materialmente quasi presente con le realtà della creazione, ci tocca così nell'intimo.

Parlando dei Sacramenti, san Tommaso si sofferma in modo particolare sul Mistero dell’Eucaristia, per il quale ebbe una grandissima devozione, al punto che, secondo gli antichi biografi, era solito accostare il suo capo al Tabernacolo, come per sentire palpitare il Cuore divino e umano di Gesù. In una sua opera di commento alla Scrittura, san Tommaso ci aiuta a capire l’eccellenza del Sacramento dell’Eucaristia, quando scrive: "Essendo l’Eucaristia il sacramento della Passione di nostro Signore, contiene in sé Gesù Cristo che patì per noi. Pertanto tutto ciò che è effetto della Passione di nostro Signore, è anche effetto di questo sacramento, non essendo esso altro che l’applicazione in noi della Passione del Signore" (In Ioannem, c.6, lect. 6, n. 963). Comprendiamo bene perché san Tommaso e altri santi abbiano celebrato la Santa Messa versando lacrime di compassione per il Signore, che si offre in sacrificio per noi, lacrime di gioia e di gratitudine.

Cari fratelli e sorelle, alla scuola dei santi, innamoriamoci di questo Sacramento! Partecipiamo alla Santa Messa con raccoglimento, per ottenerne i frutti spirituali, nutriamoci del Corpo e del Sangue del Signore, per essere incessantemente alimentati dalla Grazia divina! Intratteniamoci volentieri e frequentemente, a tu per tu, in compagnia del Santissimo Sacramento!

Quanto san Tommaso ha illustrato con rigore scientifico nelle sue opere teologiche maggiori, come appunto la Summa Theologiae, anche la Summa contra Gentiles è stato esposto anche nella sua predicazione, rivolta agli studenti e ai fedeli. Nel 1273, un anno prima della sua morte, durante l’intera Quaresima, egli tenne delle prediche nella chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli. Il contenuto di quei sermoni è stato raccolto e conservato: sono gli Opuscoli in cui egli spiega il Simbolo degli Apostoli, interpreta la preghiera del Padre Nostro, illustra il Decalogo e commenta l’Ave Maria. Il contenuto della predicazione del Doctor Angelicus corrisponde quasi del tutto alla struttura del Catechismo della Chiesa Cattolica. Infatti, nella catechesi e nella predicazione, in un tempo come il nostro di rinnovato impegno per l’evangelizzazione, non dovrebbero mai mancare questi argomenti fondamentali: ciò che noi crediamo, ed ecco il Simbolo della fede; ciò che noi preghiamo, ed ecco il Padre Nostro e l’Ave Maria; e ciò che noi viviamo come ci insegna la Rivelazione biblica, ed ecco la legge dell’amore di Dio e del prossimo e i Dieci Comandamenti, come esplicazione di questo mandato dell'amore.

Vorrei proporre qualche esempio del contenuto, semplice, essenziale e convincente, dell’insegnamento di san Tommaso. Nel suo Opuscolo sul Simbolo degli Apostoli egli spiega il valore della fede. Per mezzo di essa, dice, l’anima si unisce a Dio, e si produce come un germoglio di vita eterna; la vita riceve un orientamento sicuro, e noi superiamo agevolmente le tentazioni. A chi obietta che la fede è una stoltezza, perché fa credere in qualcosa che non cade sotto l’esperienza dei sensi, san Tommaso offre una risposta molto articolata, e ricorda che questo è un dubbio inconsistente, perché l’intelligenza umana è limitata e non può conoscere tutto. Solo nel caso in cui noi potessimo conoscere perfettamente tutte le cose visibili e invisibili, allora sarebbe un’autentica stoltezza accettare delle verità per pura fede. Del resto, è impossibile vivere, osserva san Tommaso, senza fidarsi dell’esperienza altrui, là dove la personale conoscenza non arriva. È ragionevole dunque prestare fede a Dio che si rivela e alla testimonianza degli Apostoli: essi erano pochi, semplici e poveri, affranti a motivo della Crocifissione del loro Maestro; eppure molte persone sapienti, nobili e ricche si sono convertite in poco tempo all’ascolto della loro predicazione. Si tratta, in effetti, di un fenomeno storicamente prodigioso, a cui difficilmente si può dare altra ragionevole risposta, se non quella dell’incontro degli Apostoli con il Signore Risorto.

