giovedì 20 ottobre 2011

fine dell'oblio

Maestro in Sacerdozio, maestro nella fede, colui che ha salvato la Messa di sempre...


Il vero volto di Mons. Lefebvre

Monsignor Marcel Lefebvre è nato il 29 novembre 1905 a Tourcoing (Nord della Francia) ed è morto a Martigny (Vallese, Svizzera) il 25 marzo 1991. Arcivescovo cattolico di Dakar e delegato apostolico per l’Africa francese, sarà nominato vescovo di Tulle nel 1962, poi superiore generale della Congregazione dello Spirito Santo. Grande figura fra i rappresentanti dell’opposizione al Concilio Vaticano II, nel 1970 fonda la Fraternità Sacerdotale San Pio X con lo scopo di preservare il sacerdozio cattolico.

 
Ad un anno di distanza dal primo volume "Mons. Marcel Lefebvre: nel nome della verità", la nota scrittrice cattolica Cristina Siccardi torna ad affrontare la figura del vescovo francese fondatore della Fraternità Sacerdotale San Pio X. Già questo fatto dimostra chiaramente il notevole aumento d'interesse nei confronti di questo personaggio, controverso e discusso, che ha lasciato però un messaggio quanto mai attuale, proprio in questo tempo in cui sempre più voci si levano ad analizzare in modo nuovo, ed anticonformista, il grande fenomeno ecclesiale del Concilio Vaticano II.
In questo secondo volume l'autrice intende approfondire soprattutto la spiritualità e la dottrina di mons. Lefebvre, evidenziandone il profondo attaccamento alla Chiesa ed alla sua bimillenaria tradizione.

Innanzitutto va rilevato come il lavoro risulti estremamente ben documentato. Esso si basa infatti sulla diretta consultazione di manoscritti, in gran parte inediti, custoditi presso il seminario di Ècône. E proprio osservando attentamente tali manoscritti la Siccardi non trascura anche un'analisi grafologica dei documenti.

"Osservando ed esaminando la calligrafia di Monsignor Lefebvre possiamo comprenderne la trasparente e forte personalità. Scrittura di corpo medio, ordinatissima, facilmente leggibile e regolarmente allineata. Il foglio non è riempito, vengono lasciate parti bianche, dando un senso armonico allo spazio occupato; le lettere sono strette, più alte che larghe, semplici ed essenziali, unite fra di loro e sono vicine le une alle altre" (pp.11-12).

Questi elementi, unitamente ai contenuti ed alle notizie biografiche, contribuiscono alla ricostruzione della personalità dell'arcivescovo.

"Tutto ciò esprime una personalità raffinata ed elegante, pur nell'umiltà e nella sobrietà. Temperamento energico, da leader, testardo e persuasivo, come di chi sa farsi valere senza alzare il tono; insomma, autorevole e non autoritario; generosissimo e capace di soffrire in silenzio, propenso ad apprezzare la stima e l'affetto. Immediato, intuitivo e lungimirante, ricco di iniziativa e capace di prendere decisioni, sapendo coinvolgere i collaboratori" (p.12).

Un'altra caratteristica importantissima della sua personalità era senz'altro quella dell'organizzatore. Sotto questo aspetto mons. Lefebvre differisce e sovrasta di gran lunga gli altri esponenti del tradizionalismo cattolico, magari dottissimi ed eruditi, ma dotati di poco senso pratico. La sua innata capacità di coinvolgere i giovani e di formarli in uno spirito di azione autenticamente cristiano, rifuggiva sia dal settarismo, sia dal compromesso in materia di Fede e morale.
Questo fu probabilmente il segreto che preservò, e continua a preservare, la Fraternità San Pio X, dalla polverizzazione di altri movimenti, pur avendo dovuto affrontare circostanze storiche difficilissime ed estremamente pesanti.

