Magistero e Concilio Vaticano II
Il 2 dicembre scorso sull’osservatore Romano appariva un articolo di Fernadno Ocariz sull’adesione al Concilio Vaticano II.
Mons Ocariz ha fatto parte della commissione incaricata dalla Congregazione per la dottrina della fede per i colloqui che si sono svolti durante circa un anno e mezzo con i rappresentanti della Fraternità San Pio X.
Mons Ocariz ha fatto parte della commissione incaricata dalla Congregazione per la dottrina della fede per i colloqui che si sono svolti durante circa un anno e mezzo con i rappresentanti della Fraternità San Pio X.
Il fatto che l’Osservatore Romano dedichi questo spazio all’argomento, mostra quanto sia attuale il dibattito sul concilio, riaperto dalle recenti pubblicazioni di Mons. Gherardini[1], Roberto de Mattei, Gnocchi e Palmaro e, ultimamente padre Serafino Lanzetta,. Si è toccato un mito e le critiche non vengono più soltanto dalla Fraternità San Pio X ma anche da personalità riconosciute ufficialmente nella Chiesa.
Nell’articolo Mons Ocariz ribadisce e conferma che nel Vaticano II il magistero non è stato esercitato “mediante il carisma dell’infallibilità”. Ma poi l'autore afferma che magistero non infallibile “non significa che esso possa essere considerato «fallibile» nel senso che trasmetta una «dottrina provvisoria» oppure «autorevoli opinioni». Ogni espressione di magistero autentico va recepita come è veramente: un insegnamento dato da Pastori che, nella successione apostolica, parlano con il «carisma della verità» (Dei verbum, n. 8), «rivestiti dell’autorità di Cristo» (Lumen gentium, n. 25), «alla luce dello Spirito Santo» (Ibidem).
Indubbiamente la chiesa ci insegna che il magistero autentico richiede “ossequio religioso della volontà e dell’intelletto”.[2] Tale assenso però non è più fondato sull’autorità di Dio che rivela e assiste la Chiesa nel magistero infallibile, ma unicamente sulla prudenza. Si è tenuti ad accettare ossequiosamente in spirito di fede ciò che la suprema autorità propone, per il rispetto che le si deve e perché, anche se non assistita infallibilmente nel caso preciso, ha tutte le competenze per insegnare e quindi è degna di credibilità.[3]
Ma generalmente i teologi sono d’accordo per affermare che un errore è possibile nel magistero non infallibile e semplicemente autentico, come lo mostra nei suoi articoli Xavier da Silveira.[4] Questa possibilità si è poi già verificata storicamente nella Chiesa.[5]
In tali circostanze è lecito chiedere spiegazioni all’autorità competente e perfino sospendere l’assenso quando si constata una contraddizione con ciò che è insegnato già in maniera infallibile.[6]
Detto questo ci si può chiedere se l'insegnamento del Concilio Vaticano II benché non infallibile, possa definirsi come magistero autentico.
Parlando di magistero occorre distinguere il soggetto dal modo di insegnamento e dal contenuto.
Il Papa ed i vescovi in un concilio legittimamente riunito, come fu il Vaticano II, sono il supremo soggetto del magistero e questo è fuori discussione.
Nell’articolo Mons Ocariz ribadisce e conferma che nel Vaticano II il magistero non è stato esercitato “mediante il carisma dell’infallibilità”. Ma poi l'autore afferma che magistero non infallibile “non significa che esso possa essere considerato «fallibile» nel senso che trasmetta una «dottrina provvisoria» oppure «autorevoli opinioni». Ogni espressione di magistero autentico va recepita come è veramente: un insegnamento dato da Pastori che, nella successione apostolica, parlano con il «carisma della verità» (Dei verbum, n. 8), «rivestiti dell’autorità di Cristo» (Lumen gentium, n. 25), «alla luce dello Spirito Santo» (Ibidem).