Commentando l’articolo del Simbolo sull’Incarnazione del Verbo divino, san Tommaso fa alcune considerazioni. Afferma che la fede cristiana, considerando il mistero dell’Incarnazione, viene ad essere rafforzata; la speranza si eleva più fiduciosa, al pensiero che il Figlio di Dio è venuto tra noi, come uno di noi, per comunicare agli uomini la propria divinità; la carità è ravvivata, perché non vi è segno più evidente dell’amore di Dio per noi, quanto vedere il Creatore dell’universo farsi egli stesso creatura, uno di noi. Infine, considerando il mistero dell’Incarnazione di Dio, sentiamo infiammarsi il nostro desiderio di raggiungere Cristo nella gloria. Adoperando un semplice ed efficace paragone, san Tommaso osserva: "Se il fratello di un re stesse lontano, certo bramerebbe di potergli vivere accanto. Ebbene, Cristo ci è fratello: dobbiamo quindi desiderare la sua compagnia, diventare un solo cuore con lui" (Opuscoli teologico-spirituali, Roma 1976, p. 64).

Presentando la preghiera del Padre Nostro, san Tommaso mostra che essa è in sé perfetta, avendo tutte e cinque le caratteristiche che un’orazione ben fatta dovrebbe possedere: fiducioso e tranquillo abbandono; convenienza del suo contenuto, perché – osserva san Tommaso – "è assai difficile saper esattamente cosa sia opportuno chiedere e cosa no, dal momento che siamo in difficoltà di fronte alla selezione dei desideri" (Ibid., p. 120); e poi ordine appropriato delle richieste, fervore di carità e sincerità dell’umiltà.

San Tommaso è stato, come tutti i santi, un grande devoto della Madonna. L’ha definita con un appellativo stupendo: Triclinium totius Trinitatis, triclinio, cioè luogo dove la Trinità trova il suo riposo, perché, a motivo dell’Incarnazione, in nessuna creatura, come in Lei, le tre divine Persone inabitano e provano delizia e gioia a vivere nella sua anima piena di Grazia. Per la sua intercessione possiamo ottenere ogni aiuto.

Con una preghiera, che tradizionalmente viene attribuita a san Tommaso e che, in ogni caso, riflette gli elementi della sua profonda devozione mariana, anche noi diciamo: "O beatissima e dolcissima Vergine Maria, Madre di Dio..., io affido al tuo cuore misericordioso tutta la mia vita... Ottienimi, o mia dolcissima Signora, carità vera, con la quale possa amare con tutto il cuore il tuo santissimo Figlio e te, dopo di lui, sopra tutte le cose, e il prossimo in Dio e per Dio".


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mercoledì 23 giugno 2010

ritorna a Mosca la Messa di sempre

Domenica 20 giugno, l'arcivescovo Mons. Paolo Pezzi, Ordinario dell'Arcidiocesi della Madre di Dio a Mosca, Russia, ha consacrato un altare in legno restaurato per la forma straordinaria del rito romano.  Questo altare si trova nella Cappella Grande della Cattedrale di Mosca Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria. La cerimonia della consacrazione ha seguito l'antiquior usus. Dopo la consacrazione dell'altare, padre Agostino Dzenzel ha celebrato la messa nella forma straordinaria. Questa è la prima volta dal 1936 che un Ordinario di questa Arcidiocesi partecipa alla liturgia tradizionale in latino (fonte http://www.newliturgicalmovement.org/2010/06/traditional-altar-consecration-in.html)





martedì 22 giugno 2010

una religione malaticcia deve guarire

Il martirio dei vescovi e la salvezza delle anime

Caro direttore, sono bastati pochi giorni perché calasse il silenzio sul martirio di monsignor Luigi Padovese avvenuto in Turchia ai primi di giugno. Salvo rare eccezioni, in casa cattolica, ci si è crogiolati nell’interpretazione minimale del fatto derubricandolo al rango di “gesto folle”. Ma, a ben guardare, forse è meglio il silenzio piuttosto che il povero tentativo di chiamare con un altro nome il martirio. Meglio il silenzio, perché tutti quei discorsi che in morte di monsignor Padovese hanno impiegato volutamente le parole sbagliate lasciano trasparire l’agghiacciante convinzione ormai divenuta maggioritaria dentro il mondo cattolico: che la Chiesa non abbia più bisogno di martiri, cioè di testimoni di Cristo. Tanto basta il dialogo.

