La rivoluzione
pastorale
A quanto è stato riferito, il 19 marzo scorso
il Papa avrebbe firmato l’esortazione apostolica post-sinodale contenente i
risultati degli ultimi due Sinodi dei Vescovi: la III assemblea generale
straordinaria su “Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto
dell’evangelizzazione” (5-19 ottobre 2014) e la XIV assemblea generale
ordinaria su “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel
mondo contemporaneo” (4-25 ottobre 2015). La pubblicazione è attesa per la metà
di aprile.
Il 14 marzo il Card. Walter Kasper, nel
corso di una conferenza tenuta a Lucca, ha annunciato: «Tra
pochi giorni uscirà un documento di circa duecento pagine in cui Papa Francesco
si esprimerà definitivamente sui temi della famiglia affrontati durante lo
scorso sinodo e in particolare sulla partecipazione dei fedeli divorziati e
risposati alla vita attiva della comunità cattolica. Questo sarà il primo passo
di una riforma che farà voltare pagina alla Chiesa dopo 1700 anni». A leggere
questo annuncio bomba del Cardinale tedesco, sembrerebbe di capire che
l’esortazione apostolica costituirà uno “strappo” alla tradizione in materia di
matrimonio e famiglia.
Il 19 marzo, vale a dire il giorno
stesso della presunta firma del documento, il Prof. Alberto Melloni ha
pubblicato su Repubblica un editoriale sull’argomento. L’esponente della
“Scuola di Bologna” sembrerebbe rassicurarci: «Nessuna spaccatura. Ma una
sintesi, tra rigoristi e progressisti. Francesco disorienta ancora una volta
chi sperava di “incastrarlo” nel dibattito sinodale sulla famiglia e sulla
comunione ai divorziati. O chi pensava di mettere in contraddizione, dentro il
sinodo e nella platea dei fedeli, la supposta rigidità di una “dottrina” con
una “apertura” che il Papa sintetizza nell’espressione “misericordia”.
L’Esortazione post-sinodale su cui oggi Francesco apporrà la sua firma,
conterrà proprio questa combinazione di elementi. E l’operazione di chi puntava
su uno strappo è clamorosamente fallita». Si potrebbe eccepire: ma il Prof.
Melloni che ne sa? Ma lasciamo perdere: da che mondo è mondo, c’è sempre stato
qualcuno che, senza averne i titoli, risulta piú informato degli altri.
Limitiamoci alle sue affermazioni, che sembrano fondarsi su una conoscenza non
approssimativa del documento papale: non ci sarà alcuna rottura, ma ci
troveremo di fronte a una superiore sintesi fra le diverse posizioni. Ah, beh,
beh! Possiamo tirare un sospiro di sollievo: la rivoluzione è rimandata.
Se però proseguiamo nella lettura, il
Professore aggiunge: «Il Pontefice, coerentemente con la riforma del linguaggio
del pastorale e del dottrinale che è al cuore del concilio Vaticano II, pensa
che una dottrina che non includa la misericordia sia solo una ideologia. E che
una “apertura” che non abbia la pretesa di dire la verità che è la persona di
Gesú Cristo, sia solo una operazione di marketing. Ha allora superato lo
scoglio chiamando a responsabilità i vescovi a cui restituisce poteri
effettivi, segnando, come ha detto il cardinale Kasper, una vera e propria
“rivoluzione”». Sembrava che Melloni prendesse le distanze dalle anticipazioni
di Kasper, e invece ecco che le conferma, arrivando al punto di parlare di una
vera e propria “rivoluzione”. Sembrerebbe di capire che la rivoluzione consista
nel restituire ai Vescovi “poteri effettivi”. Che significa? Che sulla
questione dell’ammissione dei divorziati risposati alla comunione saranno i
singoli Vescovi a decidere? È possibile; ma ciò non giustifica la frase del
Cardinale: «Questo sarà il primo passo di una riforma che farà voltare pagina
alla Chiesa dopo 1700 anni». Perché proprio millesettecento anni? Forse che
millesettecento anni fa erano stati tolti ai Vescovi “poteri effettivi”? Non mi
risulta. Se sottraiamo a 2016 millesettecento, otterremo 316, una data non
particolarmente significativa. Nel 313 c’era stato l’Editto di Milano. Ma
allora che voleva dire Kasper? Che finalmente è terminata l’era costantiniana?
Non vedo che cosa c’entri. O non sarà forse un riferimento al 325, anno in cui
si svolse il primo concilio ecumenico, quello di Nicea? Sí, ma che c’entra?
Rileggiamo con attenzione l’inizio del
secondo paragrafo dell’editoriale del Prof. Melloni: «Il Pontefice,
coerentemente con la riforma del linguaggio del pastorale e del dottrinale che
è al cuore del concilio Vaticano II...». Ah, ecco, abbiamo forse trovato il
bandolo della matassa: il Professore fa riferimento al Concilio e alla sua
pretesa “riforma del linguaggio del pastorale e del dottrinale”. Il Vaticano II
è stato il primo concilio pastorale della Chiesa; fino ad allora i concili
erano stati o dottrinali o disciplinari. Certamente il primo di essi, il
Concilio di Nicea, fu un concilio dottrinale. Ecco allora che si incomincia a
capire perché dopo millesettecento anni la Chiesa volterà pagina: perché
finalmente abbandonerà l’attitudine dottrinale, assunta a Nicea, per assumerne
una nuova, completamente pastorale. Sí, ma questa svolta non era già avvenuta
cinquanta anni fa, appunto con la celebrazione del primo concilio pastorale?