Scorrendo le dense pagine del volume ci si rende ben conto di quale fosse la specifica e più autentica vocazione del prelato. Così la riassume Cristina Siccardi:

"Due furono le vocazioni di Monsignor Marcel Lefebvre: la prima, quella maturata fin dalla più tenera età, ovvero diventare sacerdote. La seconda: formare santi sacerdoti, mantenendo la filosofia cattolica e la teologia di san Tommaso d'Aquino…" (p. 9).



E i capitoli del libro non fanno altro che ripercorrere ed approfondire tale percorso. Il sacerdote è un «Alter Christus», il suo compito principale è quello di santificare i fratelli attraverso la celebrazione della S. Messa e la dispensa dei sacramenti. Egli deve essere necessariamente tutto di Dio e quindi non si possono conciliare con il suo ruolo né il matrimonio, né l'eccessiva dipendenza dai beni di questo mondo. Molto significativi, in tal senso, i capitoli intitolati: "Dio non ha bisogno di suonatori di mandolino" (pag. 38), "Il significato profondo della talare" (pag. 72) e "Sacerdos in aeternum" (pag. 86).

Un altro punto centrale del messaggio di mons. Lefebvre è quindi senz'altro la critica al principio della libertà religiosa enunciato dalla dichiarazione conciliare "Dignitatis humanae".
Nel libro di Cristina Siccardi vengono riportate in proposito numerose dichiarazioni e scritti risalenti essenzialmente agli anni '70 e '80. Ecco un breve esempio che si collega al principio che mons. Lefebvre non si stancò mai di proclamare: la regalità sociale di Gesù Cristo:

Il Salvatore del mondo non è più chiamato a regnare sulla società perché ciò è contrario alla dignità umana dei singoli popoli, ognuno dei quali padrone di avere la propria religione e di non essere ‘disturbato’ ” (p. 14).

Egli non poteva dunque ammettere, in nessun modo, questa vera e propria detronizzazione di Nostro Signore Gesù Cristo.

Proseguendo la lettura non mancano poi i passi dove l'autrice ripercorre i momenti dolorosi che portarono alla scomunica del 1988. Anche qui però, contrariamente ad una vulgata molto accreditata dai media, mons. Lefebvre ci viene presentato come una persona ben diversa dal clichè tetro ed arcigno fatto proprio da molti giornalisti.
Egli spesso ebbe a stigmatizzare lo "zelo amaro" di coloro che criticano ogni cosa senza lo spirito di carità che riesce, più delle parole, ad incoraggiare comportamenti virtuosi ed in grado di portare frutti.

"Bisogna assolutamente evitare lo zelo amaro, peraltro condannato da san Pio X nella sua prima enciclica, E Supremi (4 ottobre 1903). Niente è invece più efficace della carità. "Si spererebbe invano di attirare le anime a Dio con uno zelo pieno di amarezza; rimproverare duramente gli errori e riprendere i vizi con asprezza causa molto spesso più danni che vantaggi". San Paolo insegna a confutare, a sgridare, ad esortare, ma aggiunge che è necessaria la pazienza e la mitezza" (p. 11).

Ma sullo sfondo, specialmente negli ultimi anni molto dolorosi della sua vita, aleggeranno sempre, negli scritti come nelle omelie, nella predicazione degli esercizi spirituali come nelle pubbliche conferenze, le drammatiche constatazioni espresse, con disarmante semplicità, nella famosa omelia di Lille nel 1976:

"Al contrario, penso che sarei stato scomunicato se a quel tempo avessi formato i seminaristi come li formano ora nei nuovi seminari; se a quel tempo avessi insegnato il catechismo che si insegna oggi, mi avrebbero chiamato eretico; e se avessi detto la santa Messa come la dicono ora, mi avrebbero definito sospetto di eresia, fuori dalla Chiesa. Allora, io non capisco. È veramente cambiato qualcosa nella Chiesa!" (p. 9) .

