di don Pierpaolo Maria Petrucci
Se vi è una caratteristica che possa definire per
eccellenza la vita del nostro fondatore è senz’altro il desiderio di instaurare
il regno di Cristo nelle anime e nella società. Per questo Mons. Marcel
Lefebvre si inserisce pienamente sulle orme di san Pio X che fece
dell’«Instaurare omnia in Christo» tutto il programma del suo pontificato.
La
realizzazione di questo regno comporta una lotta contro coloro che lo rigettano
e questo spiega l’opposizione acerrima di san Pio X prima e di Mons. Lefebvre
poi, contro il modernismo penetrato nella Chiesa.
Certamente Gesù è Re perché è Dio, e quindi a lui
tutte le creature devono rendere omaggio, ma è Re anche in quanto uomo poiché
ci ha riscattati dal potere di Satana, versando il suo sangue sulla Croce. Per
questo a lui apparteniamo e a lui dobbiamo sottomettere prima di tutto la
nostra mente con un’adesione completa alle verità che ci ha rivelato e che ci
indicano il cammino per giungere alla salvezza. A lui dobbiamo sottomettere
anche la volontà conformando sempre più la nostra vita alla sua legge.
Il regno di Cristo poi non si estende unicamente sulle
anime e sulle famiglie ma anche sulla società che è in definitiva una creatura
di Dio poiché è Lui che ha dato all’uomo una natura sociale. Anch’essa quindi
deve rendergli un culto pubblico nella religione che Egli ha rivelato e fondare
i suoi ordinamenti sulla legge naturale e quella divina.
L’instaurazione di questo regno sociale non può
lasciarci indifferenti poiché, come ricordava Papa Pio XII: «Dalla forma data alla
società, consona o no alle leggi divine, dipende e s’insinua anche il bene o il
male nelle anime»1. Con il sacramento della Cresima siamo divenuti
soldati di Cristo proprio per cooperare all’instaurazione di questo regno in
noi e nella società. Per contribuirvi efficacemente non dobbiamo dimenticare
che siamo chiamati ad una battaglia essenzialmente soprannaturale. San Paolo ce
lo ricorda: «Non lottiamo contro una natura umana mortale, ma contro i
prìncipi, contro le potenze, contro dominatori di questo mondo oscuro, contro
gli spiriti maligni delle regioni celesti. Per questo motivo indossate
l'armatura di Dio per resistere nel giorno malvagio»2. Ora Satana è
stato vinto sulla Croce ove Gesù ha inchiodato l’atto della nostra condanna e
ci ha meritato tutte le grazie necessarie per vincere una lotta che sarebbe di
per sé di gran lunga al di sopra delle nostre forze.
Queste grazie ci sono comunicate tramite la Santa
Messa che riattualizzando il sacrificio della Croce perpetua il trionfo di Gesù
Cristo su Satana. Sant’Alfonso, parlando della Santa Messa, ricorda che essa «è
l’opera che più abbatte le forze dell’inferno, che apporta maggior suffragio
alle anime del purgatorio, che maggiormente placa l’ira divina contro i
peccatori, che apporta maggior bene agli uomini in questa terra»3.
Mons. Lefebvre, il giorno del suo giubileo
sacerdotale, in una memorabile predica ricordava la trasformazione sociale da
lui constatata in Africa grazie alla Messa, vero fermento di civilizzazione
cristiana fra gli indigeni4.
Per questo dalla sua sconfitta sulla croce, Satana
cerca di distruggere la Chiesa scaturita dal costato aperto di Gesù, per
impedire che i frutti del suo sacrificio siano comunicati alle anime. In modo
particolare vuole colpirla al cuore cercando non soltanto di alterarne la
dottrina ma anche di prosciugarne la sorgente della grazia: «Il demonio –
scrive sant’Alfonso - ha procurato sempre di togliere dal mondo la Messa per
mezzo degli eretici, costituendoli precursori dell’anticristo; il quale prima
di ogni altra cosa procurerà di abolire ed infatti gli riuscirà d’abolire, in
pena di peccati degli uomini il santo Sacrificio dell’altare, secondo quel che
predisse il profeta Daniele (Dan. 8,12)»5.