Indubbiamente la chiesa ci insegna che il magistero autentico richiede “ossequio religioso della volontà e dell’intelletto”.[2] Tale assenso però non è più fondato sull’autorità di Dio che rivela e assiste la Chiesa nel magistero infallibile, ma unicamente sulla prudenza. Si è tenuti ad accettare ossequiosamente in spirito di fede ciò che la suprema autorità propone, per il rispetto che le si deve e perché, anche se non assistita infallibilmente nel caso preciso, ha tutte le competenze per insegnare e quindi è degna di credibilità.[3]
Ma generalmente i teologi sono d’accordo per affermare che un errore è possibile nel magistero non infallibile e semplicemente autentico, come lo mostra nei suoi articoli Xavier da Silveira.[4] Questa possibilità si è poi già verificata storicamente nella Chiesa.[5]
In tali circostanze è lecito chiedere spiegazioni all’autorità competente e perfino sospendere l’assenso quando si constata una contraddizione con ciò che è insegnato già in maniera infallibile.[6]
Detto questo ci si può chiedere se l'insegnamento del Concilio Vaticano II benché non infallibile, possa definirsi come magistero autentico.
Parlando di magistero occorre distinguere il soggetto dal modo di insegnamento e dal contenuto.
Il Papa ed i vescovi in un concilio legittimamente riunito, come fu il Vaticano II, sono il supremo soggetto del magistero e questo è fuori discussione.
Quanto al modo di insegnamento del concilio, è molto rivelatrice la spiegazione che Paolo VI dà nella sua enciclica Ecclesiam suam, del 6 agosto 1964: «...Andate, dunque, istruite tutte le genti, è l’estremo mandato di Cristo ai suoi Apostoli. Questi nel nome stesso di Apostoli definiscono la propria indeclinabile missione. Noi daremo a questo interiore impulso di carità, che tende a farsi esteriore dono di carità, il nome, oggi diventato comune, di dialogo. La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio (nn.66-67). Questo dialogo esclude altre forme anche legittime di rapporto con “il mondo”, che hanno caratterizzato la Chiesa del passato: (nn. 80-81)».
Si tratta quindi non più di insegnare ma di dialogare, escludendo le altre forme di rapporto con il mondo, cioè il modo tradizionale di porsi della Chiesa come colei che insegna, trasmette la verità che ha ricevuto dalla Tradizione.
Come fa notare Mons. Ocariz, per quel che concerne il contenuto dell’insegnamento del concilio, sono di fede le verità già insegnate come tali dal precedente Magistero infallibile.
Le nuove dottrine invece, in contrasto con la Tradizione, non si possono attribuire al magistero della Chiesa ma a questo nuovo modo di porsi con il mondo che si può chiamare solo in senso lato “magistero” poiché non vi è più l’intenzione di insegnare ma appunto di dialogare[7].
Pretendere di attribuire un’autorità magisteriale a documenti ambigui o in aperto contrasto con l’insegnamento tradizionale della Chiesa e voler imporli come dottrina cattolica, diventa dell’autoritarismo a cui ogni cattolico, in ossequio alla fede di sempre e per amore alla Chiesa, può e deve resistere.
Si tratta quindi non più di insegnare ma di dialogare, escludendo le altre forme di rapporto con il mondo, cioè il modo tradizionale di porsi della Chiesa come colei che insegna, trasmette la verità che ha ricevuto dalla Tradizione.
Come fa notare Mons. Ocariz, per quel che concerne il contenuto dell’insegnamento del concilio, sono di fede le verità già insegnate come tali dal precedente Magistero infallibile.
Le nuove dottrine invece, in contrasto con la Tradizione, non si possono attribuire al magistero della Chiesa ma a questo nuovo modo di porsi con il mondo che si può chiamare solo in senso lato “magistero” poiché non vi è più l’intenzione di insegnare ma appunto di dialogare[7].
Pretendere di attribuire un’autorità magisteriale a documenti ambigui o in aperto contrasto con l’insegnamento tradizionale della Chiesa e voler imporli come dottrina cattolica, diventa dell’autoritarismo a cui ogni cattolico, in ossequio alla fede di sempre e per amore alla Chiesa, può e deve resistere.
Don Pierpaolo Maria Petrucci
[1] Mons. Gherardini ha pubblicato fra l’altro una bella risposta all’ articolo di Mons. Ocariz sulla rivista “Disputationes theologicae”.
[2] Per esempio Pio IX (Quanta cura)
[3] Padre Dublanchy, Dictionnaire de Théologie Catholique, art. Infaillibilité du pape col 1711-1712
[5] Apologia della Tradizione, Roberto de Mattei; Lindau 2011, parte I