Perché non è una novità che oggi
la Chiesa difenda l’unità d’Italia
di Angela Pellicciari
Forse non tutti sanno che il risorgimento è stato, anche, un violento tentativo di sradicare la fede cattolica dal cuore e dalla mente della popolazione italiana. Per giustificare la propria condotta e dare qualche parvenza di credibilità alla propria azione politica, i Savoia ed i liberali hanno proseguito nella “congiura all’aria aperta” ideata da Massimo D’Azeglio.
Prendendo atto della realtà, D’Azeglio riconosceva che, non essendoci le forze per fare la guerra, bisognava ricorrere alla propaganda e buttarsi nel “campo della opinione e della pubblicità”. Si trattava di screditare in ogni possibile modo lo stato della chiesa di cui si arrivava a mettere in dubbio la legittimità: “se il papa è divenuto principe per le donazioni di Pipino e di Carlo Magno, della contessa Matilde e d’altri, perché è stato tenuto perciò principe legittimo? Perché l’universale consentiva nel creder legittimo questo modo d’acquistare”. Queste le conclusioni del Marchese: i tempi essendo mutati, “si deve riconoscere, che l’idea sulla quale posava la legittimità del principato ecclesiastico, come di tant’altri, più non esiste”.
La congiura all’aria aperta trasforma la storia dell’Ottocento italiano in uno sdolcinato episodio di moralismo nazionalistico (quando si pensa all’attacco contro Berlusconi condotto in nome della morale viene da dire che il sangue non è acqua). Scrive Leone XIII nella Saepenumero considerantes del 1883: “la scienza storica sembra essere una congiura degli uomini contro la verità”; “Troppi vogliono che il ricordo stesso degli avvenimenti passati sia complice delle loro offese”.
Cosa fa il risorgimento in nome della morale? Sopprime tutti gli ordini religiosi della chiesa cattolica che lo Statuto albertino definisce unica religione di stato; deruba di ogni avere i 57.492 membri delle corporazioni; in nome della libertà di stampa vieta la pubblicazione delle encicliche pontificie; nel 1859 vara un nuovo codice di diritto penale in cui impone ai preti il canto del Te Deum per celebrare l’ordine morale che trionfa (pena due anni di carcere e 2.000 lire di multa); lascia oltre cento diocesi senza vescovo; fa passare di mano le 24.000 opere pie in cui la popolazione laica è capillarmente suddivisa per soccorrere i bisogni degli strati più poveri della popolazione; impone una scuola di stato, teoricamente gratuita, ma certamente laica, per plasmare una nuova generazione di italiani, liberi dai dogmi del cattolicesimo; invade gli stati italiani in nome della libertà e governa il Meridione con la legge marziale e lo stato d’assedio.
Il risorgimento ottiene due risultati rivoluzionari: trasforma gli italiani in un popolo di emigranti ed inculca nella popolazione il disprezzo per la propria storia e la propria identità. Se, negli ultimi anni, le violenze commesse dall’esercito sabaudo in Italia meridionale sono venute alla luce, la violenza anticattolica, che accomuna in una stessa sorte le popolazioni di tutte le regioni d’Italia, è rimasta scrupolosamente taciuta. Di questa non si può parlare.
Pio IX e Leone XIII denunciano in numerose encicliche la pratica liberticida dei governi liberali e ricordano agli italiani i meriti religiosi, culturali, artistici, civili ed economici, della cattolica Italia e del pontificato romano. Fra gli altri: la trasmissione dell’eredità greco-romana; l’evangelizzazione e la romanizzazione dei barbari; l’invenzione dell’università; le miriadi di opere di carità; la splendore dell’arte cristiana; l’organizzazione della difesa dall’islam. Fra i meriti dei pontefici, Leone XIII ricorda il seguente: “Né ultima fra le glorie dei Romani Pontefici è l’aver mantenuto unite, mercé la stessa fede e la stessa religione, le province italiane diverse per indole e per costumi, e l’averle così liberate dalle più funeste discordie. Anzi, nei peggiori frangenti più volte le cose pubbliche sarebbero precipitate in situazioni rovinose se il Romano Pontificato non fosse intervenuto a salvarle”.
La chiesa, oggi, difende l’unità d’Italia? Non è una novità.
(da Il Foglio, 18-03-2011)