Uno dei più grandi attacchi alla Messa fu certamente
quello portato dall’eresia protestante che, a causa di un’errata dottrina sulla
giustificazione fondata unicamente sulla fede, disconosceva la necessità di
rinnovare il sacrificio della croce in espiazione dei peccati. La Messa
diveniva così una semplice memoria dell’ultima cena fatta dalla comunità dei
fedeli e presieduta dal pastore, dove il Signore era soltanto spiritualmente
presente. Negando l’esistenza del sacrificio propiziatorio non era più
necessaria la vittima e neppure il sacerdote che aveva compito di offrirla ed
immolarla; da qui la negazione della Presenza reale e del sacerdote, consacrato
a questa funzione da un ordine sacro, che lo distingue dai fedeli.
Sintomatico è considerare come il vescovo apostata
Cramner riuscì a modificare in Inghilterra la fede di un popolo che era
cattolico fino a fargli abbracciare le eresie protestanti, cambiando la
liturgia della messa. La recente pubblicazione in Italia del libro di Michael
Davies La riforma liturgica anglicana ne dà un esempio stupefacente6.
L’uso della lingua vernacola, l’omissione dei momenti
di silenzio, la soppressione dell’offertorio, la sostituzione degli altari con
delle tavole, il cambiamento della posizione del ministro, la comunione nelle
mani ed altre soppressioni ed aggiunte, operarono una vera rivoluzione nelle
credenze.
Poiché la legge della preghiera corrisponde alla legge
della fede, i cambiamenti liturgici operati gradualmente realizzarono un
trasbordo ideologico di massa che condusse tutto un popolo all’eresia, molto
più efficacemente che mille prediche o catechismi: «A poco a poco, a misura che
passavano gli anni, i dogmi incastonati negli antichi riti ormai abbandonati e
che, grazie a loro, erano rimasti vivi negli spiriti e nei cuori, finirono per
scomparire a loro volta, senza che, per distruggerli, fosse necessario
organizzare missioni e predicazioni»7.
Papa Leone XIII, nella sua enciclica sulle ordinazioni
anglicane, riassume molto bene il processo messo in atto: «Essi (i riformatori
anglicani) sapevano benissimo che legame stretto unisce la fede e il culto, la lex
credendi e la lex supplicandi; così, con il pretesto di restaurare
la liturgia per renderle la sua forma primitiva, intrapresero la sua
alterazione su molti punti per metterla in accordo con gli errori dei novatori.
Ne risulta che, in tutto l’ordinario, mai si parla chiaramente di sacrificio,
della consacrazione, del sacerdozio, del potere di consacrare e di offrire il
sacrificio; al contrario, come abbiamo già detto, si tolse e si soppresse
deliberatamente dalle preghiere del rito cattolico, che non erano state
puramente e semplicemente eliminate, ogni traccia di questi elementi, come
altri simili»8.
Sembra incredibile constatare come in seguito alla
rivoluzione nella Chiesa operata dall’ultimo concilio, la stessa strategia sia
stata utilizzata per trasformare la fede dei cattolici e condurli alle nuove
dottrine, prima fra le quali l’ecumenismo, utilizzando come strumento
preferenziale la liturgia con l’imposizione del nuovo rito della messa.
Fin dagli albori di questa rivoluzione liturgica,
autorevoli personalità ecclesiastiche ne denunciarono il pericolo. Basti citare
i cardinali Bacci ed Ottaviani che, presentando a Paolo VI il ben conosciuto Breve
esame critico del Novus Ordo Missae ne denunciavano «l’impressionante
allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa» formulata nel
concilio di Trento che «eresse una barriera invalicabile contro qualunque
eresia che intaccasse l’integrità del magistero».
Si trattava di un rito forgiato ex novo come lo
stesso Paolo VI riconosceva parlando della «novità che costituisce il nuovo
rito della Messa» la quale comporta «un cambiamento che lede una venerabile
tradizione multisecolare» (Udienza generale del 26-11-1969).
Lo stesso Mons. Bugnini, principale artefice della
riforma, disse molte esplicitamente che si tratta «in certi punti, di una vera
nuova creazione, dato che l’immagine della liturgia data dal Concilio Vaticano
II è completamente differente da quella che la Chiesa cattolica ha avuto
finora»9.