Dobbiamo onestamente ammetterlo: nessuno, fino ad oggi, a meno di cadere nel relativismo più spinto, è riuscito a dare risposte credibili a queste semplici constatazioni. Passano i decenni, passano gli esegeti del Concilio, si alternano le ermeneutiche, ma nessuno potrà mai dare risposte in grado di giustificare come elementi di continuità quelli denunciati da mons. Marcel Lefebvre.
Forse è proprio per questo che, a distanza di venti anni dalla sua scomparsa, la figura di questo vescovo continua ad attrarre tutti coloro che cercano, pur con i limiti di noi umani, la Verità.



Marco BONGI

Cristina Siccardi: Maestro in Sacerdozio: la spiritualità di Monsignor Marcel Lefebvre, ed. SUGARCO, € 23.00 (Ricco inserto fotografico con documenti inediti).
Per gentile concessione dell'Editore SUGARCO, che ringraziamo vivamente, pubblichiamo, in anteprima, il quarto capitolo de Maestro in Sacerdozio. La spiritualità di Monsignor Marcel Lefebvre, dal titolo

«Dio non ha bisogno di sonatori di mandolino»


L’altro pilastro della vita interiore di Monsignor Lefebvre è, come si è detto, dom Jean-Baptiste Chautard, al secolo Gustave. Ragazzo vivacissimo e chierichetto modello, Gustave diventa catechista formidabile ed amato dei saltimbanchi della fiera di Marsiglia e consacra molte ore alla visita degli infermi poveri. Un giorno sente prepotente la chiamata di Dio, che lo vuole tutto per sé. «Resiste fin che può – quindici giorni – poi si arrende» (1). Certosino, gesuita, benedettino? Ogni ordine religioso offre a lui un lato affascinante, è indeciso… poi sceglie, si arruola alla milizia di san Bernardo, solitario monaco. E quell’abate della trappa di Sept-Fons diventerà centro irradiante ed operoso di ogni santa e santificante attività della Chiesa. Il padre gli è ostile, non lo lascia andare, poi deve piegarsi, ma di lui non vorrà più saperne.
Alcuni tratti della personalità di Chautard ricordano la determinazione e la forza di Monsignor Lefebvre. Come della sua grande famiglia trappista l’abate è il padre che provvede il pane e cura le anime, raggiungendo tutto e tutti senza trascurare niente, così Monsignore sarà l’amabile padre per i seminaristi della futura Fraternità San Pio X. Entrambi istruiscono e trascinano: hanno un infinito rispetto per le anime che considerano una ad una per le loro necessità, predisposizioni e limiti. Anche nella battaglia di difesa si assomigliano. Il primo dovrà difendere con i denti, con la stessa determinazione che userà Lefebvre per le battaglie che sosterrà, il suo ordine minacciato dalla Francia attanagliata dal liberalismo che vuole sopprimere gli ordini contemplativi: dodici anni di intensa lotta, piena di ardore e di intelligenza. «Dovrà insinuarsi negli ambienti politici, trattare con uomini di ogni colore… si presenterà ai persecutori cercando di illuminarli e di risvegliare la loro coscienza. Eccolo davanti al grande nemico, il Tigre, Clemenceau (2). Quel monaco che difende a testa eretta, senza paura, il diritto di esistenza per sé e per i suoi, parla con tanta convinzione» (3). Con la stessa energia e lo stesso zelo Monsignor Lefebvre affronterà le autorità ecclesiastiche: farà presente, a volte anche con toni accesi di ardore e passione, gli