Dall’abisso alla gloria
Corruptio optimi pessima.
Già l’antica saggezza latina aveva riconosciuto che, quando sono i
migliori a guastarsi, la loro corruzione supera i limiti di quella propria di
chi è abitualmente corrotto e li fa sprofondare in abissi di depravazione che
sorprendono persino i disonesti. Anche al di fuori di tale decadenza, è
risaputo che un’esteriorità impeccabile può ben fare da schermo al marciume:
«Chi fa l’angelo fa la bestia», sentenzia il noto adagio attribuito a
sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Finora, però, le bestialità commesse dagli
angeli apparenti erano consumate in segreto; oggi invece (proprio all’epoca in
cui le notizie si divulgano in pochi istanti a livello planetario) esse vengono
con orgoglio esibite in pubblico. È uno schiaffo al buon gusto, prima ancora
che al buon senso – anche per quanti, pur vivendo lontano dalla fede, si
aspettano spontaneamente dai sacerdoti una condotta per lo meno decente. Se poi
il motivo del vanto è una relazione sodomitica, inevitabilmente intessuta di
atti che sono fra i più disgustosi e degradanti che un essere umano possa
commettere…
Come frutto delle amenità raccontate al catechismo e del vuoto spinto
caratterizzante la formazione dei seminari, d’altronde, non ci si poteva
aspettare molto di meglio. Ascesi e mortificazione sono state abrase dalla vita
cristiana come relitti di un passato oscurantista e opprimente in cui – dicono
– la gioia di vivere e l’anelito alla libertà erano sistematicamente repressi
ai fini della conservazione del potere clericale. Pur non avendo esperienza
diretta di quei deprecabili tempi preconciliari (termine gravido delle più sinistre
risonanze), posso comunque fare appello a ricordi personali. La frequentazione
di sacerdoti anziani, formati alla “vecchia maniera”, mi ha sempre fatto un
gran bene nel profondo dell’anima: erano uomini buoni, sereni, saggi e radiosi
che mi volevano bene in modo pulito, franco, disinteressato, diventando così
fari della mia infanzia e giovinezza e favorendo in modo decisivo la mia
vocazione. Il mio solo rimpianto è che non ci siano più e che io non abbia più
la preziosa opportunità di imparare da loro ciò che non mi è stato insegnato.
Qualcosa, in ogni caso, dev’essere pur passato, se oggi continuo a
cercarlo intorno a me e desidero offrirlo a mia volta. Di fatto, gli unici in
cui ritrovo le medesime qualità sono sacerdoti bollati come “tradizionalisti”
e, paradossalmente, dei giovani religiosi che si stanno formando “all’antica”:
i loro volti puri, solari e vitali sono una prova evidente della bontà del
cammino seguito. Sono ragazzi del nostro tempo, cresciuti nelle nostre città e
nelle nostre scuole, ma miracolosamente liberi dall’orrenda schiavitù
dell’impurità che soggioga la nostra gioventù infelice. Dato che la grazia
suppone la natura, è ovvio che certi miracoli richiedano particolari
disposizioni spirituali che non si possono assumere se non apprendendole da
qualcun altro; ma la lotta contro il peccato e la cooperazione con la grazia
sono discipline che si insegnano da ben duemila anni nella Chiesa: a mano a
mano che le impari, ti cambiano la vita.
Da quando nei seminari e nei conventi, invece, si è abbandonata ogni
pratica e disciplina per perdersi nelle chiacchiere fumose di uno spiritualismo
astratto, completamente cieco di fronte alle reali condizioni di candidati
provenienti da una società estremamente corrotta, essi si sono trasformati,
secondo la terribile profezia della Salette, in cloache di impurità. Tale risultato, del resto, è stato studiatamente perseguito dalla
massoneria, a partire almeno dagli anni ’50, mediante l’infiltrazione degli
istituti ecclesiastici di studio da parte di insegnanti ad essa affiliati. Lo
scopo ultimo era quello di squalificare il sacerdozio cattolico, come la
Vergine predisse a Mariana de Jesús nel lontano 1610: «Il sacramento
dell’Ordine sacro sarà deriso, oppresso e disprezzato, perché in questo
sacramento la Chiesa di Dio e persino Dio stesso è respinto e disprezzato,
poiché Egli è rappresentato dai Suoi preti. Il demonio cercherà di perseguitare
i ministri del Signore in ogni modo possibile e agirà con crudele e sottile
astuzia per farli deviare dallo spirito della loro vocazione corrompendo molti
di loro. Questi sacerdoti corrotti, che saranno motivo di scandalo per i
cattolici, faranno sì che l’odio dei cattivi cattolici e dei nemici della
Chiesa cattolica, apostolica e romana ricada su tutti i sacerdoti».
Non potrò mai dimenticare le espressioni di odio con cui, nella prima
metà del 2010, i romani mi piantavano gli occhi addosso, per strada e sui mezzi
pubblici, ogni volta che un articolo di giornale o un programma televisivo
aveva sollevato il velo sulla pedofilia nel clero. Allora mi sentivo ancora
obbligato a portare quell’eclettica divisa semi-laica che è stata imposta al
clero “rinnovato” e che non ho mai amato; ora che indosso sempre l’abito
talare, al contrario, spesso riscuoto simpatia e gentilezza là dove meno potrei
aspettarmele. All’abito si associa pur qualcosa di importante, almeno ad una
certa età; i bambini e gli adolescenti, invece, sono inevitabilmente
incuriositi da una figura così inconsueta. Ciò che conta, ad ogni modo, è che
la veste sia un continuo richiamo – per il prete come per i fedeli – alla
santità oggettiva dello stato sacerdotale, che esige parimenti una tensione
ininterrotta verso la santità personale. La qualità morale dei ministri sacri,
in effetti, ha una ricaduta diretta sulla vita del Popolo di Dio, in bene e in
male, come ricordò Gesù stesso a Mariana nel 1634:
«Sappi che la Giustizia divina manda terribili castighi su intere
nazioni non solo per i peccati della gente, ma soprattutto per i peccati dei
sacerdoti e dei religiosi, perché questi ultimi sono chiamati dalla perfezione
del loro stato ad essere il sale della terra, i maestri della verità, coloro
che trattengono l’ira divina. Deviando dalla loro sublime missione, essi si
degradano a un punto tale che agli occhi di Dio sono proprio loro ad accelerare
il rigore dei castighi, perché separandosi da me finiscono per vivere solo una
vita superficiale dell’anima, e mantenersi lontano da me non è degno dei miei
ministri. Con la loro freddezza e mancanza di fiducia, essi agiscono come se
per loro io fossi un estraneo. Ahimé! se solo sapessero, se solo fossero
convinti di quanto io li ami e desideri che essi entrino nella vera profondità
delle loro anime, là, senza dubbio, essi troverebbero me e vivrebbero
necessariamente la vita d’amore, luce e continua unione per la quale essi non
sono solo stati chiamati, ma scelti!».
tratto da Elia