Già questo sarebbe per sé sufficiente per
giustificarne il rigetto poiché la liturgia non si fabbrica a tavolino, essa è
il prodotto della devozione cattolica nei secoli e soltanto gli eretici nella
storia ne hanno intrapreso una riforma radicale, sempre con il pretesto di un
ritorno alla purezza del cristianesimo primitivo. Ma questo è un metodo
rivoluzionario ben conosciuto: «Si sa bene, – scrive Louis Salleron – che,
nelle società stabili, un processo rivoluzionario collaudato è il “ritorno alle
origini”. Non si tratta più di potare l’albero perché porti più frutto; lo si
taglia alla base con il pretesto di rendere tutto il vigore alle sue radici»10.
Questo allontanamento dalla fede cattolica è ben
percettibile sui medesimi punti stravolti dai novatori. Prima di tutto la Messa
non è intesa più come sacrificio propiziatorio, cioè offerto in espiazione dei
peccati; per questo l ’offertorio, in cui in anticipo si offriva la vittima che
sarebbe stata immolata per i nostri peccati, è stato soppresso e rimpiazzato da
una preghiera che indica uno scambio di doni fra Dio e l’uomo. L’altare diventa
una tavola, malgrado la condanna di questo abuso da parte di Papa Pio XII nella
sua enciclica Mediator Dei (20 novembre 1947). La santa Comunione è
distribuita nelle mani, da laici.
Per indicare il modo di presenza di Nostro Signore
nell’Eucaristia non si parla più di transustanziazione, solo termine consacrato
dalla Chiesa per far barriera efficace agli errori dei protestanti.
Lo stesso ruolo del ministro è stravolto poiché è
l’assemblea che celebra il memoriale del Signore ed il sacerdote diventa un
semplice presidente11. Nuovi edifici sono costruiti per accogliere
il nuovo rito, in fedele ossequio alle direttive del Vaticano ma che non hanno
più nulla a che vedere con la struttura tradizionale della chiesa a forma di
croce greca o latina e lo stesso tabernacolo è relegato ad un angolo per cedere
il posto al celebrante. Questo prescrizione ci porta alla mente il discorso di
chiusura del concilio in cui Paolo VI aveva detto: «Anche noi, e più di chiunque
altro, abbiamo il culto dell’uomo» ( 7 dicembre 1965). Si può dire che la
nuova messa realizza pienamente questa nuova concezione religiosa.
Gli artefici del cambiamento liturgico avevano
chiaramente manifestato che il loro scopo era elaborare un rito che potesse
favorire l’ecumenismo con i protestanti.
Paolo VI già nella sua enciclica programmatica Ecclesiam
suam (6 agosto 1964) lo aveva lasciato intendere: «su tanti punti
differenziali, relativi alla tradizione, alla spiritualità, alle leggi
canoniche, al culto, Noi siamo disposti a studiare come assecondare i legittimi
desideri dei Fratelli cristiani, tuttora da noi separati».
In maniera ancore più palese si era espresso a J.
Guitton: «Allo sforzo richiesto ai fratelli separati perché si riuniscano, deve
corrispondere lo sforzo, altrettanto mortificante per noi, di purificare
la Chiesa romana nei suoi riti, perché diventi desiderabile e abitabile»12.
Quanto a Mons. Bugnini, non ha mai nascosto le sue
intenzioni ecumeniche. Sulle colonne dell’Osservatore Romano, dichiarò
che la riforma liturgica era stata improntata al «desiderio di scartare ogni
pietra che potesse costituire anche solo l’ombra di un rischio di inciampo o di
dispiacere per i fratelli separati»13.
Per questo sei pastori protestanti parteciparono ai
lavori preparatori della nuova Messa.
Diverse dichiarazioni di personalità del mondo
protestante mostrarono che lo scopo ecumenico era raggiunto.
Fra di esse ricordiamo il professore di dogmatica alla
facoltà protestante di Strasburgo, M. Siegeval che, nel novembre del 1969,
scrisse al vescovo della città una lettera nella quale constatava che «niente
nella messa adesso rinnovata può veramente disturbare il cristiano evangelico»14.