inganni del Modernismo e i pericoli di una lettura soggettivistica delle realtà religiose. Entrambi sostennero la battaglia di difesa, l’uno del proprio istituto religioso, l’altro della Fede e dell’ortodossia cattolica, con tutti i mezzi a loro disposizione: il soprannaturale in loro non richiese la rinuncia di nessun lecito mezzo umano, di nessuna risorsa naturale. Seppure monaco dom Chautard fu costretto a vivere, suo malgrado, nell’azione, arrivando anche a venti ore di lavoro quotidiano. Attivissimo fu anche Monsignor Lefebvre, prima come semplice sacerdote, poi come missionario in Gabon, Arcivescovo di Dakar (4), Delegato apostolico dell’Africa francofona, Vescovo di Tulle, Superiore della congregazione dello Spirito Santo, dinamico e operoso padre conciliare, fondatore e Superiore della Fraternità San Pio X. «Il nome Marcel Lefebvre suscita in molti antipatia ed avversione, in realtà, almeno fino a poco prima dello scontro con Paolo VI è stato considerato in Vaticano per molti decenni uno dei migliori vescovi a livello mondiale della Chiesa Cattolica» (5); ma seppe ugualmente vivere in perfetto equilibrio con la vita contemplativa, avendo appreso da Chautard che «La vera fecondità del lavoro apostolico è legata alla santità dell’apostolo» (6) e che «Base di ogni azione esteriore è un’intensa vita d’unione con Dio» (7). Infine, entrambi seppero vivere con sincera umiltà ed amabile semplicità. Altro mattone fondante della vita di Monsignor Lefebvre, sorgente di tutta la sua attività, fu, come sostiene ancora Chautard, la volontà di Dio. Tutto ciò che il Vescovo francese scelse e fece fu sempre ritenuta risposta ai desideri e propositi di Dio. «Ogni attimo viene a noi carico di un comando e di un soccorso divino e va ad immergersi nell’eternità per essere poi sempre ciò che noi ne avremo fatto» (8). Era perciò logico obbedire, ciecamente, a Dio ed essergli fedele, sempre e a qualunque prezzo. «Ogni manifestazione della volontà di Dio è come una freccia d’amore tinta dal sangue divino, che viene dal seno della SS. Trinità diretta al nostro cuore; e la freccia presentandosi alla nostra volontà, porta con sé la luce e la forza: la grazia del momento presente» (9).
La prima attività del sacerdote sia per Chautard che per Lefebvre fu la propria santificazione, la seconda fu la santificazione delle anime. Sia l’uno che l’altro non ambirono mai alla forbita forma oratoria, ma, attenti allo sguardo di Dio su di sé, divennero maestri di pensiero, guide ferme e rigorose perché «Dio non ha bisogno di sonatori di mandolino» (10), ma di uomini di massima fiducia, di eterne promesse, di provata fedeltà, di lealtà schietta, di combattenti veri; non certo di gente sonnacchiosa o «gelatina profumata» (11) o di ipocriti ed infidi adulatori.
Chautard scrisse un’opera che è diventata un classico della letteratura spirituale, vero e proprio capolavoro, L’anima di ogni apostolato. Il beato Giacomo Alberione (1884-1971) scrisse: «Leggete L’anima di ogni apostolato, poi leggete la vita dell’Autore: l’una illumina l’altra; da entrambe un calore ardente di vita interiore e di vita d’apostolato». A quest’opera Monsignor Lefebvre si accostò con vivo interesse, vi aderì e la sottoscrisse.