D’altra parte, non si vede come potrebbe andare diversamente quando si predica la sostanziale equivalenza delle religioni in merito alla salvezza delle anime. E’ vero che atti magisteriali importanti come la Dominus Jesus e l’insegnamento di Papa Benedetto XVI vanno in ben altra direzione. Ma è altrettanto evidente lo scollamento tra il magistero e la teologia dominante, l’insegnamento nelle facoltà teologiche e nei seminari, la predicazione domenicale e, conseguenza di tutto ciò, il comune pensare di gran parte dei fedeli per i quali un minareto vale più o meno come un campanile. Fino a quando il cattolicesimo non ritroverà la propria unicità in ordine alla salvezza eterna di tutti gli uomini, che è la suprema legge della Chiesa, non potrà capire il martirio di un vescovo o di un qualsiasi fedele. Finirà sempre per chiamarlo con un altro nome: per ignoranza, per quieto vivere, per codardia o, peggio ancora, considerandolo inutile. Perché versare il sangue in nome di Cristo là dove la salvezza scorre, magari non limpidissima, per altri rivoli?

Se non fosse tanto drammatica, ci sarebbe da sorridere davanti a questa fase paradossale della storia in cui non sono più i persecutori a temere i martiri cristiani, ma lo sono i cristiani stessi a ritenerli quanto meno imbarazzanti. E qui non si tratta neppure di trovarsi a disagio davanti a chissà quale violenza perpetrata ai danni di inermi infedeli da convertire. Qui non ci si trova davanti all’oppressione dei corpi al fine della salvezza delle anime. Ci ritrova davanti al suo esatto contrario, davanti all’offerta sacrificale del proprio corpo per la salvezza altrui. Ma, anche senza voler scomodare il tanto aborrito proselitismo, ci si trova davanti a un gesto considerato inutile, dato che si pone il dialogo come manifestazione suprema della divinità. E allora lo si chiama con un altro nome.

Ha ben poco da attendersi l’occidente da un cattolicesimo incapace, prima ancora che di affermare, di pensare la propria unicità rispetto all’islam e a qualsiasi altra religione. Questo non è certo il cattolicesimo che diede vigore alla filosofia greca e alla civiltà romana attraverso la grandiosa affermazione del Logos. Questa è una religione malaticcia che ha abdicato al mandato principe disceso dal Logos: quello di chiamare ogni cosa con il suo nome. Ma per farlo ci vogliono fede, intelligenza e coraggio nelle giuste proporzioni. Gli esempi non mancano. San Francesco, narrano le Fonti francescane, andò dal Sultano in piena crociata e gli mostrò che cosa comportasse l’essere cristiani: “I cristiani giustamente attaccano voi e la terra che avete occupato, perché bestemmiate il nome di Cristo e allontanate dal suo culto quelli che potete”. Magari, questo San Francesco stupirà coloro che l’hanno conosciuto come antesignano del pacifismo dialogante del XX secolo. Ma quello splendido uomo medievale era ben altro, era un fiero e battagliero ambasciatore di Cristo: cioè un santo.


fonte: Il Foglio del 21 giugno 2010

domenica 20 giugno 2010

supplica al Santo Padre per San Giovanni Maria Vianney Patrono di tutti i sacerdoti

Il Santo Padre oggi ci ha ricordato alcune verità fondamentali circa il Sacerdozio: ciò ci conferma ancor di più nella convinzione che sia giusto e doveroso chiedere che il Papa proclami presto il Santo Curato d'Ars Patrono di tutti i sacerdoti. Ecco le parole del Papa:
“Il sacerdozio, non può mai rappresentare un modo per raggiungere la sicurezza nella vita o per conquistarsi una posizione sociale. Chi aspira al sacerdozio per un accrescimento del proprio prestigio personale e del proprio potere ha frainteso alla radice il senso di questo ministero. Chi vuole soprattutto realizzare una propria ambizione, raggiungere un proprio successo sarà sempre schiavo di se stesso e dell’opinione pubblica. Per essere considerato, dovrà adulare; dovrà dire quello che piace alla gente; dovrà adattarsi al mutare delle mode e delle opinioni e, così, si priverà del rapporto vitale con la verità, riducendosi a condannare domani quel che avrà lodato oggi. Un uomo che imposti così la sua vita, un sacerdote che veda in questi termini il proprio ministero, non ama veramente Dio e gli altri, ma solo se stesso e, paradossalmente, finisce per perdere se stesso. Il sacerdozio – ricordiamolo sempre – si fonda sul coraggio di dire sì ad un’altra volontà, nella consapevolezza, da far crescere ogni giorno, che proprio conformandoci alla volontà di Dio, «immersi» in questa volontà, non solo non sarà cancellata la nostra originalità, ma, al contrario, entreremo sempre di più nella verità del nostro essere e del nostro ministero” (Benedetto XVI, Omelia per l'ordinazione sacerdotale di 14 diaconi della Chiesa di Roma, 20 giugno 2010) .



Per la supplica al Santo Padre vedi il post qui sotto