Nello stesso anno Max Thurian, pastore protestante di Taizé, aveva dichiarato
che «uno dei frutti del nuovo Ordo Missae sarà forse che delle comunità
non cattoliche potranno celebrare la Santa Cena con le stesse preghiere della
Chiesa cattolica. Teologicamente è possibile»15.
Nell’aprile del 1972 i protestanti di Taizé
adotteranno effettivamente le preghiere eucaristiche della nuova messa. In
quell’occasione il padre domenicano Roger-Thomas Calmel, grande teologo e
coraggioso oppositore fin dall’inizio dei cambiamenti liturgici, fece un
appello accorato alla resistenza: «Che i sacerdoti cattolici rinuncino una
volta per tutte a portare i travestimenti preparati da superiori traditori per
far piacere a dei predicatori eretici. Che rifiutino di celebrare la messa con
il Novus Ordo poiché questo Novus Ordo, con il suo smantellamento
calcolato di formulari e di riti è diventato ciò che era destinato a divenire:
un libro liturgico all’uso di ufficianti eretici che non credono alla messa e
che non sono sacerdoti»16.
È indubbio che negli ultimi anni un mutamento radicale si è operato nella fede dei sacerdoti e dei fedeli e la nuova liturgia della Messa ha esercitato in questo un’influenza fondamentale.
Il rifiuto della nuova Messa e la lotta contro gli
errori moderni non è facoltativa.
La restaurazione nella Chiesa si costruisce intorno
alla sua Croce, alla Santa Messa di sempre e questo comporta dalla parte dei
sacerdoti e dei laici il rigetto totale e radicale della nuova liturgia fondata
sui principi protestanti penetrati nella Chiesa. Non basta infatti affermare la
verità ma occorre anche condannare tutto ciò che le si oppone e se si accetta
di dare il diritto di cittadinanza all’errore, come propone lo spirito
liberale, si ha già perso in partenza poiché si costruisce sulla sabbia del
compromesso e si entra già nell’ottica rivoluzionaria.
Note:
1.Pio
XII, Radiomessaggio del 1 giugno 1941.
2.Ef
6,12.
3.Sant’Alfonso,
La Messa strapazzata.
4.«Ho
potuto vedere villaggi di pagani divenuti cristiani trasformarsi non solo
spiritualmente e sovrannaturalmente, ma anche fisicamente, socialmente,
economicamente, politicamente; trasformarsi perché quelle persone, da pagane
che erano, diventavano coscienti della necessità di compiere il loro dovere
malgrado le prove ed i sacrifici, di mantenere i loro impegni e particolarmente
gli obblighi del matrimonio. Allora il villaggio si trasformava poco alla volta
sotto l'influenza della grazia e del santo Sacrificio della Messa; e tutti quei
villaggi volevano avere la propria cappella e la visita del Padre. La visita
del missionario!» Parigi, 23 settembre 1979.
5.S.
Alfonso, Ibid.
6.Ed.
Ichthys, pp. 288.
7.Mons.
Philip Hughes, The Reformation in England, 1950, Michael Davis, La
Riforma liturgica anglicana p. 89.
8.Leone
XIII, Apostolicae curae, 13 settembre 1896.
9.A.
Bugnini, Dichiarazione alla stampa (4 gennaio 1967), in «La
Documentation Catholique », n. 1491 (1967), col. 824.
10.
Louis Salleron, La nouvelle Messe, Parigi, 1972,
p. 40.
11.
Institutio Generalis n.
7.
12.
J. Guitton, Paolo VI segreto, San Paolo,
Milano 1985, quarta edizione 2002, p. 59.
13.
Cfr. «La Documentation
Catholique », n. 1445 (1965), col. 604.
14.
Citato in Louis Salleron La nouvelle messe p.
119.
15.
«La Croix»,
30 maggio 1969, ibd. p. 119.
16.
Le père Roger-Thomas Calmel,
père Jean-Dominique Fabre, éd. Clovis 2012 p. 478.
Fonte:
La Tradizione Cattolica n° 1 2015