«Tu ergo, fili mi, confortare in gratia (12). La grazia è una partecipazione alla vita dell’Uomo-Dio. La creatura possiede una certa misura di forza – e in un certo senso si potrebbe qualificare e definire una forza – ma Gesù è la forza per essenza: in Lui è la pienezza della forza del Padre, l’onnipotenza dell’azione divina, e il suo Spirito viene detto Spirito di fortezza.
In voi solo, o Gesù – diceva San Gregorio Nazianzeno – sta tutta la mia forza. Fuori di Cristo, dice a sua volta San Girolamo, non sono che impotenza» (13).

Monsignor Lefebvre seguì i cinque caratteri della forza di Gesù ben elencati da Chautard, il quale riprese san Bonaventura (1217/1221 ca.-1274), che trattò di ciò nel quarto libro del Compendium Theologiae: il primo carattere è quello di intraprendere le cose difficili e affrontare, con risolutezza gli ostacoli: «Viriliter agite et confortetur cor vestrum» (14). Il secondo è il disprezzo delle cose del mondo: «Omnia detrimentum feci et arbitror ut stercora» (15). Il terzo è la pazienza nelle tribolazioni, ovvero «Fortis ut mors dilectio» (16). Il quarto è la resistenza alle tentazioni: «Tamquam leo rugiens circuit… cui resitite fortes in fide» (17). Il quinto è il martirio interiore, così come lo descrive dom Chautard: «la testimonianza, non del sangue, ma della vita che grida al Signore: Voglio essere tutta vostra. E consiste nel combattere la concupiscenza, nel domare i vizi e nel lavorare energicamente per l’acquisto della virtù: Bonum certamen certavi» (18), pertanto poter esclamare con fierezza paolina: «Ho combattuto la buona battaglia» (19).
Abbeverarsi alle fonti spirituali e teologiche di Marmion e di Chautard significò per Monsignor Lefebvre, in definiva, indossare una corazza così resistente e impenetrabile da non poter essere scalfita da niente e da nessuno e anche quando rimarrà solo di fronte al nuovo che avanzava e sovvertiva, mandando all’aria i metodi formativi dei seminari usati fino ad allora ed affossando, con una nuova e protestantizzante liturgia, la Santa Messa di sempre, si espose con vigore, non temendo alcunché, in quanto

«mentre l’uomo esteriore conta sulle proprie forze naturali, l’uomo interiore vede in esse solo degli aiuti, utili sì ma insufficienti. Il sentimento della sua debolezza e la sua fede nella potenza di Dio, gli dànno, come a S. Paolo, la giusta misura della sua forza20. Di fronte ai pericoli che sorgono d’ogni parte, ripete con umile fierezza: Cum infiormor, tunc potens sum. Senza la vita interiore, disse San Pio X, mancheranno le forze per sopportare con perseveranza le noie che accompagnano ogni apostolato, la freddezza e la scarsa collaborazione dei buoni, le calunnie degli avversari, e talvolta le gelosie degli amici e dei compagni di lotta… Solo una virtù paziente, radicata nel bene e allo stesso tempo soave e delicata, è capace di evitare o diminuire queste difficoltà» (21).

Le parole di Chautard, brucianti vita e chiaramente sperimentate dall’autore, entrarono così profondamente in Monsignor Lefebvre che leggendole non è difficile vedere davanti a noi il pastore di Écône dalla sorprendente stabilità, una stabilità umanamente impossibile da sostenere con tutte le pressioni, che gli vennero dalle realtà e autorità sia laiche che ecclesiastiche nel tentativo di piegarlo e farlo desistere dalla sua “testardaggine”, quella che ha permesso alla Tradizione di avere un suo “nascondiglio”, un suo bunker, mentre fuori volavano missili e cadevano bombe…

«Con la vita di orazione, simile alla linfa che dalla vite scorre nei tralci, discende nell’apostolo la forza divina per fortificare l’intelligenza, radicandolo sempre più nella fede. E l’apostolo allora progredisce perché questa virtù rischiara con più viva luce il suo cammino. Avanza risolutamente perché sa ove andare e come deve raggiungere la sua meta.
Questa divina illuminazione è accompagnata da una tale energia soprannaturale di volontà, che anche il carattere più debole ed instabile diviene capace di atti eroici» (22).