No, perché quello fu solo un tentativo. Fallito. Si voleva fare un nuovo tipo
di concilio, pastorale appunto, per rompere con la tradizione plurisecolare
della Chiesa; Papa Giovanni, ingenuamente, senza rendersi conto della manovra,
abboccò; ma provvidenza volle che non potesse portare a termine il Concilio; il
testimone passò a Paolo VI, il quale, senza sconfessarne l’iniziale fisionomia
pastorale, diede al Concilio una chiara impronta dottrinale, seppure un po’ sui
generis.
La svolta, che doveva avvenire — ma non
avvenne — cinquant’anni fa, a quanto pare, si realizzerà con l’esortazione
apostolica post-sinodale di Papa Francesco: al centro di essa evidentemente non
saranno piú le questioni dottrinali, come era avvenuto finora, ma
esclusivamente l’attenzione, tutta pastorale, per la situazione concreta in cui
si trovano gli uomini del nostro tempo. Se cosí è, si può parlare di una vera e
propria “rivoluzione”? Sarebbe una rivoluzione se si manomettesse la dottrina;
ma, visto che la dottrina non viene toccata, che male c’è a fissare
l’attenzione sui problemi concreti della vita di ogni giorno?
E invece si tratta proprio di una
rivoluzione, perché non tocca questo o quel punto della dottrina (in tal caso
sarebbe, semplicemente, un’eresia), ma consiste in un cambio radicale di
atteggiamento, di prospettiva: una vera e propria “rivoluzione copernicana”. È
vero che la dottrina non viene toccata; ma semplicemente perché non interessa
piú: è inutile; peggio, dannosa. Avete sentito il Prof. Melloni: «Il Pontefice
… pensa che una dottrina che non includa la misericordia sia solo una
ideologia». La dottrina è tendenzialmente ideologica; la dottrina divide,
provoca le guerre di religione; la dottrina è l’arma di cui si servono i
dottori della legge, gli scribi e i farisei per giudicare e condannare. Meglio
dunque preoccuparsi della vita concreta, incontrare le persone nella loro
condizione reale, cercare ciò che unisce, collaborare con tutti, a prescindere
dalle differenze che ci distinguono. Questo atteggiamento può essere definito,
appunto, “pastorale”.
Bisognerebbe che qualcuno, prima o poi,
si decidesse a fare la storia di questo nuovo orientamento della Chiesa.
Giustamente Mons. Brunero Gherardini, nella sua conferenza al convegno sul Vaticano II (16-18
dicembre 2010), paragona la pastorale all’Araba Fenice (“che vi sia ciascun lo
dice, dove sia nessun lo sa”), ma poi non ricostruisce l’origine e il
successivo sviluppo storico del nuovo approccio pastorale della Chiesa. A me
sembra, ma potrei sbagliarmi, che esso sia in qualche modo connesso con
l’influsso della filosofia moderna sulla teologia cattolica, in modo
particolare da parte dell’idealismo e del marxismo. Questo è particolarmente
evidente nella teologia della liberazione e nella teologia politica, dove viene
chiaramente dichiarato il primato dell’ortoprassi sull’ortodossia (su tale
contrapposizione si vedano l’istruzione della CDF su alcuni aspetti della
“teologia della liberazione” Libertatis nuntius del 6 agosto 1984, parte
X, n. 3, e la conferenza del Card. Joseph Ratzinger tenuta
in Messico nel maggio 1996, in particolare il quinto paragrafo); ma potrebbe
aver determinato anche il nuovo orientamento pastorale. L’argomento,
ovviamente, andrebbe approfondito. In ogni caso, un dato è certo: non ci
troviamo di fronte a un atteggiamento ideologicamente neutro e spiritualmente
innocuo; esso è portatore di una carica fortemente ideologica. La dottrina può,
certo, trasformarsi in ideologia (quando, da descrizione oggettiva della
realtà, quale dovrebbe essere, si risolve in teoria astratta che tenta di
imporsi alla realtà); il primato dell’ortoprassi sull’ortodossia è, in sé,
ideologia allo stato puro.
Non sta a me emettere giudizi, ma ho
l’impressione che ci troviamo di fronte all’ultimo tentativo di assalto alla
Chiesa da parte del modernismo. Finora il modernismo non era riuscito a
imporsi, perché si era sempre mosso su un piano dottrinale, e su questo piano
risultava relativamente facile alla Chiesa individuare le eresie e condannarle.
Ecco allora che, nel corso del Novecento, il modernismo ha cambiato strategia
(evolvendosi cosí in “neomodernismo”): se continuiamo ad attaccare la dottrina,
non andremo da nessuna parte; la dottrina lasciamola cosí com’è; semplicemente,
ignoriamola; perseguiamo i nostri obiettivi percorrendo un’altra strada, la via
pastorale. Per motivi pastorali, è possibile fare tutto ciò che la dottrina
proibisce. Una volta ammesso ciò che finora era proibito, a poco a poco,
diventerà scontato e pacificamente accettato da tutti; la dottrina rimarrà
un’anticaglia del passato, da conservare in museo, sotto una campana di vetro.
E la rivoluzione è fatta. Senza spargimento di sangue.
tratto da: http://querculanus.blogspot.it/2016/03/la-rivoluzione-pastorale.html