È incredibile come dom Chautard sveli, con tanta naturalezza e semplicità, i segreti dell’esistere e dia la chiave per accedervi e raggiungere, con la perfezione cristiana, la felicità, seppur nel dolore. Il prezzo che Monsignor Lefebvre pagò, subendo anche la scomunica ed un ripudio da parte di quella Chiesa, per la quale offrì tutto se stesso, fu il sacrificio che con convinzione fu disposto ad offrire, pur di rimanere ancorato alla Chiesa di sempre, quella nella quale era entrato e che voleva mantenere tale come l’aveva conosciuta, senza nuovi e mondani maquillage: «È così che il manete in me, l’unione con l’immutabile, con colui che è il Leone di Giuda e il pane dei forti, spiega il miracolo della costanza invincibile e della fermezza così perfetta che nell’ammirabile apostolo san Francesco di Sales s’univano a una dolcezza e a un’umiltà senza pari», il Vescovo di Ginevra, tutto fuoco contro gli eretici, era poi tenerissimo con le anime da riportare all’unico ovile, «Lo spirito e la volontà si fortificano con la vita interiore, perché ne è fortificato l’amore. Gesù lo purifica, lo dirige e l’accresce progressivamente, lo fa partecipare ai sentimenti di compassione, di devozione, d’abnegazione e di disinteresse del suo adorabile Cuore. Se questo amore cresce fino a divenire passione, allora conduce al massimo sviluppo e utilizza a suo profitto tutte le forze naturali e soprannaturali dell’uomo» (23).
Da padre Le Floch, da dom Marmion e da dom Chautard, il giovane don Marcel Lefebvre, che fu ordinato il 21 settembre 1929 a Lille, comprese che solo Cristo deve essere l’ideale per il sacerdote e in Lui trova compimento ogni più piccola o grande aspirazione.


NOTE

1. G.B. Chautard, L’anima di ogni apostolato, Edizioni Paoline, Milano 1989, p.6.
2. Georges Benjamin Clemenceau (1841-1929) nacque nella conservatrice Vandea, da una famiglia solidamente anticlericale e repubblicana.
3. G.B. Chautard, op. cit., p. 10.
4. Ricordiamo che Monsignor Lefebvre, dopo essere stato ordinato sacerdote nel 1929, venne nominato vicario in una parrocchia operaia di Lille. Entrò nella Congregazione missionaria dei Padri dello Spirito Santo, partendo per il Gabon nel 1932. Appena giunto in Africa, fu nominato professore di Dogmatica e di Sacra Scrittura al Seminario Maggiore di Libreville diventandone il direttore nel 1934. Nel settembre del 1947, fu consacrato vescovo e nominato Vicario Delegato del Senegal. L’anno successivo fu nominato Delegato Apostolico per tutta l’Africa francese. Rappresentante della Santa Sede in 18 Paesi africani, era responsabile di 45 giurisdizioni ecclesiastiche, due milioni di cattolici, 1.400 preti e 2.400 religiose. Nel 1955 divenne il primo arcivescovo di Dakar dove rimase fino al 1962. Al suo ritorno in Francia, monsignor Lefebvre fu messo a capo della piccola diocesi di Tulle, dove rimase pochi mesi poiché eletto Superiore Generale dei Padri dello Spirito Santo. Al Concilio Vaticano II fu uno degli animatori del Coetus Internationalis Patrum, un gruppo di 250 vescovi che tentò di opporsi alla corrente progressista.
5. M. Stanzione, in http://www.agerecontra.it/public/press/?p=10972.
6. G.B. Chautard, op. cit., p. 15.
7. G.B. Chautard, Ibidem, p. 15.
8. G.B. Chautard, Ibidem, p. 15.
9. G.B. Chautard, Ibidem, p. 15-16.
10. G.B. Chautard, Ibidem, p. 17.
11. G.B. Chautard, Ibidem, p. 17.
12. «Tu dunque, o Figlio mio, prendi vigore nella grazia» (2Tim 2,1).
13. G.B. Chautard, op. cit., p. 125.
14. «Operate da forti e il vostro cuore si rafforzi» (Sal. XXX).
15. «Mi sono privato di tutte le cose, e le ho stimate spazzatura» (Filipp. III,8).
16. «L’amore è forte come la morte» (Cant, VII, 6).
17. «Il diavolo qual leone ruggente s’aggira attorno a voi… resistetegli fermi nella fede» (I Pt 5, 8-9).
18. «Ho cercato la buona lotta». G.B. Chautard, op. cit., p. 126.
19. 2 Tim 4, 7.
20. «Poiché quando son debole, allora sono potente» (2Cor 12, 10).
21. G.B. Chautard, op. cit., pp. 126-127.
22. G.B. Chautard, op. cit., p. 127.
23. G.B. Chautard, op. cit., p. 127.